martedì 4 novembre 2025

Mater Populi fidelis, nota dottrinale del Dicastero per la Dottrina della Fede (4-11-2025)

 

DICASTERO PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

Mater Populi fidelis

Nota dottrinale su alcuni titoli mariani
riferiti alla cooperazione di Maria
all’opera della salvezza


 

Indice

Presentazione
Introduzione
La cooperazione di Maria nell’opera della salvezza
Titoli che si riferiscono alla cooperazione di Maria alla salvezza

Corredentrice

Mediatrice

Maria nella mediazione unica di Cristo
Fecondi nel Cristo glorioso

Madre dei credenti

Intercessione
Vicinanza materna

Madre della grazia

Dove solo Dio può arrivare
L’acqua viva che scorre
Amore che si comunica nel mondo
Criteri
Le grazie
La nostra unione con Maria
La prima discepola

Madre del Popolo fedele

L’amore si ferma, contempla il mistero, gode in silenzio

 

Presentazione

La presente Nota risponde a numerose domande e proposte che sono giunte presso la Santa Sede negli ultimi decenni – in particolare presso questo Dicastero – circa questioni riguardanti la devozione mariana e particolarmente alcuni titoli mariani. Sono questioni che hanno suscitato preoccupazioni presso gli ultimi Pontefici e che sono state ripetutamente trattate nel corso degli ultimi trent’anni nei diversi ambiti di studio del Dicastero, come Congressi, Sessioni ordinarie, etc. Ciò ha permesso a questo Dicastero di disporre di un materiale abbondante e ricco che è alla base della presente riflessione.

Questo testo, mentre chiarisce in che senso sono accettabili o meno alcuni titoli ed espressioni riferiti a Maria, allo stesso tempo si propone di approfondire i corretti fondamenti della devozione mariana, precisando il posto di Maria nella sua relazione con i fedeli, alla luce del mistero di Cristo quale unico Mediatore e Redentore. Ciò implica una fedeltà profonda all’identità cattolica e, allo stesso tempo, un particolare sforzo ecumenico.

Il motivo di fondo che attraversa queste pagine è la maternità di Maria nei confronti dei credenti, questione che ritorna spesso, con affermazioni che vengono riprese molte volte, arricchendole e completandole, come in una spirale, con delle nuove considerazioni.

La devozione mariana, che la maternità di Maria suscita, è presentata qui come un tesoro della Chiesa. Non si tratta di correggere la pietà del popolo fedele di Dio, che riscopre in Maria rifugio, forza, tenerezza e speranza, quanto soprattutto di valorizzarla, riconoscerne la bellezza e promuoverla, dal momento che essa è un’espressione mistagogica e simbolica di quell’attitudine evangelica di fiducia nel Signore che lo stesso Spirito Santo suscita liberamente nei credenti. Infatti, i poveri «incontrano la tenerezza e l’amore di Dio sul volto di Maria. In lei loro vedono riflesso il messaggio essenziale del Vangelo».[1]

Allo stesso tempo, esistono alcuni gruppi di riflessione mariana, pubblicazioni, nuove forme di devozione e richieste di dogmi mariani che non presentano le stesse caratteristiche della devozione popolare ma che, in definitiva, propongono un determinato sviluppo dogmatico e si esprimono intensamente attraverso le piattaforme mediatiche, risvegliando, con frequenza, dubbi nei fedeli più semplici. A volte sono reinterpretazioni di espressioni impiegate nel passato con significati diversi. Perciò, il presente documento prende in considerazione tali proposte, per indicare in che senso alcune di esse rispondono a una devozione mariana genuina e ispirata al Vangelo, o in quale senso altre devono essere evitate, perché non favoriscono un’adeguata comprensione dell’armonia del messaggio cristiano nel suo insieme.

D’altra parte, in diversi passaggi di questa Nota si offre un ampio approfondimento biblico che aiuta a mostrare come l’autentica devozione mariana non compare solamente nella Tradizione della Chiesa ma già nelle Sacre Scritture. Tale rilevante traccia biblica viene qui accompagnata da testi dei Padri, dei Dottori della Chiesa e degli ultimi Pontefici. In questo modo, più che porre limiti, la Nota cerca di accompagnare e sostenere l’amore a Maria e la fiducia nella sua intercessione materna. 

Víctor Manuel Card. Fernández
Prefetto

 

 

Introduzione

1. [Mater Populi fidelis] La Madre del Popolo fedele[2] è contemplata con affetto e ammirazione dai cristiani poiché, dato che la grazia ci rende somiglianti a Cristo, Maria è l’espressione eminente dell’azione con cui Lui trasforma la nostra umanità; ed è anche la manifestazione femminile di tutto ciò che la grazia di Cristo può operare in un essere umano. Dinanzi a tale bellezza, spinti dall’amore, molti fedeli hanno sempre cercato di riferirsi alla Madre con le parole più belle e hanno esaltato il posto peculiare che lei occupa insieme a Cristo.

2. Recentemente, questo Dicastero ha pubblicato le Norme per procedere nel discernimento di presunti fenomeni soprannaturali.[3] È frequente che, in relazione con questi fenomeni, si utilizzino determinati titoli[4] ed espressioni riferiti alla Vergine Maria. Tali titoli, alcuni dei quali già presenti nei Santi Padri, non sempre si utilizzano con precisione; a volte viene cambiato il loro significato oppure vengono fraintesi. Al di là dei problemi terminologici, alcuni titoli presentano importanti difficoltà relativamente al contenuto, dal momento che con frequenza ne deriva un’errata comprensione della figura di Maria, con serie ripercussioni a livello cristologico,[5] ecclesiologico[6] e antropologico.[7] 

3. Nell’interpretazione di questi titoli riferiti alla Vergine Maria, si tratta di come intendere l’associazione di Maria all’opera redentrice di Cristo, vale a dire: «Qual è il significato di questa cooperazione singolare di Maria nel piano della salvezza?».[8] Il presente documento, senza voler esaurire la riflessione né essere esaustivo, vuole mantenere il necessario equilibrio che, all’interno dei misteri cristiani, deve stabilirsi tra l’unica mediazione di Cristo e la cooperazione di Maria all’opera della salvezza, e desidera mostrare anche come questa si esprime in diversi titoli mariani.

La cooperazione di Maria nell’opera della salvezza

4. Tradizionalmente, la cooperazione di Maria all’interno dell’opera della salvezza è stata affrontata in una duplice prospettiva: sia dal punto di vista della sua partecipazione alla Redenzione oggettiva, portata a compimento da Cristo nella sua vita e particolarmente con la sua Pasqua, sia a partire dall’influsso che lei attualmente esercita verso coloro che sono stati redenti. In realtà, tali prospettive sono tra esse relazionate e non possono essere affrontate in maniera isolata.

5. La partecipazione di Maria all’opera salvifica di Cristo è attestata dalle Scritture, che presentano l’evento salvífico realizzato in Gesù Cristo come una promessa, negli scritti veterotestamentari e come un compimento, nel Nuovo Testamento. Così, già si intravede Maria in Gn 3,15, perché lei è la Donna che partecipa alla vittoria definitiva contro il serpente. Ecco perché non sorprende che Gesù si rivolga a Maria con l’appellativo di «Donna» sulla scena del Calvario (Gv 19,26). Anche a Cana, Gesù la chiama «Donna» (Gv 2,4), rinviando a Maria e alla sua funzione, insieme a Lui, nell’«ora» della Croce.

6. In quell’«ora», si rende manifesta la cooperazione di Maria, la quale ritorna a pronunciare il “sì” dell’Annunciazione e, in quel sacro momento, il Vangelo passa dal collocare sulle labbra di Gesù la parola «Donna» (Gv 19,26) al presentare Maria come «Madre» (Gv 19,27). Quando il Vangelo spiega che, in risposta, il discepolo ‒ il quale rappresenta tutti noi ‒ la accolse, utilizza un verbo (lambanō) che nel Vangelo assume il significato di “accoglienza” da parte della fede (cf. Gv 1,11-12; 5,43 e 13,20). Si tratta dello stesso verbo che il quarto Vangelo impiega per dire che la Luce venne tra i suoi e questi non l’«accolsero» (Gv 1,11). Vale a dire, il discepolo che occupava il nostro posto accanto a Maria, l’accolse come Madre nella fede. Solo dopo l’affidamento di Maria come Madre, Gesù riconoscerà che «ogni cosa era compiuta» (Gv 19,28). Questa solenne allusione al compimento impedisce di interpretare l’episodio in maniera superficiale. La maternità di Maria nei nostri confronti fa parte del compimento del piano divino che si realizza con la Pasqua del Cristo. In maniera simile, l’Apocalisse presenta la «Donna» (Ap 12,1) come madre del Messia (cf. Ap 12,5) e come madre del «resto dei suoi figli» (Ap 12,17).

7. Conviene ricordare che Maria di Nazaret può essere considerata il «testimone privilegiato»[9] dei fatti dell’infanzia di Gesù[10] che appaiono nei Vangeli (cf. Lc 1-2; Mt 1-2). Nel prologo del suo Vangelo, Luca avverte i lettori: «Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio», anch’egli ha deciso «di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi» (Lc 1,1-3). Fra questi testimoni oculari risalta Maria, protagonista diretta del concepimento, della nascita e dell’infanzia del Signore Gesù. La medesima cosa si può dire dei racconti relativi alla passione, quando stava «presso la croce di Gesù sua madre» (Gv 19,25), e in attesa della Pentecoste, quando gli apostoli erano «in preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù» (At 1,14).

8. Nel Vangelo di Luca, Maria è la nuova Figlia di Sion che riceve e trasmette la gioia della salvezza. Luca raccoglie le promesse profetiche che annunciavano la gioia messianica (cf. Sof 3,14-17; Zac 9,9). In lei si adempiono le promesse che fecero saltare di gioia Giovanni Battista (cf. Lc 1,41). Elisabetta si presenta come indegna di ricevere la visita di Maria: «A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?» (Lc 1,43). Elisabetta non dice: «Chi sono io perché il mio Signore venga a me?». Essa si riferisce direttamente alla madre, per questo noi possiamo avvertire l’inseparabile connessione tra la missione del Cristo e quella di Maria. Elisabetta parla colma di Spirito Santo (cf. Lc 1,41), in maniera tale che il suo atteggiamento dinanzi a Maria si presenta come un modello di fede. Le seguenti parole che lei pronuncia, mossa dallo Spirito, sono: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1,42). Sorprende il fatto che, sotto l’azione dello Spirito, non le basta chiamare Gesù “benedetto”, ma chiama “benedetta” anche la madre: in questo momento di gioia messianica li contempla intimamente uniti. Maria qui appare come colei che è “beata” per eccellenza: «Beata colei che ha creduto» (Lc 1,45); «il mio spirito esulta» (Lc 1,47); «tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48). Ciò assume ancora maggior importanza se si nota che, nel Vangelo secondo Luca, questa felicità non appare come uno stato d’animo bensì come il compimento delle promesse messianiche nei piccoli (cf. Lc 6,20-22), i quali ricevono una ricompensa grande nel cielo (cf. Lc 6,23).

9. Nei primi secoli del cristianesimo, i Santi Padri si interessarono anzitutto della maternità divina di Maria (Theotokos), della verginità perpetua (Aeiparthenos), della sua perfetta santità, libera dal peccato per tutto il tempo della sua vita (Panagia) e per la sua funzione di nuova Eva,[11] concentrando nel mistero dell’Incarnazione la riflessione sull’associazione di Maria alla Redenzione di Cristo. Il “sì” di Maria, in risposta al saluto dell’Arcangelo Gabriele, affinché il Verbo di Dio si facesse carne nel suo grembo (cf. Lc 1,26-37), dà all’essere umano la possibilità di essere divinizzato. Per questo, Sant’Agostino chiama la Vergine «cooperatrice» nella Redenzione, sottolineando tanto l’azione di Maria unita a Cristo quanto la sua subordinazione a Lui, perché Maria coopera con Cristo affinché nascano «nella Chiesa i fedeli»[12] e, per questo, la possiamo chiamare Madre del Popolo fedele.

10. Durante il primo millennio, la riflessione sulla Vergine Maria nella Chiesa rimanda alla liturgia. La grande e ricca diversità delle tradizioni liturgiche dell’Oriente cristiano intendeva essere un’eco fedele della Sacra Scrittura, dei Concili e dei Padri della Chiesa. La lex orandi, che divenne lex credendi, plasma la mariologia orientale partendo dall’innografia, fino all’iconografia e alla pietà popolare.[13] Per esempio, a partire dal V secolo si fissano in Oriente le feste mariane che successivamente, nel VII secolo, passarono in Occidente. La partecipazione della Madre di Dio all’opera della salvezza si commemora non solo nelle anafore e nelle liturgie eucaristiche delle Chiese orientali, ma soprattutto attraverso i testi innografici impiegati nelle ore canoniche, presenti nelle differenti tradizioni liturgiche dell’Oriente cristiano. Nell’innografia, abbondano le composizioni dedicate a Maria con allegorie bibliche,[14] nelle quali si invoca l’intercessione della Madre di Dio, che consentiranno un approfondimento del mistero fondamentale dell’Incarnazione e il suo significato in vista della Redenzione in Cristo, con un linguaggio colmo di simbolismo poetico, capace di esprimere lo stupore e la meraviglia di coloro che, essendo della stessa stirpe di Maria, contemplano i prodigi che l’Onnipotente ha operato in lei.[15]

11. L’insegnamento dei primi Concili ecumenici comincia a delineare il dogma di Maria Madre di Dio, proclamato quindi in quello di Efeso. L’Oriente cristiano sempre ha sostenuto dottrinalmente quei dogmi definiti da questi primi Concili, almeno in quelle Chiese che hanno accettato i Concili di Efeso e di Calcedonia. Allo stesso tempo, ha accolto nelle sue tradizioni liturgiche, innografiche e iconografiche le narrazioni e le leggende mariane popolari riferite ai racconti dell’infanzia e della morte di Gesù. Queste narrazioni cercano di alimentare la pietà del Popolo di Dio, dando voce al lirismo delle immagini poetiche, le quali non hanno altro obiettivo che suscitare stupore. Questa venerazione della Madre di Dio si manifesta anche per mezzo dell’iconografia, che offre un’immagine visiva di Maria e del Verbo incarnato. Rimane significativo che le iconografie tradizionali di queste Chiese, vincolate ai Concili di Efeso e di Calcedonia, rappresentano Maria perlopiù come «Theotokos»,[16] e furono realizzate per contemplare in lei la Vergine Madre che presenta al mondo e abbraccia suo Figlio, il bambino Gesù, mentre intercede per l’umanità dinanzi a Lui. Così, l’iconografia mariana orientale, come kerygma e memoria visiva della teologia dei primi Concili e dei Santi Padri, vuole essere una traduzione visiva dei titoli specifici che si attribuiscono alla Vergine.[17] Per tale ragione, le icone devono “essere lette” tenendo conto della liturgia e degli inni. Maria non è un oggetto di culto che viene posto accanto a Cristo, ma si inserisce nel mistero di Cristo attraverso l’Incarnazione.[18] Lei è l’icona in cui viene venerato Cristo stesso. Lei è la Theotokos, la Vergine Madre che presenta suo Figlio Gesù, il Cristo, ed è allo stesso tempo l’Odēgētria che mostra, indicando con la sua mano, l’unico cammino che è Cristo.

