giovedì 5 settembre 2024

Lettura teologico spirituale dell'icona della Vergine del Carmine detta "La Bruna", di Jesùs Castellano Cervera




Jesùs Castellano Cervera

LETTURA TEOLOGICO SPIRITUALE
DELL'ICONA DELLA VERGINE DEL CARMINE
DETTA " LA BRUNA "

                


Maria SS. del Carmine Maggiore , detta " La Bruna " , Napoli .

Leggere il mistero di una icona veneratissima ed antica come quella della Madre di Dio, detta la Bruna, che presiede la Chiesa del Carmine Maggiore di Napoli, è per me un onore e una sfida. Prima di tutto è l'onore di un figlio carmelitano che contempla una delle più antiche immagini di Maria che sono rapportate al titolo di Madre del Carmelo. Una sfida perché tale lettura impegna la mente ed il cuore nello svelamento dei misteri che ogni immagine sacra porta con sé, in maniera oggettiva, al di là dei nostri sentimenti e dei nostri gusti. Cercherò quindi di leggere quest'immagine, non dal punto di vista storico o devozionale , ma dal punto di vista teologico e spirituale, a partire da una convinzione, che si è fatta certezza, dopo aver contemplato l'immagine restaurata della Bruna, prima nelle riproduzioni recenti e poi direttamente a faccia a faccia. È la certezza di trovarci davanti ad un'icona della Madre di Dio, di ispirazione certamente orientale, alla quale è doveroso applicare per analogia, quanto si può dire delle icone orientali della Madre del Signore. Esordirò quindi con alcune annotazioni di carattere generale sull'icona per poi fissare l'attenzione nell'immagine della Bruna di Napoli.

1. L'ICONA: IL MISTERO DI UNA PRESENZA
L'icona è un segno sacramentale della Chiesa. Questa sacramentalità è molto accentuata in Oriente fino ad affermare che le immagini sacre sono come "presenze" delle persone e dei misteri che rappresentano. La " sacramentalità " delle icone forse in principio non veniva direttamente da una speciale benedizione impartita dalla Chiesa, ma semplicemente dal contatto vivo delle icone stesse con la liturgia celebrata, con la fede confessata e la preghiera ecclesiale; o proveniva dalla sacralità del luogo dove era celebrata l'Eucaristia ed era presente l'icona. Oggi esiste in Oriente un rito speciale per la benedizione delle icone; non manca un analogo rito di benedizione delle immagini neppure in Occidente. Tuttavia in alcuni luoghi di Oriente Je icone sono benedette quasi per contatto con il mistero eucaristico, passandole sopra la patena ed il calice prima della dossologia dell'anafora. L'icona entra così a far parte dell'universo simbolico della liturgia, con il carattere evocativo di una presenza e per essere la visibilità dell'invisibile volto di Cristo, di Maria e dei Santi; esse irradiano uno sguardo amico, offrono una compagnia che, nel mistero della comunione dei Santi, ci viene incontro e da noi è confessata ed invocata. . , ,, Con questa benedizione la Chiesa esprime un duplice sentimento della propria fede: rendere l'immagine un segno sacro, evocativo per la fede dei fedeli della realtà che rappresenta; invitare i fedeli a venerare le persone o i misteri rappresentati. . Davanti ai nostri occhi l'immagine è come una presenza che si propone come una finestra aperta sul mistero per poter entrare m comunione con Cristo, con la Madre di Dio e con i Santi; una presenza accessibile che ci invita anche all'imitazione, a realizzare nella nostra vita ciò che vediamo, a riviverlo interiormente. L'immagine è un ricordo/memoriale, luogo d'incontro di sguardi e di presenze; è possibilità di contemplazione, è stimolo all'imitazione. Nel a preghiera davanti a un'immagine di Cristo o della Vergine Maria, non solo guardiamo ma ci sentiamo anche guardati da Qualcuno/a che ci ama. La contemplazione è in questo caso un modo di "contemplare 1 Inviabile. (Cfr Eb 11 27) o, come dice la liturgia di Natale, una visione della realta soprannaturale, "affinchè contemplando le cose visibilmente siamo portati all'amore dell'invisibile". . Il Patriarca Dimitrios I esprimeva così nel 1987, nella sua Enciclica sulle sante icone, il senso profondo dell'icona di Cristo come manifestazione della sua presenza, secondo la più genuina tradizione orientale. Ma il testo può essere anche riferito alla Vergine Maria: "L'icona di Cristo testimonia una presenza, la sua stessa presenza, che consente di giungere ad una comunione di partecipazione, ad una comunione di preghiera e di resurrezione, ad una comunione spirituale, ad un incontro mistico col Signore dipinto in immagine. Certamente l'icona del Signore non e Cristo stesso, come nell'Eucaristia il pane è il suo corpo e il vino il suo Sangue.
