venerdì 27 giugno 2025

Madonna del Perpetuo Soccorso: storia e simbolismo dell'Icona, Arciv. Alfonso V. Amarante C.Ss.R.


Madonna del Perpetuo Soccorso
Storia e simbolismo dell'Icona

Arciv. Alfonso V. Amarante C.Ss.R.




Sommario
In occasione del 150° anniversario del ripristino alla pubblica de­vozione dell’icona della Madonna del Perpetuo Soccorso, il presente con­tributo ricostruisce le tappe salienti dell’arrivo della sacra effige prima a Roma e poi dell’acquisizione di essa da parte dei Redentoristi. La pri­ma parte della storia dell’icona della madonna del Perpetuo Soccorso, cioè del suo arrivo a Roma, ben ricostruita da vari studi di settore, è sospesa in un’aurea di leggenda che diventa storia verificabile a partire dalla metà del XV secolo. La seconda parte del contributo a partire dal­l’esegesi cromatica dei colori della tavola mariana, cerca di offrire una lettura del messaggio che scaturisce dalla stessa icona in una chiara prospettiva redentiva che diventa speranza certa per tutti i credenti.


“Fatela conoscere in tutto il mondo”. Con questa esortazione papa Pio IX affidò all’allora superiore generale della Congregazione del Santissimo Redentore, p. Nicholas Mauron (1818-1893), l’icona della Madonna del Perpetuo Soccorso per ripristinarla alla pubblica devozione, l’11 dicembre 1865, nella Chiesa di S. Alfonso in via Merulana a Roma.

A 150 anni di distanza, il 27 giugno 2015, in concomitanza con la festa liturgica di Nostra Madre del Perpetuo Soccorso, il padre generale Michael Brehl, ha convocato ufficialmente l’An­no Giubilare dedicato alla sacra icona, che si concluderà il 27 giugno 2016. Nella lettera di indizione del Giubileo il Generale dei Redentoristi ha sottolineato come il mandato di far conoscere Maria ha accompagnato la vocazione missionaria dei redentoristi rivolta soprattutto ai più abbandonati, ma spesso la ha preceduta con la sua grazia e tenerezza: «ci rendiamo conto che non siamo stati tanto noi a portare Maria ma è stata piuttosto lei a portarci col suo affettuoso abbraccio e il suo perpetuo soccorso»[1].


LA  STORIA

1. – Una data di nascita complicata

Nella spiritualità dell’uomo religioso, le immagini sacre non risultano belle per il proprio valore artistico ma per la realtà trascendente a cui rimandano. Così nelle immagini mariane trovia­mo la Madre, la discepola, il punto di riferimento, l’Amica, la compagna di viaggio. Nell’avvincente e travagliata “Storia” dell’icona della Madonna del Perpetuo Soccorso, redatta dal p. Ernesto Bresciani (1838-1919), sospesa tra cronologia e leggenda, apologetica e tradizione orale, possiamo toccare con mano come la volontà divina si interseca inscindibilmente alle intricate vicende umane dei protagonisti, rendendole storia di salvezza[2]. La storia di questa icona è stata oggetto di diversi studi, così come si accenna nella nota due, qui cercheremo di seguire la sua vicenda facendo interagire alcuni contributi redatti nel corso di 150 anni.

Ci troviamo di fronte ad un’icona, del genere dell’Odigitria, vale a dire “colei che indica il cammino”. Secondo quanto scrive il Bresciani risale al XIII-XIV secolo. Stando al Cattapan la sua datazione è da retrodatare tra il IX e l’XI secolo, mentre per il Ferrero è successiva, XV-XVI secolo. Già questa prima discrepanza di dati non aiuta lo studioso che si avvicina ad essa. A questa divergenza dei dati storici va aggiunto che i risultati scientifici condotti durante il restauro, guidato dal Marrazzo, all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, datano il manufatto ligneo tra il XIV e il XV secolo mentre la pellicola pittorica è databile tra il XVIII e il XIX secolo. In questa sede si cercherà unicamente di ripercorrere velocemente la storia dell’icona fino al 1866 per poi soffermarsi sul messaggio. In questo viaggio il Bresciani ci farà da nocchiere.

2. – Il mercante colpevole e la bambina innocente

Il Bresciani – il primo autore redentorista che ha scritto sulla Madonna del Perpetuo Soccorso – narra che le prime notizie sull’icona risalgono al termine del XV secolo, quando secondo la tradizione un mercante trafuga da un santuario sull’isola di Creta, l’effigie veneratissima per i molti prodigi che le erano attribu­iti[3]. Queste notizie riportate dal Bresciani si trovavano accanto all’icona su due tabelle[4] (cartigli) scritte una in lingua latina e l’altra in italiano antico o volgare databili al 1600. «Di capitale importanza per la nostra icona è il testo della Tabella esistente in S. Matteo, integralmente trascritto dal Torrigio nel 1642 e due volte dal Bruzio nel 1661 c […] il teste più antico e decisivo, Fra’ Mariano da Firenze (1518)»[5].

Senza voler entrare nella diatriba della datazione e delle stesse tabelle, e dando per verosimile il racconto che narra come l’immagine sacra sia giunta a Roma, il motivo per cui il mercante trafuga l’immagine ci è sconosciuto. Infatti il racconto pone in sé molteplici domande: Il mercante conserva l’icona solo per sé per invocare una protezione potente? Per ricavarne una fortuna rivendendo in Occidente la preziosa reliquia? Per sottrarla alla profanazione? Se bisogna dar credito alla storia riportata dal Bresciani, bisogna leggerla nell’ottica della divina Provvidenza che, tutto sa e guida, come conosce la destinazione che le aveva designato: Roma, la città eterna. Il mercante vi giunge, dopo un anno di tormentata navigazione, malato gravemente. Trova rifugio presso un amico che lo accudisce nei sui ultimi giorni. Il mercante, probabilmente pentito, gli affida l’icona, ne confida il segreto e gli strappa una promessa: al più presto la riconsegni al culto pubblico perché possa ricevere la giusta venerazione.

Il Bresciani, prosegue nel suo racconto, figlio delle doppia tabella, affermando che la moglie dell’amico si invaghisce dell’immagine e la vuole tutta per sé costringendo il marito a non assolvere alla promessa. La Vergine, attraverso molte apparizioni a tutti i membri della famiglia, manifesta il desiderio di vedere la propria immagine esposta in un santuario. Gli ammonimenti vengono ignorati finché la Madonna non appare per diversi gior­ni alla piccola figlioletta, rivelandone anche il nome con cui vuole essere conosciuta: “Madre del Perpetuo Soccorso” e indicando il luogo preciso dove vuole essere posta: “nella Chiesa di San Matteo, situata in via Merulana, tra Santa Maria Maggiore e San Giovanni in Laterano”. Interrogata dai familiari su chi fosse la bellissima signora che le appariva in sogno, la bimbetta indica senza esitazioni la Madre del Perpetuo Soccorso raffigurata nel­l’icona. Finalmente convinta, la madre, anch’essa ammonita più volte in sogno, obbedisce e racconta ai padri agostiniani che ave­vano in cura la chiesa la prodigiosa storia e il desiderio della Vergine. La notizia si sparge velocemente in tutta la città e la traslazione, svoltasi il 27 marzo 1499, si trasforma in una solenne processione[6].

Al di là del racconto e dell’enfasi utilizzata, più fonti concordano sul fatto che l’immagine sia stata portata nella chiesa di San Matteo il 27 marzo del 1499.

3. – Il frate devoto e il giovane diligente

Stando al Bresciani, seguono trecento anni di culto ininterrotto, durante i quali, precisamente nel 1708, il cardinale Francesco Nerli (1636-1708) la proclama “Miraculorum Gloria Insignis”, per gli innumerevoli prodigi e grazie ottenute per interces­sione della sacra effigie.

Nel 1798 le truppe napoleoniche invadono la capitale, esiliando il papa Pio VI. Con l’idea di riassettare l’urbanistica della città capitolina, sono distrutti molteplici conventi e chiese. La chiesetta di san Matteo non fu risparmiata, anzi fu completamente rasa al suolo[7]. Ma la sacra icona ancora una volta fu salvata miracolosamente grazie all’intervento in extremis di un frate. Gli agostiniani, quando lasciarono la chiesa di San Matteo, si trasferirono prima nella chiesa di Sant’Eusebio e poi trovarono ricovero nel convento di santa Maria in Posterula, portando con sé l’icona.

In questa chiesa già si venerava la Madonna delle Grazie. La nostra icona venne relegata in una cappella privata del convento, senza ornamenti né atti di devozione particolare. Fu gradualmente dimenticata dai devoti e divenne sconosciuta a molti. Ma è forse meglio dire a quasi tutti, poiché c’era qualcuno che non dimenticò mai la forza prodigiosa della sacra immagine. Frate Agostino Orsetti, era un giovane religioso formatosi nella comunità di san Matteo. Non aveva mai cessato di innalzare fervorose preghiere né mai si spense in lui il ricordo dei numerosi miracoli ottenuti per intercessione della madre del Perpetuo Soccorso. Il frate soleva soffermarsi spesso a pregare proprio nella cappella dove veniva custodita l’icona. Il giovane Michele Marchi (1829-1886), futuro missionario redentorista, frequentava frate Agostino il quale gli parlava con ansietà e tristezza della sacra effigie per lo stato di abbandono in cui versava. Il suo desiderio era che ritornasse agli antichi splendori.

4. – L’archivista e l’ex chierichetto dalla memoria grata

Quando la memoria della sacra icona sembrava irrimediabilmente perduta e sepolta, ecco che le vicende di nuovi personaggi ed eventi fanno sì che il disegno della Vergine e il desiderio di frate Agostino e del mercante cretese trovino la strada della realizzazione.

Per i missionari redentoristi, ormai presenti in buona parte dell’Europa e in Nord America, si manifesta la necessità di avere una Casa Generalizia a Roma, dunque, nel gennaio 1855 acquistano “Villa Caserta” su via Merulana[8]. Nell’area del giardino della villa fino al termine del secolo precedente sorgeva la chiesa di San Matteo dove era stata custodita per circa tre secoli l’effige della Madonna del Perpetuo Soccorso. Essendo divenuta nel frattempo residenza privata, l’urgenza più impellente che si manifesta per i redentoristi era costruire una chiesa, che poi dedicheranno al loro padre fondatore sant’Alfonso Maria de Liguori (1696-1787) e dove sarà esposta la sacra effige.

Nel 1855 Michele Marchi vede accolta la sua richiesta di entrare tra i Redentoristi dove professerà i voti di consacrazione il 25 marzo del 1857. Qualche anno dopo, il cronista della comunità di via Merulana avvia una ricerca archivistica sulla casa. Scavando tra gli autori che riportavano le antiche usanze religiose romane, scopre che proprio nella area della Casa, probabilmente nel giardino di Villa Caserta, sorgeva una piccola chiesa dedicata a san Matteo[9], tenuta dai padri agostiniani irlandesi, nella quale si venerava l’icona della Madre del Perpetuo Soccorso. Il cronista si appassiona alla vicenda e ne parla alla comunità. La sua indagine però ad un certo punto si arena perché le cronistorie rinvenute si fermavano sempre all’invasione napoleonica e alla distruzione della chiesa. Tra i confratelli vi è il padre Michele Marchi che, appena udito della Madonna del Perpetuo Soccorso, dei padri agostiniani e della chiesa di san Matteo, subito afferma che sa bene dove si trovava l’immagine e riporta con dovizia di particolari i racconti fervorosi con cui frate Agostino lo istruiva, segnalando lo stato di abbandono in cui versava l’immagine «senza culto alcuno, senza ornamento di sorta e quasi abbandonata e senza nemmeno una lampada accesa e per lo più tutta impolverata»[10].

Nello stesso tempo, esattamente nel 1863, il predicatore gesuita p. Francesco·Blosi[11], durante i sabati mariani decanta le meraviglie di questa immagine che una volta si trovava tra le due basiliche papali. Due anni dopo, il padre generale dei redentoristi, Nicola Mauron, con un memoriale ufficiale, scritto dal p. Marchi, chiede al papa che l’icona ritorni laddove ella stessa ha sempre desiderato essere. Pio IX di proprio pugno, accoglie la supplica scrivendo sul retro della richiesta:

11 decembre 1865. Il Cardinale Prefetto di Propaganda chia­merà il Superiore della microscopica Comunità di S. Maria in Posterula, e gli dirà essere Nostra Volontà, che la Immagine di Maria SS.ma di cui tratta la supplica, torni fra S. Giovanni e S. Maria Maggiore; con obbligo però del P. Superiore de’ Liguorini di sostituire altro quadro decente. Pius PP. IX[12].

