venerdì 7 agosto 2020

La prospettiva antropologica e il contesto culturale, di don Francesco Garofalo

 

La prospettiva antropologica e il contesto culturale.

Oltre il reciproco sospetto.


DON FRANCESCO GAROFALO, docente di antropologia teologica

presso lo Studio Teologico di Treviso – Vittorio Veneto



Premessa:

*Prima di iniziare questo incontro cerchiamo di chiarire subito alcuni termini che useremo e che

troviamo anche nel titolo di questo mini-corso di approfondimento

Fede: esperienza dell’incontro con Gesù Cristo e in Lui, dello Spirito e di Dio Padre. Proprio perché

un’esperienza la parola fede comprende vari elementi: la fiducia in Gesù, in ciò che lui ci ha detto

e ci ha donato (Padre, Spirito..ecc), l’accoglienza delle mediazioni attraverso le quali noi

incontriamo Gesù (la chiesa, testimoni, relazioni) e la comunione, la conoscenza di Gesù e della

vita nuova che è il battesimo; è un dono e un cammino.

L’esperienza della fede offre anche un punto di vita, un modo di vivere la vita e di interpretare la

vita che chiamiamo sinteticamente: visione cristiana del mondo, della vita, dell’uomo

Scienza: insieme di conoscenze oggettive, verificabili, affidabili (dati empirici) raccolti secondo

ipotesi e teorie da verificare

Antropologia è quella scienza che s’interessa dell’uomo, lo studia e cerca di comprendere chi è

l’uomo (ha a che fare con l’uomo)

Prospettiva antropologica è quel modo di guardare la realtà, il mondo a partire dall’uomo e da

quello che sperimenta l’uomo.

Nel nostro titolo: La prospettiva antropologica e il contesto culturale. Oltre il reciproco sospetto,

mette subito in evidenza che ci sono due modi di guardare la realtà: la prospettiva antropologica

e il contesto culturale.

Per prospettiva antropologica qui non si intende un modo generico di guadare la realtà mettendo

al centro l’uomo o a partire dall’uomo, perché già il contesto culturale s’interessa dell’uomo….. ma

è quella visione cristiana dell’uomo che appare spesso diversa da quella della cultura attuale.

L’obiettivo di questo incontro è un confrontare la visione cristiana dell’uomo (prospettiva

antropologica) e il contesto culturale, per andare oltre il reciproco sospetto.

Quale sospetto? Che il mondo nel quale viviamo è tutto contrario alla visione cristiana o che la

visione cristiana sia del tutto fuori o contraria al mondo nel quale viviamo.


*VISIONI DIFFERENTI…..COSA CI DICONO?

Fede e scienza, visione cristiana dell’uomo e visione culturale dell’uomo appaiono

immediatamente come differenti e forse la cosa sembra sia poco interessante.

Ma se consideriamo la nostra esperienza, come abbiamo fatto prima, notiamo che una stessa

esperienza, un fatto, o semplicemente una persona la possiamo vedere in modi differenti.

Abbiamo punti di vista differenti tra noi ma non solo perché non siamo tutti delle fotocopie o delle

macchine. Io stesso nell’arco della mia vita posso vedere la stessa esperienza, fatto o persona in

modi differente (quando avevo 5 anni la prima bicicletta mi sembrava enorme, una moto, a 10

anni era una biciletta…a 20 mi pareva poco più di un triciclo).

Cosa ci dice questo?

Che la conoscenza di una realtà è sinfonica, è un mettere insieme punti di vista differenti e

soprattutto che nessuno possiede la verità, ma che ciascuno è parte di una verità e realtà che è

sempre più grande di noi.

Ci dice un’altra cosa: che quello che vediamo nell’altro o nel fatto (il modo di vedere e

considerare ciò che mi sta di fronte) mi rivela qualcosa di me.

Quello che vedo nell’altro mi fa da specchio: allora posso vedere quello che c’è in me sia come

qualcosa che mi dà sicurezza e conosco bene, e sia come qualcosa che disapprovo perché non

conosco o non accetto quella parte di me che vedo nell’altro.

In una visione cristiana dell’uomo lo specchio nel quale posso vedere il mio volto è Gesù.

Allora il modo di guardare un fatto, un’esperienza, una persona mi rivela in che modo sto vivendo

la mia relazione con Gesù.