Nell'icona c'è la presenza della sua ipostasi, che non cambia ne modifica m nulla la materia o i colori o il pennello o i disegni esteriori e le forme alle quali i disegni corrispondono. Tuttavia, questa icona riproduce in maniera ipostatica (personale) le sembianze e l'identità di Cristo, che in essa è raffigurato con quanto è caratteristico di tutta la sua immagine. Tutto il mistero dell icona e contenuto in queste sembianze dinamiche e misteriose che rinviano ali originale, vale a dire all'essere divino e umano del Signore".'
--Testo dell'Enciclica del Patriarca Dimitrios in 11 Regno /Documenta 1 marzo
1988 pp 148-156, testo citato a p. 154; Per una introduzione alla comprensione delle
icone Sella Madre di Dio, cfr. SUOR MARIA DONADEO, Icone dola Madre d^o_
Broscia, Morcelliana, 1982. Una breve presentazione delle icone ir.Catecheo della chiesa
cattolica, nn. 1159-1162; cfr. anche il mio contributo: Icone, m Dwonano Enciclopedico
di Spiritualità. Roma, Città Nuova, 1990, pp. 1241-1251.

Ci sono poi, in Oriente ed in Occidente, immagini che cariche della preghiera e della venerazione dei fedeli diventano come un luogo di rivelazione, una presenza miracolosa. Questo inserimento delle icone nel movimento cultuale della Chiesa, ascendente e discendente, quale presenza di grazia e luogo di preghiera, le rende particolarmente adatte ad essere una mediazione per l'incontro con il mistero, nella linea della sacramentalità della Chiesa e della santa liturgia, con il senso positivo di manifestazione visibile delle cose invisibili, con la capacità di suscitare la fede e l'amore senza i quali non si entra in comunione con il mistero. Diventano così luogo dell'incontro delle persone, trasparenza per un rapporto di comunione spirituale fra il credente che vi si accosta con la propria fede e le persone rappresentate che in qualche modo rendono visibile il loro rapporto vivo con noi nella comunione dei Santi. In sintesi, ogni icona, per poter essere venerata dai fedeli, deve possedere tré qualità che solo la Chiesa può garantire e che sono interpretate dalla tradizione con un senso molto preciso. Deve essere quindi un'immagine vera, miracolosa e a-cheròpita. Vera, in quanto i suoi tratti devono corrispondere esattamente alla parola che la illumina e che l'immagine stessa rende visibile, al mistero che rappresenta. Miracolosa, in quanto fa vedere le meraviglie di Dio, per quanto a volte si tratta anche di un'immagine che possiede la qualità carismatica di essere una fonte di grazie soprannaturali e di manifestazioni miracolose. Acheròpita, in quanto non deve corrispondere ad un'opera semplicemente umana, fatta da mano d'uomo, ma in qualche modo deve essere un'immagine "non fatta da mano d'uomo", ispirata da Dio attraverso la mediazione della sua parola e la tradizione della Chiesa. Tale è per noi l'immagine santa e santifìcatrice della Vergine Maria, Madre di Dio, Vergine del Carmelo, la Bruna di Napoli, attraverso il flusso di grazia e di devozione che unisce il suo sguardo allo sguardo e alla preghiera dei fedeli. La Vergine del Carmelo a Napoli è anche tutto questo: una presenza sacramentale di Maria in una sua icona, una finestra che apre il cielo alla terra e la terra al cielo.