Il 19 gennaio i pp. Marchi e Bresciani, consegnarono al p. Geremia O’Brien, Priore di S. Maria in Posterula, una missiva del Generale dei Redentoristi:

M. R. P. Priore
Nella conversazione avuta ieri con V. R. riguardo alla Madonna dell’antica chiesa di S. Matteo, che secondo le disposizioni prese dal S. Padre, e comunicate a V. R. per mezzo di S. E. il Card. Barnabò, Prefetto della S. C. di Propag. Fide, dovrebbe essere di nuovo esposta al culto pubblico sul nostro Esquilino, promisi a V. R. che, al quadro decente da sostituirsi da me alla detta Madonna per ordine di Sua Santità, avessi aggiunto un dono gratuito in favore della Comunità Sua di S. Maria in Posterula.
Vengo dunque per mezzo del latore ad esibirle una offerta di scudi cinquanta in onore di Ma S.ma e di S. Agostino. Prego inoltre V. R. di farmi sapere se desidera una copia della stessa Madonna antica, o un altro quadro di diverso oggetto che farò eseguire in modo di appagare le Sue brame[13].

Dopo che i padri Bresciani e Marchi consegnano l’offerta al Priore di Posterula l’icona è portata presso la comunità dei Redentoristi in via Merulana.

Oltre all’offerta in danaro, è consegnata il 20 giugno del 1866 al p. O’Brien, Priore degli Agostiniani in Posterula, una copia fedele dell’icona, così come prescriveva il rescritto pontificio. Questa notizia è confermata da un biglietto del 20 giugno 1866 scritto e firmato sia dal p. Marchi sia dal p. Geremia O’Brien.

Essendosi il sottoscritto p. Marchi, in nome del R.mo p. Nicolò Mauron Sup. Gen. della Congregazione del SS. Redentore, portato il dì 19 gennaio del corrente anno 1866 al Convento dei RR. PP. Agostiniani in Posterula; gli fu consegnato dal M. R. P. Priore l’immagine miracolosa della Madonna venerata sotto il titolo del Perpetuo Soccorso.
Siccome poi a tenore del rescritto Pontificio, in data del dì 11 dicembre 1865, il suddetto R.mo p. Mauron doveva sostituire altro quadro decente, ed avendo il lodato p. Priore chiesto una copia di essa veneranda Immagine: quindi è che lo stesso p. Marchi ha portato in quest’oggi la copia fedele richiesta, e l’ha consegnata al prelodato p. Priore.
In fede di che, amendue [sic] si sono sottoscritti di proprio pugno.
Fr. Geremia O’Brien Priore
Roma, 20 giugno 1866
Michele Marchi della Cre del SS.mo Redentore[14].

Nel gennaio del 1866 quando l’icona della Madonna del Perpetuo Soccorso è portata presso la comunità dei Redentoristi ci si rende conto che aveva bisogno di vari interventi. Il restauro è affidato al pittore polacco Leopoldo Nowotny (1822-1870).

Terminato il restauro il 26 aprile 1866, l’immagine viene finalmente esposta al pubblico, aprendo una nuova stagione di diffusione della devozione grazie all’apostolato missionario dei redentoristi, di cui la Madonna è sempre stata compagna di viaggio. Nel 1994 un nuovo restauro ha permesso uno studio scientifico più approfondito: l’analisi del radiocarbonio 14C fa risalire il legno dell’icona al periodo compreso tra il 1300 e il 1450. Dalle indagini diagnostiche risulta che l’attuale Icona è stata dipinta alla fine del XVIII secolo. Probabilmente, l’artista dell’epoca, nel copiare l’originale, ormai deteriorato, ha occidentalizzato alcuni elementi della primitiva iconografia orientale[15]. Utilizzando questi canoni artistici ha reso l’immagine familiare alla nostra sensibilità estetico artistica.

In breve tempo la venerazione verso l’icona della Madonna del Perpetuo Soccorso si consolida e si diffonde per mezzo dei Redentoristi. A motivo di questa diffusione del culto, a Roma iniziarono a circolare voci secondo cui i redentoristi avessero “quasi rubata ai RR. PP. Agostiniani il quadro della Madonna del perpetuo soccorso”. Il Bresciani nel 1889 rispondendo al redentorista p. Eduard Douglas (1819-1898), su questa vicenda, ricorda ancora una volta come erano andati i fatti circa l’acquisi­zione dei redentoristi del quadro della Vergine:

Sento con dispiacere dalla Sua veneratissima del 20 spirante mese, che costà qualcuno vada dicendo aver noi quasi rubata ai RR. PP. Agostiniani il quadro della Madonna del perpetuo Soccorso: Chi dice questo, o ignora i fatti, o dev’essere malizioso. Mi consola però di sentire da V. R. che, per quanto si sappia, nessuno dei PP. Agostiniani abbia mai detta tal cosa. […]
Il S. P. Pio IX aveva prescritto che il nostro R.mo P. Generale dasse al M. R. P. Priore di Posterula un quadro conveniente in compenso dall’altro della Madonna del perpetuo Soccorso, ma siccome il detto P. Priore fece capire che preferirebbe un compenso in danaro per la povertà di quell’Ospizio, così il nostro P. R.mo gli mandò per mezzo del fu P. Marchi un biglietto di £ 250. Questa somma, eccedente il valore intrinseco del quadro, fu consegnata dal P. Marchi, me presente, al lodato P. Priore, il quale l’accettò con riconoscenza e ci consegnò il quadro. Ciò avvenne precisamente nel pomeriggio del 19 Gennaio 1866.
Oltre l’anzidetta somma, il nostro P. R.mo, abbondando in generosità, volle mandare allo stesso P. Priore una copia fedele della Madonna del perpetuo Soccorso, perché ne restasse perenne memoria nell’Ospizio di S. Maria in Posterula[16].

Indirettamente da questa lettera si comprende dell’imme­diato successo della divulgazione del culto della Madonna del Perpetuo Soccorso dopo anni di silenzio. Successo che in questi 150 si è rafforzato e consolidato, grazie all’opera di evangelizzazione dei Redentoristi presenti nei cinque continenti, tanto da permette alla nostra icona di diventare uno dei volti mariani più diffuso, conosciuto ed invocato a livello globale.



IL MESSAGGIO DELL'ICONA


1. – Cos’è un’icona

Il linguaggio dell’arte più che definire, evoca. Si rivolge agli occhi ma parla al cuore. E parla attraverso le forme, i colori, le sfumature, le linee, gli spazi. In campo religioso il simbolismo ha da sempre avuto un’importanza fondamentale in quanto descrive ed esalta una realtà non terrena ma soprannaturale, non descrive una realtà materiale per quanto idealizzata, ma il Trascendente. Questa consapevolezza era chiara già alla comunità apostolica fin da quando il Cristo trasfigurato gli aveva aperto gli occhi facendosi loro incontro (Lc 24,30-31). Sappiamo che il termine icona, deriva dal greco eikon e significa immagine. Nella tradizione biblica è Cristo l’immagine del Padre, incarnato per ri­velarci il suo vero volto (Col 1,15). Ma la Chiesa ha avuto sempre viva la consapevolezza di essere anch’essa, così come ogni singolo credente, immagine di Dio invisibile nella misura in cui ci uniformiamo al Cristo vivente. In Oriente, l’icona, non raffigura o rappresenta semplicemente un soggetto religioso, ma implica una vera e propria teologia visiva che fa appello alla facoltà contemplativa dello spirito.

L’icona è una finestra aperta sul mistero, non un semplice elemento decorativo ma vero e proprio sacramento (sacramentale, per essere precisi) che ci introduce nelle realtà celesti. Proprio per questo motivo le icone sono parte integrante della liturgia bizantina, invitano lo sguardo che su di esse si posa ad andare oltre, a trascendersi continuamente, per cogliere l’invisibile in esse celato. Pertanto l’icona non va ammirata ma meditata, pregata. Non a caso i canoni fissi con cui venivano “scritte” le icone, lo stile comune, l’abitudine a non griffare l’immagine hanno l’u­nico scopo di far concentrare colui che guarda solo ed esclusiva­mente sul mistero rappresentato. Di solito gli autori erano monaci, e l’immagine veniva dipinta in un clima di meditazione, pe­nitenza e preghiera, stando in ginocchio. Si immergevano nel mistero che volevano rappresentare, per lunghi giorni lo riflettevano, lo studiavano, lo pregavano, per poi raffigurarlo su legno attraverso le forme, i colori, le immagini simboliche. Sapevano che chi si sarebbe posto di fronte all’icona, non lo avrebbe fatto per deliziarsi la vista ma per pregare, meditare, perciò non tenevano conto delle forme corporee né degli elementi psicologici ma ne mostravano la forma interiore, la struttura spirituale, “visualizzata” nella contemplazione.


2. – L’esegesi cromatica degli elementi

L’icona della Madonna del Perpetuo Soccorso è di scuola cretese. Gli ultimi studi succitati permettono di collocarla in un arco di tempo molto ampio. È una pittura su tavola lignea che misura 51,8 cm di altezza per 41,8 di larghezza. Più che un’im­magine è rappresentata una scena con 4 personaggi, descritti come consuetudine dagli acrostici che la contornano[17]. In alto a destra dell’immagine c’è l’arcangelo Gabriele (contrassegnato dai simboli OAΓ) che, come ha portato l’annuncio della divina maternità a Maria, ora porta l’annuncio della passione, attraverso la croce, i chiodi e il vestito rosso, colore della carità ma anche della passione. A sinistra troviamo l’arcangelo Michele (OAM) che porta i segni dell’umanità redenta dalla Passione di Cristo (la lancia e la spugna col vaso di aceto), rappresentati dai colori verde (per l’umanità) e rosso[18].

La Vergine Maria che domina la scena, è incorniciata dai simboli ΜΡ – ΘΥ, vale a dire Madre di Dio. Nelle sfumature cromatiche troviamo mirabilmente sintetizzata tutta la teologia mariana e un’anticipazione dei dogmi sulla Vergine. Per coprire i capelli e così eliminare ogni segno di voluttà e vanità femminile, Maria è rivestita di una cuffia azzurra, simbolo di purezza verginale, mentre è rivestita da una tunica rossa, che simboleggia la carità materna: Maria è Vergine e Madre. Ella è completamente ricoperta da un manto la cui fodera interna si nota essere verde. Chiaro il riferimento a ciò che ella stessa dice di sé nel Magnificat: “L’anima mia magnifica il Signore… perché ha guardato l’umiltà della sua serva”. Maria, con il suo sì, si è resa docile strumento nelle mani dell’Altissimo, si è lasciata modellare dalla grazia, adombrare completamente dallo Spirito che ha reso l’umile ancella di Nazareth, la Madre di Dio e Madre nostra, la Regina degli Angeli e dei Santi.

Anche nella figura del Bambin Gesù troviamo una sintesi cristologica. Egli ha, alla destra del suo capo, i caratteri IC – XC (Gesù Cristo) ed è l’unico che compare a figura intera. A rappresentare l’incarnazione, vi è la tunica verde di cui è completamente rivestito, ma è ricoperto di un manto dorato segno della divinità, ad indicare la doppia natura: Cristo è vero Dio e vero uomo. Ed è cinto del rosso della carità, così come ci ha mirabilmente insegnato nell’ultima cena quando per sintetizzare la sua vita e la sua morte, alla vigilia della sua passione, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1)[19].


3. – Il messaggio: Vergine della passione, madonna del Perpetuo Soccorso, madre della redenzione

La ricchezza di simboli racchiusi in questa immagine, gli hanno meritato una lunga serie di intitolazioni quali Vergine della Passione, Vergine dorata, Odigitria, madonna del Perpetuo Soccorso, madre della redenzione. Per i personaggi rappresentati, l’icona è catalogata come Vergine della Passione ma è più corretto affermare che troviamo qui rappresentato tutto il mistero della redenzione. Mentre scorriamo l’immagine siamo accompagnati nella casa di Maria, alla Grotta, nel Tempio, per le strade di Galilea; e poi a Gerusalemme, nel Cenacolo, sul Golgota, alla tomba vuota, per le strade del mondo, fino alla gloria dei cieli[20].

