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SOLO L'AMORE DISTINGUE I FIGLI DI
DIO
di
Mons. Gianfranco De Luca
Solo
l'amore distingue i figli di Dio... Se tutti si segnassero con la croce [che
è un atto religioso], se rispondessero Amen e cantassero tutti l'Alleluia [e
cioè se si facessero delle liturgie, che sono importantissime, ma solo quelle...];
se tutti ricevessero il battesimo ed entrassero nelle chiese, se facessero
costruire i muri delle basiliche, resta il fatto che soltanto la carità fa
distinguere i figli di Dio... Quelli che hanno la carità sono nati da Dio,
quelli che non l’hanno non sono nati da Dio. E questo il grande criterio di
discernimento. Se tu avessi
tutto, ma ti mancasse quest'unica cosa, a nulla ti gioverebbe ciò che hai; se
non hai altre cose, ma possiedi questa, tu hai adempiuto la legge...»
[i].
Premessa
1. Scrivendo
ai Cristiani di Corinto Paolo dice: «se, sopra questo fondamento (Gesù
Cristo), si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno,
paglia, l'opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che
si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno.
Se l'opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una
ricompensa; ma se l'opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si
salverà, però come attraverso il fuoco» (3, 12-15).
Paolo ha
posto il fondamento della Chiesa di Corinto e quelli venuti dopo di lui hanno
continuato l'opera. Un’opera, l’apostolato, che necessita di discernimento, di
continuità e di coerenza e, soprattutto, che tenga conto del fondamento, ecco
la ragione per cui Paolo stesso ammonisce gli altri predicatori a “far bene” il
loro ufficio. Nella Chiesa siamo tutti «sovracostruttori», cioè chiamati a
costruire partendo dal fondamento che è Cristo e di conseguenza è necessario
scegliere accuratamente con cosa si costruisce e come lo si fa, perché tutto
sarà provato dal fuoco e resterà solo ciò che al fuoco resiste. Non si tratta di
efficacia o di efficienza: si tratta di qualità e di nient’altro. E la qualità
del Fondamento è l’Amore-Comunione. Tutto ciò che non è sviluppo, e
manifestazione, dell’amore-comunione, al passaggio del fuoco, risulterà spurio,
insignificante. Tutto nella Chiesa nasce dalla carità, si sviluppa nella carità
e conduce alla carità. Del resto lo stesso Paolo ci ricorda che pur possedendo
doni e profezie, senza la carità non siamo nulla e nulla ci giova (cfr. 1Cor
13,1ss)!
2. La stessa
Comunità ecclesiale non si fonda che sulla Carità. Nell’evangelo secondo Matteo,
ad esempio, ci viene descritta una comunità carismatica, ricca di fede e di
entusiasmo che adora il Signore e, nel suo nome, fa profezie, miracoli ed
esorcismi. Ma questo non basta. «Molti mi diranno in quel giorno: Signore,
Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e
compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai
conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità. » (Mt 7,22-23).
Gesù afferma
che si possono compiere “opere religiose” nel suo nome, ma ciò non toglie il
rischio di compierle per amore del proprio io, senza l'amore del Padre e dei
fratelli. E l'autosufficienza di chi si ritiene a posto e dice: «Signore,
Signore!», ma in realtà, non lascia che Gesù sia il Signore della sua vita.
Possiamo operare nel suo nome cose buone per gli altri, ma senza che questo
giovi alla nostra salvezza. Ciò che ci salva non è fare miracoli, ma fare la
volontà del Padre, che è amare i fratelli. «Non vi ho mai conosciuti;
allontanatevi da me, voi operatori di iniquità ». Il Figlio non
riconosce coloro che non vivono da fratelli. Sono «operatori di iniquità», che
ignorano, nel loro operare, la legge dell'amore. La fede, la speranza e gli
altri doni alla fine scompariranno; rimarrà solo l'amore, che non ha fine (1Cor
13,8ss ).
Dio è amore,
e solo chi ama dimora in Dio e Dio in lui (cfr. 1Gv 4,16).
È necessario
riflettere, allora, ancora una volta sulla carità! Può sembrare scontato, può
risultare sgradevole a chi pensa che sia un inutile ricominciare da capo, può
apparire inefficace, perché pensiamo di conoscere ormai che significa “carità” e
tutti ci riteniamo un po’ maestri! Credo, però, che mai sia inopportuno
raccontare quella che Sant’Agostino chiamava la cura Dei pro nobis
[ii], la Carità!
Ecco, allora,
alcune riflessioni che spero possano essere uno strumento in più nelle nostre
mani e nel nostro cuore - in questo tempo di quaresima - per vivere la carità di
Cristo.
Il Mistero
Pasquale è epifania del Mistero dell’Amore Trinitario che è fondamento sul quale
è edificata la Chiesa e ogni comunità cristiana
3. «Prima
della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da
questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino
alla fine» (Gv 13,1).
Le parole del
Vangelo rivelano l'amore sconfinato di Dio che - nella passione e morte in croce
di Gesù - si offre a noi. L'amore si esprime, nella sua massima intensità e
definitivamente, nel dono della vita per chi si ama: «Nessuno ha amore più
grande di chi dà la vita per i suoi amici» (Gv 15,13).
È evidente
che Gesù intende così manifestare, nel suo amore per gli uomini spinto sino al
dono della vita, l'amore stesso di Dio: «In verità, in verità vi dico, il
Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che
il Padre fa, anche il Figlio lo fa» (Gv 5,19). Se Gesù dona la vita,
è perché conosce che è il Padre, per primo, a donare la sua vita. Le parole di
Gesù - che diventano realtà sul legno della croce - aprono uno squarcio sul
mistero più profondo dell'essere di Dio. L'amore non è soltanto uno dei suoi
attributi, né è soltanto il nome che descrive il suo agire nei confronti degli
uomini: Amore è il Nome che dice l'Essere intimo di Dio
[iii].
Dio, dunque,
è Amore. E perché amore è Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Come dice S.
Agostino, «l’amore implica colui che ama, chi è amato e il legame d’amore tra
i due»
[iv].