2. L'ICONA DELLA BRUNA FRA LE ICONE TRADIZIONALI DELLA VERGINE MARIA
Le immagini della Vergine Madre di Dio sono innumerevoli. Sono tutte rappresentazioni della Vergine Maria nei suoi episodi evangelici e nei suoi titoli teologici. Ma vi sono innumerevoli icone che hanno origine da un'apparizione, da un miracolo, dalla venerazione tributata in un determinato santuario. Segnaliamo per prime alcune immagini classiche. La rappresentazione più comune è quella dell'immagine della Theotòkos Madre di Dio col Bambino Gesù fra le sue braccia o nel suo seno. Tale immagine ha diversi nomi teologici, sia per l'espressione del suo volto che per il rapporto della Madre con il Bambino che tiene fra le braccia. Tutte però hanno in comune il titolo più eccelso della Vergine Maria: Madre di Dio. Il titolo che tutto contiene, la sintesi della vocazione e de missione di Maria, il principio da cui scaturiscono tutti i suoi privilegi. La Vergine viene rappresentata come Odighitria, colei che indica la via, se ci presenta il suo Figlio Gesù ed indica che è Lui la via. La Vergine Eleousa, o della tenerezza, esprime l'intimità della Vergine con il Bambino, fusi in un abbraccio. Di questo tipo, come si dirà, è la Vergine Bruna, Madre di Dio della tenerezza; si chiama anche Glycofìlousa, del dolce amore e dei dolci baci, perché rappresenta la Vergine in un tenero bacio, o con le guance accostate del Figlio e della Madre. La Vergine Galattotrefoussa rappresenta Maria che nutre con il latte del suo seno il Bambino. Esiste anche un'immagine di Maria in cui l'atteggiamento del Bambino è quello di un bimbo che giocherella con la Madre in posizione ardite. Esiste pure il tipo della Vergine, detta Kyriotissa, che forse significa anche Signora, perché sostiene il Bambino fra le sue ginocchia, come seduto su un trono. La Vergine è chiamata Panaghia, o Tutta Santa, perché è coperta da un manto rosso che indica la santità dello Spirito Santo, ed esprime la pienezza della sua santità esteriore ed intcriore.
La Platytera, o più grande dei cieli, è colei che contiene l'Incontenibile, o colei che è immensa a tal punto che contiene l'Immenso. La vergine Orante, con le mani giunte in preghiera e il Bambino in un cerchio di gloria, come quella di Jaroslav, o semplicemente con le mani alzate in preghiera come quella di Santa Sofia di Kiev. La Vergine Psychosostria, o colei che salva le nostre anime. La Vergine della Passione, conosciuta in Occidente come la Vergine del Perpetuo Soccorso, con gli Angeli che recano gli strumenti della Passione e il Bambino che guarda attonito verso il futuro che lo attende. Maria è come la Portaissa, porta del cielo, dal nome di una delle icone più celebri del Monte Athos, conservata nel monastero di Iviron. Con frequenza la Madonna è anche avvolta in un manto rosso o porpora che ricopre pure il suo tipo; il colore rosso o porpora indica la sua santità, e per questo la Vergine viene chiamata Panaghia (Tutta santa), con una espressione cara ai fratelli di Oriente che sottolineano il suo rapporto con il Panaghion o Tuttosanto (lo Spirito Santo) che avvolge completamente Maria. Sulla veste di Maria sono dipinte tré stelle, alle volte è visibile solo una, come nel caso della Bruna. Una sulla fronte, due ai lati, formando un triangolo che allude senz'altro alla Trinità. Secondo l'interpretazione più accettata si tratta di un segno che indica la triplice verginità di Maria: prima, durante e dopo il parto. La Vergine Bruna è parte integrante della grande tradizione pittorica che si ispira all'iconografia orientale e per la sua antichità si colloca fra le più significative e più antiche icone venerate in Occidente, se risale, come molti credono, alla seconda metà del secolo XIII.2
Il suo tipo corrisponde a quello della Madre di Dio della tenerezza, Eleousa , o la Vergine Glycofìlousa, dei dolci baci. La sua contiguità con le immagini orientali è tale, che anche se fosse di origine italiana, una improbabile Madonna senese, come alcuni ritengono, si tratta sempre di una immagine ispirata all'iconografia dell'Oriente. Il fatto poi che vi sia nella tradizione della Bruna di Napoli la sua commemorazione settimanale al mercoledì - i mercoledì della Bruna - e non al sabato, anche se si tratta di una tradizione che risale ad un particolare miracolo della Bruna, avvenuto in un mercoledì, suggerisce ancora con più forza la contiguità della tradizione orientale di tale devozione. Il mercoledì è ancora oggi il giorno del ricordo di Maria come Madre di Dio nella liturgia bizantina.