Non a caso Gesù agli scribi che lo interrogano sul primo comandamento, mette insieme (sono

simili) il comandamento dell’amore a Dio e al prossimo. Amare Dio è simile ad amare il prossimo e

viceversa. Parafrasando: dimmi cosa e come guardi il prossimo e ti dirò come e cosa guardi di Dio.

Se difronte ad un fatto o persona la visione che ho mi porta a sottolineare ciò che manca, quello

che l’altro doveva fare e ha fatto o non ha fatto è chiaro che la mia visione parte dall’ideale, dalla

legge e dà molta importanza alla volontà, ed è facile che Cristo per me sia soprattutto un valore,

una norma, una voce che mi dice “devi, fai!”

Se difronte ad un fatto sottolineo l’emozione che ha provocato in me è chiaro che la mia visione

parte dalla dimensione affettiva e dà molta importanza al sentimento, dunque questo mi dice che

la relazione con Cristo la cerco o la vivo prevalentemente sul piano emotivo.

Se difronte al fatto mi fermo prevalentemente a descrivere, a giudicare, a classificare o analizzare i

particolari posso scoprire che nella mia visione della realtà do molta importanza alla conoscenza,

alla comprensione delle cose ed è facile che nel rapporto con Gesù io cerco di avere il controllo

della relazione: Gesù è qualcosa da conoscere o è una forma di conoscenza, di sapere.

Questa non è una valutazione ma una constatazione che ci aiuta a scoprire che in ogni visione

della realtà, come dell’uomo c’è in gioco un modo di pensare se stessi (di guardarsi) e un modo di

guardare e stare con Gesù (Dio).

Proviamo allora ad entrare nel vivo di questo incontro: cerchiamo di cogliere alcuni tratti del

contesto culturale e successivamente le caratteristiche della visione cristiana dell’uomo.



I. Il contesto culturale

Il contesto culturale nel quale viviamo è molto ampio e complesso. Ci soffermiamo su alcuni tratti

che interessano il nostro incontro, ovvero l’interesse per l’uomo e il modo di approccio e

comprensione di ciò che riguarda la vita della persona umana.


*IL MODELLO DI CONOSCENZA SCIENTIFICO E IL MODELLO DI UOMO

Una caratteristica del nostro contesto culturale è la presenza diffusa e capillare delle scienze

umane. Oggi la forma di conoscenza più diffusa e cercata è di tipo scientifica.

Il riferimento alla scienza riguarda tanti ambiti: non solo la fisica, la matematica, la chimica, ma

oggi c’è una scienza per ogni aspetto della vita dell’uomo. Cosi c’è una scienza del linguaggio, 

dell’alimentazione, di ogni attività sportiva, scienza economica, della finanza, del cinema,

dell’educazione, della danza, della pittura, dell’agricoltura, della storia…di tutto e di più.

Quali caratteristiche ha questo sapere scientifico?

Si presenta come una conoscenza oggettiva (con dei dati misurabili), precisa, documentabile e

verificabile- E’ una conoscenza che offre sicurezza e, a seconda degli ambiti, appare molto

funzionale: dice come si fa o usa una determinata cosa, analizza una situazione o problematica,

cerca o indica delle soluzioni.

E’ una conoscenza sempre più specializzata, che risponde ad una domanda: cos’è questa cosa?

Come funziona? Come utilizzarla al meglio? Cosa devo fare per risolvere quel problema?

Quale visione di uomo ha questo sapere scientifico?

Un approccio scientifico presuppone che la realtà da conoscere (l’uomo, un vissuto, una disciplina

o qualsiasi cosa) è un oggetto che si può misurare.

L‘uomo è pensato come individuo, come singolo, sempre più oggetto che soggetto di conoscenza;

un oggetto scomponibile come una macchina multi-funzioni.

Questo ha l’effetto di rendere più difficile una visione unitaria dell’uomo e della vita. L’impressione

è di una conoscenza frammentaria. La domanda sull’efficienza e cosa fare sostituisce la domanda

sul senso dell’uomo, la quantità di informazioni prende il posto alla qualità (senso).

In questo modo la persona si trova sempre più insicuro, indeciso.

Un altro effetto è che il particolare prende il posto del tutto e porta ad identificarsi con un aspetto

di sé, o un problema o una parte della propria vita.