Colui che
ama, il principio e la fonte dell'amore è il Padre. Gesù, nella lingua aramaica
parlata dal suo popolo, lo chiama, con affetto e gratitudine, Abbà
(babbo, papà; cfr. Mc 14, 36). Dio è Abbà perché è sconfinato,
inesauribile, purissimo amore. Egli comunica tutto ciò che è e tutto ciò che ha
al «Figlio del suo amore» (cfr. Col 1,13). Il Figlio è il frutto e
l'eco perfetta dell'amore che è il Padre. Ed è anch'egli tutto e solo amore e
nel suo essere espressione e irradiazione dell'amore del Padre viene chiamato
Lógos (cioè Verbo, Parola) e Icona (cioè Immagine) del Padre. Egli,
infatti, dice e mostra il Padre che è Amore.
E lo Spirito
Santo? Egli - come dice l'etimologia della parola - è il soffio, l'alito, il
respiro della vita di Dio. È l'amore con cui il Padre ama il Figlio e il Figlio
il Padre.
Padre, Figlio
e Spirito Santo sono realmente distinti - come colui che ama e colui che è amato
- ma sono uno perché, amandosi, si consumano in uno. E sono, così, l'unico Dio
che è Amore[v].
«Guarderanno verso colui che trafissero» (Gv 19,37)
4. Giovanni
c’invita a volgere gli occhi sul crocifisso. E’ qui che voleva portarci fin
dall’inizio del suo vangelo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così
bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, affinché chiunque crede in lui
abbia vita eterna» (Gv 3,14s). La morte, che da un punto di vista
fenomenologico è la fine di tutto, qui rappresenta, per Gesù, il compimento
della missione (ritorna al Padre) e, per noi, l’inizio di tutto. Il fianco del
Figlio dell'uomo squarciato dalla lancia è l'apertura del cielo su ogni figlio
d'uomo. Dallo squarcio del suo fianco esce l'acqua che ci disseta e, attraverso
di esso, noi entriamo nel mistero di Dio. Noi cerchiamo segni e prodigi, il
Vangelo ci presenta, invece, il prodigio di un Dio che ama così. Il colpo di
lancia non serve ad accertare la morte di Gesù, produce, invece, la ferita dalla
quale scrutiamo l'abisso d’ amore da cui veniamo, il sangue da cui nasciamo e
l'acqua per cui viviamo. La lancia del soldato apre la porta del grande
passaggio, dal quale Dio esce verso l'uomo e l'uomo entra in Dio. Inizia la
Pasqua definitiva e la nuova alleanza, la nuova creazione e l'effusione dello
Spirito.
Benedetto XVI
afferma che con lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo il cristiano
può trovare la strada del suo vivere e del suo amare
[vi]. Chi lo guarda, diventa raggiante. Chiunque, anche il
vecchio Nicodemo, può entrare in esso e trovare la propria dimora. Da qui anche
lui, come il discepolo amato, ha accesso al grembo del cuore di Dio e viene alla
luce della vita: nasce dall’alto e vede il Regno. Chi contempla il trafitto
comprende l’amore estremo; si sente compungere il cuore e si chiede: «Che
fare?». E così, la sua vita diventa risposta a ciò che ha visto
[vii].
Inseriti
nel dinamismo della vita trinitaria, capaci d’amare come Dio ama
5. «Chi
sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in Lui» (1Gv 4,16). Gesù
crocifisso e risorto introduce gli uomini nell'intimo della vita di Dio. L'uomo
non è più soltanto, come nel Primo Testamento, di fronte a Dio ma, attraverso
Gesù, è accolto nell’intimità dell’amore di Dio. Gesù è la «via nuova e
vivente» (cfr. Eb 10,20) che conduce al Padre-Amore. Ecco il senso
pieno dell’espressione di Giovanni che, in poche parole, esprime l'essenza della
rivelazione di Dio: «Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha
per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui»
(1 Gv 4,16). Dio è Amore! E rimanere in questo amore significa, per noi, non
solo conoscere profondamente il mistero di Dio, ma appartenergli, entrare nella
profondità del suo intimo, per essere in comunione piena con lui: «chi ama
conosce Dio, chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è Amore» (1Gv
4,8).
Un amore che
giunge a perfezione (cfr. 1Gv 4, 12) quando si fa amore reciproco (cfr. Gv 13,
34), che si consuma in unità
[viii]:
l’Eucaristia. Attraverso il sacrificio eucaristico, si compie la preghiera di
Gesù al Padre: «Che tutti siano come tu, Padre, sei in me e io sono in te,
anch'essi siano in noi» (cfr. Gv 17,21). Per mezzo dell'Eucaristia, infatti,
come insegna il Concilio, «i fedeli hanno accesso a Dio Padre per mezzo del
Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell'effusione dello Spirito
Santo, ed entrano in comunione con la Santissima Trinità, fatti «partecipi
della natura divina»
[ix].
Le
caratteristiche dell’amore di Dio che vive in noi
6. «L’amore
di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è
stato dato»
(Rom 5,5).
Non si tratta di un amore generico, è Paolo stesso che lo precisa: «Quando
eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi». E’ una precisazione
importante, perché fa riferimento non soltanto ad un sentimento, ma ad un
“fatto”: nel morire per me, Cristo mi ha partorito all’Amore. «L’amore di
Cristo ci spinge – non ci dà tregua – al pensiero che uno è morto per
tutti» (2Cor 5,14). Dobbiamo lasciarci afferrare dall’ abbraccio serrato e
dolce di Dio, perchè «forte come la morte è l'amore; le sue vampe sono vampe
di fuoco» (Ct 8,6). Potessero, queste vampe, lambirci in questi
giorni di quaresima e scaldando i nostri cuori possano sciogliere le nostre
resistenze, per arrenderci, finalmente, all'amore di Dio!
Ora, però, è
necessario chiedersi: com’è questo Amore di Gesù?
L’
amore senza misura
7.
«Nessuno
ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici».
(Gv
15,13).
Chi sono gli
amici di cui parla Gesù? Sono forse coloro che ci amano? Gesù chiamò Giuda
“amico” (cfr. Mt 26,50) non perché questi lo amasse (lo stava tradendo), ma
perché lui lo “amava”! E ancora, «Quando eravamo nemici, siamo stati
riconciliati con Dio per mezzo della morte del suo figlio» (Rom 5,10). Il
sacrificio di Gesù rende evidente e concreto l’amore sconfinato di Dio che offre
il Figlio per i nemici! E che senso ha, qui, la parola “nemici”? Non coloro che
tu odi, ma coloro che ti odiano. Dio non odia nessuno, non considera alcuno
“nemico”. Ecco il cuore amante di Dio, che capovolge i criteri dell’uomo, che ci
spinge ad offrire noi stessi non solo per coloro che ci amano, ma per tutti
coloro che siamo chiamati ad amare: gli “amici” e non per coloro che odiamo,
perché l’odio è un sentimento che non appartiene a Dio ma, nonostante tutto, per
quelli che ci odiano: i “nemici”! «Buoni e cattivi siamo, tutti ugualmente,
suoi figli»
[x].