3. UNA LETTURA STORICA DELL'IMMAGINE DELLA BRUNA ALLA LUCE DELLA TRADIZIONE DEL CARMELO
II Carmelo, con le sue tipiche radici orientali, ha venerato fin dall'inizio della sua esistenza la Madre di Dio nella piccola e bella cappella primitiva del primo monastero del Wadi-ain- es-Siah, presso Haifa in Israele. Nessuna notizia autorevole può appagare la nostra curiosità di sapere come era l'immagine di Maria venerata dai primi Carmelitani. Si può logicamente supporre che si trattasse di una icona, di una tavola dipinta, più che di una immagine in legno o in marmo, e che raffigurasse il tipo classico
della Theotokos, la Madre di Dio, con il Bambino tra le braccia in quell'atteggiamento di comunione e di tenerezza che è caratteristico di tante immagini venerate dai Carmelitani, come nel caso della nostra icona della Bruna di Napoli o della Madonna del Carmine di Firenze. Prima ancora che l'iconografia della Vergine del Carmelo presenti i tratti caratteristici dello Scapolare, della protezione sull'Ordine o della sollecita liberazione dal Purgatorio, i Carmelitani riconoscono la loro Madre nel volto tenero e materno della Madre di Dio. 2 Per le notizie storiche che riguardano la Bruna ed il suo culto cfr. G. MONACO, S. Maria del Carmine detta " La Bruna ". Storia, culto, folklore, Napoli, Laurenziana, 1975; La Vergine Bruna e il Carmine Maggiore di Napoli . Fede, storia, arte. Napoli 1988. Forse una delle immagini più antiche della Vergine del Carmelo è il ritratto conservato dell'icona della Madre di Dio venerata per molto tempo nella chiesa di San Cassiano a Nicosia (Cipro), poi alla Basilica di Santa Sofia, sempre a Nicosia, e ora nel Museo cittadino dedicato all'Arcivescovo Makarios. Si tratta di una bella tavola a colori, verosimilmente del secolo XIV, dovuta ali' arte di un iconografo orientale. La Vergine appare maestosa, assisa in trono, ricoperta di un mantello bianco; porta alla sua sinistra il Bambino e lo indica come Salvatore; ai suoi piedi si vede un gruppo di Carmelitani che indossano il bianco mantello dell'Ordine, in atteggiamento di supplica e di venerazione; ai lati, secondo lo stile dell'iconografìa orientale, sedici scene che probabilmente si riferiscono alla storia dell'Ordine, ma, purtroppo, indecifrabili, dato lo stato generale di deterioro della pittura. Questa immagine combina tré tipi iconografici classici: la Theotokos (Madre di Dio), la Odighitria (Colei che mostra la via, perché indica il suo Figlio come Via), la Kyriotissa (Signora o Regina), per il suo atteggiamento maestoso in quanto Maria diventa il trono stesso di Cristo). Si tratta di una icona venerabile che è stata con tutta probabilità venerata dai Carmelitani di Cipro quando nell'isola esisteva una Provincia Carmelitana (1291-1570) con ben sei conventi, dei quali uno precisamente a Nicosia, da dove certamente proviene l'immagine.3 Tuttavia, nonostante queste tracce di ispirazione orientale per dipingere la Madre del Carmelo, è prevalso in Occidente il tipo primitivo della Vergine Madre di Dio, come quella della Bruna, in quella raffigurazione che rende presente la grande comunione della Vergine con il Figlio fino a presentare i due con due guance accostate l'uno all'altra. Abbiamo così il tipo della Vergine Eleousa, o della tenerezza, che diventa pure la Glycofiloussa (dei dolci baci o del dolce amore). Sono stati conservati di quest'immagine alcuni tipi iconografici della Vergine venerati dai Carmelitani, per sottolineare la vera maternità di Maria e la vera umanità di Gesù, quando la dipingono allattando il Bambino; questo tipo, che trova anche alcuni esemplari carmelitani, come quello del Carmine di Catania, si chiama, come è stato ricordato, Galattotrefoussa (Colei che nutre con il proprio latte). Questi tipi iconografici antichi, spesso ritrovati nella raffigurazione primitiva della Madonna del Carmine, sono oggi di nuovo riflessi in alcuni tentativi di iconografia carmelitana moderna. Essi indicano l'essenziale della devozione mariana del Carmelo : la proclamazione della Vergine quale 3 Sulla storia e l'arte in questa antica icona, con una bella riproduzione dell'insieme e dei dettagli, cfr. R. PALAZZI, Sotto il manto della Madre, in La Vergine Bruna, n. 7-8, luglio agosto 1989, pp. 24-29.vera Madre di Dio e sempre Vergine, Immacolata e Purissima, piena della santità dello Spirito. II Carmelo presenta così una congiunzione fra Oriente-Occidente nella venerazione della Madre di Dio e diventa un segno di unità nella stessa tenera venerazione dei fratelli cattolici ed