Il messaggio di speranza qui racchiuso, lo percepiamo a partire dalla postura del Bambino Gesù. C’è, infatti, un particolare controverso: la pianta del piede in mostra. Sottolineiamo che, come oggi noi parleremmo delle impronte digitali, così nella mentalità antica si dimostrava l’unicità e irripetibilità dell’individuo dall’orma del piede, dunque qui simboleggia l’umanità di Cristo. Inoltre, c’era l’usanza di stipulare i patti di alleanza sciogliendo i legacci dei sandali (cf. Rut 4,7; Salmo 60,10; Lc 3,16) per mostrare la pianta del piede. Quindi Cristo è qui rappresentato come vero Dio e vero Uomo, incarnato per la nostra redenzione, ristabilendo il Patto di Alleanza “distrutto dalla disobbedienza del peccato” (Prefazio VII del Tempo Ordinario). La vergine Maria che regge il bambino, allo stesso tempo sembra proteggerlo e donarcelo, indicandocelo. Il piccolo Gesù volgendo lo sguardo verso l’al­to, dove si intravedono anche i segni della passione, si appoggia al petto della Madre aggrappandosi alla sua mano e, in questo movimento brusco, perde il sandalo. In realtà, abbiamo già notato che nelle icone i tratti psicologici sono relativizzati, ma ancor meglio lo comprendiamo dallo sguardo di Gesù. E proprio seguendo le linee degli occhi vogliamo proporre la nostra interpretazione.

Per quanto la Vergine Maria domini la scena, il punto di fuoco dell’immagine sono le mani intrecciate di Gesù e Maria. Seguendo gli sguardi di entrambi e tracciando due linee immaginarie possiamo riflettere sulla loro cooperazione nella redenzione. Gesù quindi non sembra guardare i segni della passione, che tra l’altro sono portati solennemente, come in una processione, quasi in trionfo, come trofei. Egli guarda fuori dall’immagine e il suo sguardo è concentrato, assorto. Il vero punto di riferimento è il Padre che siede nell’alto. Maria dunque con la sua mano destra ci indica la via (Odigitria) per raggiungere il Padre, seguendo il suo figlio Gesù che lei stessa ci dona indicandoci il modo in cui soccorre perpetuamente l’umanità.

Idealmente questo braccio può essere, infatti, considerato l’umanità anelante che Maria, prima tra i credenti e modella di ogni discepolato, ricongiunge a Cristo, il quale allo stesso tempo benedice ed afferra per trascinare verso l’alto, donandoci una certezza: se anche dovessimo attraversare la valle oscura della sofferenza non saremo mai soli: «anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra» (Salmo 139,10). Il tutto sotto lo sguardo materno di Maria. Lei che ha generato il Figlio e ce lo dona continuamente, sta guardando proprio me. Lei che è stata sotto la croce e ben conosce il dolore, lei a cui è stata affidata l’umanità fragile che, continuamente tentata, tiene l’Alleanza appesa a un filo, quale madre amorevole sempre viene in nostro aiuto. Il suo sguardo è sereno, il suo braccio potente, il suo soccorso perpetuo e sicuro, perché come testimonia lo sfondo dorato, se ci rivolgiamo a lei, ella ci conduce a Cristo che ci salva da ogni male con la sua croce gloriosa e, se ci lasciamo plasmare come lei dallo Spirito, attraverseremo ogni patimento per godere un destino di gloria tra le braccia del Padre. Tutta l’icona sembra quasi che ci parli della tenerezza, della misericordia. Più che di passione, parla della speranza che diventa certezza nel mistero della redenzione.


Conclusione

Fiumi di grazia e di conversioni sono stati donati dalla Ver­gine nel pregare e meditare questa sacra icona. Attraverso la sua diffusione, insieme ai missionari redentoristi, milioni di fedeli si sono avvicinati a Dio grazie alle divozioni della Novena perpetua e della Supplica perpetua ma è ancor più bello recitare il rosario davanti a questa immagine perché ci fa ripercorrere il mistero centrale della nostra fede, la redenzione, nella sua interezza. Mentre scorriamo i misteri gaudiosi possiamo posare lo sguardo sul Bambino Gesù, Figlio di Dio incarnato per la nostra salvezza tra le braccia della Vergine Madre che ce lo offre chiedendo di essere modellati dallo Spirito come lei; con i misteri luminosi, attraverso lo sguardo contemplativo di Maria sulla vita pubblica del Cristo, siamo trasformati in ciò che meditiamo; con i misteri dolorosi, meditiamo l’amore pazzo di Dio per noi soffermandoci sui segni della passione, sulla Croce redentrice, sui fecondi sacramenti generatori di vita nuova ed eterna chiedendo di amare col suo stesso amore. Con i misteri gloriosi rafforziamo la ferma speranza del nostro destino di gloria, guidati e protetti dallo sguardo materno di Maria che ci indica la via per raggiungerla attraverso Cristo, nella gloria del Padre.





——————————————————————————–
Note:

[1] M. Brehl, Lettera circolare Celebrazione dell’anno Giubilare della Madonna del Perpetuo Soccorso, Roma 27 giugno 2015, 1.
[2] E. Bresciani, Cenni storici sull’antica e prodigiosa imagine della Madonna del Perpetuo Soccorso già venerata in S. Matteo in Merulana e ridonata al culto publico nella chiesa di S. Alfonso sull’Esquilino, Tip. della S. C. de propaganda Fide, Roma 1866, 14-28. Sull’icona mariana della “Madonna del Perpetuo Soccorso” gli studi che offrono maggiore dati sulla sua storia, in ordine cronologico dopo quelli del Bresciani, sono i seguenti: E. Bresciani, Breve relazione sull’antica e prodigiosa Imagine della Madonna del Perpetuo Soccorso che si venera in Roma nella chiesa di S. Alfonso pubblicata dappoi la solenne coronazione di essa veneranda imagine […],Tip. della S. C. de propaganda Fide, Roma 1867; C. Henze, Mater de perpetuo succursu: prodigiosae iconis marialis ita nuncupatae monogra­phia, Collegium Iosephinum, Bonnae1926; F. Ferrero, Nuestra Señora del Perpetuo Socorro. Proceso histórico de una devoción mariana, Editorial el Perpetuo Socorro, Madrid 1966; A. Sampers, Circa traditionem BMV de Perpetuo Succursu, in SHCSR 14 (1966) 208-218; M. Cattapan, Precisazioni riguardanti la storia della Madonna del Perpetuo Soccorso, in SHCSR 15 (1967) 353-381; E. Buschi, Santa Maria del Perpetuo Soccorso, Scuola Tipografica “Città Bianchi”, Veroli 1968; F. Ferrero, Nuestra Señora del Perpetuo Socorro. Información bibliográfica y cronología general, in SHCSR 38 (1990) 455-502; F. Ferrero, Santa María del Perpetuo Socorro. Un icono de la Santa Madre de Dios, Virgen de la Pasión, PS Editorial, Madrid 1994. Presso l’archivio della comunità dei missionari Redentoristi di Venezia è conservata una recensione non pubblicata, a cura del Buschi, ad un libro del Cattapan sulla Madonna del Perpetuo Soccorso anche questo mai pubblicato. Nella recensione del Buschi si confermano i dati raccolti dal Cattapan, presentati in parte nell’articolo edito in SHCSR nel 1967, circa l’origine e la datazione della tavola della Madonna del Perpetuo Soccorso. L’ultimo studio che aiuta a chiarificare la datazione e gli interventi di conservazione e restauro realizzati sulla nostra icona è stato curato da A. Marrazzo, L’ultimo restauro dell’icona della Madonna del Perpetuo Soccorso, in SHCSR 64 (2016) 307-349. Vari studiosi sostengono che ci troviamo di fronte ad immagine “protipo” dell’Odigitria distinta dal prototipo o archetipo. In ultimo segnalo una tesi dottorale condotta presso il dipartimento di arte ed archeologia dell’università di Princeton: M. J. Milliner, The Virgin of the Passion: Development, Dissemination and Afterlife of a Byzantine Icon Type, University Princeton 2011.
[3] Questa prima testimonianza, scrive il Cattapan, è riportata da Fra Mariano da Firenze nel suo manoscritto frutto di una sua visita a Roma nel 1517. Cf. M. Cattapan, Precisazioni riguardanti la storia della Madonna del Perpetuo Soccorso, 360.
[4] La tabella in lingua latina è riportata in due opere: C. Henze, Mater de Perpetuo Succursu, 34-36; F. Ferrero, Nuestra Señora del Perpetuo Socorro, 286-288.
[5] M. Cattapan, Precisazioni riguardanti la storia della Madonna del Perpetuo Soccorso, 359. Il Cattapan riporta ciò che il Panciroli nel 1660 scrive nel suo testo su I tesori nascosti nell’alma città di Roma «Inoltre l’anno 1480; sotto il Pontificato d’Aless. VI. à dì 27. di Maggio fù questa Chiesa [san Matteo] arricchita d’una imagine di nostra Signora portata dalle parti dell’Oriente, che per li miracoli, e gratie concesse è posta nel numero delle miracolose» ivi, 364. Il Cattapan segnala come testo di riferimento Le cose meravigliose della Città di Roma, corrette ed ampliate dal R. D. Francesco Torrigo Romano di molte cose, nel presente Anno MDCXVIII. Sia il Cattapan che il Ferrero per la testimonianza di Fra Mariano ci rimandano all’opera di Fra Mariano da Firenze, O. F. M., Itinerarium Urbis Romae. Con Introduzione e note illustrative del P. Enrico Bulletti dello stesso Ordine. (Studi di Antichità Cristiana), Ed. Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Roma 1931.
[6] Il Cattapan nel suo studio offre una spiegazione della divergenza del mese dell’anno di traslazione dell’icona. Cf. M. Cattapan, Precisazioni riguardanti la storia della Madonna del Perpetuo Soccorso, 365; 367. Il Cattapan nell’ultima pagina citata riportando un ulteriore testo del Torrigo, scrive «MARZO. A dì 27 nel 1499 fu posta l’imagine della miracolosa Madonna chiamata del Soccorso nella Chiesa di S. Matteo in Merulana».
[7] Cf. F. Lombardi, Roma. Le chiese scomparse. La memoria storica della città, Palombi, Roma 1996, 90 «Nel 1798, la chiesa [di S. Matteo] ed il monastero vennero fatti demolire dal governo della repubblica romana giacobina in previsione di un riassetto urbanistico della zona mai portato a termine. Uniche memorie della Chiesa di San Matteo sono costituite da alcuni frammenti di marmi e parti del pavimento custoditi in San Giovanni in Laterano». Sulla demolizione della chiesa di San Matteo e la conseguente perdita dell’archivio, cf. anche C. Alonso, El convento agustino de S. Mateo in Merulana de Roma, in SHCSR 54 (2006) 151-184.
[8] Cf. L. Walter, Villa Caserta. Ad aureum domus generalitiae jubilaeum, F. Cuggiani, Roma, 1905.
[9] Cf. ivi, p. 36 particolarmente la pianta topografica.
[10] F. Ferrero, Nuestra Señora del Perpetuo Socorro, 301-302.
[11] Sul gesuita Giovanni Francesco Blosi (1804-1875) cf. A. Serafini, Pio Nono, Giovanni Mastai Ferretti dalla giovinezza alla morte nei suoi scritti e discorsi editi e inediti, vol. I: Le vie della Divina Provvidenza (1792-1846), Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1958.
[12] E. Bresciani, Cenni storici sull’antica e prodigiosa imagine della Madonna del Perpetuo Soccorso, 53.
[13] La lettera, presente nell’Archivio Generale dei Missionari Redentoristi di Roma, è riportata per intera in A. Marrazzo, L’ultimo restauro dell’icona della Madonna del Perpetuo Soccorso, in SHCSR 64 (2016) 308.
[14] Il biglietto è presente in AGHR, Fondo B. Mariae V. Perpetuo Succursu (PS). III, duplicato.
[15] Sul restauro e l’indagine tecnico storica dell’Icona della Madonna del Perpetuo Soccorso cf. A. Marrazzo, L’ultimo restauro dell’icona della Madonna del Perpetuo Soccorso, 318-335.
[16] Sull’acquisizione dell’Icona da parte dei Redentoristi, cf. F. Ferrero, Nuestra Señora del Perpetuo Socorro, 181-189, 301-306. Per l’Autografo del p. Bresciani testé citato cf. AGHR Fondo B. Mariae V. de Perpetuo Succursu (PS). A ben leggere questa dichiarazione del Bresciani emerge a prima vista una contraddizione circa la somma pagata. Il Mauron dichiara nel suo testo del 1866 –citato a pagina 14 di questo articolo – che per l’immagine i Redentoristi hanno donato agli agostiniani irlandesi “50 scudi”, mentre in questa lettera del Bresciani, scritta ventitré anni dopo, si parla di £ 250. A mio avviso questa contraddizione può essere spiegata nel seguendo mondo. Nel 1866 fu decisa l’introduzione della lira pontificia, dal valore equivalente al­la lira italiana. Si comprende che nel 1866 a Roma circolavano almeno due monete: cioè gli scudi e la lira. La moneta (fisica) da uno scudo era d’argento. D’oro erano monete da 2.5, 5 e 10 lire. La valuta era aurea nel senso che era possibile – almeno teoricamente – cambiare le monete nel corrispondente peso in lingotti d’oro. Lo scudo pontificio era moneta aurea. Il cambio, stando alle statistiche offerte dall’Istat, fu fissato a 5.375 lire per uno scudo. Se si moltiplica 5.375×50, si raggiunge la cifra di £ 268,75, cioè poco superiore (18 lire) a quella indicata dal Bresciani nella sua lettera spedita al p. Douglas.
[17] Circa le iscrizioni in lingua greca cf. C. Henze, Mater de Perpetuo Succursu, 1-16.
[18] Ad oggi non esiste uno studio specifico sui colori della nostra icona. Vari accenni sulla particolare cromia scelta per la sua realizzazione, che non corrisponde ai canoni cretesi classici, si incontrano nelle opere di Ferrero e Cattapan. Ci si augura che per il futuro venga condotto uno studio in questa direzione.
[19] Segnalo lo studio di Bisi e Raffa sulle icone perché è corredato da una notevole bibliografia sulla storia delle icone, sui colori e il significato: G. Biffi – G. Raffa, Luce del tuo Volto. Percorsi avanzati tra teoria e prassi, Dehoniana Libri, Bologna 2014.
[20] Cf. G. Passarelli, Iconostasi. La teologia della bellezza e della luce, Mondadori, Milano 2003.