*L’ORIGINE DELLE SCIENZE UMANE E DELL’ANTROPOLOGIA

Il termine antropologia (antropos=uomo; logos=discorso) compare nel 1500 insieme alla nascita

delle scienze empiriche. L’uomo diventa il centro di interesse per le scienze che cercano le costanti

naturali dell’oggetto-uomo, analizzato sotto il profilo biologico, psicologico, sociologico,

linguistico, etnologico…ecc.

Come è nato questo interesse per l’uomo e perché sono nate le scienze umane?

La scoperta dell’America (1492); la riforma protestante (1517); la rivoluzione copernicana (1542)

sono tra i grandi cambiamenti culturali che segnano la fine di un mondo omogeno, compatto,

sicuro, ovvero una mentalità cosmologica, dove l’uomo era parte del cosmo e al centro del cosmo

c’era Dio. In tale mentalità i modi di pensare, i valori, la religione erano uguali per tutti (uniforme).

Con la scoperta dell’America si scopre un altro mondo e totalmente diverso da quello europeo; la

divisione tra cattolici e protestanti rompe l’unità religiosa, la rivoluzione copernicana pone al

centro non più la terra ma il sole. L’unità, la sicurezza, i riferimenti stabili che avevano

accompagnato per secoli la cultura europea vengono meno e l’uomo si ritrova disorientato.

Se prima tutto era immutabile, ora tutto è relativo. C’era bisogno di un nuovo punto di

riferimento, di un sole attorno a cui far ruotare tutto.

Il centro, il sole nuovo non è più Dio e l’ordine creato da Dio, ma è l’UOMO.

Nasce cosi l’era moderna, l’umanesimo che pone al centro dell’interesse l’uomo e la sua ragione.

Tale cambiamento porterà nel 1800 ad una vera e propria svolta culturale: la svolta antropologica.

Tra i pensatori più rappresentativi di questa svolta ci sono Feuerbach, Marx; Nietzsche.

I due principi che caratterizzano questa svolta antropologica e di conseguenza lo sviluppo delle

scienze umane sono: Il rifiuto del riferimento a Dio e l’affermazione dell’autonomia dell’uomo

E la chiesa?

Come una mamma difronte al figlio che reclama il proprio spazio e la propria autonomia, la chiesa

per secoli ha cercato di difendere quelle verità che considerava eterne. Ha visto per tanto tempo

con diffidenza questa svolta antropologica soprattutto per l’esplicito rifiuto del riferimento a Dio.

La radice del reciproco sospetto è dovuto ad un atteggiamento di difesa e di chiusura reciproca:

-le scienze umane verso la teologia, e in genere nei confronti di ogni riferimento a Dio, perché

avvertito come qualcosa che poteva togliere spazio alla libertà di pensiero, di ricerca, di

conoscenza;

-la teologia verso le scienze umane perché questo modo di mettere al centro l’uomo era avvertito

come qualcosa che poteva togliere spazio alla fede e all’idea di una verità immutabile.

Scienze umane e teologia hanno per secoli difeso uno spazio di autonomia che ha comportato la

mancanza di confronto e di dialogo, fonte poi di sospetti e pregiudizi reciproci.

Ho messo in luce questa radice comune perché non si tratta di una sana e doverosa distinzione tra

fede e scienza, ma di un’autonomia pensata e vissuta come senza relazione con l’altro, con ciò che

è differente.

Questo ci dice subito una prospettiva da non dimenticare e che ci riporta ad un aspetto

fondamentale della persona, della vita e quindi anche della conoscenza e della fede stessa: la

relazione. Non c’è vita, persona, amore, conoscenza, fede, scienza…senza relazione.

Lo ha riconosciuto sempre più la teologia ponendo al centro Gesù e non un’idea astratta di verità,

ponendo al centro la storia della salvezza e la Rivelazione che è intreccio di relazioni tra gli uomini

e degli uomini con Dio. Non si può essere in relazione con Dio senza relazioni con gli uomini e tutto

ciò che c’è di umano (è il grande dono dell’Incarnazione)

Lo ha riconosciuto la scienza scoprendo che ogni conoscenza e sapere non può essere completo se

non è messo in relazione con altri. Molti dati, pur empirici, molte teorie e ipotesi hanno bisogno di

essere interpretati in una visione sempre più ampia e complessiva della realtà.

Proprio all’interno delle scienze umane sempre più affiora una domanda fondamentale dell’uomo:

qual è il senso dell’uomo? Qual è il fine di tutto ciò che conosciamo e abbiamo?