ortodossi alla Vergine Maria. L'immagine della Vergine Bruna di Napoli non si può capire se non a partire da questi dati storici ed iconografici. Come l'immagine di Maria nella cappella del primitivo monastero era la Signora del luogo e la sua presenza materna accompagnava la vita dei primi Fratelli della B.V.M. del Monte Carmelo, così pure dovunque i Carmelitani sono arrivati hanno portato con sé l'immagine di Maria, la loro Signora del luogo e della comunità, la Madre e la Sorella. Forse è troppo pensare che la Bruna sia la stessa immagine venerata in quella cappella del Carmelo. Tuttavia essa rappresenta molto bene l'esenziale devozione primitiva e la continuità di una pietà orientale. Anche nell'ipotesi di alcuni autori che essa provenisse non dall'Oriente , ma dall'Italia, non dobbiamo dimenticare che tutto il litorale dell'Adriatico e del Tirreno è costellato di presenze iconografiche orientali. Ci troviamo quindi con un'immagine antica, forse della seconda metà del tredicesimo secolo. Certamente di tratti orientali, ciprioti o cretesi, comunque radicata nella tradizione iconografica orientale, come ci farà capire anche una rapida lettura estetica e teologica dell'Icona. Vero è comunque che l'immagine della Bruna ha avuto una grandissima fortuna iconografica oltre che devozionale. Si tratta di una immagine che è stata moltiplicata in tante creazioni originali. A Napoli doveva esserci una grande scuola di riproduzioni dell'icona della Bruna. In una recente esposizione di antiche icone fatta in quest'anno 2000 a Valencia, è stata portata una bellissima copia della Bruna, che risale probabilmente al sec. XIV. Si trova nel paese de La Yesa, non lontano dal mio paese natale, ed è una copia fedelissima della Bruna, anche perché tradizionalmente porta il titolo di Madonna del Carmine. Probabilmente è stato portata nel sec. XVI da un soldato che ha dimorato a Napoli e ha voluto regalare quest'immagine alla sua parrocchia natale come un dono prezioso. E la si conserva con il titolo di Madonna del Carmine. Sia Maria, sia il Figlio sono incoronati, secondo la tradizione occidentale.

4. UNA CONTEMPLAZIONE ESTETICA

Sono molti gli elementi di carattere estetico che ci aiutano a decifrare il significato profondo dell'icona della Bruna. 4 Oriente en Occidente. Antiguos iconos valencianos, Valencia 2000, pp. 34.179, 224.P. II primo elemento che richiama la nostra attenzione è il fondo d'oro in cui s'iscrive l'icona. Questo sfondo dorato dell'icona, detto luce, esprime il fatto che l'icona è nella luce del mistero di Dio. Anche la progressiva chiarezza data all'icona con ocra giallo è chiamata luce. Dipingere un'icona significa illuminare o "scrivere" un volto o un mistero. Maria e la sua maternità divina, illuminata dallo sfondo dorato dell'immagine, sono iscritte nel mistero di Dio. Ma questa luce dorata, divinizzante, è presente anche in altri dettagli dell'icona. E evidente nel fregio dorato del bordo del vestito della Madre di Dio, nella stella che porta all'altezza delle spalle a destra. Quest'oro diventa quasi impercettibile e pure scintillante nelle pennellate dorate sul rosso del copricapo o piuttosto una cuffia rossa all'intemo del capo della Vergine, nelle sue eleganti maniche e nel vestito del Bambino. Questo particolare iconografico delle pennellate dorate che rendono scintillanti le vesti, è chiamato assist. Questa forma spesso attribuita a Teofane il Greco, pittore di icone del XIV secolo, esprime con leggere pennellate d'oro sulle vesti di Cristo, della Vergine e dei Santi, oltre ad una particolare leggerezza e bellezza, la trasfigurazione delle persone mediante l'elemento divino, l'oro, la luce, che penetra la figura e le vesti. Ciò indica che le persone sono come divinizzate, partecipi della luce di Dio, della sua natura. L'immagine di Maria, oltre ad essere iscritta nel fondo dorato della divinità, ha anche una bella e lavorata aureola dorata, come anche il Figlio. Le due aureole che s'intrecciano sono anche segno di comunione nel mistero divino. La Vergine Maria è presentata rivestita di un ricco manto o omophorion che copre il suo capo e scende come una tenda sulle sue spalle. La ricopre per intero, come per intero è ricoperta dalla grazia Colei che è Tuttasanta. La veste interna della Vergine è rosso porpora e significa l'azione dello Spirito Santo che la riveste per intero, dal capo ai piedi. Spunta il colore rosso sul suo capo e sulle sue maniche eleganti da Regina. Fino a confondersi come parte del vestito di Maria e del vestito del Bambino.