----------------

martedì 24 giugno 2025

Devozioni popolari come culto alla passione di Gesù, di p. Felice Artuso


Devozioni popolari come culto alla passione di Gesù

di p. Felice Artuso





L’ora della Divina Misericordia

Nel secolo scorso sorge un’altra forma di devozione popolare con caratteristiche simili all’Ora Santa. Suor Faustina Kowalska, appartenente alla Congregazione della Beata Vergine Maria della Misericordia, ama il pio esercizio dell’Ora Santa. Ogni giovedì pomeriggio contempla il Signore agonizzante nel Getsemani e ripete la fiduciosa supplica, che in quella sera egli rivolse al Padre.

Durante lo svolgimento della consueta preghiera Gesù si presenta a lei con gli stessi lineamenti, le stesse proporzioni e la medesima fisionomia, riscontrabile nella Sindone. Mostra alla suora polacca la mano destra alzata e benedicente, mentre con la sinistra tocca il suo petto, da cui emana un fascio di raggi rossi e azzurri, simbolo del suo amore ardente e trasformante. Chiede a Faustina di riprodurne l’immagine e di confidare totalmente nel suo cuore compassionevole. La incarica poi di diffondere l’Ora della Divina Misericordia, che consiste nella recita di una particolare Coroncina, nell’offerta al Padre delle proprie sofferenze e nella giaculatoria: Gesù, confido in Te. Inoltre le domanda che la seconda domenica di Pasqua sia dedicata a Dio misericordioso, attributo molto ricorrente nella Bibbia, nella patristica, nella teologia, negli atteggiamenti di pietà popolare e nella preghiera sia ebraica che cristiana. Egli confida all’umile suora: «Voglio il culto alla Mia Misericordia da ogni creatura, ma prima di tutto da te, poiché a te ho fatto conoscere questo mistero nella maniera più profonda» .

Faustina palpita d'amore per Gesù, che contempla sofferente e vivente presso il Padre. Accoglie il messaggio, che egli le ha comunicato nell’ora di preghiera. Attua la sua parola, che le infiamma il cuore. Si distacca dalle rassicuranti abitudini e, nonostante le difficoltà della sua debolezza, si mette nel posto giusto. S’impegna a eseguire quanto Gesù le ha chiesto. Guarda a lui e non si spaventa, Lo adora e lo invoca, sicura di non sbagliare nell’opera di liberazione dalle ingiustizie e dalle schiavitù umane.

Nel 1944 presso il santuario di Cracovia, Faustina inizia ufficialmente la preghiera alla Divina Misericordia. Ogni giovedì alle quindici recita la Coroncina, adora con fede il Signore, lo invoca con insistenza e intercede per la salvezza degli uomini. Senza rivendicare pretese di adesione alla sua iniziativa, invita al cambiamento le autorità religiose, chiamate a lasciarsi plasmare e rinnovare da Dio. Con il suo stile di vita esorta anche i regimi idolatri coevi ad abbandonare le assurde e affliggenti violenze. Ogni anno si prepara poi alla celebrazione della Divina Misericordia con una novena che collega il Venerdì Santo alla seconda domenica di Pasqua i cui il Vangelo presenta l’apparizione di Gesù a tutti gli apostoli, chiusi nel cenacolo (Gv 20,26-31). Grazie alla sua perseverante preghiera ottiene che i peccatori riconoscano le loro malignità, scoprano le radici dei loro errori, abbandonino le ideologie disumane, difendano i diritti degli oppressi, guariscano le grosse piaghe della società, suscitino sicurezza nel popolo e realizzino il progetto salvifico di Dio .

Giovanni Paolo II nasce, cresce e trascorre un lungo tratto di vita nella diocesi di suor Faustina. Nell’adolescenza apprende e pratica la devozione alla Divina Misericordia. Nel pio esercizio comprende la necessità di lasciarsi rinnovare quotidianamente dal Signore e affida se stesso alla sua bontà. Eletto papa, parla spesso della misericordia divina alla gente, che dimentica con rapidità gli eventi salvifici di Dio, trascura gli impegni principali del cristianesimo e irride chi si preoccupa di essere fedele all’insegnamento evangelico. Compie inattese richieste di perdono agli offesi dalle storiche, irrispettose e intransigenti pretese della Chiesa. Insiste sull’urgenza di rievangelizzare il popolo, che si è allontanato dal Signore. Nel 1980, terzo anno del suo pontificato, pubblica l’enciclica ‘Dives in Misericordia’ (Ricco di misericordia), dove riflette sull’ampio tema della misericordia divina, rivelata gradualmente nel vecchio Testamento, narrata da Gesù in alcune parabole (Lc 15,1ss) e resa visibile nella sua Pasqua. Infatti, scrive: «Il Cristo pasquale è l’incarnazione definitiva della misericordia, il suo segno vivente: storico-salvifico ed insieme escatologico» (V, 8). Più avanti asserisce che: «la Chiesa deve considerare come uno dei suoi principali doveri --- quello di proclamare e introdurre nella vita il mistero della misericordia, rivelato in sommo grado in Gesù Cristo» (VII,14). Giovanni Paolo II dispone quindi che la seconda domenica di Pasqua sia dedicata alla Divina Misericordia. Colpito dal morbo di Parkinson, ha evidenti disagi motori, ma persevera nel suo mistero petrino. Muore il 2 Aprile 2005, mentre la Chiesa celebra il giorno della Divina Misericordia. Pertanto è beatificato e poi canonizzato nella stessa ricorrenza domenicale.


***************************************************


Il culto e la devozione alle piaghe del Signore

Nelle apparizioni ai discepoli Gesù si rende riconoscibile, mostrando a loro le piaghe della sua dolorosa crocifissione. Essi lo fissano e costatano che le sue sanguinanti ferite sono ora splendenti e rimarginate. Capiscono che è il Crocifisso, sciolgono i loro dubbi sulla sua risurrezione e si prostrano davanti a lui. Mossi poi dallo Spirito Santo vincono le loro titubanze e ne danno pubblica testimonianza al popolo.

Commentando i racconti evangelici della risurrezione, i Padri della Chiesa esortano i cristiani a contemplare assiduamente Gesù assiso con il suo corpo nella gloria celeste, ma è anche presente nell’umanità, che porta le piaghe, prodotte dalle malattie, dalle ingiustizie e dalle violenze. Assicurano che, soccorrendo i sofferenti, essi sono un segno dell’amore redentivo di Gesù.

I teologi e i mistici medievali contemplano assiduamente Gesù trafitto. Si prostrano davanti a lui, lo adorano e lo pregano che comunichi a loro la forza di imitarlo. San Pier Damiani (1007-1072) compone per sé e per i monaci queste preghiere: «Ti vedo appeso alla croce, o mio Redentore, con gli occhi del mio cuore, ti vedo ferito da nuove piaghe. Quando tu verrai per il giudizio… possa io trovarmi tra i segnati con queste stimmate, affinché, configurato al Crocifisso, io meriti di essergli unito nella gloria di risurrezione»; «Tu, o Signore, con le cinque ferite del tuo sacratissimo corpo hai guarito tutte le nostre ferite che ci hanno inflitto i cinque sensi del nostro corpo. Tu ti sei fatto vittima di soavità per il Padre e prezzo di redenzione per noi. Adoro, Signore, la tua croce, adoro la tua morte vivifica» .

San Bernardo abate (1090-1153) si compiace contemplare le ferite dolorose e gloriose di Gesù da cui deduce che sono un compendio della sua passione, un segno dell’amore infinito di Dio, un appello alla costante penitenza, una porta d’accesso all’intimità divina e una sicura protezione per ogni peccatore. Commentando il Cantico dei Cantici sulla colomba che entra nelle cavità delle rocce e vi riposa (Ct 2,13-14), asserisce: «Dove vi può essere un rifugio sicuro e stabile per i deboli, se non nelle piaghe del Salvatore? Là abito tanto più sicuro quanto più egli è potente nel salvare. Il mondo freme, il corpo opprime, il diavolo tende insidie: io non cado; sono, infatti, fondato su una solida roccia…. Chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore, e chi è stato suo consigliere? Ma il chiodo che penetra è stato per me la chiave che apre, affinché io veda la volontà del Signore. Come non vederla attraverso la fenditura della roccia? Lo grida il chiodo, lo grida la piaga, che davvero Dio è in Cristo, per riconciliare il mondo. Una spada ha trapassato la sua anima, e si è avvicinata al suo cuore, affinché, ormai, egli sappia compatire le mie debolezze. Attraverso le ferite del corpo appare il mistero del cuore, appare quel gran sacramento delle pietà, appaiono le viscere di misericordia del nostro Dio… Aperte le fenditure, ci ha introdotto nel santuario. In tutto questo, quanta abbondanza di dolcezza, pienezza di grazia e perfezione di virtù!» . Guerrico, abate d'Igny e discepolo di Bernardo, aggiunge: «Questi buchi aperti di tante ferite offrono il perdono ai colpevoli e recano la grazia ai giusti» .

L’Imitazione di Cristo, che esalta il sentimento personale dell’orante, consiglia di entrare mentalmente nelle piaghe di Cristo, per trovarvi affrancamento spirituale e serenità d’animo: «Se tu non giungi a considerare le cose celesti e sublimi, raccogliti a meditare la Passione del Salvatore, e cerca di nasconderti nelle sue sante piaghe. Se con devozione cercherai rifugio nelle sacre stimmate di Gesù, sentirai un gran sollievo nelle tribolazioni, né il disprezzo degli uomini ti affliggerà, anzi sopporterai in pace i loro insulti» .