Racconta il
card. Van Thuan:
«Un
giorno un carceriere mi domandò:
- Lei mi
ama?
- Si, io
vi amo.
- Ma noi
l’abbiamo tenuta in prigione per tanti anni, senza giudizio, senza condanna, e
lei ci ama. E’ impossibile! Forse non è vero!
- Sono
stato tanti anni con lei e lei lo ha visto, è vero.
-
Quando Lei sarà libero, non manderà i suoi fedeli a bruciare le nostre case, ad
uccidere i nostri familiari?
-
No, anche se volete uccidermi, io vi amo.
- Ma
perché?
-
Perché Gesù mi ha insegnato ad amare tutti, anche i nemici. Se non lo faccio,
non sono più degno di essere chiamato cristiano.
- E
molto bello, ma difficile da capire.
Quanto ci hai
amato, o Redentore nostro, quanto ci hai amato! Fa' che possiamo dirti anche noi
con gioia e commozione: «Tu hai gridato, o Dio, e il tuo grido ha squarciato
la mia sordità. E ora anelo a te»
[xi].
Un
amore attuale
8. Il cuore
di Dio è un cuore pulsante! Non è un sentimento ormai passato, esaurito,
stanco!. Non è un ricordo. L’evento di duemila anni fa è in atto, è vivo.
Proprio per questo è sempre nuovo, diverso e ogni giorno entra con forza nella
storia personale di ognuno, rendendola storia di salvezza! Gesù dice, ad ognuno
di noi, le stesse parole che fece udire a Pascal «Io ti sono più amico del
tale e del talaltro. Io ho fatto per te più di loro, ed essi non soffrirebbero
mai quel che ho sofferto da te, non morirebbero mai per te nel tempo della tua
infedeltà e delle tue crudeltà, come io ho fatto e sono pronto a fare ancora
per i miei eletti»
[xii].
Un
amore personale
9. Dio non
ama la “collettività”! Morì «per noi» significa «per ciascuno di noi». Egli
sceglie di salvare ogni uomo e ogni donna, entrando nella storia personale di
ognuno, ma dentro una storia che è quella del popolo dei chiamati. «Mi ha
amato e ha dato se stesso per me», dice l’ Apostolo (Gal 2,20). Dio
non ha dunque amato una massa senza volto, ma i singoli, le persone, la vita di
ognuno nella vita di tutti! Dio è amore per me! Ci sono milioni di particole che
vengono consacrate ogni giorno nella Chiesa, ma ognuna di esse non contiene solo
una particella del corpo di Cristo, bensì tutto Cristo. Così è del suo amore. Ci
sono miliardi di uomini, ma ognuno non riceve in sorte una particella dell'amore
di Cristo ma, tutto intero, tale amore. Tutto l'amore di Cristo è in me, e
questo mi deve infondere gioia. Ma tutto l'amore di Cristo è anche nel fratello
e nella sorella, e questo deve suscitare, per lui, rispetto, stima e carità.
L’Amore
vive in me nella misura in cui amo: l’arte di amare
10. Benedetto
XVI, nella Deus Caritas est, afferma che grazie all’Eucaristia noi
veniamo coinvolti nel dinamismo dell’amore di Dio diventando partecipi della
vita di Cristo. E prosegue: «Ora però c'è da far attenzione ad un
altro aspetto: la « mistica » del Sacramento ha un carattere sociale, perché
nella comunione sacramentale io vengo unito al Signore come tutti gli altri
comunicanti…. L'unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri
ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso
appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o
diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così
anche verso l'unità con tutti i cristiani. Diventiamo «un solo corpo», fusi
insieme in un'unica esistenza. Amore per Dio e amore per il prossimo sono ora
veramente uniti: il Dio incarnato ci attrae tutti a sé.(…) Un'Eucaristia che
non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata.
Reciprocamente il «comandamento» dell'amore diventa possibile solo perché non è
soltanto esigenza: l'amore può essere «comandato » perché prima è donato»
[xiii].
C’è un
rapporto di reciprocità tra l’esercizio della carità (amore del prossimo) e
l’essere partecipi della vita di Dio. «Tu dunque, - commenta Agostino -
ama il prossimo e guardando dentro di te donde nasce quest’amore, vedrai, per
quanto ti è possibile, Dio »
[xiv].
Se l’amore
può essere comandato perché prima è donato, è anche vero che l’amare è un’arte
che bisogna conoscere, apprendere ed esercitare. Un’ arte di cui i veri
cristiani di tutti i tempi sono stati esperti protagonisti, divenendo motore di
crescita umana e spirituale dell’epoca nella quale hanno vissuto. Scriveva Fromm:
«La nostra civiltà molto raramente cerca d'imparare l'arte di amare e,
nonostante la disperata ricerca di amore, tutto il resto è considerato più
importante: successo, prestigio, denaro, potere. Quasi ogni nostra energia è
usata per raggiungere questi scopi e quasi nessuna per conoscere l'arte di
amare»
[xv].
Se è vero
quanto dice Fromm, e credo lo sia, ancora una domanda, allora, si impone: come
esercitarsi ed esprimere nelle nostre comunità, nelle nostre relazioni, nella
nostra stessa vita l’arte di amare?
[xvi]
Amare
tutti, senza preferenze di persone
11. Ricordate
il brano del buon Samaritano? (Lc 10, 25-37). La domanda del dottore della legge
è «chi è il mio prossimo?», mentre Gesù, dopo il racconto capovolge l’
interrogazione e riformulandola chiede allo stesso dottore: «Chi di questi
tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?»