12. A partire dal XII secolo la teologia occidentale[19] dirige il suo sguardo alla relazione che unisce la Vergine Madre al mistero della Redenzione cruenta sul Calvario e viene collegata la profezia pronunciata da Simeone con la Croce di Cristo. La presenza di Maria ai piedi della Croce viene compresa come segno della fortezza cristiana, piena di amore materno. San Bernardo, in un commento sulla presentazione di Gesù al tempio, parla della cooperazione di nostra Signora al sacrificio redentore.[20] Arnaldo, amico di San Bernardo e abate benedettino di Bonneval († dopo il 1159), considera per la prima volta la cooperazione di Maria col sacrificio del Calvario, lei insieme a suo Figlio Gesù Cristo.[21]

13. La cooperazione della Madre con il Figlio, nell’opera della salvezza, è stata illustrata dal Magistero della Chiesa.[22] Come dice il Concilio Vaticano II, «giustamente quindi i Santi Padri ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede e obbedienza».[23] Questa associazione della Vergine è presente tanto nella vita terrena di Gesù Cristo (concepimento, nascita, morte e risurrezione) come nel tempo della Chiesa.

14. Il dogma dell’Immacolata Concezione pone in risalto il primato e l’unicità di Cristo nella Redenzione, perché la prima dei redenti è anch’essa redenta da Cristo e trasformata dallo Spirito, prima di qualunque possibilità di un’azione propria.[24] In questa speciale condizione di “prima redenta” da Cristo e di “prima trasformata” dallo Spirito Santo, Maria può cooperare più intensamente e profondamente con Cristo e con lo Spirito, convertendosi in prototipo,[25] modello ed esempio di ciò che Dio vuole realizzare in ogni persona redenta.[26]

15. La collaborazione di Maria all’opera della salvezza ha una struttura trinitaria, dal momento che essa è il frutto dell’iniziativa del Padre, il quale ha osservato la piccolezza della sua serva (cf. Lc 1,48); scaturisce dalla kenōsis del Figlio, il quale si umiliò assumendo la forma di Servo (cf. Fil 2,7-8), ed è effetto della grazia dello Spirito Santo (cf. Lc 1,28.30), il quale ha disposto il cuore della giovane di Nazaret in modo tale che rispondesse sia all’Annunciazione, sia nel corso di tutta la sua vita di comunione col Figlio. San Paolo VI insegnava che «nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da Lui dipende: in vista di Lui, Dio Padre, da tutta l’eternità, la scelse Madre tutta santa e la adornò di doni dello Spirito, a nessun altro concessi».[27] Il sì di Maria non è una semplice condizione previa a qualcosa che avrebbe potuto essere realizzato senza il suo consenso e la sua collaborazione. La sua maternità non è semplicemente biologica e passiva,[28] ma è una maternità «pienamente attiva»[29] che si unisce al mistero salvifico di Cristo come strumento amato dal Padre nel suo progetto di salvezza. Lei «è la garanzia che Lui, in quanto “nato da donna” (Gal 4,4), è autentico uomo, tuttavia lei è anche, dalla proclamazione del dogma di Nicea, la Theotokos, colei che dà alla luce Dio».[30]

Titoli che si riferiscono alla cooperazione di Maria alla salvezza

16. Tra i titoli con i quali si è invocata Maria (Madre della Misericordia, Speranza dei poveri, Ausilio dei cristiani, Soccorso, Avvocata, etc.) ve ne sono alcuni che si riferiscono, in misura maggiore, alla sua cooperazione all’opera redentrice di Cristo, come per esempio Corredentrice e Mediatrice.

Corredentrice

17. Il titolo di Corredentrice appare nel XV secolo come correzione dell’invocazione di Redentrice (abbreviazione di Madre del Redentore) che Maria riceveva dal X secolo. San Bernardo assegna a Maria un ruolo ai piedi della Croce che dà origine al titolo di Corredentrice, titolo che ritroviamo per la prima volta, in un inno anonimo del XV secolo, a Salisburgo.[31] Anche se la denominazione Redentrice si era conservata per i secoli XVI e XVII, questa scomparve completamente nel XVIII secolo per essere sostituita con Corredentrice. L’indagine teologica sulla cooperazione di Maria alla Redenzione, nel corso della prima metà del XX secolo, ha portato a una comprensione più profonda del titolo di Corredentrice.[32]

18. Alcuni Pontefici hanno impiegato questo titolo senza soffermarsi a spiegarlo.[33] Generalmente, lo hanno presentato in due maniere distinte: in relazione alla maternità divina, in quanto Maria, come madre, ha reso possibile la Redenzione realizzata da Cristo;[34] in riferimento alla sua unione con Cristo accanto alla Croce redentrice.[35] Il Concilio Vaticano II evitò di impiegare il titolo di Corredentrice per ragioni dogmatiche, pastorali ed ecumeniche. San Giovanni Paolo II lo utilizzò, almeno in sette occasioni, collegandolo soprattutto al valore salvifico del nostro dolore offerto insieme a quello di Cristo, a cui si unisce Maria soprattutto sotto la Croce.[36]

19. Nella Feria IV del 21 febbraio 1996, il Prefetto dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede, il Cardinale Joseph Ratzinger, alla domanda se fosse accettabile la richiesta del movimento Vox Populi Mariae Mediatrici, in vista di una definizione del dogma di Maria come Corredentrice o Mediatrice di tutte le grazie, così rispose nel suo votum particolare: «Negative. Il significato preciso dei titoli non è chiaro e la dottrina ivi contenuta non è matura. Una dottrina definita de fide divina appartiene al depositum fidei, cioè alla rivelazione divina veicolata nella Scrittura e nella tradizione apostolica. Ancora non si vede in modo chiaro come la dottrina espressa nei titoli sia presente nella Scrittura e nella tradizione apostolica».[37] Successivamente, nel 2002, espresse pubblicamente la sua opinione contraria all’uso di questo titolo: «La formula “Corredentrice” si allontana troppo dal linguaggio della Scrittura e della patristica e quindi causa malintesi… Tutto viene da Lui, come affermano soprattutto le Lettere agli Efesini e ai Colossesi. Maria è ciò che è grazie a Lui. Il termine “Corredentrice” ne oscurerebbe l’origine». Il Cardinale Ratzinger non negava che vi fossero buone intenzioni e aspetti preziosi nella proposta di utilizzare questo titolo, ma sosteneva che fosse «una terminologia sbagliata».[38]

20. L’allora Cardinale menzionava le Lettere agli Efesini e ai Colossesi, dove il vocabolario utilizzato e il dinamismo teologico degli inni presenta la centralità redentrice unica e la fontalità del Figlio incarnato in modo tale da escludere la possibilità di aggiungere altre mediazioni, dal momento che «ogni benedizione spirituale» ci viene donata «in Cristo» (Ef 1,3), perché in Lui siamo figli adottivi (cf. Ef 1,5) e in Lui siamo stati graziati (cf. Ef 1,6), «per mezzo del suo sangue abbiamo la redenzione» (Ef 1,7) e Lui «ha riversato su di noi» (Ef 1,8) la sua grazia. In Lui «siamo fatti eredi» (Ef 1,11) e siamo stati predestinati. Dio ha voluto inoltre che in Lui «abiti tutta la pienezza» (Col 1,19) e che «per mezzo di Lui e in vista di Lui siano riconciliate tutte le cose» (Col 1,20). Tale lode, circa il posto unico di Cristo, invita sia a collocare qualsiasi creatura in un ruolo chiaramente ricettivo, sia a una religiosa e prudente cautela, allorquando si consideri qualsiasi forma di possibile cooperazione nell’ambito della Redenzione. 

21. Papa Francesco ha espresso, in almeno tre circostanze, la sua posizione chiaramente contraria all’uso del titolo di Corredentrice, sostenendo che Maria «non ha mai voluto prendere per sé qualcosa di suo Figlio. Non si è mai presentata come co-redentrice. No, discepola».[39]L’opera della Redenzione è stata perfetta e non necessita di alcuna aggiunta. Perciò, «la Madonna non ha voluto togliere a Gesù alcun titolo […]. Non ha chiesto per sé di essere una quasi-redentrice o una co-redentrice: no. Il Redentore è uno solo e questo titolo non si raddoppia».[40] Cristo «è l’unico Redentore: non ci sono co-redentori con Cristo».[41] Perché «il sacrificio della Croce, offerto con animo amante ed obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante ed infinita».[42] Sebbene possiamo prolungarne gli effetti nel mondo (cf. Col 1,24), né la Chiesa né Maria possono sostituire o perfezionare l’opera redentrice del Figlio di Dio incarnato, che è stata perfetta e non ha bisogno di aggiunte.

22. Considerata la necessità di spiegare il ruolo subordinato di Maria a Cristo nell’opera della Redenzione, è sempre inappropriato usare il titolo di Corredentrice per definire la cooperazione di Maria. Questo titolo rischia di oscurare l’unica mediazione salvifica di Cristo e, pertanto, può generare confusione e squilibrio nell’armonia delle verità della fede cristiana, perché «in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,12). Quando un’espressione richiede numerose e continue spiegazioni, per evitare che si allontani dal significato corretto, non serve alla fede del Popolo di Dio e diventa sconveniente. In questo caso, non aiuta ad esaltare Maria come prima e massima collaboratrice dell’opera della Redenzione e della grazia, perché il pericolo di oscurare il ruolo esclusivo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo per la nostra salvezza, l’unico capace di offrire al Padre un sacrificio di infinito valore, non costituirebbe un vero onore alla Madre. In effetti, ella come «serva del Signore» (Lc 1,38), ci indica Cristo e ci chiede di fare «qualsiasi cosa Lui vi dica» (Gv 2,5). 

Mediatrice 

23. Il concetto di “mediazione” si utilizza nella Patristica orientale a partire dal VI secolo. Nei secoli seguenti, Sant’Andrea di Creta,[43] San Germano di Constantinopoli[44] e San Giovanni Damasceno[45] utilizzano questo titolo con differenti significati. In Occidente, fin dal XII secolo se ne fa un uso più frequente, sebbene non fu prima del XVII secolo che venne affermato come tesi dottrinale. Nel 1921 il Cardinale Mercier, Arcivescovo di Malines, con la collaborazione scientifica dell’Università Cattolica di Lovanio e il sostegno dei vescovi, del clero e del popolo belga, chiese a Papa Benedetto XV la definizione dogmatica della Mediazione universale di Maria: tuttavia il Papa non la concesse, ma approvò soltanto una festa, con la messa propria e l’ufficio di Maria Mediatrice.[46] Da allora e fino al 1950, venne condotta un’indagine teologica sulla questione, che sarebbe arrivata alla fase preparatoria del Concilio Vaticano II. Tuttavia, il Concilio non entrò in dichiarazioni dogmatiche[47] e preferì offrire un’estesa sintesi circa «la dottrina cattolica sul posto che si deve attribuire alla Beata Vergine Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa».[48]

24. L’espressione biblica che fa riferimento alla mediazione esclusiva di Cristo è perentoria. Cristo è l’unico Mediatore: «Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1Tim 2,5-6). La Chiesa ha spiegato questo posto unico di Cristo per il fatto che, essendo Egli Figlio eterno e infinito, a Lui è unita ipostaticamente l’umanità che Egli ha assunto. Tale posto è esclusivo della sua umanità e le conseguenze che da esso derivano possono applicarsi solamente a Cristo. In questo senso preciso, il ruolo del Verbo incarnato è esclusivo e unico. Dinanzi a questa chiarezza della Parola rivelata, è necessaria una speciale prudenza nell’applicare a Maria tale titolo di “Mediatrice”. Di fronte alla tendenza ad ampliare la portata della cooperazione di Maria, partendo da questo termine, è opportuno specificarne sia la preziosa portata sia i limiti.

25. Da un lato, non possiamo ignorare l’uso assai comune del termine “mediazione” nei più diversi ambiti della vita sociale, dove viene inteso semplicemente come cooperazione, assistenza, intercessione. Di conseguenza, esso viene inevitabilmente applicato a Maria in senso subordinato e non pretende in alcun modo di aggiungere alcuna efficacia o potenza all’unica mediazione di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.

26. D’altra parte, è evidente che vi è stata una reale mediazione di Maria per rendere possibile la vera Incarnazione del Figlio di Dio nella nostra umanità, perché occorreva che il Redentore fosse «nato da donna» (Gal 4,4). Il racconto dell’Annunciazione mostra che non si trattò di una mediazione unicamente biologica, poiché mette in luce la presenza attiva di Maria, la quale interroga (cf. Lc 1,29.34) e accetta con decisione: «Fiat» (Lc 1,38).Questa risposta di Maria aprì le porte alla Redenzione attesa da tutta l’umanità e che i santi hanno descritto con poetico drammatismo.[49] Anche alle nozze di Cana, Maria svolge un ruolo di mediazione, quando presenta a Gesù le necessità degli sposi (cf. Gv 2,3) e quando chiede ai servi di seguire le indicazioni di Gesù (cf. Gv 2,5).