Santa Gertrude di Helfta (1256-1302), devota di Gesù misericordioso, venera un’immagine che lo raffigura con le cinque piaghe. Per ogni ferita ripete cinque volte questa preghiera: «Salve, o Gesù sposo dolcissimo, io ti abbraccio con l’amore di tutto l’universo deliziandomi nella tua Divinità e bacio la piaga del tuo amore» . Recita altre preghiere vocali con l’intento di ottenere da lui il perdono dei peccati e di crescere nel suo amore. Avendo appreso che egli in una visione avrebbe comunicato a santa Brigida di aver subito nella flagellazione 5466 ferite , ne trae un’applicazione spirituale: si prepara alla festa dell’Ascensione, dicendo 5466 volte questa preghiera: «Gloria a te, soavissima, dolcissima, benignissima, nobilissima, regale, fulgida e sempre tranquilla giocondissima e gloriosissima Trinità, per le vermiglie piaghe del mio unico Diletto» . Santa Chiara d’Assisi rifà spesso una preghiera, rivolgendola alle cinque piaghe di Gesù .

Giovanni Taulero (1300-1361) adotta le stesse interpretazioni dei mistici precedenti. Infatti, alle monache desiderose di rendere più bello e più attraente il mondo, suggerisce che nella preghiera compiano queste applicazioni: «Dovete ritirarvi volentieri nei cantucci e nella solitudine e là unirvi a Dio passivamente, salire sull'amabile albero fiorito della degna vita e passione di nostro Signore Gesù Cristo, entrare nelle sue gloriose piaghe e poi ancora risalire sulla vetta della sua alta e venerabile divinità» . «Dobbiamo immergerci nelle cruente piaghe di Gesù, imprimere amore, e farci pure spesso esternamente il segno della santa croce» . «Quando le nostre suore cantano i salmi, devono porre distintamente ciascun salmo in una particolare ferita. Imprimi così il Signore in te e te in lui» .

Altri autori spirituali, convinti che vanno conservate e non distrutte le meravigliose bellezze del creato, paragonano le cicatrici luminose di Gesù a un giardino fiorito o a un palazzo delizioso, dove le persone si rifugiano, per vincere i momenti più tormentosi della vita e per incrementare la loro comunione con Dio .

Nel Diario, datato il 19 maggio 1697, santa Veronica Giuliani scrive che in un’estasi il Signore le aveva apertamente detto: «Di’ a tutte (le religiose) che se vogliono trovarmi e unirsi a me, siano devote delle mie piaghe. Mentre così diceva, mi mostrava le sue sante piaghe…» .

San Paolo della Croce (1694-1775) in una lettera circolare ai suoi religiosi inserisce questa raccomandazione: «Non v'allontanate mai dalle Piaghe SS. di Gesù Cristo, procurate che il vostro spirito sia tutto vestito e penetrato dalle Pene SS. del nostro Divin Salvatore, e siate sicuri che egli è il Divin Salvatore, vi condurrà come sue pecore al suo ovile» . Esorta Agnese Grazi, sua ammiratrice e confidente, a contemplare le ferite del Signore per acquisire la sapienza divina e per neutralizzare le persistenti illusioni di una vita comoda. Le propone di recitare delle rime, che egli stesso ha composto in cui immette questa esortazione: «Mira ancor le mani ed i piedi, che son da chiodi trapassati. E la vita tutt'intera è da piaghe traforata. Se rimiri poi il costato, che con lancia fu squarciato, capirai ch'egli è la stanza di chi m'ha spropriato» .

Per quanto riguarda l’aspetto liturgico, nel 1139 la Chiesa permette che in Portogallo si celebri la festa delle Cinque Piaghe del Signore, cui attribuisce un effetto liberante e salutare. Nel secolo XIV ne approva la Messa votiva e l’Ufficio divino, entrambi accolti e adottati dai monaci cistercensi. Nel 1697 Innocenzo XI stabilisce che la Messa delle Piaghe del Signore sia celebrata con solennità nel giorno di venerdì della terza domenica di Quaresima, ma all’inizio del secolo XX è soppressa, per impedire un eccesso di dolorante e frustrante annuncio. Pertanto essa rimane una festa o una memoria, che alcuni Istituti religiosi celebrano con un fervore proporzionato alla sensibilità dei singoli.

I Passionisti spostano nella seconda settimana di Pasqua la celebrazione della Messa sulle Piaghe del Signore. Contemplando i suoi segni di umiliazione e di trionfo, essi imparano a soccorrere i fratelli nel bisogno, a sacrificarsi per riparare il male che dilaga nel mondo e a confidare nella potente grazia di Dio.

Alcuni religiosi di altri Istituti aggiungono alla menzionata liturgia la pia pratica della Coroncina delle Cinque Piaghe, consistente nella recita di un’Ave Maria, di cinque Padre nostro, di qualche Gloria e di una preghiera per ogni piaga come anche nell’invocazione di singolari Litanie. Il gesuita, venerabile Vincenzo Carafa ne è il maggior propagatore. Sant'Alfonso Maria De’ Liguori rende più popolare la pia pratica, stabilendo di ripetere per ogni piaga un solo Pater, Ave e Gloria. Questo semplice esercizio di preghiera vocale diviene un metodo, adottato dai religiosi laici e dagli appartenenti ad alcune Confraternite. Nell’Udienza Generale del mercoledì 22 giugno 2016 papa Francesco ha confidato di aver conosciuto e praticato la devozione alle Piaghe del Signore. Altri autori modificano questo esercizio di pietà. Sostituiscono la menzione dei misteri dolorosi con l’evocazione delle cinque ferite di Gesù. Per richiamare l’essenziale della vita evangelica qualche altro autore inventa il pio esercizio della Coroncina dei Sette Dolori di Maria . Davvero non mancano le iniziative e le proposte per una semplice preghiera.

Ricordiamo altre preghiere popolari sulle piaghe del Signore. Nel Medioevo i Francescani formulano la celebre giaculatoria, che ripetiamo nel passaggio da una all’altra stazione della Via Crucis: «Santa Madre, deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore». Negli anni precedenti il concilio ecumenico Vaticano II si proponeva questa preghiera dopo la comunione eucaristica: «Eccomi, o mio amato buon Gesù, che alla Santissima tua presenza prostrato ti prego con il fervore più vivo di stampare nel mio cuore sentimenti di fede, di speranza, di carità, di dolore dei miei peccati e di proponimento di non offenderti più, mentre io con tutto l’amore e la compassione vado considerando le tue Cinque Piaghe, cominciando da ciò che disse di te, o mio Gesù, il santo profeta Davide: Hanno trapassato le miei mani e i miei piedi; hanno contato tutte le mie ossa» . Era consigliata anche la recita di questa sequenza, che ha un’origine barnabita: «Anima di Cristo, santificami. Corpo di Cristo, salvami. Sangue di Cristo inebriami. Acqua del costato di Cristo, lavami. Passione di Cristo, confortami. O buon Gesù, esaudiscimi. Dentro le tue piaghe, nascondimi. Non permettere ch’io mi separi da te…» .

Osserviamo da ultimo che gli artisti ambirono rappresentare Gesù con i segni della sua passione. Ne troviamo tante immagini nei portali delle chiese e nelle icone. Possiamo riscontrare un concreto esempio nell’icona dell’Anno Santo della divina Misericordia.


****************************************************


Il culto e la devozione al Sacro Cuore di Gesù

Nel corso dell’esistenza terrena Gesù mantiene un atteggiamento di apertura, di accoglienza, di carità e di perdono verso ogni persona. Terminata la sua missione temporale, consegna se stesso nelle mani del Padre, abbassa la testa e muore (Lc 23,46; Gv 19,30). Per assicurarne il decesso, un sodato gli trafigge il cuore. Meditando su questo episodio, gli Apostoli e la Chiesa si concentrano sul suo valore teologico, sacramentale, spirituale e simbolico. Approfondiscono il significato di questo squarcio, segno della compassione di Dio per l’umanità ferita dal peccato e bisognosa di guarigione. Per rafforzare la fede dei cristiani, incrementano la venerazione e il culto a Gesù, persona divina e umana. Parlano della sua azione gratuita e salvifica.

Nel secolo XII i contemplativi pongono più attenzione sul senso del cuore trafitto di Gesù, punto focale dell'amore di Dio per l'umanità. Sviluppano le loro considerazioni su quanto hanno appreso dal Crocifisso. Allacciano poi la festa della Santa Lancia e della Cinque Piaghe al culto del Sacro Cuore di Gesù. Mettono la loro viva speranza dentro questo sacrario, tempio di lode incessante al Padre, centro di obbedienza, di servizio, di condivisione, di misericordia e di pace. Adorano il Sacro Cuore, vedendo in esso la via sicura di unione con Dio. Formulano anche numerose preghiere nelle quali assumono un atteggiamento di fede, di amore, di ammirazione e di affidamento al Signore.

San Bernardo di Chiaravalle medita i vangeli, che narrano le sofferenze del Signore. Ne compone un mazzetto, se lo pone dentro il cuore e lo custodisce, per essere aiutato a comportarsi come Gesù. San Francesco d’Assisi, trafitto dal divino amore, propone ai suoi frati di recitare questa preghiera, che ha lo scopo di avversare le crudeltà, assumere le miserie degli altri e perseverare nell’attesa della vita eterna: «Degno è l’Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza e la divinità e la sapienza e la forza e l’onore e la gloria e la benedizione» .

Attenendosi alle indicazioni di Francesco d’Assisi, san Bonaventura da Bagnoregio riflette spesso sulle sofferenze di Gesù. Vi scorge il modo più conveniente in cui Dio ripara il peccato e redime gli uomini. Ponendosi davanti a questo cuore squarciato, prega: «O Gesù ottimo, il tuo Cuore è un tesoro, è una perla preziosa, che abbiamo trovato nella fossa scavata intorno al tuo corpo. Chi getterà via una tal perla?» . Invita quindi i cristiani a guardare la sua ampia ferita, potranno allora penetrare profondamente nell’amore del Signore e comprendere quanto egli è stato offeso dalle loro crudeli ostinazioni.

Santa Gertrude, monaca cistercense di Helfta, coltiva un’intensa devozione al Cuore trafitto di Gesù. Sentendosi la sua sposa, gli chiede la grazia di possedere un cuore caritatevole e simile al suo.

Bramosa di stare sempre unita a lui, Gertrude avverte che i battiti del cuore di Gesù sono più armoniosi di quelli degli altri. Scrive che in una visione egli «le presentò con le sue proprie mani il suo Cuore divino in figura di lampada, dicendo: Ecco, ti presento il mio Cuore, organo dolcissimo dell’adorabile Trinità, affinché tu possa chiedere con fiducia di supplire ad ogni tua deficienza» . Lei gli risponde di imprimerle la forza necessaria per poter corrispondere in ogni momento al suo ineffabile amore: «O Dio pieno di amore. Fa’ che il mio cuore sia sempre vicino a Te come una di quelle anfore che i servi, ad un cenno, porgono ai loro padroni per ristorarli. Possa tu sempre trovarlo pronto per infondervi ed attingervi in qualunque momento ciò che vorrai e per chiunque vorrai» . Compone anche un libro in cui testimonia d’aver sperimentato l’amore del Signore e propaga per prima la devozione al Sacro Cuore.

Fissando il Sacro Cuore, santa Caterina da Siena usa parole simili ai mistici citati. Infatti, dice al Signore: «Hai fatto una caverna nel costato tuo, nella quale (l’uomo) avesse rifugio dalla faccia dei nemici» . I benedettini, Ludolfo Certosino (1295-1378) e Jan Gereecht (1489-1539), promuovono la devozione al Sacro Cuore di Gesù, per elevare la vita spirituale nei monasteri dell’Ordine, infondere la fiducia in Dio misericordioso e mostrare il volto materno e accogliente della Chiesa.