La scienza si trova ad un bivio: o ipotizzare che tutto è frutto del caso ed è pura casualità, oppure

aprirsi ad un senso che non è conoscibile solo con il metodo empirico, ma considerando la

relazione e mettendosi in relazione.



II. La visione cristiana

* UN’ICONA: LA PROFESSIONE DI FEDE DI PIETRO

Per cercare di sintetizzare la visione cristiana dell’uomo teniamo presente una pagina del Vangelo:

l’incontro di Simone con Gesù. Gesù ha mostrato i segni dell’amore di Dio con parole e gesti, e poi

ad un certo punto chiede: «voi chi dite che io sia?», Simone risponde: «Tu sei il Cristo, il Figlio del

Dio vivente» e Gesù risponde: «Tu sei Pietro, e su questa roccia edificherò la mia chiesa». Simone

guardando Gesù, rispondendo a Lui, vivendo la relazione con Lui scopre chi è la sua identità e il

senso della sua vita: non è più Simone il pescatore, ma è Pietro e sarà apostolo di Gesù.

Anche noi allora per precisare la visione cristiana dell’uomo e scoprire il volto cristiano dell’uomo,

ci poniamo in relazione con Gesù e rispondiamo alla domanda: chi è Gesù?


*IL VOLTO DI GESÙ: FIGLIO, PIENO DI SPIRITO SANTO, AMORE

Nell’incontro con Gesù i discepoli, e ciascuno di noi, abbiamo scoperto che Gesù è Figlio, è

carismatico (pieno di Spirito Santo) ed è il volto della manifestazione dell’amore di Dio

1.Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo.

In Gesù vediamo la perfetta unità tra Dio e uomo, ovvero quando Dio si unisce all’uomo, l’uomo

non scompare, ma si ritrova pienamente. Dio si manifesta pienamente nell’uomo e l’uomo è

pienamente se stesso in Dio.

La libertà di Dio e dell’uomo non sono alternative: più Dio c’è più c’è l’uomo.

Se Gesù è l’uomo compiuto in lui possiamo riconoscere che la vera libertà è quella del Figlio, e il

Figlio è sempre in relazione con il Padre. La vera libertà è relazione

2. Gesù è pieno di Spirito Santo.

Ogni suo gesto, scelta, parola...è animato dallo Spirito di Dio, cioè ogni dimensione intellettuale,

affettiva, sentimentale, fisica è illuminata, attraversata, abitata dallo Spirito santo.

Lo Spirito è la relazione d’amore tra il Padre e il Figlio; è la vita della vita, ovvero l’amore.

Se lo Spirito ha animato tutta la vita di Gesù allora possiamo dire che lo Spirito non è una parte

dell’uomo ma è la vita dell’uomo Gesù. Tutta la vita dell’uomo Gesù è vita spirituale

3.Gesù è il volto dell’amore di Dio.

La piena manifestazione dell’amore di Dio è avvenuta nella pasqua di Gesù.

Dal suo cuore trafitto si è aperta la via per accogliere, gustare l’Amore di Dio, l’Amore che è Dio.

In Gesù riconosciamo l’amore pasquale che dona la vita, dona tutto di sé fino in fondo.

L’amore di Dio è fedele. Per amore Gesù discende negli inferi, morto tra i morti come peccatori,

sperimenta cos’è il peccato, la separazione dell’uomo da Dio. Gesù grida e muore amando.

L’amore di Dio vince il male non con la forza ma con l’umiltà, ovvero l’amore ha una nuova forza:

la potenza nella debolezza (onnipotente impotenza di Gesù) che disarma il male.

L’amore di Dio fa risorgere Gesù: il suo corpo è trasformato dall’amore, vivo con i segni della

passione, della fragilità dell’uomo risplende la vita e l’amore eterno di Dio.

Nella risurrezione risplende la bellezza dell’umanità e il destino dell’uomo che è la vita eterna

nella comunione con Dio, da figlio in un corpo risorto.

L’Amore è così forte da farsi fragile e umile, riesce ad essere presente in modo che l’amato, se

vuole, può rifiutarlo. L’Amore abbraccia la persona amata, ma allo stesso tempo non la trattiene,

la lascia libera. L’Amore ama, ma l’amato può farne a meno; c’è, ma non s’impone. L’Amore può

rimanere in attesa in eterno, anche se l’amato lo ignora e non lo accoglie mai. L’Amore riconosce

l’amato sempre, in modo così radicale che anche se è rifiutato non cessa di amare.