27. Nel Concilio Vaticano II, il termine di mediazione si riferisce soprattutto a Cristo e, talvolta, anche a Maria, sebbene in maniera chiaramente subordinata.[50] Di fatto, in riferimento a Lei si preferì usare una terminologia differente, incentrata sulla cooperazione[51] o sul soccorso materno.[52]L’insegnamento del Concilio formula chiaramente la prospettiva della intercessione materna di Maria, con espressioni come «molteplice intercessione» e «protezione materna».[53] Tali due aspetti, uniti, configurano la specificità della cooperazione di Maria nell’azione di Cristo per mezzo dello Spirito. In senso stretto, non possiamo parlare di altra mediazione della grazia che non sia quella del Figlio di Dio incarnato.[54] Per tale motivo è necessario ricordare sempre, e non nascondere, la convinzione cristiana per la quale «deve essere fermamente creduta, come dato perenne della fede della Chiesa, la verità di Gesù Cristo, Figlio di Dio, Signore e unico Salvatore, che nel suo evento di incarnazione, morte e risurrezione ha portato a compimento la storia della salvezza, che ha in Lui la sua pienezza e il suo centro».[55]

Maria nella mediazione unica di Cristo

28. Nel contempo, abbiamo la necessità di ricordare che l’unicità della mediazione di Cristo è “inclusiva”, vale a dire, che Cristo rende possibile diverse forme di mediazione nel compimento del suo progetto salvifico perché, nella comunione con Lui, tutti possiamo essere, in qualche modo, collaboratori di Dio, “mediatori” gli uni per gli altri (cf. 1Cor 3,9). Proprio perché Cristo detiene un potere supremo e infinito, Egli può abilitare i suoi fratelli rendendoli capaci di una vera cooperazione nella realizzazione dei suoi progetti. Il Concilio Vaticano II ha sostenuto che «l’unica mediazione del Redentore non esclude, bensì suscita nelle creature una varia cooperazione partecipata da un’unica fonte».[56] Per questo «è da approfondire il contenuto di questa mediazione partecipata, che deve restare pur sempre normata dal principio dell’unica mediazione di Cristo».[57] Rimane vero che la Chiesa prolunga nel tempo e comunica ovunque gli effetti dell’evento pasquale di Cristo[58] e che Maria occupa un posto unico nel cuore della madre Chiesa.[59]

29. La partecipazione di Maria all’opera di Cristo risulta evidente se si parte da questa convinzione che il Signore risorto promuove, trasforma e abilita i credenti affinché collaborino con Lui nella Sua opera. Ciò non avviene per una debolezza, incapacità o necessità di Cristo stesso, ma proprio per la sua gloriosa potenza, che è capace di coinvolgerci, con generosità e gratuità, come collaboratori della sua opera. Ciò che bisogna sottolineare in questo caso è proprio questo: quando Egli ci permette di accompagnarlo e, sotto l’impulso della sua grazia, di dare il meglio di noi stessi, sono la sua potenza e la sua misericordia che, alla fine, vengono glorificate.

Fecondi nel Cristo glorioso

30. Particolarmente illuminante è il seguente testo: «Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (Gv 14,12). I credenti, uniti a Cristo risorto e ritornato nel seno del Padre, possono compiere opere che superano i prodigi del Gesù terreno, ma sempre grazie alla loro unione, mediante la fede, con il Cristo glorioso. È quanto si è manifestato, ad esempio, nell’ammirevole diffusione della Chiesa primitiva, perché il Risorto ha reso partecipe la sua Chiesa di tale sua opera (cf. Mc 16,15). In questo modo, la sua gloria non è diminuita, ma si è manifestata ancora di più, mostrandosi come una potenza capace di trasformare i credenti, rendendoli fecondi insieme a Lui.

31. Nei Padri della Chiesa, questa visione trovò una peculiare espressione nel commento a Gv 7,37-39, poiché alcuni interpretarono la promessa dei «fiumi d’acqua viva» come riferita ai credenti. Vale a dire, i credenti stessi, trasformati dalla grazia di Cristo, si convertono in sorgenti per gli altri. Origene spiegava che il Signore adempie ciò che ha annunciato in Gv 7,38 perché fa sgorgare da noi dei fiumi d’acqua: «L’anima dell’essere umano, che è a immagine di Dio, può contenere in sé, e produrre da sé, pozzi, sorgenti e fiumi».[60] Sant’Ambrogio raccomandava di bere dal costato aperto di Cristo «affinché abbondi in te la sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna».[61] San Tommaso d’Aquino lo ha espresso affermando che, se un credente «si affretta a comunicare agli altri i vari doni della grazia che ha ricevuto da Dio, dal suo seno sgorga acqua viva».[62]

32. Se questo è vero per ogni credente, la cui cooperazione con Cristo diventa tanto più fruttuosa quanto più si lascia trasformare dalla grazia, a maggior ragione ciò si deve affermare di Maria, in un modo unico e supremo. Perché lei è la «piena di grazia» (Lc 1,28) che, senza frapporre ostacoli all’opera di Dio, ha detto: «Ecco la serva del Signore: avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Lei è la Madre che ha dato al mondo l’Autore della Redenzione e della grazia, che è rimasta ferma sotto la Croce (cf. Gv 19,25), soffrendo insieme al Figlio, offrendo il dolore del suo cuore materno trafitto dalla spada (cf. Lc 2,35). Lei è rimasta unita a Cristo dall’Incarnazione alla Croce e alla Resurrezione in un modo esclusivo e superiore a quanto potesse accadere a qualsiasi credente.

33. Tutto ciò non per i suoi meriti, ma perché a lei furono applicati pienamente i meriti di Cristo sulla Croce, in modo peculiare e anticipato, per la gloria dell’unico Signore e Salvatore.[63] Insomma, Maria è un canto all’efficacia della grazia di Dio, cosicché qualsiasi attestazione della sua bellezza rimanda immediatamente alla glorificazione della fonte di ogni bene: la Trinità. L’incomparabile grandezza di Maria risiede in ciò che lei ha ricevuto e nella sua disponibilità fiduciosa a lasciarsi ricolmare dallo Spirito. Quando ci sforziamo di attribuirle funzioni attive, parallele a quelle di Cristo, ci allontaniamo da quella bellezza incomparabile che le è propria. L’espressione “mediazione partecipata” può esprimere un senso preciso e prezioso del posto di Maria, ma se non compresa adeguatamente potrebbe facilmente oscurarlo e persino contraddirlo. La mediazione di Cristo, che per certi aspetti può essere “inclusiva” o partecipata, per altri aspetti è esclusiva e incomunicabile.  

Madre dei credenti

34. Nel caso di Maria, questa mediazione si realizza in forma materna,[64] esattamente come fece a Cana[65] e come venne ratificata sotto la Croce.[66] Così l’ha spiegato Papa Francesco: «Lei è Madre. E questo è il titolo che ha ricevuto da Gesù, proprio lì, nel momento della Croce (cf. Gv 19,26-27). I tuoi figli, tu sei Madre. […] ha ricevuto il dono di essere Madre di Lui e il dovere di accompagnare noi come Madre, di essere nostra Madre».[67]

35. Il titolo di Madre ha le sue radici nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri, è stato proposto dal Magistero e la formulazione del suo contenuto si è sviluppata fino all’esposizione del Concilio Vaticano II[68] e all’espressione maternità spirituale nell’enciclica Redemptoris Mater.[69] Questa maternità spirituale di Maria scaturisce dalla maternità fisica del Figlio di Dio. Generando fisicamente Cristo, a partire dalla sua libera e credente accettazione di questa missione, la Vergine ha generato nella fede tutti i cristiani che sono membra del corpo mistico di Cristo, vale a dire, ha generato il Cristo totale, capo e membra.[70]

36. La partecipazione della Vergine Maria, come Madre, alla vita del Figlio, dall’Incarnazione fino alla Croce e alla Risurrezione, conferisce un carattere unico e singolare alla sua cooperazione all’opera redentrice di Cristo, e vale in modo speciale per la Chiesa, «quando considera la maternità spirituale di Maria verso tutte le membra del Corpo mistico; in fiduciosa invocazione, quando sperimenta l’intercessione della sua Avvocata e Ausiliatrice».[71] Questo aspetto materno è ciò che caratterizza il rapporto della Vergine con Cristo e la sua collaborazione in tutti i momenti dell’opera della salvezza. Nella sua missione di Madre, Maria ha una relazione singolare con il Redentore e anche con i redenti, di cui lei stessa è la prima. «Maria è typos (modello) della Chiesa e della nuova nascita che avviene in lei», ma ancor di più ella è simbolo e «sintesi della Chiesa stessa».[72]È una maternità che nasce dal dono totale di sé e dalla chiamata a farsi serva del mistero.[73]In questa maternità di Maria è sintetizzato tutto ciò che possiamo dire sulla maternità secondo la grazia e sul posto attuale di Maria nei confronti di tutta la Chiesa.

37. La maternità spirituale di Maria presenta alcune determinate caratteristiche:

a) Essa trova il suo fondamento nel fatto che ella è Madre di Dio e prolunga la maternità verso i discepoli di Cristo[74] e anche verso tutti gli esseri umani.[75] In questo senso, la cooperazione di Maria è singolare e si distingue dalle cooperazioni «delle altre creature».[76] La sua intercessione ha una caratteristica che non è quella di una mediazione sacerdotale, come quella di Cristo, ma si situa nell’ordine e nell’analogia della maternità.[77]Associando l’intercessione di Maria alla sua opera, i doni che ci giungono dal Signore ci vengono presentati con un aspetto materno, pieni della tenerezza e della vicinanza della Madre[78] che Gesù ha voluto condividere con noi (cf. Gv 19,27).

b) La cooperazione materna di Maria è in Cristo, e quindi è partecipata, vale a dire, è «partecipazione a questa unica fonte che è la mediazione di Cristo stesso».[79] Maria entra in modo del tutto personale nell’unica mediazione di Cristo.[80] La funzione materna di Maria «in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l’efficacia. Ogni salutare influsso della beata Vergine verso gli uomini» scaturisce «dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo; pertanto si fonda sulla mediazione di questi, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia».[81] Nella sua maternità, Maria non è un ostacolo posto tra gli esseri umani e Cristo; al contrario, la sua funzione materna è indissolubilmente legata a quella di Cristo e orientata a Lui. Così intesa, la maternità di Maria non pretende indebolire l’adorazione unica che si deve solo a Cristo, bensì stimolarla.[82] Bisogna quindi evitare titoli ed espressioni riferiti a Maria che la presentino come una specie di “parafulmine” di fronte alla giustizia del Signore, come se Maria fosse un’alternativa necessaria all’insufficiente misericordia di Dio. Il Concilio Vaticano II ha ribadito come debba essere il culto reso a Maria: «Un culto orientato al centro cristologico della fede cristiana, in modo che “quando è onorata la Madre, il Figlio [...] sia debitamente conosciuto, amato, glorificato”».[83] In definitiva, la maternità di Maria è subordinata[84] all’elezione da parte del Padre, all’opera di Cristo e all’azione dello Spirito Santo.

c) La Chiesa non è solo un punto di riferimento per la maternità spirituale di Maria: è proprio la dimensione sacramentale della Chiesa il luogo in cui si esprime sempre la sua funzione materna.[85] Maria agisce con la Chiesa, nella Chiesa e per la Chiesa. L’esercizio della sua maternità si trova nella comunione ecclesiale e non al di fuori di essa; essa guida la Chiesa e l’accompagna. La Chiesa impara da Maria la propria maternità:[86] nell’accoglienza della Parola di Dio che evangelizza, converte e annuncia Cristo; nel dono della vita sacramentale del Battesimo e dell’Eucaristia, e nell’educazione e formazione materna che aiuta i figli di Dio a nascere e a crescere.[87] Perciò si può dire che «la fecondità della Chiesa è la stessa fecondità di Maria; e si realizza nell’esistenza dei suoi membri nella misura in cui essi rivivono, “in piccolo”, ciò che ha vissuto la Madre, cioè amano secondo l’amore di Gesù».[88] Maria, in quanto Madre, come la Chiesa spera che Cristo sia generato in noi,[89] non di prendere il suo posto. Per questo motivo, «grazie all’immensa sorgente che sgorga dal costato aperto di Cristo, la Chiesa, Maria e tutti i credenti, in modi diversi, diventano canali di acqua viva. In questo modo Cristo stesso dispiega la sua gloria nella nostra piccolezza».[90]

Intercessione

38. Maria è unita a Cristo in un modo unico a motivo della sua maternità e a motivo del suo essere piena di grazia. Ciò è suggerito nel saluto dell’angelo (cf. Lc 1,28), il quale utilizza una parola (kecharitōmenē) che è unica ed esclusiva in tutta la Bibbia. Lei, che accolse nel suo ventre la forza dello Spirito Santo e fu Madre di Dio, diventa, per mezzo dello stesso Spirito, Madre della Chiesa.[91] Per questa peculiare unione di maternità e di grazia, la sua preghiera per noi ha un valore e un’efficacia che non possono essere paragonati a nessun’altra intercessione. San Giovanni Paolo II metteva in relazione il titolo di “mediatrice” con questa funzione di intercessione materna, dal momento che ella «si pone “in mezzo”, cioè fa da mediatrice non come un’estranea, ma nella sua posizione di madre, consapevole che come tale può – anzi “ha il diritto” – di far presente al Figlio i bisogni degli uomini».[92]

39. La fede cattolica legge nelle Scritture che coloro che sono con Dio in cielo possono continuare a compiere simili atti d’amore, intercedendo per noi e accompagnandoci. Vediamo, ad esempio, che gli angeli sono «spiriti inviati a servire coloro che erediteranno la salvezza» (Eb 1,14). Si parla di missioni compiute dagli angeli (cf. Tb 5,4; 12,12; At 12,7-11; Ap 8,3-5). Ci sono angeli che aiutano Gesù nel deserto, quando veniva tentato (cf. Mt 4,11) e nei momenti della passione (cf. Lc 22,43). Nel Salmo ci viene promesso che Dio «darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie» (Sal 91,11).

40. Questi testi ci mostrano che il cielo non è completamente separato dalla terra. Ciò apre la possibilità di ottenere l’intercessione per noi da parte di coloro che sono in cielo. Il Libro di Zaccaria ci presenta un angelo di Dio che dice: «Signore degli eserciti, fino a quando rifiuterai di avere pietà di Gerusalemme e delle città di Giuda, contro le quali sei sdegnato? Sono ormai settant’anni!» (Zac 1,12). Allo stesso modo, l’Apocalisse ci parla degli “immolati”, dei martiri in cielo, che intervengono chiedendo a Dio di agire sulla terra per liberarci dall’ingiustizia: «Vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso. E gridarono a gran voce: “Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue contro gli abitanti della terra?”» (Ap 6,9-10). Già nella tradizione giudeo-ellenistica si affermava la convinzione che i giusti dopo la morte intercedessero per il popolo (cf. 2Mac 15,12-14).

41. Maria, che nel cielo ama il «il resto della sua discendenza» (Ap 12,17), così come accompagnava l’orazione degli apostoli quando ricevettero lo Spirito Santo (cf. At 1,14), anche ora continua ad accompagnare le nostre preghiere con la sua materna intercessione. In tal modo, continua l’atteggiamento di servizio e compassione che ha mostrato alle nozze di Cana (cf. Gv 2,1-11) e ancora oggi continua a rivolgersi a Gesù per dirgli: «Non hanno più vino» (Gv 2,3). Nel suo canto di lode vediamo Maria come una donna del suo popolo, che loda Dio perché «ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati» (Lc 1,52-53), perché «ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia come aveva detto ai nostri padri» (Lc 1,54-55), e riconosciamo la sua prontezza quando si avvicina senz’indugio per aiutare la cugina Elisabetta (cf. Lc 1,39-40). Per questo, il Popolo di Dio confida fermamente nella sua intercessione.

