lunedì 11 luglio 2022

La bellezza secondo le Sacre Scritture, di Rinaldo Fabris


La bellezza secondo le Sacre Scritture

di Rinaldo Fabris





È un tema inconsueto quello della bellezza nella Bibbia. In passato l'interesse prevalente era per la verità, soprattutto pratica, e pertanto per la morale.
Ogni realtà creata, secondo la bibbia, è ambivalente, ha potenzialità positive e negative. Questo vale per la bellezza, come per la conoscenza, il potere, il possesso dei beni. L'ambivalenza contiene un appello alla responsabilità, alla decisione, alla scelta delle creature umane.
La bellezza nell'ambito biblico è inserita nell'orizzonte della fede in Dio come fonte e modello di ogni splendore e bellezza.
La bellezza viene integrata, redenta, o forse riscattata dalla sua ambivalenza grazie all'impegno etico e alla dimensione spirituale. Lo spazio dato alla bellezza nel Primo Testamento non riguarda tanto le forme pittoriche o architettoniche (ad eccezione del tempio), quanto la creazione, l'essere umano e in particolare alcune figure in cui la bellezza fisica si coniuga con la bellezza morale.

La "bellezza" nel Primo Testamento
Data l'estensione dei testi in esame si tratta di operare una lezione dei tratti fondamentali.

Il lessico della "bellezza" nella bibbia ebraica e greca
Japheh e Tov sono termini ebraici traducibili con splendido, decoroso, ben riuscito, piacevole, in forma. In greco i termini sono kalòs e agathòs: bello e buono, soprattutto nel senso di sano, forte, eccellente, ben composto, adatto. La distinzione tra aspetto etico ed estetico non è così netta.

La "bellezza" nella creazione (Gen 1,1-2,4a)
L'«E Dio che vide che era tutto molto buono/bello», con cui si conclude il racconto della creazione indica non tanto la dimensione di ordine e di armonia del creato, quanto la reazione emotiva, estetica, che fa star bene, di sorpresa, di fronte all'opera compiuta. È l'aspetto gratuito della bellezza, che non serve a niente se non alla contemplazione.
Nel bello sono implicite le dimensioni della gratuità e dello stupore.
Il primo ambito in cui confluisce l'esperienza estetica ebraica è la narrazione, la composizione, il testo. La prima pagina della bibbia, che va recitata, contiene il ritornello (sette volte): Che bello! La parola di Dio crea una cosa splendida che desta stupore e ammirazione.
L'ammirazione estetica del mondo creato, uscito bello/splendido dalle mani di Dio è espressa mirabilmente dal salmo 104, che passa in rassegna le opere di Dio che suscitano l'emozione ammirata del "che bello!".
Sempre a questo proposito abbiamo una riflessione più pacata e interiorizzata nelle riflessioni di Gesù ben Sira', il Siracide (42,15-43,33). L'ultima parte delle sue lezioni celebra la gloria di Dio nel mondo e nella storia, che ha la sua massima concentrazione nel tempio e nella liturgia.
Nel libro della Sapienza (13,1-9) viene criticato il culto delle divinità astrali, il bisogno di rivestire di sacralità il mondo che suscita ammirazione. La radice profonda dell'idolatria sta nell'ambivalenza del mondo creato che affascina ed attira con il rischio di confonderlo con la potenza numinosa che sta oltre la bellezza visibile.
Pensiamo oggi di essere immuni da questa tendenza idolatrica di rivestire la realtà di caratteri divini. Ma che dire del nostro atteggiamento, spesso di adorazione, di fronte alle realtà tecnologiche?

La "bellezza" dell'essere umano creato da Dio (Ez 28,1-15)
Al centro dell'opera creatrice di Dio compare l'essere umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio, riflesso del suo splendore/grandezza tra il mondo dei viventi.
Il salmo 8, nei versetti dal sei al nove, la bellezza e lo splendore di Dio si concentrano e si riflettono sul volto dell'uomo.
Nell'elegia di Tiro, che si trova in Ezechiele, l'essere umano è presentato come un principe che vive in un parco regale, ricco di acque, di piante, di animali e di ogni pietra preziosa. Ma l'iniquità, l'abuso di potere, deturpa la bellezza. L'uomo, riflesso della bellezza di Dio, ha tentato di prenderne il posto. È quanto si dirà più prosaicamente in Genesi 2,8-14. Il massimo di armonia, di pienezza, di ricchezza, di preziosità, può diventare una sfida per l'uomo che non sa più riconoscere la dimensione di dono della realtà, la sua gratuità. Se l'etica non è l'abuso, ma vivere il dono e la gratuità, allora c'è molta affinità con l'estetica.

I campioni della "bellezza"
Le mogli dei patriarchi sono presentate come donne di grande fascino, di bell'aspetto, che fanno innamorare i loro futuri mariti al primo sguardo. Lo stesso vale per le donne di re David.
David è presentato come bello, capace di suonare, e di strappare il capretto dalle fauci del leone. Il figlio Assalonne è presentato come molto bello, e la sua bellezza diventerà anche la sua trappola. La bellezza ha risvolti ambivalenti.
Come sostiene il libro dei Proverbi nel descrivere la donna saggia che sa bene amministrare la propria casa, afferma che oltre la bellezza quel che conta è il timore di Dio.