Solo un Amore può abitare e cambiare il cuore ferito e indurito dal peccato, perché è privo di

rivalità, può abitare in noi senza minacciare e senza limitazioni (condizioni).


*LA VISIONE CRISTIANA DELL’UOMO: RELAZIONE-COMUNIONE

A partire dal volto di Cristo possiamo ora rispondere a questa domanda: chi è l’uomo?

L’uomo è immagine e somiglianza di Dio, potremmo dire è figlio nel Figlio (dono e compito)

L’uomo è abitato dallo Spirito; l’uomo è spirituale.

L’uomo è comunione con Dio e i fratelli

“Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne io la vivo nella fede del

Figlio di Dio che amato e ha dato la sua vita per me” (Gal 2,20).

Con il Battesimo l’uomo è immerso nella vita di Cristo e in questo modo tutta la vita dell’uomo

partecipa alla vita e all’Amore di Dio.

Questo vuol dire che l’uomo ha in sé un nuovo principio di vita: lo Spirito di Cristo che vive in Lui.

Tutta la vita dell’uomo (la sua storia, le sue relazioni, ogni dimensione della sua persona) partecipa

alla dinamica pasquale dell’amore di Cristo.

La visione cristiana dell’uomo ha come punti di riferimento due aspetti fondamentali: 

LA RELAZIONE e LA PASQUA.

1.Una visione unitaria dell’uomo

Nella visione cristiana l’uomo non è più compreso secondo il modello scientifico composto di parti

separabili di corpo, anima e spirito, ma è un tutt’uno dove lo spirito, l’anima e il corpo sono in

relazione e profondamente uniti.

2.Una visione relazionale dell’uomo: la persona

La relazione e la comunione non è qualcosa che si aggiunge dopo la nascita della persona, ma è

l’origine e la struttura della persona stessa.

Noi scopriamo la novità della vita in Cristo quando iniziamo a riconoscere che siamo comunione.

La comunione non è una conquista o una metà da raggiungere con i propri sforzi, ma è dono che

anticipa la nostra vita, che è all’origine della nostra vita ed è il senso della nostra vita.

Così la vita spirituale, la vita in Cristo, non è prima di tutto è frutto di uno sforzo personale, ma è

un dono che chiama, ovvero ci sorprende, ci affascina, ci coinvolge e rende possibile la nostra

risposta creativa.

L’uomo nella visione cristiana (spirituale) non è un individuo (single), ma una persona, ovvero

uomo di relazione e per la relazione con Dio Trino (comunione), con gli altri e con il cosmo (cfr i

sacramenti esprimono bene queste tre relazioni).

3.Una visione pasquale della persona

L’origine e il fine della persona è la comunione e per la visione cristiana tale comunione è la

persona di Gesù Cristo crocifisso e risorto.

Il compimento della persona umana per un cristiano si chiama santità, ma la santità non è un

ideale di perfezione dove non ci sono limiti e non ci sono peccati o ferite o problemi.

La santità consiste nel vivere la relazione con Cristo, con gli altri e il cosmo in Cristo.

E’ la comunione con Cristo che ci rende santi, perché unificati nell’amore dove i peccati, i limiti, le

ferite e i problemi non sono superati ma attraversati e trasformati grazie alla relazione di

comunione.

L’aspetto più drammatico non è il limite e nemmeno il male, ma il peccato che è la ferita o la

rottura della relazione d’amore, l’autoaffermazione.

La tentazione più grande non è quella di fare il male, ma di non credere all’amore gratuito di Dio, e

di poter vivere meglio senza relazione con Dio e gli altri.

Fuori dall’amore e senza relazione la persona diventa individuo, ovvero ripiegato su di sé cerca di

autosalvarsi, cerca vita e protezione possedendo o controllando tutto e tutti.

Con la sua morte e risurrezione Gesù, ferito e debole con noi dal peccato, attraversa le nostre

ferite e chiusure e nell’amore umile stabilisce con noi una nuova relazione. L’incontro con il

Risorto rende la nuova relazione una relazione pasquale dove i segni della morte non sono spariti

ma trasformati. Nel perdono Dio si dona al peccatore e il peccato, come la morte, smette di essere

una realtà oscura e senza vita. Il perdono non cancella qualcosa ma genera una persona perché

stabilisce una relazione che dà vita anche nella morte e nel peccato.