Se Dio non fa preferenze di persone, possiamo fare altrettanto! Non si tratta
di decidere a priori chi è il nostro prossimo, sarebbe rischioso, perché si
correrebbe il rischio di includere qualcuno e di escludere altri! Non siamo noi
a decidere, ma di sicuro ognuno di noi è chiamato ad essere prossimo di
qualcuno! «Per amare una persona bisogna accostarla... - diceva Madre
Teresa e aggiunge - non curo mai le folle ma solamente le persone»
[xvii]. Nella Novo millennio ineunte si legge
che il primo passo da vivere nella spiritualità di comunione è «innanzitutto
lo sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la
cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto»
[xviii]. Gesù ha molto insistito su questo “proprium”
dell'amore cristiano, e solo con questo atteggiamento del cuore si può costruire
la pace vera sulla terra.
Amare
per primi
12. L’amore
che lo Spirito ha seminato nei nostri cuori è un amore completamente gratuito.
Ama senza interesse, senza aspettare nulla di ritorno. Non ama solamente perché
è amato, o per altri motivi pur buoni, come l'amicizia umana. Non sta a vedere
se l'altro è amico oppure ostile, ma ama per primo, prendendo l'iniziativa.
Cristo, quando eravamo ancora peccatori, irriconoscenti e indifferenti, è morto
per noi (cfr. Rm 5,8). «Egli ci ha amati per primo», dice Giovanni (1Gv
4,19), e così dobbiamo fare anche noi. «Non aspettare di essere amato
dall'altro, ma tu fatti avanti ed incomincia», raccomanda san Giovanni
Crisostomo
[xix].
Amare
gli altri come sé stessi
13. «Ama
il prossimo tuo come te stesso» (Mt 19,19) è la regola d’oro che troviamo in
tutte le grandi religioni. Ghandi l’ha espressa quando ha affermato: «Tu ed
io siamo una cosa sola, non posso ferirti, senza farmi del male»
[xx]. Così, nella tradizione musulmana troviamo il
detto: «Nessuno di voi è un vero credente se non desidera per il fratello ciò
che desidera per sé»
[xxi].
Se applicata, questa norma sarebbe il volano per la piena pacificazione dei
popoli.
Sempre nella
Novo millennio ineunte il Papa afferma che la spiritualità di comunione
consiste nella «capacità di sentire il fratello di fede nell'unità profonda
del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere
le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura
dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia»
[xxii].
Amare
facendosi prossimo
14. Gesù
«… pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua
uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e
divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2, 5-9).
Guardando a Lui si comprende che niente bisogna anteporre al fratello, e si
diventa disponibili a ogni rinuncia per far spazio al prossimo. E’ l’amore che
porta al dono totale di sé. Quello di Gesù non è un amore che dà qualcosa: Egli
dona se stesso!
Per ognuno di
noi, quel «dare la vita» (cfr. Gv 13,1; 15,13) che Gesù ci chiede, non si compie
certo con l'effusione del sangue, ma nel quotidiano, in tanti piccoli gesti. Nel
metterci al servizio di tutti coloro di cui “siamo prossimi”, anche di coloro
che, per qualche motivo, possono apparire «inferiori» a noi. In questo modo, si
diventa «eucaristia» per gli altri, ci s’immedesima in loro, condividendo le
loro gioie, i loro dolori; imparando a pensare con la loro testa, a sentire con
il loro cuore, a vivere in loro: a «camminare nei loro mocassini», come
dice un proverbio indiano.
Amare
Gesù in ognuno
15. «In
verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi
miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». (Mt 25,40). Conosciamo bene
questa espressione e quanto sia preziosa per la nostra vita: dichiara l’unica
“materia d’esame” per essere introdotti definitivamente nel Regno. Stupiti,
l’abbiamo vista realizzata pienamente nella vita e nell’azione di Madre Teresa:
era l’unico motivo che la metteva in cammino lungo le bidonville di
Calcutta, alla ricerca degli abbandonati, dei moribondi, degli emarginati d’ogni
genere. Certo, per accorgercene, occorre «l’occhio semplice» che riflette il
«cuore puro», quello che fa vedere Dio. «Possiamo amare Gesù anche nei
familiari a cui diamo il buon giorno, con i quali recitiamo magari le preghiere
del mattino e consumiamo la prima colazione. Possiamo amare Gesù nei prossimi
durante il giorno, anche dietro la cattedra di una scuola dove insegniamo, o il
banco del negozio, o lo sportello della banca dove lavoriamo... Possiamo amare
il prossimo vedendo in lui Gesù anche in casa quando usiamo lo strofinaccio o la
scopa, quando laviamo i piatti, o usciamo per fare la spesa. Possiamo amare Gesù
quando scriviamo una lettera, o facciamo una telefonata, o partecipiamo a un
convegno o scriviamo un articolo. Possiamo amare Gesù nel prossimo quando
preghiamo. tempre abbiamo questa favolosa possibilità, e possiamo essere certi
che Egli ad ogni momento ci dice: «L'hai fatto a me»»
[xxiii]. E’ stupenda la possibilità che abbiamo di amare il
Signore in ogni circostanza, in ogni luogo, durante tutta la giornata. E’ il
modo attraverso il quale la santità fuoriesce dai conventi ed entra nelle case,
nelle scuole, negli uffici, nelle piazze …
L’
Amore reciproco
16. L’Amore
tende alla reciprocità. E’ nella reciprocità che raggiunge la perfezione. «Se
ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore in noi è perfetto»
(1Gv 4,12). A questo proposito, vanno colti due aspetti nell’insegnamento di
Gesù: il primo è che l’amore reciproco deve avere la misura dell’amore che Lui
ha per noi; il secondo è che proprio questo amore è tipico del cristiano e lo
identifica. «Questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni gli altri
come io ho amato voi» (Gv 15,12). E ancora: «Da questo tutti sapranno che
siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13,35). Il nostro
amore per il prossimo, non sarà perfetto, non sarà pieno, se non sarà scambiato
con gli altri discepoli di Gesù. Tutta la natura dell’uomo viene presentata in
modo nuovo. E’ chiaro che io ho bisogno del prossimo. Risulta fondamentale il
legame con lui: da solo non posso attuare quello che è lo specifico del
cristiano; solo nella comunità potrò viverlo e realizzarlo pienamente. Così,
Gesù ci svela quanto il nostro amore umano sia stato elevato, partecipando di
quella comunione d’amore trinitario che, dall’eternità, è in cielo tra il Padre,
il Figlio e lo Spirito Santo e diviene visibile in terra nella comunione d’amore
umano-divino sulla quale i discepoli di Gesù fondano la Chiesa. Si compie, in
questo modo, quanto Gesù ha chiesto al Padre: «L’amore con il quale mi hai
amato sia in essi ed io in loro» (Gv 17,26). Giovanni Paolo II scriveva:
«Se abbiamo contemplato il volto di Cristo, carissimi fratelli e sorelle, la
nostra programmazione pastorale non potrà non ispirarsi al comandamento nuovo
che egli ci ha dato»[xxiv].