42. Tra gli eletti e i glorificati insieme a Cristo, al primo posto vi è la Madre, per cui possiamo affermare che esiste una singolare collaborazione di Maria all’opera salvifica che Cristo compie nella sua Chiesa. Si tratta di un’intercessione che la trasforma in segno materno della misericordia del Signore. In questa maniera, poiché Egli liberamente ha voluto così, il Signore conferisce alla sua azione verso di noi un volto materno.[93]

Vicinanza materna

43. La presenza di diverse devozioni, immagini e santuari mariani manifesta quella maternità concreta di Maria che si fa vicina alla vita dei suoi figli. Serva come esempio di ciò la manifestazione della Madre all’indio San Juan Diego sul monte Tepeyac. Maria lo chiama con le tenere parole di una madre: «Il mio piccolo figlio, il mio Juanito». E, di fronte alle difficoltà che San Juan Diego le manifesta nel realizzare la missione affidatagli, Maria gli rivela la forza della sua maternità: «Non sono forse qui, io, che sono tua madre? […] Non sei forse nell’incavo del mio mantello, nella piega delle mie braccia?».[94]

44. L’esperienza dell’affetto materno di Maria, che visse San Juan Diego, è l’esperienza personale dei cristiani che accolgono l’affetto di Maria e mettono nelle sue mani «le necessità della vita di ogni giorno e aprono fiduciosi il loro cuore per domandare la sua materna intercessione ed ottenere la sua rassicurante protezione».[95] Oltre queste straordinarie manifestazioni della sua vicinanza, vi sono costanti espressioni quotidiane della sua maternità nella vita di tutti i suoi figli. Anche quando non chiediamo la sua intercessione, lei si mostra vicina come Madre, per aiutarci a riconoscere l’amore del Padre, a contemplare il dono salvifico di Cristo, ad accogliere l’azione santificante dello Spirito. È così grande il suo valore per la Chiesa che i pastori devono evitare ogni strumentalizzazione politica di questa vicinanza della Madre. Papa Francesco ha messo in guardia in diverse occasioni e ha manifestato la sua preoccupazione riguardo alle «proposte ideologico-culturali di diverso genere che vogliono appropriarsi dell’incontro di un popolo con sua Madre».[96]

Madre della grazia

45. Questo senso di “Madre dei credenti” ci permette di parlare di un’azione di Maria anche in relazione alla nostra vita di grazia. Tuttavia, vale la pena notare come certe espressioni, che possono essere teologicamente accettabili, si caricano facilmente di un immaginario e di un simbolismo che trasmettono, di fatto, altri contenuti, meno accettabili. Ad esempio, Maria viene presentata come se avesse un deposito di grazia separato da Dio, dove non si percepisce così chiaramente che il Signore, nella sua onnipotenza generosa e libera, ha voluto associarla alla comunicazione di quella vita divina che scaturisce da un unico centro, che è il Cuore di Cristo, non Maria.[97] È anche frequente che venga presentata o immaginata come una fonte da cui sgorga ogni grazia. Se si tiene conto che l’inabitazione trinitaria (grazia increata) e la partecipazione alla vita divina (grazia creata) sono inseparabili, non possiamo pensare che questo mistero possa essere condizionato da un “passaggio” attraverso le mani di Maria. Immaginari di questo tipo esaltano Maria in modo tale che la centralità di Cristo stesso può scomparire o, almeno, essere condizionata. Il Cardinale Ratzinger aveva spiegato che il titolo di Maria mediatrice di tutte le grazie non era chiaramente fondato sulla divina Rivelazione,[98] e in linea con questa convinzione possiamo riconoscere le difficoltà che comporta sia nella riflessione teologica, sia nella spiritualità.

46. Per evitare queste difficoltà, la maternità di Maria nell’ordine della grazia deve essere intesa come dispositiva. Da una parte, per il suo carattere di intercessione,[99]poiché l’intercessione materna è espressione di quella «protezione materna»[100] che permette di riconoscere in Cristo l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini. Dall’altra, la sua presenza materna nella nostra vita non esclude diverse azioni di Maria che motivano l’apertura dei nostri cuori all’azione di Cristo nello Spirito Santo. Così, in vari modi, ci aiuta a disporci alla vita di grazia che solo il Signore può infondere in noi.

47. La nostra salvezza è opera unicamente della grazia salvifica di Cristo e di nessun altro. Sant’Agostino affermava che «questo regno della morte lo distrugge in ciascun uomo soltanto la grazia del Salvatore»[101] e lo spiegava chiaramente con la redenzione dell’uomo ingiusto: «Invece per un ingiusto, per un empio, per un iniquo chi vorrebbe morire, se non Cristo solo, così innocente da poter giustificare anche gli ingiusti? Perciò, fratelli miei, non avevamo nessun’opera meritoria, ma soltanto demeriti. Ma pur essendo tali le opere degli uomini, la sua misericordia […] invece della pena dovuta donò la grazia non dovuta [...] non a prezzo d’oro o d’argento, ma a prezzo del suo sangue, che egli sparse».[102] Pertanto, quando San Tommaso d’Aquino si chiede se qualcuno possa meritare per un altro, risponde che «nessuno può meritare la grazia prima per un altro, se non Cristo solo».[103] Nessun altro essere umano può meritarlo in senso stretto (de condigno), e su questo punto non vi è alcun dubbio: «Nessuno può essere giusto se non colui al quale sono comunicati i meriti della passione del nostro Signore Gesù Cristo».[104] Tuttavia, la pienezza di grazia di Maria esiste anche perché lei l’ha ricevuta gratuitamente, prima di qualsiasi azione, «in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano».[105] Soltanto i meriti di Gesù Cristo, che si è donato fino alla fine, vengono applicati nella nostra giustificazione, la quale, avendo «per fine ultimo il bene eterno della partecipazione divina, è un’opera più grande della creazione del cielo e della terra».[106]

48. Tuttavia, un essere umano può partecipare con il suo desiderio del bene del fratello, ed è ragionevole (congruo) che Dio esaudisca quel desiderio di carità che la persona esprime «con la sua orazione» o «mediante le opere di misericordia».[107] È vero che questo dono della grazia può essere effuso solo da Dio, poiché «eccede la proporzione della natura»[108]ed esiste una distanza infinita[109] tra la nostra natura e la sua vita divina. Tuttavia, può farlo adempiendo il desiderio della Madre, che in tal modo si associa gioiosamente all’opera divina come umile serva.

49. Come a Cana, Maria non dice a Cristo cosa fare. Ella intercede manifestando a Cristo le nostre carenze, le necessità e le sofferenze affinché Egli possa agire con la sua potenza divina:[110] «Non hanno più vino» (Gv 2,3). Anche oggi ella ci aiuta a disporci verso l’azione di Dio:[111] «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5). Le sue parole non sono una semplice indicazione, ma diventano un’autentica pedagogia materna che introduce la persona, sotto l’azione dello Spirito, nel senso profondo del mistero di Cristo.[112] Maria ascolta, decide e agisce[113] per aiutarci ad aprire la nostra esistenza a Cristo e alla sua grazia,[114] perché Egli è l’unico che opera nel più intimo del nostro essere.

Dove solo Dio può arrivare

50. Come ci ricorda il Catechismo, la grazia santificante è «innanzi tutto e principalmente il dono dello Spirito che ci giustifica e ci santifica».[115] Non è semplicemente un aiuto, un’energia che si possiede, ma «è il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo»[116] che si può descrivere come inabitazione della Trinità nel più intimo, come amicizia con Dio, come alleanza con il Signore. Solo Dio può farlo, perché implica il superamento di una sproporzione «infinita».[117] Questa donazione della Trinità, questo «penetrare [di Dio stesso] nell’anima»[118] (illabitur), implica un effetto trasformativo insito nella parte più intima del credente.[119]San Tommaso d’Aquino, per indicare questa penetrazione nell’intimo dell’essere umano, impiegava questo verbo, applicabile solo a Dio, illabi, poiché solo Dio, non essendo creatura, può raggiungere l’intimità personale senza violare la libertà e l’identità della persona.[120]Solo Dio raggiunge il centro più intimo della persona per operare la sua elevazione e trasformazione quando si dona come amico e per questo «nessuna creatura può conferire la grazia».[121] San Tommaso lo ripete parlando della grazia sacramentale: come causa principale «solo Dio causa l’effetto interiore dei sacramenti. Sia perché solo Dio penetra nell’anima, nella quale si produce l’effetto sacramentale, e d’altra parte nessuna cosa può agire immediatamente dove non è. Sia perché la grazia, che è l’effetto interiore dei sacramenti, viene esclusivamente da Dio».[122]

51. Altri autori si sono espressi in modo simile;[123] tra di essi si distingue San Bonaventura, il quale insegnava che, quando Dio opera con la grazia santificante in un essere umano, lo rende assolutamente immediato[124]a Sé. Dio, per mezzo della grazia, si avvicina totalmente all’essere umano, con assoluta immediatezza, con una “penetrazione” nell’intimo che solo Lui può realizzare.[125]La medesima grazia creata, poi, non opera come un “intermediario”, ma è un effetto diretto dell’amicizia che Dio dona toccando direttamente il cuore umano. E così, essendo Dio che opera la trasformazione della persona, quando si dona come amico, non c’è alcun intermediario tra Dio e l’essere umano trasformato.[126] Solo Dio è capace di penetrare così profondamente, al fine di santificare, fino a diventare assolutamente immediato, e solo Lui può farlo senza annullare la persona.[127]

52. Nell’Incarnazione, il Figlio eterno e naturale di Dio,[128] assume una natura umana che occupa un posto unico nell’economia della salvezza. Ipostaticamente unita al Figlio per una grazia che «è senza dubbio infinita»,[129] in questa umanità «la grazia si trova nella massima eccellenza. Perciò l’abbondanza della grazia che ha ricevuto gli consente [competit sibi] di comunicarla agli altri. Questa è la sua funzione di capo».[130] Tale umanità partecipa nell’effusione della grazia santificante, che da lei deborda o “sovrabbonda”.[131] Di conseguenza, «secondo la sua umanità, è principio di tutta la grazia», in quanto capo da cui essa giunge agli altri («in alios trasfundetur»).[132] Questa natura umana è inseparabile dalla nostra salvezza, giacché «con l’incarnazione, tutte le azioni salvifiche del Verbo di Dio si fanno sempre in unità con la natura umana che egli ha assunto per la salvezza di tutti gli uomini».[133] Attraverso questa natura umana assunta, il Figlio di Dio «si è unito in certo modo ad ogni uomo» e «col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita».[134] Per mezzo della grazia, i fedeli sono uniti a Cristo e partecipano al suo mistero pasquale, in maniera tale da poter vivere un’unione intima e unica con Lui, che San Paolo esprimeva con queste parole: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

53. Nessuna persona umana, nemmeno gli Apostoli o la Santissima Vergine, può agire come dispensatore universale della grazia. Solo Dio può donare la grazia[135] e lo fa per mezzo dell’umanità di Cristo,[136] dal momento che «Cristo-Uomo detiene la pienezza di grazia in quanto unigenito del Padre».[137] Sebbene la Santissima Vergine Maria sia in modo eminente “piena di grazia” e “Madre di Dio”, lei stessa, come noi, è figlia adottiva del Padre ed anche, come scrive il poeta Dante Alighieri, «figlia del tuo Figlio».[138] Lei coopera nell’economia della salvezza per una partecipazione derivata e subordinata; per tanto, qualsiasi espressione circa la sua “mediazione” di grazia deve intendersi in analogia remota con Cristo e la sua unica mediazione.[139]

54. Nella perfetta immediatezza tra un essere umano e Dio, nella comunicazione della grazia, nemmeno Maria può intervenire. Né l’amicizia con Gesù Cristo né l’inabitazione trinitaria possono essere concepite come qualcosa che ci giunge attraverso Maria o i santi. In ogni caso, ciò che possiamo dire è che Maria desidera questo bene per noi e lo chiede insieme a noi. La liturgia, che è anche lex credendi, ci permette di riaffermare questa cooperazione di Maria, non nella comunicazione della grazia ma nell’intercessione materna. Infatti, nella liturgia della solennità dell’Immacolata Concezione, quando si spiega in che senso il privilegio concesso a Maria avvenne per il bene del Popolo, si afferma che ella fu disposta come «avvocata di grazia»,[140] vale a dire, come colei che intercede chiedendo per noi il dono della grazia.

55. Come insegna il Concilio Vaticano II, «ogni salutare influsso della beata Vergine verso gli uomini […] favorisce e non impedisce minimamente l’unione immediata dei credenti con Cristo».[141] Per tale motivo, si deve evitare qualsiasi descrizione che faccia pensare, in modo neoplatonico, a una sorta di effusione della grazia per gradi, come se la grazia di Dio discendesse attraverso distinti intermediari – come Maria – mentre la sua fonte ultima (Dio) rimanesse scollegata dal nostro cuore. Queste interpretazioni incidono negativamente sulla corretta comprensione dell’incontro intimo, diretto e immediato, che la grazia realizza tra il Signore e il cuore del credente.[142] Il fatto è che solo Dio giustifica.[143] Solo il Dio Trinità, solo Lui ci eleva per superare la sproporzione infinita che ci separa dalla vita divina; solo Lui attua in noi l’inabitazione trinitaria; solo Lui entra in noi trasformandoci e rendendoci partecipi della sua vita divina. Non si fa onore a Maria attribuendole una qualsiasi mediazione nel compimento di quest’opera esclusivamente divina.

L’acqua viva che scorre

56. Nonostante ciò, dato che Maria è piena di grazia e che il bene tende sempre a comunicarsi, facilmente si forma l’idea di una sorta di “debordamento” della grazia che Maria possiede, cosa che può avere un significato adeguato solo se non contraddice quanto detto finora. Non presenta alcuna difficoltà se si tratta principalmente delle forme di cooperazione che abbiamo già menzionato (intercessione e vicinanza materna che invita ad aprire il cuore alla grazia santificante) e che il Concilio Vaticano II ha presentato come una varia cooperazione da parte della creatura «partecipata da un’unica fonte».[144]

57. Il carattere fondamentalmente dispositivo della cooperazione dei credenti – principalmente di Maria – nella comunicazione della grazia, appare espresso nell’interpretazione tradizionale dei “fiumi di acqua viva” che sgorgano dal cuore dei credenti (cf. Gv 7,38). Anche se è un’immagine potente, che potrebbe essere interpretata come se i credenti fossero canali di una trasmissione perfettiva della grazia santificante, tuttavia, i Padri della Chiesa, quando si tratta di specificare come avviene questa effusione dei fiumi dello Spirito, l’hanno espressa con azioni di tipo dispositivo. Ad esempio, la predicazione, l’insegnamento e altre forme di trasmissione del dono della Parola rivelata.