In questo modo la vita della persona diventa pasquale, ovvero libera dalla paura che il peccato e la

morte lasciano nel suo cuore. Il principio vivo che permette di conoscere la realtà non è ideale, ma

la pasqua di Gesù accolta nella propria umanità.



III.Oltre il sospetto

Il sospetto è frutto della non conoscenza e della paura dell’altro. Più conosciamo Cristo e la vita

nuova nella quale viviamo, più conosciamo gli uomini del nostro tempo e la cultura nella quale

viviamo e più verrà superato il sospetto.

La condizione fondamentale per conoscere la realtà e vivere un autentico confronto è l’umiltà.

L’umiltà è accoglienza della vita nella consapevolezza di essere cercatori e non padroni di verità; e

nella consapevolezza che la vita e la salvezza, l’amore e la conoscenza sono sempre un dono che ci

ha raggiunto, affascinati, amati e chiamati alla comunione dove amore e conoscenza non hanno

mai fine.

In questi anni, dove si è assunto questo atteggiamento di fondo, il dialogo tra scienza e teologia ha

permesso di riconoscere la complementarietà dei “sàperi” superando le contrapposizioni sterili.

Se la scienza si occupa di analizzare e conoscere il come vive, come funziona, come cresce la

realtà-uomo; la fede conosce (e la teologia cerca di rendere ragione) il PERCHE’, il SENSO della

realtà-uomo.

In questo modo il come della scienza e il perché della fede non sono alternativi ma

complementari.

E’ interessante notare come nel corso dei secoli alcune scienze umane (teorie evoluzionistiche,

neuroscienze, fisica quantistica…) e alcune teologie sempre più stanno convergendo nel

riconoscere come la relazione sia la dimensione fondamentale dell’uomo, della realtà, della

conoscenza.

Quando diciamo che il mondo e l’uomo sono creati da Dio in Cristo, non stiamo dicendo come ha

avuto origine il mondo e l’essere umano, ma stiamo indicando un tipo di relazione che dà senso

alla vita del mondo e dell’uomo.

Ci sono teorie evoluzioniste che spiegano come si è formata la vita riconoscendo delle costanti e

delle leggi, ma anche riconoscendo delle variabili che posso essere attribuiti al puro caso (senza

logica, né razionalità) oppure ad un principio che riconosce la necessità di un fine, di un senso non

misurabile.



Don Oreste Benzi, da uomo sapiente e spirituale quale era, notava una cosa interessante. I

bambini piccoli appena iniziano a parlare chiedono tutto e sempre. Verso i due anni la domanda è:

“che cosa è?”, mentre verso i quattro anni un bambino chiede: “Perché?”.

Con questa domanda un bambino non vuole spiegazioni, vuole soprattutto una relazione. La sua

domanda è una chiamata, una richiesta di relazione…sta crescendo e per crescere, per andare

incontro al mondo ha bisogno di sentirsi sicuro…e un bambino sa bene che la vera sicurezza sta

nella relazione, nella comunione. La domanda sul perché delle cose è una domanda di relazione

piena e autentica, di una relazione d’amore. Di fronte alla sua insistenza..”perché, perché,

perché”…più che una spiegazione, vuole sentirsi dire con la relazione, con l’attenzione, con i gesti

e con le parole una sola risposta: “ti voglio bene”.



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Bibliografia:

MARCO IVAN RUPNIK, Nel fuoco del roveto ardente. Iniziazione alla vita spirituale, ed. Lipa, Roma
1996.
MARCO IVAN RUPNIK, Alla mensa di Betania. La fede, la tomba e l’amicizia, ed. Lipa, Roma 2004.
DON ORESTE BENZI, Signore, voglio vedere il tuo volto. Desiderio di Dio, Ed. Sempre, Rimini 2013.
GIAN LUIGI BRENA, Identità e relazione. Per un’antropologia dialogica (Sophia 6), EMP, Padova 2009.
JOSEPH RATZINGER, Progetto di Dio. Meditazioni sulla creazione e la chiesa, Marcianum Press, Venezia 2012.


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Fonte: http://www.seminariotreviso.it/treviso/allegati/11554/1.%20Don%20Francesco%20Garofalo%20-%20Testo%20completo.pdf


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