Nel secolo XVI i Gesuiti francesi incrementano la devozione amorosa al Sacro Cuore di Gesù, per impedire la crescente diffusione de rigorismo giansenista. San Pietro Canisio (1521-1597), docente universitario, redattore di alcuni catechismi, predicatore e consigliere del papa, Pio V, ne è il più celebre promotore. Nel secolo XVII san Giovanni Eudes (1601-1680), fondatore della Congregazione di Gesù e di Maria, compone la Messa, l'Ufficio liturgico e le Litanie del Sacro Cuore. Con il permesso del vescovo di Rouen il 20 ottobre 1672 inizia la festa del Sacro Cuore. Ne propaga la celebrazione liturgica nelle diocesi francesi e negli Istituti religiosi, perché ognuno comprenda maggiormente la sua dignità come pure la sua chiamata a riparare i peccati del mondo e a conseguire la perfetta santità. Nell’anno seguente Margherita Maria Alacoque (1647-1690), monaca visitandina ed estatica, durante l’ottava del Corpus Domini vede il Signore che le mostra le Cinque Piaghe, da cui escono fiamme luminose. Le infonde un acuto desiderio di conversione e le suscita un genuino anelito di patire, per cooperare all’opera della redenzione. La costituisce inoltre sua discepola prediletta e testimone del suo ardente amore. Nella lettera del 3 novembre 1674 Margherita scrive al gesuita, p. Giovanni Croiset, che il Signore è apparso a lei, le ha mostrato il suo Cuore squarciato su un trono di fiamme, trasparente come un cristallo, circondato da una corona di spine e sormontato da una croce, le ha anche assicurato che il suo Cuore arde d’amore per l’umanità. L’ha quindi esortata a entrarvi, per trovarvi rifugio.

Nell’ultima rivelazione del 16 giugno 1675 il Signore chiede a Margherita che in tutta la Chiesa sia istituita la festa del Sacro Cuore e sia celebrata dopo l’ottava del “Corpus Domini”. Le raccomanda poi di comunicarsi tutti i primi venerdì del mese, perché la comunione eucaristica è la più alta forma di riparazione dei peccati e il mezzo più appropriato, per sconfiggere la mediocrità spirituale. Le promette inoltre che riceveranno particolari benedizioni quelli che onoreranno il suo Sacro Cuore e praticheranno i primi venerdì del mese.

Margherita corrisponde all'appello del Signore e s’impegna a riparare i peccati degli uomini, specialmente quelli della loro autosufficienza. Il 21 giugno 1686 espone nella cappella del monastero l'immagine del Sacro Cuore e ne celebra la festa, ma è ostacolata dalle monache, che dubitano sulla veridicità delle sue visioni, la considerano una demente e le assegnano l'ufficio di governare le mucche. San Claudio de la Colombière (1641-1682), superiore del collegio gesuita di Paray - le – Monial e confessore straordinario delle suore della Visitazione, indaga con rigorosità sulle visioni e sul contenuto dei messaggi di Margherita. Ne riconosce l’autenticità. Pertanto promuove il culto e la devozione al Sacro Cuore nei monasteri della Visitazione, nelle comunità dei Gesuiti e nelle famiglie aristocratiche. Le monache visitandine si tramutano quindi in ardenti promotrici della nuova spiritualità e i Gesuiti la rendono popolare, unendola all'Apostolato della Preghiera. L’effigie del Sacro Cuore diventa l’emblema dei due Istituti religiosi, mentre Margherita muore con la certezza d’aver adempiuto la missione, che il Signore le aveva affidato.

Sorgono poi altre famiglie religiose, che si consacrano al Sacro Cuore e ne propagano il culto, esente da forme d’indiscreto fanatismo. Raffigurano Gesù vivo, eretto, attraente e con il cuore sanguinante. Dedicano a lui chiese e altari,. Pubblicano libretti che stemperano l’ostico agnosticismo culturale, incrementano la speranza della redenzione e educano a vivere nell’ardente carità di Dio. Stampano quadri, dipinti e ricordi della prima Comunione e della Cresima, che rimandano alle visioni mistiche di Margherita o all’immagine di san Giovanni evangelista, chinato sul costato trafitto di Gesù.

Sant'Alfonso De' Liguori compone nel 1758 una novena con lo scopo di preparare il popolo a celebrare con entusiasmo la festa del Sacro Cuore e accrescerne la partecipazione. San Paolo della Croce accenna con frequenza al costato ferito di Gesù. Nelle sue lettere augura sovente che la passione del Signore sia impressa nei cuori di ogni cristiano. Ad Agnese Grazi di Orbetello, sua confidente spirituale, scrive: «Lasciate che la povera farfalletta bruci tutta e s’incenerisca in quella luce amorosa della fornace dolcissima del Cuore amoroso di Gesù e ivi liquefatta d’amore faccia festa continua di cantici amorosi» .

Con dichiarazioni e documenti ufficiali i Pontefici riconoscono l’utilità della nuova spiritualità, che va diffondendosi nel cattolicesimo e si oppone alla disaffezione giansenista ai sacramenti. Nel 1765 Clemente XIII autorizza i vescovi di Polonia e l'Arciconfraternita romana dei Gesuiti, di celebrare la Messa e l’Ufficio del Cuore di Gesù, per onorare il Signore e per riparare le ingratitudini, che ha ricevuto. Nel 1856 Pio IX universalizza la celebrazione del Sacro Cuore e nel 1873 acconsente che sia dedicato a lui tutto il mese di giugno.

Il 25 maggio 1899 Leone XIII pubblica la sua prima enciclica “Annun Sacrum”, in cui rafforza le basi teologiche e ascetiche sulla riparazione del male. Accolte le pressanti richieste di alcune persone, consacra al Sacro Cuore di Gesù tutta l’umanità. Ai vescovi cattolici consiglia di compiere nelle loro diocesi il suo atto di consacrazione. Eleva la festa del Sacro Cuore a solennità e raccomanda che si recitino le Litanie, ricavate dalle fonti bibliche e dalle esperienze di fede. Incarica don Bosco di raccogliere il denaro, per terminare l’erezione della chiesa romana, dedicata al Sacro Cuore. Il 5 luglio 1909 Pio X stabilisce di ripetere ogni anno l’atto di consacrazione al Sacro Cuore. Approva inoltre le associazioni sacerdotali, dedite ad espiare i peccati, che rattristano l’umanità. Nel 1928 Pio XI con l'enciclica “Miserentissimus Redemptor” (Misericordiosissimo Redentore) riconosce che la devozione al Sacro Cuore di Gesù compendia tutta la spiritualità cristiana. Nel 1956 Pio XII pubblica l’enciclica “Haurietis aquas” (Attingerete acqua), nella quale richiama i migliori dati biblici, patristici, teologici e spirituali del Sacro Cuore. Insegna poi che l’immagine del Sacro Cuore di Gesù merita una devota adorazione, venerazione e implorazione. Gli ultimi pontefici in diverse occasioni si dimostrano favorevoli al culto e alla devozione e del Sacro Cuore di Gesù. Asseriscono che essi sono una scuola di libertà, di responsabilità e di crescita umana.

Nel 1980 Giovanni Paolo II scrive l'enciclica: “Dives in misericordia” (Ricco in misericordia). Qui rileva gli aspetti salutari dell’inesauribile tenerezza di Dio, insegnata da Gesù e da lui resa sensibile nei gesti d’amore e specialmente nell’agonia della croce. Vi asserisce che la misericordia divina elimina lo stato di sbando umano, toglie le dolorose fratture del peccato e infonde la pace interiore. Nella lettera al generale dei Gesuiti, datata il 15 maggio 2006, Benedetto XVI scrive che «resta compito sempre attuale dei cristiani continuare ad approfondire la loro relazione con il Cuore di Gesù, in modo da ravvisare in se stessi la fede nell’amore salvifico di Dio, accogliendolo sempre meglio nella propria vita. … e soprattutto guardando alla sua sofferenza e alla sua morte che possiamo riconoscere in maniera sempre più chiara l’amore senza limiti che Dio ha per noi» .

Papa Francesco raccomanda il culto e la devozione al Sacro Cuore di Gesù, per incontrare lui, che ama, perdona, rinnova e rinvigorisce la fede. Nel giorno della chiusura del Giubileo straordinario 2016 pubblica l’esortazione apostolica “Misericordia et miseria”, dove ricorda che la Chiesa nella liturgia sacramentale evoca sempre la misericordia di Dio, inneggia con gioia a lui e offre ai fratelli tanti segni di misericordia. Invita i cristiani a diffondere la cultura della misericordia, per impedire le situazioni di sfruttamento, di rigidità morale, di sofferenza e di morte. Estende la facoltà a tutti i preti di assolvere il peccato dell’aborto, se nelle coscienze riscontrano il pentimento d’aver soppresso un innocente, bisognoso di protezione.

La concessione ai presbiteri di papa Francesco, attento alle ferite, alle emarginazioni, ai pianti e alle attese della gente, rende più trasparente la misericordia di Dio, senza diminuire la gravità e drammaticità dell’aborto volontario. Per preparare i cristiani a celebrare più degnamente la solennità di Gesù Cristo, re di amore, di giustizia e di pace, il Pontefice stabilisce inoltre che la domenica trentatreesima del tempo ordinario sia dedicata ai poveri del mondo. Questa disposizione tende a valorizzare la solennità del Sacro Cuore, che ricorre nel secondo venerdì dopo la Pentecoste. Infatti, non essendo una ricorrenza obbligatoria, passa perlopiù inosservata dalla maggioranza dei praticanti e non ha la forza d’attrazione dei secoli precedenti. Attira solo quelli che hanno un alto livello di fede e d’intraprendenza spirituale, mentre essa dovrebbe coinvolgere tutti i cristiani, immettendoli nell’amore divino e umano di Gesù. Celebrando attivamente questa solennità e meditando su Gesù trafitto, comprenderebbero meglio se stessi, i problemi delle società e la risposta da darvi. Gusterebbero soprattutto l’economia della redenzione, la pedagogia della santità e le intime relazioni delle tre persone divine. Diventerebbero autori di tanto bene e lascerebbero ai posteri i frutti delle loro fatiche.


******************************************************


Il culto e la devozione al Sangue Preziosissimo di Gesù.

Il sangue è la sede della vita (Lv 17,11.14). Gesù effonde tutto il suo sangue. Per rigenerarci e introdurci nella nuova ed eterna alleanza, lascia che gli uomini lo feriscano e dissanguino . Nella liturgia eucaristica gli Apostoli inseriscono la memoria di Gesù, che ha versato il suo sangue per noi. Vi attribuiscono un grande valore teologico. Riconoscono che esso vincola a Dio Padre, ottiene il prezioso dono dello Spirito Santo, invia ad annunciare il messaggio evangelico, a servire i bisognosi e a sperimentare lo sviluppo integrale dei beneficati. San Clemente Romano raccomanda ai cristiani di evocare sovente il sacrificio redentore di Gesù, per suscitare nel cuore sentimenti di pentimento, di conversione e di nuova vita, Scrive: «Guardiamo il sangue di Gesù Cristo e consideriamo quanto sia prezioso al Padre suo. Effuso per la salvezza nostra portò al mondo la grazia del pentimento» . Rivolgendosi agli Efesini, sant'Ignazio di Antiochia afferma che il sangue di Gesù ha una forza che vivifica i cristiani e li rende operosi: «Ho recepito nel Signore il vostro amatissimo nome che vi siete guadagnato con naturale giustizia nella fede e nella carità in Cristo Signore nostro. Imitatori di Dio e rianimati nel suo sangue avete compiuto un’opera congeniale» . Propone che si attengano a quest’unificante norma: «Preoccupatevi di attendere ad una sola eucaristia. Una è la carne di nostro Signore Gesù Cristo e uno il calice nell’unità del suo sangue…» .

Nel dissanguamento di Gesù san Giustino scorge l'adempimento di alcune figure e profezie del primo Testamento. Sostiene che l’effusione del sangue del Signore è un’eloquente testimonianza di benedizione divina e un potente segno di salvezza. Esorta perciò i lettori dei suoi libri a meditare i testi biblici, pensando al Crocefisso, grondante sangue nell’ora della sua agonia mortale. Essi potranno allora sperimentare la gratuità della salvezza e percorrere un cammino di rinnovamento spirituale .

Nei sermoni e nei commenti ai Vangeli i Padri della Chiesa parlano con frequenza del sangue che Gesù ha effuso e ne colgono un salutare effetto. Ricorrendo a un paragone, asseriscono che come il farmaco guarisce da un tipo di malattia così il sangue di Gesù guarisce dal pestifero veleno del maligno. Pertanto esso merita una venerazione superiore a quella attribuita al sangue dei martiri.