58. Origene lo applica alla conoscenza delle Scriture o alla percezione dei sensi spirituali.[145] Per San Cirillo d’Alessandria questo traboccare d’acqua è l’insegnamento dei misteri della fede,[146] la “pura mistagogia” nel suo senso profondo, che non è meramente intellettuale ma tocca la disposizione o la preparazione dell’intera persona.[147] San Cirillo di Gerusalemme sostiene che è l’insegnamento della Scrittura quando conduce alla luce.[148] San Giovanni Crisostomo si riferisce alla saggezza di Stefano o all’autorità della parola di Pietro.[149] Sant’Ambrogio afferma: «Questi sono i fiumi che ascoltano con i loro orecchi la Parola di Dio, e parlano, affinché infondano la Parola nei cuori dei singoli»,[150] e lo applica in questo modo: «Che l’acqua della dottrina celeste fluisce […] che la sabbia della parola del Signore impregna»[151] i cuori di ognuno.[152] Anche per San Girolamo l’acqua è l’insegnamento del Salvatore,[153] come per San Gregorio Magno, il quale insegna anche che è «una pia volontà verso il prossimo».[154] Queste interpretazioni dei fiumi di acqua viva che scorrono dai credenti, e si concentrano nella conoscenza delle Scritture e dei relativi misteri, non si riferiscono, in generale, ad una conoscenza meramente intellettuale, bensì sapienziale e di illuminazione del cuore, affinché questo si apra alla medesima realtà dei Misteri.

59. In diversi Padri e Dottori della Chiesa incontriamo, inoltre, una spiegazione più ampia, in cui si integrano, oltre alla predicazione o alla catechesi, le opere che offrono aiuto al prossimo nelle sue necessità, o una testimonianza d’amore. In tal modo, Sant’Ilario intende i fiumi d’acqua viva come le opere dello Spirito Santo attraverso le virtù che agiscono a beneficio del prossimo.[155] Sant’Agostino applica l’immagine alla «benevolenza, con la quale si desidera aiutare il prossimo».[156] Nel Medioevo questa prospettiva continuò fino a San Tommaso d’Aquino, per il quale i fiumi di acqua viva si manifestano perché, quando «qualcuno si affretta a dare consigli al prossimo e a comunicare agli altri i diversi doni di grazia ricevuti da Dio, dal suo seno fluiscono acque vive».[157]

60. Quando San Tommaso parla dei «diversi doni di grazia» per il servizio del prossimo, si riferisce ai diversi doni carismatici, perché «come si dice (1Cor 12,10), a uno il dono delle lingue; a un altro quello delle guarigioni, etc.».[158] Tale aspetto è presente anche in San Cirillo di Gerusalemme, il quale indica che i fiumi d’acqua dello Spirito, che si comunicano attraverso i credenti, si manifestano quando Egli «si serve della lingua di qualcuno come carisma di sapienza; illumina la mente di altri con il dono della profezia; a questo concede lo spirito di scacciare i demoni […] rafforza in alcuni la temperanza, e in altri la vera misericordia; ad altri ancora insegna a praticare il digiuno e l’ascesi».[159]

61. Qualcosa di simile si può dire riguardo all’interpretazione di Gv 14,12, in cui si parla dei credenti che compiono “opere più grandi” (meizona) di quelle del Cristo terreno. I credenti partecipano all’opera di Cristo nel senso che anch’essi, in qualche modo, stimolano la fede degli altri proclamando la Parola. Così è detto esplicitamente in Gv 17,20b: «Quelli che crederanno in me mediante la loro parola». La stessa cosa suggerisce Gv 14,6-11, dove le opere di Cristo sono quelle che manifestano il Padre (v. 8). Le opere dei credenti, incentrate sull’annuncio del Vangelo per mezzo della parola, si pongono in parallelo con le opere di Cristo. Gesù proclama: «Se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra» (Gv 15,20c). E, poiché chi ascolta la Parola di Cristo ha la vita eterna (cf. Gv 5,24), Gesù annuncia che altri crederanno attraverso la parola dei credenti (cf. Gv 17,20). Tuttavia, non si tratta solo di parole, ma anche della testimonianza eloquente dei credenti, ed è per questo che Gesù chiede al Padre che i credenti siano uniti affinché «il mondo creda» (Gv 17,21).

Amore che si comunica nel mondo

62. Il Vangelo di Giovanni lega strettamente la carità fraterna a questa comunicazione del bene. In effetti, l’affermazione «se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15), è parallela a «chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio» (Gv 14,12). Quando Cristo parla del frutto che si aspetta dai suoi discepoli, finisce per identificarlo con l’amore fraterno (cf. Gv 15,16-17). Anche San Paolo, dopo aver parlato delle varie opere straordinarie che i credenti possono compiere (cf. 1Cor 12), propone una via più eccellente quando dice «Desiderate intensamente i carismi più grandi (ta meizona). E allora, vi mostro la via più sublime (kath’hyperbolēn)»: l’amore (1Cor 12,31). Le opere d’amore verso il prossimo, perfino il lavoro quotidiano o lo sforzo per cambiare questo mondo, diventano allora un canale di cooperazione con l’opera salvifica di Cristo.

63. Anche i recenti Pontefici si sono espressi in questo senso. San Giovanni XXIII insegnava che «quando si svolgono le proprie attività, anche se di natura temporale, in unione con Gesù divino redentore, ogni lavoro diviene come una continuazione del suo lavoro, penetrato di virtù redentiva […] si contribuisce a estendere e diffondere sugli altri il frutto della redenzione».[160] San Giovanni Paolo II comprese questa collaborazione come la ricostruzione, insieme a Cristo, del bene che è stato danneggiato nel mondo a causa dei peccati, perché «il Cuore di Cristo ha voluto aver bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza» e «questa è la vera riparazione chiesta dal Cuore del Salvatore».[161] Papa Benedetto XVI sosteneva che «destinatari dell’amore di Dio, gli uomini sono costituiti soggetti di carità, chiamati a farsi essi stessi strumenti della grazia, per effondere la carità di Dio e per tessere reti di carità. A questa dinamica di carità ricevuta e donata risponde la dottrina sociale della Chiesa».[162] E Papa Francesco ha insegnato che, per Santa Teresa del Bambino Gesù, «non si tratta solo di permettere al Cuore di Cristo di diffondere la bellezza del suo amore nel nostro cuore, attraverso una fiducia totale, ma anche che attraverso la propria vita raggiunga gli altri e trasformi il mondo […] e si traduce in atti di amore fraterno con cui curiamo le ferite della Chiesa e del mondo. In tal modo offriamo nuove espressioni alla forza restauratrice del Cuore di Cristo».[163]

64. Questa è la cooperazione resa possibile da Cristo e suscitata dall’azione dello Spirito che, nel caso di Maria, si distingue dalla cooperazione di qualsiasi altro essere umano per il carattere materno che Cristo stesso le ha attribuito dalla Croce.

Criteri

65. Ogni altro modo di intendere questa cooperazione di Maria nell’ordine della grazia, soprattutto se si intende attribuire a Maria una qualche forma di intervento o di strumentalità perfettiva o di causa seconda nella comunicazione della grazia santificante,[164]dovrebbe prestare particolare attenzione ad alcuni criteri già accennati nella Costituzione Dogmatica Lumen gentium:

a) Dobbiamo riflettere su come Maria favorisca la nostra unione «immediata»[165] con il Signore, che egli medesimo realizza conferendo la grazia, e che solo da Dio possiamo ricevere,[166] ma senza comprendere l’unione con Maria come più immediata di quella con Cristo. Questo rischio è presente soprattutto nell’idea che Cristo ci doni Maria come strumento o causa seconda e perfettiva nella comunicazione della sua grazia.

b) Il Concilio Vaticano II ha sottolineato che «ogni salutare influsso della beata Vergine verso gli uomini non nasce da una necessità oggettiva ma da una disposizione puramente gratuita di Dio».[167] Tale influsso può essere concepito solo a partire dalla libera decisione di Dio che, sebbene la sua propria azione sia debordante e sovrabbondante, vuole associarla liberamente e gratuitamente alla sua opera. Per questo non è lecito presentare l’azione di Maria come se Egli avesse bisogno di lei per operare la salvezza.

c) Dobbiamo intendere la mediazione di Maria non come un complemento affinché Dio possa operare pienamente, con maggiore ricchezza e bellezza, ma «in modo che nulla sia detratto o aggiunto alla dignità e alla efficacia di Cristo, unico Mediatore».[168] Quando si spiega la mediazione di Maria, bisogna sottolineare che Dio è l’unico Salvatore, il quale applica esclusivamente i meriti di Gesù Cristo, gli unici necessari e completamente sufficienti per la nostra giustificazione. Maria non sostituisce il Signore in nulla che Lui non faccia (non toglie) né lo completa (aggiunge). Se nella comunicazione della grazia ella non aggiunge nulla alla mediazione salvifica di Cristo, Maria non deve essere considerata come strumento primario di tale donazione.[169] Se lei accompagna un’azione di Cristo, per opera dello stesso Cristo, in alcun modo deve essere intesa come mediazione parallela. Piuttosto, essendo associata a Lui, è Maria a ricevere dal Figlio un dono che la pone al di là di sé stessa, perché le è concesso di accompagnare l’opera del Signore con il suo carattere materno. Ritorniamo allora sul punto più sicuro: il contributo dispositivo di Maria, per cui si può pensare a un’azione in cui ella apporta qualcosa di suo nella misura in cui «può disporre in qualche modo»[170] gli altri. Perché «tocca alla potenza suprema condurre all’ultimo fine, mentre quelle inferiori collaborano disponendo [il soggetto] al conseguimento di quel fine».[171]

66. Quanto detto non offende né umilia Maria, perché tutto il suo essere è riferito al suo Signore. «L’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46): per lei non c’è altra gloria che quella di Dio. Essendo Madre, raddoppia la sua gioia quando vede Cristo manifestare la bellezza inesauribile e sovrabbondante della sua gloria, guarendo, transformando e riempendo di sé i cuori di questi figli che ella ha acompagnato nel suo cammino verso il Signore. Pertanto, uno sguardo rivolto a lei che ci distogliesse da Cristo, o la mettesse allo stesso livello del Figlio di Dio, sarebbe estraneo alla dinamica propria di una fede autenticamente mariana.

Le grazie

67. Alcuni titoli, come per esempio quello di Mediatrice di tutte le grazie, hanno dei limiti che non facilitano la corretta comprensione del ruolo unico di Maria. Difatti, lei, che è la prima redenta, non può essere stata mediatrice della grazia da lei stessa ricevuta. Non si tratta di un dettaglio di poca importanza, perché rivela qualcosa di centrale: che, anche in lei, il dono della grazia la precede e procede dall’iniziativa assolutamente gratuita della Trinità, in previsione dei meriti di Cristo. Lei, come tutti noi, non ha meritato la propria giustificazione a motivo di alcuna sua azione precedente,[172] né tantomeno di alcuna sua azione successiva.[173] Anche per Maria, l’amicizia con Dio attraverso la grazia sarà sempre gratuita. La sua preziosa figura è testimonianza suprema della ricettività credente di chi, più e meglio di chiunque altro, si è aperto con docilità e piena fiducia all’opera di Cristo, e allo stesso tempo è il miglior segno della potenza trasformatrice di questa grazia.

68. In altro senso, il titolo precedentemente menzionato corre il rischio di presentare la grazia divina come se Maria si convertisse in un distributore di beni o di energie spirituali, senza un legame con la nostra relazione personale con Gesù Cristo. Tuttavia, l’espressione “grazie”, riferita al sostegno materno di Maria nei diversi momenti della vita, può avere un significato accettabile. Il plurale esprime tutto l’aiuto, anche materiale, che il Signore può donarci ascoltando l’intercessione della Madre; aiuto che, a sua volta, dispone i cuori ad aprirsi all’amore di Dio. In questo modo Maria, come madre, ha una presenza nella vita quotidiana dei fedeli di molto superiore alla vicinanza che qualsiasi altro santo può avere.

69. Lei, con la sua intercessione, può implorare per noi gli impulsi interiori dello Spirito Santo, che chiamiamo “grazie attuali”. Si tratta di quegli aiuti dello Spirito Santo che operano anche nei peccatori al fine di disporli alla giustificazione,[174] e altresì in coloro che sono già giustificati dalla grazia santificante, al fine di stimolarli alla crescita. In tale senso preciso, si deve interpretare il titolo di “Madre della grazia”. Maria umilmente collabora affinché possiamo aprire il cuore al Signore, il quale è l’unico che può giustificarci con l’azione della grazia santificante: vale a dire, quando Egli infonde in noi la sua vita trinitaria, dimora in noi come amico e ci rende partecipi della sua vita divina. Questa è opera esclusiva dello stesso Signore, tuttavia non esclude che, attraverso l’azione materna di Maria, i fedeli possano raggiungere quelle parole, immagini e stimoli differenti che li aiutano ad andare avanti nella vita, e a disporre il cuore per la grazia che il Signore infonde, come anche a crescere nella vita di grazia, ricevuta gratuitamente.

70. Questi aiuti che ci giungono dal Signore si presentano a noi con un aspetto materno, pieni della tenerezza e della vicinanza della Madre che Gesù ha voluto condividere con noi (cf. Gv 19,25-28). Maria sviluppa così un’azione singolare per aiutarci ad aprire i nostri cuori a Cristo e alla sua grazia santificante, che eleva e guarisce. Quando lei comunica suscitando diverse “mozioni”, queste devono essere sempre intese come stimoli per aprire le nostre vite all’Unico che opera nel più intimo del nostro essere.

La nostra unione con Maria

71. Il Concilio ha preferito chiamare Maria «Madre nell’ordine della grazia»,[175] espressione che rende meglio l’universalità della cooperazione materna di Maria e che è innegabile in un senso preciso: lei è la Madre di Cristo, il quale è la Grazia per eccellenza e l’Autore di tutta la grazia.

72. Questa maternità di Maria nell’ordine della grazia – che scaturisce dal mistero pasquale di Cristo – implica, inoltre, che ciascun discepolo stabilisca con Maria «una relazione unica e irripetibile». San Giovanni Paolo II parlava di una «dimensione mariana della vita dei discepoli di Cristo», che si esprime come «risposta all’amore di una persona e, in concreto, all’amore della madre».[176] La vita della grazia include la nostra relazione con la Madre. L’unione con Cristo, attraverso la grazia, ci unisce allo stesso tempo a Maria con una relazione fatta di confidenza, tenerezza e affetto senza riserve.