Il colore azzurro della veste esprime la realtà celeste. Lo troviamo spesso nel manto del Cristo Pantocratore e in alcune icone della Vergine Maria, con una tonalità soave e leggera. Il colore rosso lo si trova spesso nella porpora delle vesti del Cristo Pantocratore. Ma anche della Vergine Maria, come nella nostra icona, dove Maria appare rivestita completamente dell'amore e della santità dello Spirito, il Panaghion, il Tutto santo che rende Maria la Panaghia, la Tutta Santa o Santissima. Maria appare nella sua bellezza e compostezza. Non è una dea, è una donna, una madre, una nostra sorella. Il suo volto è bello, proporzionato: occhi grandi e profondi, naso affilato, bocca piccola. Il suo capo coperto è ampio, come sede della sapienza, elegantemente ricoperto con la parte superiore dell'omophorion. Il collo è forte e sottile, come torre di avorio, turris eburnea. Le sue mani sono ampie e le sue dita sottili. Sul lato destro del manto di Maria una stella, allusiva anche alle tradizionali tré stelle sul capo, e a destra e sinistra del suo vestito, all'altezza delle sue spalle. Segni antichi della sua verginità, prima, durante, dopo il parto. Il suo volto, raccolto e bello, illuminato, con gli occhi che guardano dentro al mistero, ma anche che guardano noi. È la Tota pulchra. Maria porta accanto a sé il Bambino Gesù che è insieme un Bambino m che traduce anche qualcosa di adulto nelle sue sembianze. E "l'antico dei giorni", il Figlio del Padre eterno. Esisteva già nell'eternità prima di esistere nel tempo. Con le sue mani Maria lo stringe soavemente a sé, per significare insieme la comunione materna e filiale, la tenerezza. Anche il volto del Bambino rispecchia le caratteristiche dell'iconografìa orientale: capo ampio con una bella capigliatura che prelude le belle immagini di ondeggiante chioma di capelli del Pantocrator nelle icone cretesi, bulgare e russe. Piccoli sono gli occhi, il naso, l'orecchio. La tenerezza dell'intima comunione si manifesta nel dettaglio comune delle icone, con le guance del fanciullo che si fondono con quella della Madre. Così si rappresenta la comunione intima della Madre col Figlio, anche nelle icone della deposizione dalla croce, o della Madre di Dio con il suo Figlio morto nella sepoltura. Una intimità indistruttibile. Il Bambino accarezza la Madre soavemente sotto il mento con la mano destra, mentre si aggrappa al suo vestito con la sinistra e un ginocchio si appoggia sulla Madre. Il Figlio guarda lontano. Il suo sguardo si perde nel mistero. Guarda a noi e guarda anche al suo lontano destino di passione e di gloria. È l'immagine estetica della divina maternità, della Madre e del Figlio. L'iconografo oltre ad esprimere la comunione della Madre con il Figlio nella mutua carezza, ci rivela questa comunione, questa somiglianzà divina fra il Figlio e la Madre, nell'identità delle sembianze, nello stesso colore rosso del manto del Bambino che è anche manto della Madre. Ma vi è anche un dettaglio importante. Il vestito del Bambino, una specie di camicia che fa vedere il braccio e la mano, ha lo stesso colore della carne della Vergine Maria. In realtà egli ha rivestito la nostra carne nella carne di Maria. Si realizza in quest'icona una comunione che in una icona del Monte Athos si manifesta al rovescio. Infatti in un'icona della Passione, della Madre accanto al Figlio morto, il vestito di Maria ha lo stesso colore della carne del Figlio. In quest'icona il vestito del Figlio ha lo stesso colore della carne della Madre. Maria è simile al suo Figlio come il Figlio è simile alla Madre, di cui ha presso la nostra carne, la nostra natura umana.