Nelle nostre famiglie, come nelle comunità religiose e parrocchiali, nelle
nostre associazioni e realtà ecclesiali, è necessario riscoprire l’arte
dell’amore, occorre dichiararselo con semplicità e umiltà. È indispensabile
ravvivare i rapporti, perché non siano ricoperti dalla cenere dell’indifferenza,
dell’apatia e dell’egoismo.
Come
coltivare e alimentare la comunione?
17. Il
Vaticano II, orientando la sua attenzione sulla Chiesa come corpo di Cristo e
popolo adunato nel vincolo d’amore della Trinità, «modifica - scrive De
Fiores - l’impostazione della spiritualità e della pastorale in senso
ecclesiale. La salvezza e perfezione della propria anima, su cui hanno tanto
insistito predicatori e autori spirituali, è liberata dalla preoccupazione
individualistica (...). Si sente l'esigenza (...) di vivere intensamente i
legami di fraternità evangelica fino a formare comunità sul tipo di quella
primitiva descritta come ideale dagli Atti degli Apostoli»
[xxv].
Mai
senza l’altro
18. E’ questo
il tema intorno al quale la diocesi di Locri ha voluto imbastire il suo sinodo,
ed è anche il tema di un libro di Michel de Certeau. Una vita veramente umana
non è concepibile senza l’altro; la tragedia non è la diversità, ma
l’indifferenza, la chiusura, la contrapposizione. La ricerca dell’unione nella
differenza è l’ascetica dei tempi moderni ed è la via per entrare nella mistica
della comunione. In quest’epoca, lo Spirito Santo chiama con forza gli
uomini a camminare accanto ad altri uomini; anzi, ad essere con tutti quanti lo
vogliono un cuore ed un'anima sola. "Io-il fratello-Dio": ecco la formula
della vita spirituale. Si va a Dio insieme con l'uomo, insieme con i fratelli;
anzi, si va a Dio attraverso l'uomo. Resta importante il raccoglimento, il
silenzio, per ascoltare la voce di Dio nel proprio cuore. Anche Gesù si ritirava
in disparte a pregare. Resta vero, però, che non si può amare Dio che non si
vede se non si ama il prossimo che si vede. Non è rara l'esperienza di
sperimentare una unione più profonda con Dio al termine di una giornata
trascorsa al servizio concreto ed estenuante dei tanti prossimi
incontrati. Si può dire che chi va al fratello in modo corretto, cioè
evangelico, amando come il vangelo insegna, si ritrova più uomo, anzi più
Cristo.
La
comunicazione attraverso la parola
19. Uno dei
diversi movimenti di spiritualità familiare predica il “dovere di sedersi”.
Un rapporto concreto lo si costruisce attraverso il buon ascolto e la
comunicazione di sé. Quanti dialoghi all’interno delle famiglie, delle comunità
religiose e parrocchiali sono elenchi della spesa o ordini di servizio o
discorsi sugli altri a volte, oltretutto, imbottiti di giudizi! Tutto allora
diventa arido ed opaco ed è condannato alla sterilità. L’esistenza della
famiglia cristiana è basata sul sacramento del matrimonio che ha il suo
fondamento nel patto coniugale. Occorre esercitarsi a dirsi nuovamente e
quotidianamente l’amore espresso nel patto, attraverso gli innumerevoli
linguaggi che lo esprimono. In questo modo, la grazia del sacramento è viva ed
opera nella famiglia e anche all’esterno. Le nostre comunità parrocchiali hanno
il loro fondamento costitutivo nella celebrazione Eucaristica. E’ il patto della
Nuova Alleanza nella quale il Cristo-Risorto c’introduce, rendendoci partecipi
della sua vita e membra del suo Corpo. Quanto la ritualità esprime, deve
diventare la nostra vita, attraverso stili di comunione che caratterizzano il
vissuto quotidiano. E’ sempre attuale quanto scrive l’Apostolo ai Corinzi:
«Ciascuno, pertanto, esamini sé stesso e mangi di questo pane e beva di questo
calice, perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia
e beve la propria condanna» (1Cor 11,29). Qui, parlando di “riconoscere il
corpo di Cristo”, l’Apostolo si riferisce alla realtà della comunità, e dei
legami di interdipendenza e d’uguaglianza che la contraddistinguono. Ed afferma
che, se nelle relazioni intracomunitarie neghiamo quello che la celebrazione
attualizza, risultiamo condannati dalla stessa realtà che celebriamo. Quanto
Paolo scrive dopo, come conseguenza di questa incongruenza tra vita e sacramento
è indicativo: «E’ per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e
un buon numero sono morti» (1Cor. 11,30). Non è certamente fuori posto
cogliere, in queste parole, un’allusione sia al rachitismo spirituale e alla
scarsa vitalità che a volte riscontriamo nelle nostre comunità cristiane sia a
chi si allontana da esse. Occorrerebbe rileggere con una certa continuità tutti
brani parenetici delle lettere paoline, per cogliere l’esigenza di un continuo
richiamo alla realtà dell’essere unico Corpo di Cristo e a vivere di
conseguenza. Così, per esempio, scrive agli Efesini: «Vi esorto dunque io,
il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che
avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a
vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del
vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza
alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo
Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al
di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef
4,1-6).
La
mortificazione e le penitenze in funzione della comunione
20. La vita
di comunione non è facile per l’uomo vecchio che vive sempre dentro di
noi. L'unità fraterna, certo, non si compone una volta per tutte ed occorre
sempre ricostruirla. Ma proprio perché è il Bene sommo, è fondamentale disporsi
ad affrontare ogni sacrificio pur di custodirla e, se incrinata, ricostruirla.