La prima discepola

73. Maria è «la prima discepola, quella che ha imparato meglio le cose di Gesù».[177] Lei è la prima di coloro che «ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11,28); è la prima a collocarsi tra gli umili e i poveri del Signore, al fine di insegnarci a sperare e a ricevere, con fiducia, la salvezza che viene solo da Dio. Maria «diventava così, in un certo senso, la prima discepola di suo Figlio, la prima alla quale Egli sembrava dire “seguimi”, ancor prima di rivolgere questa chiamata agli apostoli o a chiunque altro (cf. Gv 1,43)».[178] Lei è modello di fede e di carità per la Chiesa a motivo della sua obbedienza alla volontà del Padre, della sua cooperazione all’opera redentrice del Figlio e della sua apertura all’azione dello Spirito Santo.[179] Per questo Sant’Agostino diceva che «vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo anziché madre di Cristo».[180] E Papa Francesco ha insistito nel dire che «è più discepola che madre».[181] Maria è, in definitiva, «la prima e la più perfetta discepola di Cristo».[182]

74. Maria è, per ogni cristiano, «colei che “ha creduto” per prima, e proprio con questa sua fede di sposa e di madre vuole agire su tutti coloro che a lei si affidano come figli».[183] E lo fa con un affetto colmo di segni di vicinanza, che li aiuta a crescere nella loro vita spirituale, insegnando loro a lasciare che la grazia di Cristo agisca sempre di più. In questo rapporto di affetto e fiducia, lei, che è “la piena di grazia”, insegna a ogni cristiano a ricevere la grazia, a custodirla e a meditare sull’opera che Dio compie nella loro vita (cf. Lc 2,19).

75. Nel caso dei presunti fenomeni soprannaturali, che hanno già ricevuto un giudizio positivo da parte della Chiesa, dove ricorrano alcune delle espressioni o titoli come quelli summenzionati si dovrà tenere conto che «nel caso in cui venga concesso da parte del Dicastero un Nihil obstat […], tali fenomeni non diventano oggetto di fede – cioè i fedeli non sono obbligati a prestarvi un assenso di fede».[184]

Madre del Popolo fedele

76. «Maria, la prima discepola, è la Madre».[185]Sulla Croce, Cristo ci dona Maria, e così «ci conduce a Lei perché non vuole che camminiamo senza una madre».[186] Lei è la Madre credente che è divenuta «Madre di tutti i credenti»,[187] e allo stesso tempo è «la Madre della Chiesa evangelizzatrice»,[188] che ci accoglie così come Dio ha voluto convocarci, non solo come individui isolati ma come Popolo che cammina:[189] «Nostra Madre Maria vuole sempre camminare con noi, stare vicino, aiutarci con la sua intercessione e il suo amore».[190] Lei è la Madre del Popolo fedele, che «cammina in mezzo al suo popolo, mossa da una tenerezza premurosa, e si fa carico delle ansie e delle vicissitudini».[191]

L’amore si ferma, contempla il mistero, gode in silenzio

77. Il Popolo fedele non si allontana da Cristo, né dal Vangelo, quando si avvicina a lei, ma rimane capace di leggere «in quell’immagine materna tutti i misteri del Vangelo».[192] Perché, in quel volto materno, vede riflesso il Signore che ci cerca (cf. Lc 15,4-8), che viene incontro a noi con le braccia aperte (cf. Lc 15,20), che si ferma davanti a noi (cf. Lc 18,40), che si curva su di noi e ci solleva verso la sua guancia (cf. Os 11,4), che ci guarda con amore (cf. Mc 10,21) e che non ci condanna (cf. Gv 8,11; Os 11,9). Nel suo volto materno, molti poveri riconoscono il Signore che «ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1,52). Questo volto di donna canta il mistero dell’Incarnazione. In questo volto della Madre, trafitta dalla spada (cf. Lc 2,35), il Popolo di Dio riconosce il mistero della Croce, e in quel volto, illuminato dalla luce pasquale, percepisce che Cristo è vivo. Ed ella, che ricevette in pienezza lo Spirito Santo, è colei che sostiene gli apostoli riuniti in preghiera nel Cenacolo (cf. At 1,14). Per questo possiamo dire che, «in qualche modo la fede di Maria, sulla base della testimonianza apostolica della Chiesa, diventa incessantemente la fede del popolo di Dio in cammino».[193]

78. Come sostenevano i Vescovi latinoamericani, i poveri «incontrano la tenerezza e l’amore di Dio nel volto di Maria. In lei si riflette il messaggio essenziale del Vangelo».[194] Il Popolo semplice e povero non separa la Madre gloriosa da Maria di Nazaret, che incontriamo nei Vangeli. Al contrario, riconosce la semplicità dietro la gloria, e sa che Maria non ha cessato di essere una di loro. È colei che, come ogni madre, ha portato suo figlio in grembo, lo ha allattato, lo ha cresciuto amorevolmente con l’aiuto di San Giuseppe, e non le sono mancati gli scossoni e i dubbi della maternità (cf. Lc 2,48-50). È colei che canta al Dio che «ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,53), colei che soffre con gli sposi che sono rimasti senza vino per la loro festa (cf. Gn 2,3), che sa correre a dare una mano alla cugina che ne ha bisogno (cf. Lc 1,39-40), che si lascia ferire, come trafitta da una spada a causa della storia del suo popolo, di cui suo Figlio è «segno di contraddizione» (Lc 2,34); è colei che capisce cosa significa essere un migrante o un esule (cf. Mt 2,13-15), che nella sua povertà può offrire solo due piccoli colombi (cf. Lc 2,24) e che sa cosa vuol dire essere disprezzati per appartenere alla famiglia di un povero falegname (cf. Mc 6,3-4). I popoli sofferenti riconoscono Maria che cammina al loro fianco e per questo cercano la Madre per implorare il suo aiuto.[195]

79. La vicinanza della Madre produce una pietà mariana “popolare”, che ha diverse espressioni nei diversi popoli. I volti molteplici di Maria – coreano, messicano, congolese, italiano e tanti altri – sono forme di inculturazione del Vangelo che riflettono, in ogni luogo della terra, «la tenerezza paterna di Dio»[196] che raggiunge le viscere dei nostri popoli.

80. Contempliamo la fede del Popolo di Dio, in cui moltitudini di fratelli e sorelle credenti riconoscono spontaneamente Maria come Madre, così come Cristo stesso ci ha proposto dalla Croce. Il Popolo di Dio ama compiere pellegrinaggi verso i diversi santuari mariani, dove trova conforto e forza per andare avanti, come chi, in mezzo alla fatica e al dolore, riceve la carezza della Madre. La Conferenza di Aparecida ha saputo esprimere in modo chiaro e splendido il profondo valore teologico di questa esperienza. Niente di meglio che concludere questa Nota con tali parole:

«Mettiamo in risalto i pellegrinaggi, dove si può riconoscere il Popolo di Dio in cammino. Lì il credente celebra la gioia di sentirsi immerso tra tanti fratelli, camminando insieme verso Dio che li attende. Cristo stesso si fa pellegrino e, risorto, cammina tra i poveri. La decisione di mettersi in cammino verso il santuario è già una confessione di fede; il cammino è un vero canto di speranza; e l’arrivo è un incontro d’amore. Lo sguardo del pellegrino si posa su un’immagine che simboleggia la tenerezza e la vicinanza di Dio. L’amore si ferma, contempla il mistero e lo gusta in silenzio. Anche lui è commosso, riversa tutto il peso del suo dolore e dei suoi sogni. La supplica sincera, che fluisce con fiducia, è la migliore espressione di un cuore che ha rinunciato all’autosufficienza, riconoscendo che nulla può realizzare da solo. Un breve istante condensa una vivida esperienza spirituale».[197]

Madre del Popolo fedele, prega per noi.

 

Il Sommo Pontefice Leone XIV, il 7 ottobre 2025, Memoria Liturgica della Beata Vergine Maria del Rosario, ha approvato la presente Nota, deliberata nella Sessione Ordinaria di questo Dicastero, nella Feria del 26 marzo 2025, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dato a Roma, presso la sede del Dicastero per la Dottrina della Fede, il 4 novembre 2025, Memoria Liturgica di San Carlo Borromeo.

Víctor Manuel Card. Fernández
Prefetto

Mons. Armando Matteo
Segretario
per la Sezione Dottrinale

 

Leo PP. XIV
7 Ottobre 2025



[1] Consiglio Episcopale Latinoamericano, V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi (Aparecida, 13-31 maggio 2007), n. 265. Citato nel n. 78 della Nota.

[2] Cf. S. Agostino d’Ippona, De sancta virginitate, 6: PL 40, 399.

[3] Dicastero per la Dottrina della Fede, Norme per procedere nel discernimento di presunti fenomeni soprannaturali (17 maggio 2024): AAS 116 (2024), 771-794.

[4] In alcuni di questi fenomeni, o apparizioni, la Vergine Maria è denominata col titolo di Corredentrice, Redentrice, Sacerdote, Mediatrice, Mediatrice di tutte le grazie, Madre della grazia, Madre spirituale, etc.

[5] Cf. S. Paolo VI, Es. ap. Marialis cultus (2 febbraio 1974), n. 26: AAS 66 (1974), 136-139.

[6] Cf. ibid., n. 28: AAS 66 (1974), 139-141.

[7] Cf. ibid., n. 37: AAS 66 (1974), 148-149.

[8] S. Giovanni Paolo II, Udienza generaleMaria singolare cooperatrice della Redenzione (Gv 19,25-26) (9 aprile 1997), n. 3: L’Osservatore Romano, 10 aprile 1997, 4.

[9] Francesco, Omelia nel Giubileo straordinario della Misericordia: Santa Messa e apertura della Porta santa (8 dicembre 2015): AAS 108 (2016), 8.

[10] Cf. S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 26: AAS 79 (1987), 396.

[11] La relazione tra Adamo e Cristo che appare nei testi di San Paolo (Rm 5,18-19 e 1Cor 15,22) servì ai Santi Padri per stabilire il parallelo Eva-Maria. Per esempio, S. Giustino, Dialogus cum Tryphone, 100, 5-6: PG 6, 710CD-711A; S. Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, 22, 4: PG 7/1, 959C-960A; Tertulliano, De carne Christi, 17, 5: PL 1, 782B. Tale parallelismo antitetico Eva-Maria è il primo avvicinamento dei Santi Padri al tema della cooperazione della Vergine all’opera redentrice del Cristo: se Eva ha portato la perdizione, la fede di Maria ci ha portato la salvezza. La grande abbondanza di testimoni nella Patristica, sopra il tema della Vergine come nuova Eva, ci offre elementi interessanti dal punto di vista teologico: a) Maria e la donna, perché in Maria la donna ritorna al suo splendore primitivo e incontra la sua definitiva completezza; b) Maria e Cristo come sposa-socia, che costituisce con suo Figlio il binomio esemplare e salvifico della ricapitolazione o restaurazione messianica; c) Maria e la Chiesa, stabilendosi in Maria una doppia relazione con la Chiesa, quella della esemplarità, come prototipo, e quella di Madre della Chiesa.

[12] S. Agostino d’Ippona, De sancta virginitate, 6: PL 40, 399.

[13] Cf. S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 31: AAS 79 (1987), 402-403.

[14] Per esempio, cf. S. Efrem, Hymni de NativitateSC 459; S. Giovanni Damasceno, In dormitione Deiparae I, 8: SC  80, 100-104.

[15] Per esempio, cf. Octoëchus magnus, Roma 1885, 152: «Per te siamo diventati partecipi della natura divina, o sempre Vergine, Theotokos, poiché per noi hai partorito il Dio incarnato, Perciò, come dobbiamo, tutti con devozione ti magnifichiamo»(trad. dall’originale greco del Theotokion del Kathisma poetico dopo la prima stasis). Un ulteriore esempio, più significativo della devozione mariana è il celebre Hymnus Akathistos (del V secolo), in 24 strofe: il titolo significa semplicemente che lo si ascolta stando in piedi, non seduti, come si ascolta il Vangelo in segno di particolare riverenza verso la Vergine Madre Maria, alla quale il poeta si indirizza con gli aggettivi più belli e con metafore ricche di simboli impetrandole di accettare la sua offerta poetica e di intercedere per la salvezza del genere umano dal peccato (cf. E.M. Toniolo, O.S.M., Akathistos. Inno alla Madre di Dio, edizione metrica, mistagogia e commento al testo, Centro di Cultura Mariana, Roma 2017).

[16] Il testimone più antico di tale titolo proviene dall’Egitto del III secolo. Cf. Papyrus 470 della John Rylands Library (Manchester, UK), il quale riporta per gran parte il testo greco di tale preghiera mariana. La versione latina di questa orazione è la seguente: «Sub tuum praesidium confugimus, Sancta Dei Genetrix. Nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus, sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta».

[17] Le rappresentazioni iconografiche della Vergine seguono una serie di modelli stabili, in particolare: la Odēghētria, colei che indica con la mano “il cammino” a suo figlio Gesù Cristo ancora in grembo; la Eleousa, ovvero la Tenerezza, ove appare l’intimo legame tra Madre e Figlio, il quale appoggia il proprio volto su quello della Madre; e la Platytera, la più ampia del cielo, perché in sé stessa porta Cristo, rappresentata col piccolo Gesù sul petto. Da questi tre modelli deriva la maggior parte delle altre rappresentazioni, come la Galaktotrophousa che allatta il Bambino; la Kyriōtissa, o Signora, che tiene il bambino sulle ginocchia come fossero un trono; la Panagia, o Tutta Santa, con indosso un mantello di colore rosso il quale esprime la pienezza della santità; la Deēsis, dove la Vergine appare alla destra del Figlio intronizzato nella maestà (Pantokratōr) mentre intercede unitamente a Giovanni il Battista, posto alla sinistra, in favore di tutti noiIn altre icone, Maria appare unita ai santi nell’intercessione, molte volte con Giovanni il Battista, come ultimi rappresentanti dell’Antica Alleanza e, nello stesso tempo, come primi membri del nuovo popolo.

[18] Cf. Benedetto XVI, Udienza generaleCatechesi su San Teodoro Studita (27 maggio 2009): L’Osservatore Romano, 28 maggio 2009, 1; S. Gregorio di Narek, Prex 26 et 80: Ad DeiparamSC 78, 160-164; 428-432.

[19] Autori orientali come Santiago di Sarug († 521), S. Romano il Cantore († 555-562), S. Giovanni Damasceno († 749) e Giovanni il Geometra († 1000) avevano già accostato il tema della cooperazione di Maria al sacrificio redentore di Cristo sulla Croce.

[20] Cf. S. Bernardo di Chiaravalle, In Purificationem Deiparae, III, 2: PL 183, 370C.

[21] Cf. Arnaldo di Bonneval, De laudibus B. M. Virginis, I, 3c. 12, 4: PL 189, 1727A.