I mistici medievali si compiacciono contemplare e venerare il sangue di Gesù. San Bernardo pensa spesso a Gesù, appeso alla croce. Insegna che il suo sangue è una tromba che annuncia la misericordia di Dio e tocca in profondità i peccatori. San Francesco d’Assisi entra nella vita divina e diventa misericordioso, contemplando il costato sanguinante di Gesù. Santa Chiara d’Assisi afferma di voler bere alle ferite del costato di Cristo, per ricevere la forza di lottare contro la potenza del male e per inebriarsi di vita divina.

Nel 1359 un presunto chiodo di Gesù è trasportato solennemente a Siena. Santa Caterina, che abita in questa città, si avvicina al chiodo, lo osserva attentamente e rafforza la sua unione amorosa con Gesù, che ha grondato sangue. Nelle sue lettere dimostra di avere un’intensa comunione con lui, usando l’espressione: «Scrivo a voi nel prezioso sangue suo». In particolare asserisce di vivere immersa nel sangue di Gesù ed esorta i destinatari delle sue missive di fare altrettanto, per ottenere la purificazione dei propri peccati e la crescita nella carità.

In un’estasi la beata Anna Caterina Emmerik, monaca agostiniana, vede che Gesù, appeso alla croce, ha delle rosse piaghe, da cui escono raggi luminosi. Intuisce che egli le chiede di lasciarsi purificare e trasformare dal suo sangue. Per conservarne il ricordo, indossa una camicia rossa. Santa Maria Maddalena De’ Pazzi paragona il sangue di Gesù a una calamita dolcissima. Per esserne santificata, lo offre ogni giorno a Dio Padre e domanda alle monache di condividere la sua stessa offerta. San Tommaso d’Aquino scrive che il sangue di Gesù toglie tutti i peccati degli uomini (Summa theologica, q. 79, a.3). San Carlo Borromeo ordina di suonare una campana sette volte al giorno, per ricordare ai cristiani, che Gesù effuse il suo sangue . Blaise Pascal comprende l'amore di Dio, contemplando Gesù che durante la sua cruenta passione ebbe le colature di sangue.

San Paolo della Croce insegna ai suoi religiosi d’immedesimarsi nel sangue di Gesù e scrive alla signora Faustina Giannotti di Soriano: «Vorrei che qualche volta vi immergeste in quel bagno divino del Sangue SS.mo di Gesù Cristo, che sempre bolle, acceso dagli ardori della sua infinita carità» . Considerando i miracoli eucaristici e la venerazione delle reliquie della Passione nelle località europee, i teologi legittimano il culto e la devozione al Preziosissimo Sangue. Approvano le Confraternite del Preziosissimo Sangue, che lottano contro le ingiustizie sociali, promuovono le libertà dei popoli e ne difendono i diritti. I poeti compongono inni, litanie e preghiere d’invocazione e d’offerta al Sangue di Gesù. Ne riportiamo alcune, valide anche per noi: «Soccorri i tuoi figli che hai redento con il tuo sangue prezioso» ; «Signore… fa’ che il sangue del nostro Salvatore, misticamente effuso in questo memoriale della sua Passione, sia per noi sorgente di vita eterna» ; «Eterno Padre, ti offro il sangue Preziosissimo di Gesù Cristo in sconto dei miei peccati, in suffragio delle anime del Purgatorio e per i bisogni della Santa Chiesa» .

I pittori raffigurano Gesù che sprizza sangue dalle ferite della croce, mentre gli angeli e gli oranti lo raccolgono su calici dorati. Per simbolizzare la grazia, proveniente dai sacramenti, qualcuno raffigura Gesù, che con una mano stringe un grappolo d’uva oppure lo ritrae mentre, pressato da un torchio, perde il suo sangue ed esso scorre su dei canaletti, che collegano ad un tino.

Bramosa di migliorare la società europea, la rivoluzione francese suscita un regime che terrorizza e uccide tanti innocenti. In quest’avvilente situazione i cattolici incrementano le pratiche di pietà popolare, promuovono la rievocazione della passione del Signore e danno un forte impulso alla memoria del Sangue Prezioso di Gesù. San Vincenzo Maria Strambi passionista (1745-1824) diffonde il ricordo costante del Sangue sparso di Gesù nelle lettere, nella predicazione, nelle celebrazioni penitenziali, nei raduni di preghiera e nelle formulazioni sul come trascorrere il mese di luglio. Conferisce alle sue riflessioni una forma meditativa, affettiva, colloquiale e ascetica . A loro volta i suoi confratelli passionisti esortano il popolo a recitare la preghiera: «Eterno Padre, io vi offro il Sangue di Gesù Cristo in isconto de’ miei peccati e per i bisogni della S. Chiesa» .

San Gaspare del Bufalo (1786-1837) fin dalla giovinezza scopre che il Sangue di Gesù costituisce il compendio della nostra fede. Visita la basilica di Santa Croce di Gerusalemme, che conserva alcune reliquie della passione del Signore. Animato dai consigli di san Vincenzo Strambi, studia gli aspetti teologici e spirituali del Sangue di Gesù, cogliendovi elementi utili, per riformare la vita religiosa, morale e sociale come pure per dare uno slancio alla sua attività apostolica. Infatti, nelle frequenti missioni popolari predica le massime eterne e detesta le ingiustizie che causano la malavita, il brigantaggio e lo spargimento di sangue. Per arginare le ferite della società, diffonde la devozione quotidiana al Sangue Prezioso di Gesù. Talora si flagella con insistenza, per ottenere la conversione dei peccatori più induriti.

San Gaspare è criticato e ostacolato da parecchi, ma egli persevera nelle sue scelte apostoliche. Esorta tutti a prestare attenzione a Gesù, che con il suo sangue deterge i peccati del mondo. Nei suoi scritti dimostra che il pensiero rivolto a lui, rigato di sangue, ha radici apostoliche e ne propaga la memoria con l’intento di imprimere dignità alle persone, di creare vincoli fraterni e di infondere la speranza nei cuori. Diventa il teologo più apprezzato del Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo e l'istitutore di una Congregazione di Missionari. Affida a loro il compito di prestare un ricordo perpetuo al Sangue di Gesù e di consacrargli il mese di luglio, perché esso è il tempo più adatto alla memoria dell’amore ardente di Dio per l’umanità. Animati da questa sorgente spirituale, i nuovi religiosi combattono la decadenza morale e indicano la principale scaturigine della nostra salvezza .

Nel 1809 il sacerdote romano Francesco Albertini, direttore spirituale di Gaspare, fonda la prima Pia Unione del Preziosissimo Sangue. Ne precisa la struttura popolare e incrementa la pratica della preghiera riparatrice, che fiacca la potenza del male. Nelle missioni al popolo insiste che Gesù non ha sparso invano il suo sangue, Sollecita quindi che ognuno si lascia purificare e rinnovare dal Signore. Consacrato vescovo, compone la coroncina del Preziosissimo Sangue, che ne evoca le varie effusioni, di cui accennano gli scritti evangelici. A ogni effusione aggiunge un’appropriata preghiera. Nel 1822 ottiene il permesso dalla Santa Sede di celebrare la festa del Preziosissimo Sangue nella prima domenica di luglio.

Avvengono anche fondazioni religiose femminili e confraternite laicali, che propagano la devozione del Preziosissimo Sangue di Gesù. Santa Maria De Mattias (1805-1866), di famiglia benestante ha degli approcci con san Gaspare. Intuisce che è un uomo di Dio e si lascia dirigere spiritualmente da lui e poi dal suo confratello, il venerabile don Giovanni Merlini. Aperta ai loro consigli spirituali, si convince che Dio la chiama a consacrarsi a lui e a dargli testimonianza, servendo i miseri. Incomincia a parlare con ardore dell'amore di Gesù crocifisso e ad accogliere i più bisognosi. Nel 1834 fonda quindi ad Acuto (Frosinone) la Congregazione delle Adoratrici del Sangue di Cristo. Trasmette a loro la spiritualità, che ha appreso da Gaspare e Giovanni. Inculca alle religiose di offrire a Dio il sangue di Gesù, di dedicarsi alla conversione dei cuori, di sedare gli antagonismi e di diffondere ovunque la pace, la giustizia e la fraternità .

Il beato Tommaso Maria Fusco di Pagani (Salerno) (1831-1891) custodisce nella scrivania un crocifisso grandissimo, per suscitare pensieri d'amore e di riconoscenza verso Dio. Promuove tra le persone consacrate il culto e la devozione al Preziosissimo Sangue di Gesù. Istituisce la Congregazione delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue. Chiede alle suore di soccorrere i sofferenti e gli abbandonati. Nel novecento il beato Vincenzo Pallotti, sacerdote, accademico alla Sapienza di Roma, introduce nella scuola la pratica di recitare giaculatorie del Sangue Prezioso di Gesù. Diffonde diverse immagini di crocifissi zebrati di sangue. Raccomanda di offrire a Dio il sangue di Gesù, per ottenere il perdono dei peccati e la liberazione delle anime dallo stato di purificazione. Lasciato l’insegnamento scolastico, si dà completamente al ministero della predicazione e della riconciliazione, in cui ravviva la memoria della passione del Signore . Sorgono poi altre Congregazioni e Confraternite che si contrappongono ai sanguinosi totalitarismi politici.

La Santa Sede, prima responsabile della funzione ecclesiale, accoglie le richieste di legittimare il culto al Sangue di Gesù. Nel 1582 ne approva per la diocesi di Valencia l’Ufficio liturgico, adatto al risanamento delle persone e al miglioramento dei rapporti con la società. Nel secolo XVIII estende la Messa e l’Ufficio del Sangue di Gesù ad altre Diocesi come pure agli Istituti religiosi e alle Confraternite del Preziosissimo Sangue. Nel 1849 Pio IX colloca questa ricorrenza liturgica alla prima domenica di luglio. Nel 1914 Pio X ne sposta la data al primo luglio. Nel 1933 Pio XI dedica al Sangue di Gesù l’anno straordinario della Redenzione. Nel 1960 la Sacra Congregazione dei Riti approva le Litanie del Sangue Prezioso di Gesù.

Giovanni XXIII apprende dal prozio Zaverio e dai familiari la devozione al Sangue di Gesù. Praticando quest’esercizio di pietà, si rafforza nello svolgimento del ministero sacerdotale ed episcopale. Eletto vescovo di Roma, nella lettera apostolica “Inde a Primis” (Fin dai primi mesi) del 30 giugno 1960 raccomanda che nel mese di luglio i cattolici recitino le Litanie approvate dalla Congregazione dei Riti, perché «non è solo conveniente ma sommamente doveroso che ad esso (il Sangue) siano tributati omaggi di devozione e di amorosa convenienza». Prescrive inoltre che dopo la benedizione con il Santissimo l’assemblea aggiunga quest’altra lode al Signore: “Benedetto il suo Preziosissimo Sangue” .

L’uomo moderno ama informare sui lieti e tristi eventi del giorno, ma evita di parlare sui feriti, morti per dissanguamento. Se si fermasse sui dettagli del loro decesso, susciterebbe emozione e ribrezzo. I teologi odierni si adeguano alla sensibilità e alla cultura del nostro tempo. Per non impressionare i contemporanei discutono poco sulle effusioni di sangue, che Gesù ha emesso durante la sua drammatica passione e morte di croce. Ne consegue che la devozione al Sangue Preziosissimo di Gesù si affievolisce e svigorisce. Dovendo riformare il calendario liturgico e accondiscendere al nuovo orientamento culturale, nel 1970 Paolo VI unisce la festa del Sangue di Gesù alla solennità del “Corpus Domini.” (Corpo del Signore). Conferisce a essa il titolo di solennità del Corpo e Sangue del Signore. Orienta così i cristiani a non soffermarsi su un particolare aspetto della sua morte ma a concentrarsi sulle sofferenze di tutta la sua persona. Non sopprime tuttavia la Messa del Sangue di Gesù, bensì la inserisce nelle celebrazioni votive. Chi medita sui contenuti biblici e teologici di questa celebrazione, si associa più facilmente al sacrificio di Gesù. Compie con più responsabilità le faccende quotidiane. Nei momenti opportuni recita privatamente questa preghiera: «Eterno Padre, ti offro il Sangue preziosissimo che Gesù versò sulla croce e che ogni giorno egli offre nel sacrificio eucaristico». Infine si dedica ai molti feriti nel corpo e nello spirito. Tenta di liberarli dalle loro afflizioni e li avvia verso il supremo fine della vita.