L'insieme dei loro volti rispecchia l'iconografia classica secondo alcune caratteristiche che troviamo nei manuali di iconografia che interpretano alcuni elementi estetici. Secondo l'iconografia classica i personaggi delle icone posseggono una maestà ieratica. Sono quasi una terza forma di bellezza tra la fotografia ed il linguaggio astratto. In genere, come nel nostro caso, sono vestiti con estrema eleganza, secondo lo stile bizantino; le figure sono snelle, i lineamenti illuminati, la fronte ampia, gli occhi profondi, le orecchie attente. Offrono sempre il volto, senza profili, poiché l'assenza di una presentazione frontale costituisce un modo ingannevole di presentarsi. Tutto il messaggio sta nel volto, dove si scopre l'immagine di Dio nell'uomo. I personaggi sono figure ieratiche, immobili, come chi contempla o si lascia contemplare. La loro carnagione non ha mai il colore naturale ma un colore oscuro. E quasi una trasfigurazione della natura umana che annuncia la resurrezione dai morti. Una Presentazione dell'esposizione delle icone del Vaticano, dal dicembre del 1989 al gennaio del 1990, descrive così l'estetica dell'icona che si concentra nei volti: "II centro della rappresentazione è sempre il volto; è il luogo della presenza dello spirito di Dio, perché la testa è la sede dell'intelligenza e della sapienza. Il volto è costruito intorno a tré cerchi: il primo, normalmente dorato, contiene l'aureola, simbolo della gloria di Dio; il secondo comprende la testa e in essa compare la fronte, sede della sapienza, molto alta e convessa, in modo che appaia la forza dello Spirito; il terzo cerchio comprende la parte sensuale del volto ed esprime la natura umana della quale il personaggio raffigurato si è rivestito durante la sua vita. Gli occhi, il cui sguardo si irradia verso lo spettatore e tiene concentrata tutta l'attenzione, sono grandi, fissi e severi, sono incorniciati in ampie sopracciglie ad arcate. Le narici sono sottili, vibranti sotto il movimento del soffio dello Spirito, e manifestano l'amore appassionato per Dio. La bocca è piccola, talora è disegnata in forma geometrica ed è sempre chiusa, quasi nel silenzio della contemplazione".5 E a proposito delle icone della Madre di Dio si affermano alcuni particolari che noi pure possiamo osservare nella Bruna di Napoli: "Osservando le icone della Madre di Dio si può notare la rotondila del capo della Vergine, che indica la perfezione della creatura scelta da Dio per la realizzazione del suo disegno salvifico sull'uomo. Anche le mani, nella loro stessa forma nobile e allungata, rivelano profondi significati teologici.
Vale la pena in questo momento ascoltare due testi importanti sull'immagine di Maria, contemplando anche l'immagine della Bruna. Uno appartiene all'alta tradizione patristica greca e risale a S. Epifanie di Salamina. L'altro di un Manuale di iconografia del Monte Athos, di vari secoli posteriore alla nostra immagine. Niceforo Callisto (sec. VIII-IX) in un testo che già fu citato alla fine del seicento da un frate carmelitano, Filocalo Caputo, a proposito dell'icona della Bruna riferisce la testimonianza di S. Epifanie circa il volto di Maria e afferma: "La Vergine non era di alta statura, benché alcuni dicano che sorpassasse il limite della media...Il colorito leggermente dorato dal sole della patria sua, rifletteva il colore del frumento. Biondi i capelli, vivaci gli occhi, un po' olivastra la pupilla. Le sopracciglia arquate e nere: il naso un poco allungato; le labbra rosse e colme di soavità nel parlare, il viso ne tondeggiante ne aguzzo, ma leggermente ovale, le mani e le ditta affusolate." 7 II Manuale di iconografa dell'ottocento, di Dionisio da Fuma, monaco
del Monte Athos, indica il modo di dipingere l'icona della Madre di Dio e ci trasmette della sua figura questi dettagli che ben si possono contemplare nell'immagine della Bruna. Maria, si dice, aveva la carnagione "del colore del grano, con cappelli biondi e occhi chiari e belli, sopracciglia allungate, naso medio, mano lunga con dita affilate..."8 Maria appare anche nella sua bellezza tipica intcriore ed esteriore. È stato detto a proposito di Maria da parte del grande Patriarca Atenagora I: "La Madre di Dio è ad un tempo sapienza e bellezza. In lei si raduna tutta la bellezza della creazione per partecipare alla bellezza divina."9


5. UNA LETTURA TEOLOGICO-SPIRITUALE

Ogni immagine porta il suo significato nel suo nome iscritto nella tavola iconica. Il nome è la persona, la realtà. Si intravede nell'icona della Bruna il nome della Madre e del Figlio con le classiche iniziali in lingua greca: Meter Theou, lesous Christos, Madre di Dio, Gesù Cristo.