Le realtà che riflettono la bellezza di Dio.
Nei salmi 19 e 119 si celebrano le bellezze e il fascino della parola di Dio, della legge.
La città di Gerusalemme è presentata come immagine della città ideale, accogliente e sicura (salmo 48 e 122; Isaia 60 e 62).
Il tempio, costruito da Salomone, è oggetto di grande stupore e meraviglia, ed è l'ambito in cui il popolo si ritrova per celebrare le grandi opere di Dio. Gesù ben Sira' tesserà un elogio ammirato della liturgia del tempio (Sir 50,1-21).
Il piccolo popolo di Israele ha rinunciato a fare immagini per poter avere l'unica immagine del Dio invisibile, riflessa nell'immagine dell'uomo, attraverso la valorizzazione della parola come massima concentrazione della bellezza.

La "bellezza" nel Nuovo Testamento

Qui la dimensione estetica ha una dimensione più sobria rispetto al panorama offerto dal Primo Testamento e più centrata sulla spiritualità e sull'etica. Non ci sono né edifici, né santuari, né liturgie. L'aspetto visivo è molto contenuto, nei piccoli libretti scritti in greco per un pubblico popolare.
"Evangelo"
La proclamazione della fede in Cristo Gesù viene chiamata "euaggèlion", cioè bella, buona e gioiosa notizia. Quindi una notizia anche affascinante.
Nel prologo del quarto vangelo si ha la dimensione irradiante del buon annuncio. La parola che era con Dio, che è stata all'origine di tutto, che dà coesione al tutto, è vita che diventa luce che illumina gli uomini.
Questa parola non è qualcosa di teorico, ma è la persona concreta di Gesù Cristo, per mezzo del quale viene a noi la pienezza del dono. È luce e gloria che noi "contemplammo". Lo splendore di Dio ha il volto concreto del figlio. (Gv 1,1-5.14)
Ma come si fa a dire bella, gioiosa la notizia del Cristo condannato alla morte oscena della croce?

Evangelo come "bell'annuncio"
Il regno di Dio viene annunciato come reintegrazione dell'armonia e come splendore della creazione. Gesù dai racconti evangelici viene presentato nella sua azione di reintegrazione di una umanità disgregata, di persone divise, di persone allontanate dalla convivenza perché ritenute pericolose (guarigioni, liberazioni da potenze negative come nel caso dell'indemoniato di Gerasa...). L'azione bella, estetizzante di Gesù appare nel restituire all'essere umano la sua libertà e integrità.
Anche i gesti di accoglienza e di perdono si collocano su questa linea, come restituzione della persona alla sua libertà e integrità ("ti sono perdonati i tuoi peccati").
Le "belle parole" di Gesù, le parabole non sono racconti tesi a insegnare una morale, ma offrono scorci di altri orizzonti, di altre armonie, attraverso il piacere del racconto. Gesù non fa prediche, ma ha il gusto del racconto gratuito che prende lo spunto dal gesto del contadino, dal sale, dal lievito... È un amante del raccontare bello, che traspone nella narrazione la bellezza dell'agire di Dio, che reintegra l'essere umano diviso e disperso.
Del volto di Gesù e del suo splendore si parla solo in occasione della trasfigurazione, della preghiera sul monte, prima dell'epilogo cruento della sua vita.
Gesù riflette l'aspetto luminoso, bello, affascinante di Dio ("il suo volto divenne luminoso"). Questo bello però non è da catturare, da possedere, da controllare, come vorrebbe fare Pietro. L'invito è all'ascolto ("questi è il mio figlio. Ascoltatelo!"), e l'ascolto suppone abbandono e fiducia.

La bellezza che salva il mondo (2Tm 1,9-10)
È la bellezza paradossale, la bellezza della morte oscena.
La morte oscena di Gesù viene presentata come rivelazione della bellezza di Dio, nel contesto dell'amore portato sino all'estremo. Il crocifisso diventa fonte di vita nel momento del massimo degrado e deturpazione dell'essere umano.
Paolo parla dell'annuncio di un messia crocifisso come sapienza e potenza di Dio, mentre i giudei cercano i miracoli, il Dio forte e i greci la sapienza, l'armonia che dà ordine. (1Cor 1,17-25).
È la bellezza rovesciata: la sapienza è nella stoltezza e la potenza nella debolezza della croce, la bellezza nella bruttezza. È quanto ha intuito anche Dostojevskij: l'amore può trasformare l'insipienza e l'impotenza di un crocifisso nella bellezza. È la bellezza che salva il mondo.
Il superamento del negativo attraverso l'obbedienza, come amore fedele a tutti, è indicato nel famoso brano della lettera ai Filippesi (2,6-11). La manifestazione della bellezza intrinseca del mondo e della storia avviene grazie all'immersione di Gesù nel mondo e nella storia per dare un senso al negativo.
Sempre in questa lettera Paolo invita i cristiani di Filippi a scegliere quei valori che sono belli e coi quali si concretizza la rivelazione dell'amore di Dio (Fil 4,8-9).
Nell'elogio dell'amore (1Cor 13,1-13) la bellezza etica, che è l'amore portato alla massima intensità, coincide con la realtà stessa di Dio. Nella descrizione delle quindici qualità dell'amore c'è il ritratto di Gesù Crocifisso. Dio che non ha nome e immagine ha i tratti visibili di Gesù, del Gesù che si è appassionato dei poveri e dei malati e che alla fine, per restare fedele agli amici e a Dio come figlio, affronta la morte di croce.
Il progetto del mondo bello creato da Dio, con il giardino dove ci sono le piante della vita, della piena comunione, lo ritroviamo alla fine, nell'ultimo libro, nel sogno realizzato di una città bella, in cieli e terra nuova. In mezzo c'è il crocifisso, cioè il male riscattato, il negativo trasformato non grazie a gesti miracolistici, ma attraverso la fedeltà dell'amore.



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