[22] Nel Magistero precedente al Concilio Vaticano II si distinguono: Pio IX, Cost. ap. Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854): Pontificis Maximi Acta. Pars prima, Romae 1854, 597-619; Leone XIII, Lett. enc. Iucunda semper expectatione (8 settembre 1894): ASS 27 (1894-1851), 177-184; Id., Lett. enc. Adiutricem populi (5 settembre 1895): ASS 28 (1895-1896), 129-136; S. Pio X, Lett. enc. Ad diem illum laetissimum (2 febbraio 1904): ASS 36 (1903-1904), 453; Benedetto XV, Lett. ap. Inter sodalicia, alla Confraternita di Nostra Signora della Buona Morte (22 marzo 1918): AAS 10 (1918), 182; Pio XI, Lett. enc. Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928): AAS 20 (1928), 165-178; Pio XII, Lett. enc. Mystici corporis Christi (29 giugno 1943): AAS 35 (1943), 193-248; Id., Lett. enc. Ad caeli Reginam (11 ottobre 1954): AAS 46 (1954), 634-635.

[23] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 56: AAS 57 (1965), 60.

[24] Cf. Pio IX, Cost. ap. Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854): Pontificis Maximi Acta. Pars prima, Romae 1854, 616: «… la Beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale» (DH 2803); Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 53: AAS 57 (1965), 58: «Redenta in modo eminente in vista dei meriti del Figlio suo».

[25] Cf. S. Ambrogio, Exp. Evangelii secundum Lucam, II, 7: PL15, 1555.

[26] Cf. Francesco, Angelus nella Solennità dell’Assunzione della Santissima Vergine Maria (15 agosto 2013): L’Osservatore Romano, 17-18 agosto 2013, 8.

[27] S. Paolo VI, Es. ap. Marialis cultus (2 febbraio 1974), n. 25: AAS 66 (1974), 135.

[28] Non è semplicemente una “madre-nutrice”: cf. S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 20: AAS 79 (1987), 384-387.

[29] Benedetto XVI, Omelia nella Concelebrazione eucaristica con i nuovi cardinali e consegna dell’anello cardinalizio (25 marzo 2006): AAS 98 (2006), 330; cf. S. Paolo VI, Es. ap. Signum magnum (13 maggio 1967), n 5: AAS 59 (1967), 469: «Maria, non appena fu rassicurata dalla voce dell’Angelo Gabriele che Dio la eleggeva a Madre intemerata del suo Figlio Unigenito, senza porre indugio diede il proprio assenso ad un’opera che avrebbe impegnato tutte le energie della sua fragile natura, dichiarando: Ecco l’ancella del Signore, si faccia di me secondo la tua parola (Lc 1,38)».

[30] H.U. von Balthasar, Teodrammatica. Le persone del dramma, Milano 1983, 308; cf. S. Cirillo di Alessandria, Ep. II ad Nestorium: DH 251: «Così essi (i Santi Padri) si sono permessi di chiamare la santa Vergine Madre di Dio»; Concilio di Efeso, can. 1: DH 252.

[31] Per quel che ad ora sappiamo, ciò accadde nel secolo XV, da parte di un innografo benedettino, che ci ha lasciato la seguente orazione scritta, conservata nel monastero di San Pietro di Salisburgo: «Pia dulcis et benigna / nullo prorsus luctu digna / si fletum hinc eligeres / ut compassa Redemptori / captivato transgressori / tu corredemptrix fieres». «Pia, dolce e benigna / non meritevole di dolore / se da qui strappi la conversione / condividendo la Passione del Redentore / per il prigioniero peccatore / sei divenuta Corredentrice»: De compassione BMV, 20: G.M. Dreves (ed.), Analecta Hymnica Medii Aevi, XLVI, Leipzig 1905, n. 79, 127.

[32] I teologi intendono il titolo di corredentrice in modo diverso: a) Cooperazione immediata, cristotipica o massimalista, che colloca la cooperazione di Maria come prossima, diretta e immediata alla medesima Redenzione (Redenzione obiettiva). In questo senso i meriti di Maria, se ben subordinati a quelli di Cristo, avrebbero un valore redentivo per la salvezza; b) Cooperazione mediata o minimalista, limitata al “sì” dell’Annunciazione. Si tratterebbe di una cooperazione mediata, che rende possibile l’Incarnazione come passo previo alla Redenzione; c) Cooperazione immediata recettiva o ecclesiotipica, cooperando alla Redenzione obiettiva nel senso che ha accettato i frutti del sacrificio redentore del Salvatore rappresentando la Chiesa. Una cooperazione immediata però recettiva, Maria infatti ha semplicemente accettato la Redenzione di Cristo, diventando la “prima Chiesa”.

[33] Sotto il Pontificato di San Pio X il titolo di Corredentrice si incontra in un documento della Sacra Congregazione dei Riti e del Sant’Uffizio. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Dolores Virginis Deiparae (13 maggio 1908): ASS 41 (1908), 409; Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, Decreto Sunt Quos Amor (26 giugno 1913): AAS 5 (1913), 364, che loda l’usanza di aggiungere al nome di Gesù il nome «di sua madre, la nostra corredentrice, la beata Maria»; Id., Preghiera di riparazione alla beata Vergine Maria (22 gennaio 1914): AAS 6 (1914), 108, nella quale Maria è chiamata «corredentrice del genere umano». Il primo Papa che ha utlizzato il termine Corredentrice è Pio XI, nel Breve del 20 luglio 1925, indirizzandosi alla Regina del Rosario di Pompei: «Ma ricordati pure che sul Calvario divenisti Corredentrice, cooperando per la crocifissione del tuo cuore alla salvezza del mondo, insieme col tuo Figliuolo crocifisso»: Pio XI, Ad B.V.M. a sacratissimo Rosario in Valle Pompeiana, in Sacra Penitenzeria Apostolica, Enchiridion Indulgentiarum, Typis Polyglottis Vaticanis, Romae 19522, n. 628; cf. Id., Discorso “Ecco di nuovo” ad un gruppo di pellegrini di Vicenza (30 novembre 1933): L’Osservatore Romano, 1° dicembre 1933, 1.

[34] Cf. Id., Radiomessaggio a chiusura dell’Anno Santo della Redenzione a Lourdes (28 aprile 1935): L’Osservatore Romano, 20-30 aprile 1935, 1.

[35] Cf. Id., Ad B.V.M. a sacratissimo Rosario in Valle Pompeiana, in Sacra Penitenzeria Apostolica, Enchiridion Indulgentiarum, Romae 1952, n. 628.

[36] Cf. S. Giovanni Paolo II, Udienza generale (10 dicembre 1980): Insegnamenti III/2 (1980), 1646; Id., Udienza generale (8 settembre 1982): Insegnamenti V/3 (1982), 404; Id., Angelus (4 novembre 1984): Insegnamenti VII/2 (1984), 1151; Id., Omelia nel Santuario di Nostra Signora di Alborada a Guayaquil (Ecuador) (31 gennaio 1985): Insegnamenti VIII/1 (1985), 319; Id., Angelus della Domenica delle Palme (31 marzo 1985): Insegnamenti VIII/1 (1985), 890; Id., Discorso ai Pellegrini dell’Opera Federativa Trasporto Ammalati a Lourdes (OFTAL) (24 marzo 1990): Insegnamenti XIII/1 (1990), 743; Id., Angelus (6 ottobre 1991): Insegnamenti XIV/2 (1991), 756. Dopo la Feria IV, dell’allora Congregazione per la Doctrina della Fede, del 21 febbraio del 1996, San Giovanni Paolo II non impiegherà più il titolo di Corredentrice. È importante segnalare, tuttavia, che questo titolo non ricorre nella Lettera enciclica Redemptoris Mater del 25 marzo 1987, che è il documento, per eccellenza, nel quale San Giovanni Paolo II spiega il ruolo di Maria nell’opera della Redenzione.

[37] J. Ratzinger, Verbale della Feria IV del 21 febbraio 1996, in Archivo del Dicastero per la Dottrina della Fede.

[38] J. Ratzinger ‒ P. Seewald, Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald, Milano 2001, 278.

[39] Francesco, Omelia nella Festa di Nostra Signora di Guadalupe (12 dicembre 2019): AAS 112 (2020), 9.

[40] Id., Meditazioni quotidianeL’Addolorata, discepola e madre (3 aprile 2020): L’Osservatore Romano, 4 aprile 2020, 8.

[41] Id., Udienza generale (24 marzo 2021): L’Osservatore Romano, 24 marzo 2021, 8.

[42] Pio XII, Lett. enc. Haurietis Aquas (15 maggio 1956) n. 10: AAS 48 (1956), 321.

[43] Cf. S. Andrea di Creta, In Nativitatem Mariae, IV: PG 97, 865A.

[44] Cf. S. Germano di Constantinopoli, In Annuntiationem s. DeiparaePG 98, 322BC.

[45] Cf. S. Giovanni Damasceno, In dormitionem Deiparae I: PG 96, 712B-713A.

[46] Il 12 gennaio 1921, Benedetto XV, su richiesta fatta dal Card. Désiré-Joseph Mercier, concesse alla Chiesa del Belgio l’Ufficio e la Messa di Santa Maria Vergine “Mediatrice di tutte le grazie”, da celebrarsi il 31 maggio. La Sede Apostolica concesse posteriormente ad altre numerose diocesi e congregazioni religiose, previa richiesta, gli stessi Ufficio e Messa: cf. AAS 13 (1921), 345.

[47] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 62: AAS 57 (1965), 63; Pontificia Accademia Mariana Internazionale, Un nuovo dogma mariano?L’Osservatore Romano, 4 giugno 1997, 10: «La Costituzione Lumen gentium, che con meditata scelta non contiene la definizione dogmatica della mediazione, fu approvata con 2151 voti favorevoli su 2156 votanti […] Ad appena 33 anni dalla promulgazione della Lumen gentium […] non è cambiato sostanzialmente il panorama ecclesiale, teologico ed esegetico». Questa affermazione della Pontificia Accademia Mariana Internazionale si andava a sommare alla Dichiarazione della Commissione teologica creata nella cornice del XII Congresso Mariologico Internazionale (Czestochowa, dal 12 al 24 agosto 1996), che considerò inadeguato procedere con la definizione dogmatica di Maria come “mediatrice”, “corredentrice” e “avvocata”. Cf. Commissione Teologica del Congresso di Czestochowa, Richiesta di definizione del dogma di Maria Mediatrice, Corredentrice e Avvocata. Dichiarazione della Comissione teologica del Congresso di CzestochowaL’Osservatore Romano, 4 giugno 1997, 10.

[48] S. Paolo VI, Allocuzione a Conclusione della III Sessione del Concilio Vaticano II (21 novembre 1964): AAS 56 (1964), 1014.

[49] Cf. S. Bernardo di Chiaravalle, Hom. in laudibus Virginis Matris, IV, 8: PL 183, 83CD-84AB.

[50] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), nn. 55-62: AAS 57 (1965), 59-63.

[51] Cf. Ibid., nn. 53, 56, 61, 63: AAS 57 (1965), 59; 60; 63; 64.

[52] Cf. Ibid., nn. 60, 62, 63, 65: AAS 57 (1965), 62; 63; 64; 65.

[53] Ibid., n. 62: AAS 57 (1965), 63.

[54] Cf. Francesco, Udienza generale (24 marzo 2021): L’Osservatore Romano, 24 marzo 2021, 8.

[55] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus (6 agosto 2000), n.13: AAS 92 (2000), 754-755.

[56] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 62: AAS 57 (1965), 63.

[57] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus (6 agosto 2000), n. 14: AAS 92 (2000), 755.

[58] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 1: AAS 57 (1965), 5; Francesco, Es. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 112: AAS 105 (2013), 1066.

[59] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 65: AAS 57 (1965), 64-65; Francesco, Es. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 288: AAS 105 (2013), 1136.

[60] Origene, Hom. in Numeros, XII, 1: PG 12, 657.

[61] S. Ambrogio, Epist. 11, 24: PL 16, 1106 D.

[62] S. Tommaso d’Aquino, Super Ioannem, cap. 7, lect. 5.

[63] Cf. Pio IX, Cost. ap. Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854): Pontificis Maximi Acta. Pars prima, Romae 1854, 616: «… per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano» (DH 2803).

[64] Cf. S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 38: AAS 79 (1987), 411.

[65] Cf. ibid., n. 21: AAS 79 (1987), 387-389.

[66] Cf. ibid., n. 23: AAS 79 (1987), 390-391.

[67] Francesco, Meditazioni quotidiane: L’Addolorata, discepola e madre (3 aprile 2020): L’Osservatore Romano, 4 aprile 2020, 8.

[68] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), nn. 55-62: AAS 57 (1965), 59-63.

[69] Cf. S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 44: AAS 79 (1987), 421.

[70] Cf. S. Paolo VI, Allocuzione a Conclusione della III Sessione del Concilio Vaticano II (21 novembre 1964):AAS 56 (1964), 1015: «Maria, come Madre di Cristo, è da ritenere anche Madre di tutti i fedeli e i Pastori, vale a dire della Chiesa»; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 963.

[71] S. Paolo VI, Es. ap. Marialis cultus (2 febbraio 1974), n. 22: AAS 66 (1974), 133.

[72] Cf. H.U. von Balthasar, Teodrammatica. Vol 3: Le persone del dramma, Milano 1983, 308.

[73] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 56: AAS 57 (1965), 60: «Consacrò totalmente se stessa quale ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione in dipendenza da lui e con lui, con la grazia di Dio onnipotente».

[74] Cf. S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 23: AAS 79 (1987), 391.

[75] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 69: AAS 57 (1965), 66: «Madre di Dio e madre degli uomini».

[76] S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 38: AAS 79 (1987), 411; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm., Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 61: AAS 57 (1965), 63. Il contenuto della maternità spirituale di Maria è presente nei testi più antichi della patristica e ha il suo fondamento biblico soprattutto nel Vangelo di San Giovanni, più specificamente nella scena della Croce.

[77] Cf. S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 21: AAS 79 (1987), 388: «Si manifesta come nuova maternità secondo lo spirito e non solo secondo la carne, ossia la sollecitudine di Maria per gli uomini, il suo andare incontro ad essi nella vasta gamma dei loro bisogni e necessità».

[78] Cf. Francesco, Omelia nella Solennità di Santa Maria Madre di Dio53ª Giornata mondiale della Pace (1° gennaio 2020): AAS 112 (2020), 19.

[79] S. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 38: AAS 79 (1987), 411-412; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 62: AAS 57 (1965), 63.

[80] Cf. S. Giovanni Paolo II, Udienza generaleMaria singolare cooperatrice della Redenzione (9 aprile 1997), n. 2: L’Osservatore Romano, 10 aprile 1997, 4: «Il concorso di Maria, invece, si è attuato durante l’evento stesso e a titolo di madre; si estende quindi alla totalità dell’opera salvifica di Cristo».

[81] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 60: AAS 57 (1965), 62; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 970.

[82] Cf. Francesco, Udienza generale (24 marzo 2021): L’Osservatore Romano, 24 marzo 2021, 8: «[Maria] lei segnala il Mediatore: lei è la Odigitria. Nell’iconografia cristiana la sua presenza è ovunque, a volte anche in grande risalto, ma sempre in relazione al Figlio e in funzione di Lui. Le sue mani, i suoi occhi, il suo atteggiamento sono un “catechismo” vivente e sempre segnalano il cardine, il centro: Gesù. Maria è totalmente rivolta a Lui».