San Paolo, che scrive ai Romani dicendo «accogliete tra voi chi è debole
nella fede, ma non per discuterne le opinioni» (Rom 14,1), ci fa cogliere
che la carità vale ben più delle nostre idee. Di qui, la sottolineatura continua
della sopportazione reciproca, per tener viva la carità. Mi piace far cogliere
che “sopportare”, etimologicamente, significa “farsi carico”, “prendere su di
sé”. Dobbiamo esercitarci continuamente in questo: infatti, è meglio il meno
perfetto in accordo con gli altri, che il più perfetto in disaccordo. Piegarsi,
piuttosto che rompere, è una delle caratteristiche, forse dolorose ma benedette
da Dio, per mantenere la comunione. Gesù Crocifisso, verso il quale teniamo
rivolto lo sguardo, è morto per l’unità dei suoi discepoli e perché, grazie ad
essa, il mondo creda.
Anche i voti
che, tradizionalmente, contraddistinguono la vita consacrata hanno un senso in
ordine alla comunione e servono alla comunità: quello d'obbedienza per rendere
più sicura l'unità con i superiori; quello di castità per aver un cuore puro
atto ad amare Gesù in ogni prossimo; quello di povertà per essere pronti a
realizzare con i fratelli la comunione dei beni.
La
preghiera comunitaria
21. Vi è
un'immagine molto bella nella tradizione patristica che descrive la Chiesa come
la “luna”: nella notte essa brilla non di luce propria, ma di luce riflessa,
quella del sole che è Cristo. Quanto più si lascia baciare dai suoi raggi, tanto
più si illumina la notte del cuore umano e della storia. La preghiera,
specialmente nel suo culmine e nella sua sorgente, che è la liturgia ma anche
nella sua preparazione e dilatazione, che è la preghiera personale, è il luogo
in cui ci lasciamo inondare dalla luce del sole, Cristo, per diventare capaci
di vivere la comunione e di annunciare il Vangelo della comunione
La preghiera
ci aiuta a convertirci a Cristo, sorgente vera della nostra comunione. Così
pregava il card. Van Thuan durante la prigionia: «La comunione è un
combattimento di ogni istante. La negligenza di un solo momento può frantumarla;
basta un niente,- un solo pensiero senza carità, un pregiudizio
ostinatamente conservato, un attaccamento sentimentale, un orientamento
sbagliato, un'ambizione o un interesse personale, ua'azione compiuta per se
stessi e non per il Signore... Aiutami, Signore, a esaminarmi così-
qual è il centro della mia vita? Tu oppure io? Se sei Tu, ci raccoglierai
nell'unità. Ma se vedo che intorno a me pian piano tutti si allontanano e si
disperdono, questo è il segno che ho messo al centro me stesso»
[xxvi].
Percorsi
di comunione
22. Il card.
Van Thuan aveva un sogno: “Sogno la Chiesa del Terzo Millennio come casa che
custodisce la presenza del Dio Vivente, come Città santa che scende dall’alto;
non come un insieme di pietre sparse, ma come costruzione articolata e
armoniosa, resa compatta dalla comunione vissuta. Sogno questa Città, che
custodisce l’Agnello come fonte di luce per l’intera umanità»
[xxvii].
Non è questo
il Sogno di Gesù? Non è anche il nostro Sogno? Occorre inventare, attivare e
percorrere, senza indecisioni, percorsi di comunione.
La
partecipazione
23. E’
determinante, per la Chiesa che si affaccia nel Terzo Millennio, la piena
corresponsabilizzazione dei fedeli laici nella vita e nell'apostolato della
comunità cristiana. Tale coinvolgimento è un fattore “co-essenziale” e perciò
indispensabile, per una pastorale "a tutto campo"; tanto che in un passo del
Concilio si legge: «all'interno della comunità ecclesiale l'azione (dei
laici) è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei Pastori
non può per lo più raggiungere la sua piena efficacia»
[xxviii]. È il tempo, dunque, di favorire nei
nostri laici l'assunzione consapevole e fattiva del ruolo che loro spetta nella
Chiesa, funzione che non è soltanto "esecutiva", "ausiliaria" o "suppletiva",
rispetto a quella svolta dalla Gerarchia, ma costitutiva e complementare, perché
solo in questa interazione comunionale la Chiesa trova le vie per diventare sé
stessa. Certamente, l'obiettivo-partecipazione non si conseguirà imboccando
indebite scorciatoie. E' indispensabile, perciò, promuovere un apprendistato
ecclesiale, un vero tirocinio pastorale, per allenare la nostra gente a vivere
l'unità, facendo la verità nell'amore (cfr. Ef 4,15). Se la preparazione
teologica di base manca, o risulta inadeguata; se i compiti vengono distribuiti,
ma non condivisi in una sana "collegialità"; se le abilità personali risultano
“acerbe” o declinate troppo al “singolare”, i collaboratori rischiano di
generare più dissonanze che contributi per una pastorale dell'unità. L’esercizio
efficace della corresponsabilità nella Chiesa è proporzionale al grado in cui si
impara a co-essere e a co-agire: ciò richiede la graduale emancipazione da
istanze privatistiche ed egocentriche, che ciascuno di noi ospita dentro di sé.
Il
discernimento comunitario
24. In cosa
consiste il discernimento comunitario? Prima di tutto, verificare lo stile e il
livello di fraternità presente nelle nostre comunità, in modo che esso diventi
il mezzo privilegiato, per leggere la situazione vitale in cui la comunità e i
singoli debbono annunciare il Vangelo ed il luogo dell’invocazione dello Spirito
Santo, per comprendere come dare ragione della speranza che è in noi.
Si tratta non
tanto di rispondere alle questioni poste dalle varie situazioni e realtà, ma di
attivare una lettura comunitaria delle medesime, per coglierne le risorse in
ordine all’evangelizzazione e all’azione della comunità. I punti qualificanti di
questo percorso sono: la docilità allo Spirito e l’umile ricerca della volontà
di Dio; l’ascolto della Parola di Dio; l’interpretazione dei segni dei tempi
alla luce del Vangelo; la valorizzazione dei carismi nel dialogo fraterno; la
creatività spirituale, missionaria, culturale e sociale; la cura nella
progettazione e la verifica
[xxix].