*********************************************


L’ORA SANTA

Gesù trascorre la vita terrena, attendendo di adempiere tutta la sua missione salvifica. Nell’ora prestabilita istituisce l’Eucaristia, agonizza nel Getsemani, si consegna nelle mani degli uomini, si lascia giudicare, accetta la pena di morte, sale sul Calvario, si sacrifica sull’albero della croce e rivela quando è incommensurabile l’amore di Dio. Nel IV secolo i cristiani di Gerusalemme commemorano gli eventi cronologici della passione del Signore. Nel pomeriggio del Giovedì Santo si radunano nel Cenacolo, dove celebrano la messa dell'istituzione eucaristica. Terminata la celebrazione, escono dal Cenacolo, scendono al torrente Cedron, lo attraversano e ascendono sul Monte degli Olivi. Nella ridiscesa sostano nelle chiese dell'Eleona e del Getsemani. Qui pregano, evocano e interiorizzano gli ultimi insegnamenti di Gesù. Riattraversano quindi il Cedron e salgono al Calvario, dove vegliano fino l'alba del Venerdì. I cristiani delle altre località, lontani dalla Città Santa, improntano la veglia del Giovedì Santo sull'esempio della comunità madre di Gerusalemme. Dopo la celebrazione eucaristica si concentrano sulla preghiera notturna di Gesù nel periodo della sua vita pubblica (Mt 14,23; Mc 6,46; Lc 6,12). Riflettono sui suoi insegnamenti, sulla sua agonia al Getsemani e sul suo ultimo cammino al Calvario. Attuano l’esortazione di Gesù ai discepoli: «Vegliate e pregate per non cadere in tentazione» (Mt 26,41). Conservano la divina Eucaristia nelle sacrestie e negli orari convenienti gli incaricati la portano agli infermi, pronti a riceverla.

Nel secolo XI c’è un cambiamento sulla conservazione dell’Eucaristia non consumata. I presbiteri la pongono in un tabernacolo all’interno della chiesa. Dispongono che si mantenga acceso un cero, per indicare la presenza reale di Gesù, cui aspetta la riverenza. Esortano i cristiani di riconoscerne la presenza nel tabernacolo e di compiere un atto di fede appena entrano in chiesa.

Accertato il miracolo eucaristico di Bolsena, il papa Urbano IV istituisce nel 1264 la festa del Corpus Domini (Corpo del Signore) da cui scaturisce un incremento cultuale al Santissimo. Le chiese locali solennizzano la messa mattutina del Giovedì Santo. Distribuita la comunione sacramentale, il presidente della celebrazione porta il Santissimo Sacramento in una cappella laterale della chiesa e lo depone in un tabernacolo. Tornato al luogo della presidenza, toglie le tovaglie dall’altare, per indicare che Gesù è stato spogliato delle sue vesti ed è rimasto nudo sulla croce. Chiude quindi l’azione liturgica con il congedo dell’assemblea. Si noti che in « Alsazia e nei paesi renani la sera del Giovedì Santo le ostie venivano deposte in una raffigurazione di Cristo morto, nel posto del cuore, fino alla celebrazione pasquale» .

Durante le ore pomeridiane alcuni fedeli ritornano nella chiesa e si dirigono nella cappella laterale, ornata di lumi, di fiori e di germogli di grano, simbolo della morte e risurrezione di Gesù (Gv 12,24). Sostano davanti al tabernacolo, lo fissano e lo chiamano impropriamente il sepolcro del Signore, perché è addobbato con panni scuri ed è circondato d’immagini di Cristo morto.

I cristiani di cui parliamo riconoscono che il Signore è nelle Sacre Specie per accoglierli, nutrirli, unirli alla sua vita e impedire che scompaiano nel nulla. Lo adorano, lo benedicono e gli rendono gloria, riconoscendo che è il valore assoluto e il sommo bene. Lo ringraziano dei beni spirituali che ha elargito a loro e di averli chiamati al raggiungimento della felicità eterna. Riflettono alquanto sulla triste agonia al Getsemani ossia sulla solitudine di Gesù, sulla sua preghiera al Padre e sulla sua volontaria consegna nelle mani dei sequestranti. Si rammaricano d’averlo offeso nei fratelli deboli, indifesi e abbandonati dai potenti. Gliene chiedono perdono e gli promettono di assumere una condotta più evangelica. Inoltre intercedono per tutti i peccatori, perché si distacchino dalle loro idolatrie e dal loro brutale isolamento.

Nel secolo XVI la patica dell’adorazione eucaristica del Giovedì Santo decade a causa della Riforma protestante, ma non scompare completamente. Anzi qualche persona consacrata la difende, la estende a tutti i giorni dell’anno e v’inserisce un metodo di preghiera personale. Infatti, santa Teresa d'Avila scrive che ogni sera prima di addormentarsi, s’intrattiene in preghiera con Gesù agonizzante nell'Orto degli Ulivi: «Fermarmi alquanto sull'orazione dell'orto era l'esercizio che praticavo, da vari anni, quasi tutte le sere prima di addormentarmi, quando mi raccomandavo a Dio, e ciò anche prima che divenissi monaca, perché mi avevano detto che si guadagnavano molte indulgenze. Sono convinta che con quest’esercizio la mia anima si sia molto avvantaggiata, perché cominciavo a fare orazione senza neppur sapere cosa fosse» .

Spinti dalla riforma tridentina, alcuni religiosi riprendono la devota adorazione del Giovedì santo, che è accompagnata da qualche evento mistico. Infatti, la carmelitana, santa Maria Maddalena De’ Pazzi durante l’adorazione pomeridiana del 1585 perde improvvisamente i sensi, vede il Signore che si rivolge a lei, le ricorda gli episodi della sua dolorosa passione e la associa alle sue sofferenze. Nel 1673 santa Margherita Alacoque ha un’esperienza simile a Maddalena De Pazzi. Mentre sta odorando il Santissimo Sacramento, il Signore appare a lei tutto luminoso, la esorta a unirsi ogni giovedì sera alle sue sofferenze e a ripetere la supplica che egli rivolse al Padre, quando agonizzava nel Getsemani. Margherita obbedisce al Signore. Ogni giovedì alle ore 23 interrompe il sonno, si prostra per terra, s’immedesima nella drammatica agonia di Gesù e supplica il Padre celeste. Ripetendo per un’ora la preghiera del Figlio di Dio, impara ad amare di più, a intercedere per i peccatori e a espiare le loro colpe. Le suore del monastero e i religiosi di alcuni istituti imitano la fervente preghiera di Margherita Alacoque.

Nel 1828 il gesuita padre Debrosse fonda a Paray-le-Monial la confraternita dell’Ora Santa e le conferisce una dimensione riparatrice. Molte persone vi aderiscono, perché trovano in questa preghiera uno stimolo a unirsi alle sofferenze del Signore e a camminare verso la meta ultima della vita. Ogni giovedì sera pregano in privato o in pubblico, in casa o in chiesa. S’intrattengono un’ora con il Signore: lo adorano, gli elevano delle lodi e innalzano a lui delle invocazioni.

Santa Gemma Galgani apprende la pratica dell’Ora Santa, frequentando la scuola delle suore lucchesi di santa Zita, fondate dalla beata Elena Guerra. Ogni giovedì sera Gemma trascorre delle ore in preghiera davanti al crocefisso casalingo. Talora entra in estasi, partecipa attivamente all’agonia di Gesù e nei dialoghi con lui capisce la sua missione riparatrice. Lei stessa ce ne informa dettagliatamente: «Il Giovedì sera cominciai per la prima volta a fare l'Ora Santa… mi sentivo ripiena di dolore de' miei peccati… Passai l'ora intera pregando e piangendo, stanca come ero, mi misi a sedere; il dolore continuava. Mi sentii poco dopo raccogliermi tutta, e dopo poco, quasi tutto ad un tempo, mi vennero a mancare le forze… mi trovai dinanzi a Gesù crocifisso allora allora… Ogni Giovedì continuavo l'Ora Santa, ma mi accadeva alle volte che quest'ora durasse fino anche circa le due, perché me ne stavo con Gesù, e quasi sempre mi faceva parte di quella tristezza che provò nell'Orto alla vista di tanti peccati miei e di tutto il mondo: una tristezza tale, che può paragonarsi all'agonia della morte» .

Un biografo scrive che il servo di Dio, p. Leone Dehon (1843-1923) «ogni giovedì faceva l'Ora Santa. Apriva il tabernacolo e rimaneva in ginocchio, con la cotta, tutta l'ora, malgrado la sua tarda età e lo stato di debolezza a causa delle privazioni della guerra» . I congressi eucaristici regionali e nazionali riconoscono la validità dell’Ora Santa. Ne raccomandano quindi la praticata, per conservare la fede nella presenza sacramentale del Signore e nella volontaria riparazione del peccato.

Nel 1928 Pio XI pubblica l’enciclica Miserentissimus Redemptor (Il Redentore pieno di compassione) in cui invita i cattolici a vegliare un'ora con Gesù, agonizzante nel Getsemani, per fortificarsi spiritualmente, vincere le tentazioni quotidiane e riparare i peccati dell’umanità. Nel 1933, anno straordinario della redenzione, incrementa la devozione dell’Ora Santa. Ogni giovedì sera scende nella basilica di San Pietro e prega per un’ora davanti alla reliquia della Santa Croce, custodita presso la cappella della Veronica.

Edith Stein, filosofa, insegnante, conferenziera e scrittrice, si converte al cattolicesimo, attratta dalle adorazioni eucaristiche. Il giovedì sera di passione del 1933, ansiosa di capire la sua vocazione, entra nella cappella carmelitana di Colonia e segue il solenne svolgimento dell'Ora Santa. In una mistica elevazione, chiede al Signore la grazia di unirsi più intensamente alle sue sofferenze e di portare la croce della dilagante persecuzione antiebraica. Dopo la breve preghiera ha l’intima sensazione che il Signore l’ha esaudita. Divenuta monaca, ogni giorno intercede per il suo popolo perseguitato. In una lettera confida appunto alla Madre Petra, sua superiora: «È ai piedi della croce che ho capito il destino del popolo di Dio, che già si stava delineando» . Preparatasi all’ora del martirio, esorta i fratelli agonizzanti ad aver fiducia nella misericordia di Dio. Termina il suo cammino di immolazione, offrendo se stessa a lui. Con il suo sacrificio apporta salvezza alla popolo d’Israele e alla Chiesa .

Oggi l’Ora Santa è perlopiù sconosciuta a molti cristiani. Ne sono quei pochi che rifiutano le vanità e s’interessano di rafforzare la loro comunione con il Signore. Qualche sacerdote la propone ai fedeli e la vivacizza con adeguate iniziative. Ne ottiene apprezzamenti, consensi, rallegramenti e testimonianze di un autentico cambiamento interiore. Chi, infatti, patica l’Ora Santa abbandona gli atteggiamenti superficiali, entra in sintonia con la preghiera amorosa, sacerdotale e sacrificale di Gesù. Impara a dialogare con lui e a presentargli i maggiori problemi degli uomini. Esce da questo intrattenimento rinnovato, fortificato e fiducioso. Custodisce in sé quello ha appreso di elevato e nobile. Zeppo di sentimenti misericordiosi entra nel vasto campo delle progettazioni e delle azioni. Senza ritrarsi ai pesanti affaticamenti, reca al pubblico una raggiante testimonianza di fede, risponde alle legittime aspirazioni della gente e ne difende i diritti. Mette sempre in atto le sue qualità, esperienze e convinzioni. Ogni giorno cerca di dare il suo contributo, per riparare, curare, redimere, provvedere, proteggere, indirizzare, confortare e incoraggiare qualsiasi persona. Offre a ognuno un riflesso del volto sofferente e glorioso di Gesù Cristo.




----------
Fonte: scritti di p. Felice Artuso dell'ordine passionista inviati alla Redazione di ARTCUREL.

Post più popolari negli ultimi 30 giorni