[83] S. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae (16 ottobre 2002), n. 4: AAS 95 (2003), 8; che cita il Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 66: AAS 57 (1965), 65.

[84] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 62: AAS 57 (1965), 63: «Funzione subordinata di Maria».

[85] Cf. S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 40: AAS 79 (1987), 414-415.

[86] Cf. ibid., n. 43: AAS 79 (1987), 420.

[87] Cf. Francesco, Discorso in occasione della Recita del Santo Rosario nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore (4 maggio 2013): L’Osservatore Romano, 6-7 maggio 2013, 7.

[88] Leone XIV, Omelia nel Giubileo della Santa Sede (9 giugno 2025): L’Osservatore Romano, 10 giugno 2025, 2.

[89] Cf. Francesco, Es. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 285: AAS 105 (2013), 1135.

[90] Id., Lett. enc. Dilexit nosSull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo (24 ottobre 2024), n. 176: AAS 116 (2024), 1424.

[91] Cf. Id., Udienza generale (18 novembre 2020): L’Osservatore Romano, 18 novembre 2020, 11.

[92] S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 21: AAS 79 (1987), 388-389.

[93] Cf. Francesco, Omelia nella Solennità di Santa Maria Madre di Dio (1° gennaio 2024): AAS 116 (2024), 20.

[94] J.L. Guerrero Rosado, Nican Mopohua: Aquí se cuenta… el gran acontecimiento, Cuautitlan 2003, nn. 23, 119.

[95] S. Giovanni Paolo II, Udienza generale (13 agosto 1997), n. 4, L’Osservatore Romano, 14 agosto 1997, 4.

[96] Francesco, Omelia nella Festa di Nostra Signora di Guadalupe (12 dicembre 2022): AAS 115 (2023), 53; cf. Id., Omelia nella Festa di Nostra Signora di Guadalupe (12 dicembre 2023): AAS 116 (2024), 12.

[97] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 8: AAS 57 (1965), 11; Francesco, Lett. enc. Dilexit nos (24 ottobre 2024), n. 96: AAS 116 (2024), 1398.

[98] Cf. J. Ratzinger, Verbale della Feria IV del 21 febbraio 1996, in Archivio del Dicastero per la Dottrina della Fede.

[99] Cf. S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 21: AAS 79 (1987), 389. Questo carattere di intercessione della mediazione materna di Maria è un insegnamento costante degli ultimi Papi. Cf. Pio IX, Cost. ap. Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854): Pontificis Maximi Acta. Pars prima, Romae 1854, 597-619; Leone XIII, Lett. enc. Adiutricem populi (5 settembre 1895): ASS 28 (1895-1896), 129-136; Pio X, Lett. enc. Ad diem illum (2 febbraio 1904): AAS 36 (1903-1904), 455; Pio XII, Lett. enc. Ad Caeli Reginam (11 ottobre 1954) n. 17:AAS 46 (1954), 636.

[100] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 62: AAS 57 (1965), 5-71, 63.

[101] S. Agostino d’Ippona, De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum, I, 11, 13: CSEL 60, 14.

[102] Id., Sermo 23/A: CCSL 41, 322.

[103] S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 114, a. 6, co.

[104] Conc. Ecum. di Trento, Sessio VI: Decretum de iustificatione, 7: DH 1530.

[105] Pio IX, Cost. ap. Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854): Pontificis Maximi Acta. Pars prima, Romae 1854, 616.

[106] S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 113, a. 9, co.

[107] Ibid., q. 114, a. 6, ad 3.

[108] Ibid., q. 114, a. 5, co.

[109] Cf. ibid., q. 114, a. 1, co.

[110] Cf. S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 21: AAS 79 (1987), 389.

[111] Cf. Francesco, Udienza generale (8 giugno 2016): L’Osservatore Romano, 9 giugno 2016, 8.

[112] Cf. Id., Udienza generale (24 marzo 2021): L’Osservatore Romano, 24 marzo 2021, 8; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2764.

[113] Cf. Id., Parole durante la Recita del Santo Rosario (31 maggio 2013): L’Osservatore Romano, 2 giugno 2013, 8.

[114] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 61: AAS 57 (1965), 63.

[115] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2003.

[116] Ibid., n. 1999.

[117] S. Tommaso d’Aquino,Summa Theologiae, I-II, q.114, a. 1, co.; Id., Quaestiones disputatae de Veritate, 27, a. 3, ad 10.

[118] Cf. Id., Summa Theologiae, III, q. 64, a. 1, co.: «[…] solus Deus illabitur animae».

[119] Cf. Conc. Ecum. di Trento, Sessio VI. Decretum de iustificatione, 7: DH 1528-1531; ibid., Canoni sulla giustificazione, 11: DH 1561.

[120] Cf. S. Tommaso d’Aquino, Quaestiones disputatae de Veritate, q. 28, a. 2, ad 8; Id., Summa contra gentiles, II, cap. 98, n. 18; ibid., III, cap. 88, 6.

[121] Cf. Id., Quaestiones disputatae de Veritate, q. 27, a. 3, s.c. 5.

[122] Id., Summa Theologiae, III, q. 64, a.1 co.

[123] Tra gli altri, Gennadio di Marsiglia, De Ecclesiasticis Dogmatibus, 83: PL 58, 999B. Anche S. Giovanni Cassiano, Collationes, VII, 13: PL 49, 683A. Inoltre, Didymus Caecus, De Spiritu Sancto, 60: PL 23, 158C.

[124] Cf. S. Bonaventura, Collationes in Hexaemeron, XXI, 18: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, 434.

[125] Cf. Id., Sententiarum Lib. I, d. 14, a. 2, q. 2, ad 2: Opera Omnia, I, Quaracchi 1891, 250.

[126] Cf. ibid., q. 2, fund. 3, 251.

[127] Cf. ibid., q. 2, fund. 8 e 4, 251-252.

[128] Cf. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 33. a. 3; ibid., III, q. 23, a. 4.

[129] Id., Compendium theologiae, I, n. 215; cf. Id., Summa Theologiae, III, q. 2, a. 10.

[130] Id., Summa Theologiae, III, q. 8, a. 5, co.; cf. ibid., q. 2, a. 12; q. 7, a. 9; q. 48, a. 1.

[131] Id.,Compendium theologiae, I, n. 214.

[132] Id., Quaestiones disputatae de Veritate, q. 29, a. 5 co.

[133] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus (6 agosto 2000), n. 10: AAS 92 (2000), 750-751; cf. Francesco, Lett. enc. Dilexit nos (24 ottobre 2024), nn. 59-63: AAS 116 (2024), 1386-1387.

[134] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes (7 dicembre 1965), n. 22: AAS 58 (1966), 1042-1043.

[135] Cf. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 112, a. 1, co.

[136] Cf. Id., Super Ioannem, cap. I, v. 16, lectio 10; Id., Summa Theologiae, I-II, q. 112, a. 1, ad 1.

[137] Id., Compendium theologiae, I, n. 214.

[138] Dante Alighieri, Paradiso, XXXIII, 1.

[139] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), nn. 60, 62: AAS 57 (1965), 62-63; S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, III, q. 26.

[140] Missale Romanum ex Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate S. Pauli PP. VI promulgatum S. Ioannis Pauli PP. II cura recognitum, editio typica tertia, Typis Vaticanis 2008, 879.

[141] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 60: AAS 57 (1965), 62.

[142] Cf. Cathechismo della Chiesa Cattolica, n. 2002.

[143] Cf. S. Tommaso d’Aquino,Summa Theologiae, I, q. 25, a.3, ad 4. Giustificare, come creare, «può essere fatto, immediatamente, solo da Dio».

[144] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 62: AAS 57 (1965), 63.

[145] Cf. Origene, Hom. in Genesim, XIII, 3-4: PG 12, 232B-234CD.

[146] Cf. S. Cirillo d’Alessandria, Comm. in Ioannis, II, 4, 13-14: PG 73, 300C.

[147] Cf. Id., Comm. in Isaiam, V, II, 1-2: PG 70, 1220A.

[148] Cf. S. Cirillo di Gerusalemme, Catechesis mystagogica XVI, 11: PG 33, 932C.

[149] Cf. S. Giovanni Crisostomo, Hom. in Ioannem, 51, 1: PG 59, 283.

[150] S. Ambrogio, Explanatio Pasalmorum XII, Ps. 48, 4, 2: PL 14, 1157A.

[151] Id., De Noe, 19, 70: PL 14, 395A.

[152] Cf. Id., Explanatio Psalmorum XII, Ps. 48, 4, 2: PL 14, 1157A.

[153] Cf. S. Girolamo, Comm. in Zachariam, III, 14, 8.9: PL 25, 1528 C.

[154] S. Gregorio Magno, Hom. in Ezechielem, I, 10, 6: PL 76, 888B.

[155] Cf. S. Ilario, Tractatus in Psalmos, 64, 14: PL 9, 421B.

[156] S. Agostino d’Ippona, In Ioannes Evangelium, 32, 4: PL 35, 1643D.

[157] S. Tommaso d’Aquino, Super Ioannem, cap. 7, lect. 5.

[158] Ibid.; cf. Id., Summa Theologiae, II-II, q.178 a. 1 s. c.

[159] S. Cirillo di Gerusalemme, Catechesis mystagogica XVI, 12: PG 33, 934B.

[160] S. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et Magistra (15 maggio 1961), 237: AAS 53 (1961), 462.

[161] S. Giovanni Paolo II, Lettera al Preposito generale della Compagnia di Gesù, (Paray-le-Monial, 5 ottobre 1986): L’Osservatore Romano, 19 ottobre 1986, 7, cit. in Francesco, Lett. enc. Dilexit nos (24 ottobre 2024), n. 182: AAS 116 (2024), 1427.

[162] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), n. 5: AAS 101 (2009), 643.

[163] Francesco, Lett. enc. Dilexit nos (24 ottobre 2024), nn. 198, 200:AAS 116 (2024), 1432.

[164] Cf. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 5, a. 6, co. e ad 1; Id., Quaestiones disputatae de Veritate, q. 27, a. 3, s.c. 5. Gli argomenti che usava San Tommaso d’Aquino per spiegare il perché nessuna creatura può conferire la grazia, ma solamente Dio, non possono essere considerati come superati, né all’interno della sua propia opera, né posteriormente.

[165] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 60: AAS 57 (1965), 62; cf. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 25, art. 3, ad 4; Id., Scriptum super Sententiis, II, d. 26, q. 1, a. 2, co.; ibid., IV, d. 5, q.1, a. 3, qc. 1, ad 1.

[166] Cf. Id., Quaestiones disputatae de Veritate, q. 27, a. 3, s. c. 5. Ancora una volta ricordiamo che: «Sed mentem, in qua est gratia, nulla creatura illabitur».

[167] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 60: AAS 57 (1965), 62.

[168] Ibid., n. 62: AAS 57 (1965), 63.

[169] Cf. S. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, lib. 2, cap. 21, n. 7. Uno strumento contribuisce con qualcosa di proprio: «Omne agens instrumentale exequitur actionem principalis agentis per aliquam actionem propriam et connaturalem sibi».

[170] Ibid., lib. 3, cap. 147, n. 6; cf. Id., Summa Theologiae, I, q. 45, a. 5 co.

[171] Id., Summa Theologiae, I-II, q. 5, a. 6, ad 1.

[172] Cf. Conc. Ecum. di Trento, Sessione VI. Decretum de iustificatione, 8: DH 1532.

[173] Cf. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 114, a. 5, co.: «Quando uno è in grazia, la grazia che ha già ricevuto non può essere meritata». Anche se la persona giustificata può meritare di crescere nella vita della grazia, il fatto di essere giustificato, di essere amico di Dio attraverso la grazia, sarà sempre assolutamente gratuito.

[174] Ciò che San Tommaso d’Aquino chiama “disposizione finale”, simultanea al dono della grazia santificante, è opera immediata della medesima grazia. Si tratta dell’«ultima disposizione, alla quale segue, di necessità, la forma», in S. Tommaso d’Aquino, Sententiae Metaphysicae, lib. 5, lect. 2, n. 5; cf. Id, Scriptum super Sententiis, I, d. 17, q.2, a.3, co.; Id., Summa contra Gentiles, lib. 2, cap. 19, n. 6; Compendium theologiae, I, n. 105.

[175] Conc. Ecum. Vat. II, Const. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 61: AAS 57 (1965), 63.

[176] S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 45: AAS 79 (1987), 422-423.

[177] Francesco, Udienza generale (18 novembre 2020): L’Osservatore Romano, 18 novembre 2020, 11.

[178] S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 20: AAS 79 (1987), 387.

[179] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 53, AAS 57 (1965), 58-59.

[180] S. Agostino d’Ippona, Sermo 72/A, 7: CCSL 41Ab, 117.

[181] Francesco, Udienza generale (24 marzo 2021): L’Osservatore Romano, 24 marzo 2021, 8.

[182] S. Paolo VI, Es. ap. Marialis cultus (2 febbraio 1974), n. 35: AAS 66 (1974), 147.

[183] S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 46: AAS 79 (1987), 424.

[184] Dicastero per la Dottrina della Fede, Norme per procedere nel discernimento di presunti fenomeni soprannaturali (17 maggio 2024), n. 12, AAS 116 (2024), 782.

[185] Francesco, Udienza generale (16 febbraio 2022): L’Osservatore Romano, 16 febbraio 2022, 2.

[186] Id., Es. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 285: AAS 105 (2013), 1134-1135.

[187] Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), n. 42: AAS 98 (2006), 217-252, 252.

[188] Francesco, Es. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 284: AAS 105 (2013), 1134.

[189] Cf. ibid., n. 113: AAS 105 (2013), 1067.

[190] Leone XIV, Prima bendizione apostolica “Urbi et Orbi” (8 maggio 2025): L’Osservatore Romano, 9 maggio 2025, 3.

[191] Francesco, Messaggio per la XXXVII Giornata Mondiale della Gioventù (15 agosto 2022): AAS 114 (2022), 1255.

[192] Id., Es. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013): n. 285: AAS 105 (2013), 1135.

[193] S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 28: AAS 79 (1987), 398.

[194] Consiglio Episcopale Latinoamericano, V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi (Aparecida, 13-31 maggio 2007), n. 265.

[195] Cf. S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), n. 35: AAS 79 (1987), 407.

[196] Francesco, Omelia nella Solennità di Santa Maria Madre di Dio (1° gennaio 2024): AAS 116 (2024), 20.

[197] Consiglio Episcopale Latinoamericano, V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi (Aparecida, 13-31 maggio 2007), n. 259.



Post più popolari negli ultimi 30 giorni