I Consigli
Pastorali Parrocchiali, le varie équipes di catechisti e di animatori,
devono imparare a pensare insieme, ad elaborare progetti e itinerari formativi,
azioni caritative, iniziative culturali e a farne, naturalmente, la dovuta
verifica. E’ in questo modo, che le nostre comunità diventano scuole e palestre
di comunione e forze propulsive, per la crescita della società.
Il
dialogo
25. Il
dialogo, secondo le felici espressioni di Paolo VI, rappresenta il «nuovo
nome della carità» e la principale «via della Chiesa». E la strada
del confronto leale e costruttivo passa attraverso il riconoscimento della
incomparabile dignità di ogni uomo, a cui la Chiesa attribuisce un valore
centrale, «… perché l’uomo – ogni uomo, senza eccezione alcuna – è stato
redento da Cristo; perché con l’uomo, con ciascun uomo - senza eccezione alcuna
- Cristo è, in qualche modo, unito, anche quando quell’uomo non è di ciò
consapevole»
[xxx].
L’apertura intelligente e perseverante al dialogo nasce, dunque, dalla
convinzione che se ogni persona conta immensamente davanti a Dio – che l’ha
creata e redenta con infinito Amore – non può non avere un valore inestimabile
per gli altri uomini.
Perciò,
dobbiamo spendere le nostre migliori energie nella costruzione di un dialogo
aperto su più versanti.
-
Anzitutto, il dialogo intraecclesiale, che consiste
(riconoscendo e valorizzando – nel giusto ordine e nella dovuta connessione –
carismi, funzioni e ministeri) nel farsi tessitori di unità nella dimensione
“verticale”, con quanti, cioè, sono chiamati a presiedere la comunità, come
anche in quella “orizzontale”, cioè con gli altri fratelli che, a vario titolo,
vivono la loro appartenenza al Popolo di Dio.
-
Dalla “passione” per la Chiesa-una, scaturisce il dialogo
ecumenico. E’ quello che avanza attraverso l’incontro fraterno di
cristiani appartenenti a diverse confessioni, intenti a percorrere, insieme, le
strade del Vangelo, verso la completa ricostituzione della comunione. Esso
rappresenta, certamente, uno dei “segni” più evidenti che un tempo nuovo è stato
inaugurato dallo Spirito Santo e che il desiderio di unità non tollera più
divisioni e inimicizie tra fratelli in Cristo.
-
Il dialogo interreligioso – specialmente in questa
epoca di globalizzazioni e migrazioni planetarie – non può non occupare un posto
centrale nelle attenzioni e nei progetti di coloro che vivono per la comunione.
Essi sono consapevoli che le varie tradizioni religiose contengono e offrono
“semi del Verbo”, cioè elementi di verità e di bene, che la Chiesa riconosce con
gioia e rispetto.
-
Il dialogo interculturale , in una civiltà divenuta
planetaria, richiede l’impegno a scrivere nuove pagine di carità intellettuale e
sociale, cercando, con perseveranza, tutti gli elementi d’autenticità e di
bellezza sparsi nelle varie culture, per unirli, come perle di una splendida
collana, attraverso il filo d’oro del Vangelo.
Nel mondo
con simpatia e nello stile dell’Alleanza.
26. Il
percorso fatto fin qui ci apre la mente e il cuore alla sorprendente grandezza
dell’Amore di Dio che si è rivelato, e comunicato, in Gesù Cristo, il
Crocifisso-Risorto. «Noi abbiano riconosciuto è creduto all’Amore che Dio ha
per noi» (1Gv 4,16) è la più bella, e vera, professione di fede del
cristiano. Il «noi» mette in risalto la dimensione comunitaria della
nostra fede, fondata sul suo stesso contenuto: Dio-Amore, la Uni-Trinità. Allo
stesso modo ci dice, anche, che tutto va accolto, pensato e vissuto «insieme».
E’ grazie a questo Amore che siamo venuti alla vita; in questo Amore dimoriamo e
di questo Amore viviamo, per divenirne pienamente partecipi.
E’ il tesoro
portato in vasi di creta, ed è proprio il nostro essere vasi di creta a rendere
questo Amore accessibile a tutti. «Così risplenda la vostra luce davanti agli
uomini perché vedano le vostre opere buone e diano gloria al Padre vostro
celeste.» (Mt 5,16): diventare testimoni dell’Amore, che è più forte della
morte, è la missione di tutti noi.
Lo stile
della nostra presenza nel mondo deve scaturire dal cuore stesso del Padre che,
quando eravamo ancora suoi nemici, ha mandato il Figlio per noi. Una profonda
simpatia, dalla quale nasce la “compassione” - di cui spesso ci parla il Vangelo
- che spinse Gesù, il Figlio del Padre, a predicare e a guarire - prima - e a
consegnare - infine - sé stesso alla morte di croce. Ogni atteggiamento di
paura, il rimpianto di un passato che non c’è più, il pessimismo per un futuro
segnato dalla decomposizione, il giudizio di condanna, non possono aver posto
nella nostro cuore, spazio nelle nostre riunioni, né devono indirizzare le
nostre scelte e le nostre azioni.
«Le gioie
e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri
soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le
tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente
umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di
uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel
loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di
salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente
realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia»
[xxxi].
In queste parole la Chiesa ha espresso il suo amore appassionato per gli uomini
di ogni tempo, e l’impegno di giocarsi totalmente al servizio di essi.
Conclusione
27. Alcune
parole dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger mi offrono lo spunto per
concludere: «La Chiesa non è un apparato; non è semplicemente un'istituzione;
non è neppure soltanto una delle consuete entità sociologiche - essa è Persona.
È Donna. È Madre. È vivente. La comprensione mariana della Chiesa è il più forte
e decisivo contrasto ad un concetto di Chiesa puramente organizzativo o
burocratico. Noi non possiamo fare la Chiesa, noi dobbiamo essere Chiesa. E
soltanto nella misura in cui la fede, al di là del fare, informa il nostro
essere, noi siamo Chiesa e la Chiesa è in noi. E soltanto nell'essere mariani
che diventiamo Chiesa. Anche all'origine, la Chiesa non fu fatta, ma nacque.
Nacque quando nell'anima di Maria emerse il fiat. Questo è il desiderio più
profondo del Concilio: che la Chiesa si risvegli nelle nostre anime. Maria ci
indica la via»
[xxxii].
La Chiesa
vive in una terra dolorosa, drammatica e magnifica. La nostra epoca è,
sicuramente, un’epoca di grandi passaggi e presenta i tratti di una «notte
oscura collettiva»[xxxiii].
Tra le caratteristiche di questa epoca c'è il predominio del
razionalismo, che ha plasmato una cultura che tende, attraverso le varie
scienze, a manipolare le realtà naturali, lo spirito e, perfino, la vita umana.
Per cui, l'umanità rischia di diventare vittima di un mero positivismo del
«fare» e dell'«avere». La risposta della Chiesa a questa notte è essere Amore,
perché - come afferma il titolo di un piccolo volume di Balthasar -
«solo l'amore è credibile». Senza amore fino all'unità, non c'è
credibilità. Ed ecco perché Maria «ci indica la via».
Maria è:
Amore accolto, Amore corrisposto, Amore condiviso.
28. Amore
accolto. Durante tutta la sua esistenza, Maria riceve tutto da Dio. Sta qui
la sua straordinaria missione, che si prolunga nella Chiesa: tutto ha origine da
Dio, viene dall’alto. Maria è colei che si rende accogliente. Così
nell’annunciazione e nel concepimento verginale. Lei stessa lo ha testimoniato
nel Magnificat: «Il Signore ha fatto grandi cose in me… ha guardato l’umiltà
della sua serva», come ha evidenziato mettendosi in uno stato di continua
accoglienza e contemplazione del Dono: «conservava queste cose meditandole
nel suo cuore».
Amore
corrisposto. Colmata
dalla grazia di Dio, Maria è, con tutta sé stessa, risposta incondizionata al
Signore. Si consegna totalmente al disegno di Dio e lo percorre fino in fondo.
E’ «colei che ha creduto», così la definisce Elisabetta, e così la
possiamo cogliere in tutte le situazione del suo «pellegrinaggio della
fede»: da Nazareth alla fuga in Egitto, a Cana di Galilea, al Gòlgota, al
Cenacolo.
Amore
condiviso.
Maria, essendo tutta di Dio, condivide la sua stessa passione per l’uomo, per
ogni uomo. Nel suo accorrere alla casa della cugina Elisabetta, nel suo porgere
Gesù bambino ai Magi venuti dall’oriente, nella sua premura per gli sposi nelle
nozze di Cana, nel suo divenire madre di Giovanni e di tutti noi, nulla
trattiene per sé e tutto dona, senza riserve.
Da Maria, la
Chiesa impara a realizzare il profilo che il Concilio ha disegnato di lei: ad
essere totalmente immersa nel Mistero, a farsi Comunione in tutti gli aspetti
della sua vita, a proiettarsi verso la Missione.
Ogni volta
che parliamo e cantiamo della Vergine Maria, parliamo e cantiamo della Chiesa,
parliamo e cantiamo di ciascuno di noi:
Ave regina
dei cieli
Ave,
signora degli angeli,
porta e
radice di salvezza,
rechi nel
mondo la luce.
Godi
vergine gloriosa,
bella tra
tutte le donne.
Salve, o
tutta santa,
prega per
noi Cristo Signore
[xxxiv].
Vostro nel Signore,
+ Gianfranco, vescovo
Termoli,
dalla Casa Vescovile, 2 Febbraio 2008.
Festa della
Presentazione del Signore
Giornata della Vita Consacrata.
Note:
[i]
cfr. Sant’Agostino, Commento alla lettera di Giovanni.
[ii]
Sant’Agostino, De catechizandis rudibus, VI, 10.
[iii]
Cfr. P. Coda, Dio che dice Amore, p.
[iv]
cfr. idem De Trinitate, VIII,10,14.
[v]
cfr. P. Coda, Dio che dice Amore, cap. V.
[vi]
cfr. Deus Caritas est, 12.
[vii]
cfr. S. Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Giovanni, pp194-200.
[viii]
Cfr. P. Coda, ivi
[ix]
cfr. Unitatis redintegratio, 10.
[x]
cfr. Mt 5, 45 e R. Cantalamessa, Noi predichiamo Cristo Crocifisso,
pag. 118.
[xi]
Sant’Agostino, Confessioni, X, 27.
[xii]
B. Pascal. Pensieri, 806.
[xiii]
cfr. Deus Caritas est, 15.
[xiv]
Sant’Agostino, Trattati su Giovanni 17, 7-9.
[xv]
cfr E. Fromm, L’arte di amare, p. 18.
[xvi]
Nella individuazione delle caratteristiche dell’arte di amare mi sono
ispirato al testo L’arte di amare, di Chiara Lubich, Città Nuova
Editrice, 2005.
[xvii]
Madre Teresa di Calcutta, Tu mi porti l’amore, Roma 1977, p. 48.
[xviii]
cfr. Novo millennio ineunte, 42.
[xix]
Giovanni Crisostomo, in Ep. Ad Rom., 2,42, PG 60,605.
[xx]
cit. in W. Muhs, Parole del cuore, Milano 1996, p. 82.
[xxi]
An-Nawawi, Quaranta Hadith. CESI, Hadith 13, riferito da Bukari e
Muslim, p. 64.
[xxii]
cfr. Novo millennio ineunte, 43
[xxiii]
C. Lubich, L’arte di amare p. 97.
[xxiv]
cfr. Novo millennio ineunte, 42.
[xxv]
S. De Fiores, Spiritualità contemporanea, in Nuovo Dizionario di
Spiritualità, Roma 1978, p. 1535.
[xxvi]
F.X. Van Thuan, Scoprire la speranza, Roma 2006, p. 70.
[xxvii]
F.X. Van Thuan, Testimoni della Speranza, Roma 2000, p. 211.
[xxviii]
Apostolicam Actuositatem, 10.
[xxix]
cfr. CEI, Con il dono della carità dentro la storia, n. 10.
[xxx]
cfr. Redemptor Hominis, 14.
[xxxi]
Gaudiun et Spes, 1.
[xxxii]
cit. in F.X. Van Thuan, Testimoni della Speranza, p. 243.
[xxxiii]
cfr. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V,3 (1982), Città del
Vaticano 1983, pp 1141-1142.
[xxxiv]
dalla liturgia.
Fonte :
www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/vis_diocesi.jsp?idDiocesi=200
Lettera pastorale per la Quaresima 2008 di
S.E. Rev.ma Mons. Gianfranco DE LUCA , Vescovo di Termoli-Larino .
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