Il nome più essenziale è Maria, personaggio unico ed irrepetibile; il titolo che racchiude tutto il mistero e tutta la missione di Maria è quello di Theotokos , Madre di Dio. L'icona della Bruna è l'icona della divina maternità di Maria. Questa icona rende viva la storia stessa di Maria, traduce in colori la Parola evangelica. Quella che si riferisce in genere al titolo di Madre di Gesù. Titolo dato dall'Angelo, da Elisabetta, da Gesù, dagli apostoli, dalla Chiesa... Ci rivela l'esperienza concreta della sua maternità, il suo portare il Figlio piccolo sulle sua braccia, allattarlo, presentarlo ai pastori, a Simeone, ai Magi. Il cammino di Egitto con il piccolo raccolto nelle sua braccia. Il suo sguardo traduce le parole di Luca, dopo la nascita di Gesù e i primi episodi dell'infanzia: "Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore..." ( Le 2,19), mentre osservava la misteriosa crescita del suo Figlio: "II bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui" (Le 2,39) a un certo punto Maria non porterà più Gesù sulle sua braccia, finché alla fine della vita, deposto dalla croce lo accoglierà di nuovo. Desolata, sulle sue ginocchia. Forse anche nell'icona della Bruna Maria, come nell'icona della Madre di Dio di Vladimir e in quella della Passione o del Perpetuo Soccorso, guarda lontano a questo misterioso traguardo che la rende pensosa ed insieme disposta a compiere fino in fondo la sua missione. Il centro dell'icona, e quindi il centro stesso della Vergine Madre, è costituito dalla figura di Gesù, l'Emanuele, il Dio con noi, secondo la profezia di Isaia. Maria è insieme Madre di Dio e Portatrice di Dio. La Madre sostiene il Figlio in un abbraccio, con le due mani: Maria è la Theophora e l'Odighitria , portatrice di Dio, Colei che indica la strada. La divina maternità di Maria esprime non tanto e non solo il privilegio mariano eccelso di una donna diventata Madre di Dio, ma di una donna che proclama che il suo Figlio è il Figlio di Dio. La storia della salvezza è un mistero, un sacramento, un progetto di Dio che si svela e si realizza nel tempo e che ha come centro il mistero di Cristo. Il Padre lo ha svelato con una logica sapiente. Lo ha realizzato, in mezzo alle contraddizioni della storia degli uomini, riportando continuamente le cose al suo disegno originale. Cristo è la chiave di volta di questo disegno di salvezza ed è la segreta sorgente di luce che illumina il mistero di Maria dalla Genesi all'Apocalisse. Senza questa sorgente nascosta, non si possono scoprire tante armonie e tante anticipazioni di Maria nelle vicissitudini dell'Antico Testamento. Senza una visione grandiosa delle "meraviglie di Dio" con il suo Popolo, saremmo anche noi tentati di ridurre Maria ad una piccola, povera e sconosciuta donna del popolo che ha dato i natali al Messia. La grandezza di Maria invece non fa altro che riflettere la grandezza del Dio della creazione, del Dio dell'esodo pasquale e della nuova Alleanza. Perché non dovrebbe essere grande Dio nei suoi doni verso Maria se è stato grande nelle meraviglie operate nel suo popolo? Allora anche la visione di fede che progetta su Maria la pienezza della grazia, la verginità e la maternità, hanno la loro logica divina; sono le grandi cose che il Dio della storia della salvezza ha operato in lei, in vista del momento culminante, atteso e preparato che è l'incarnazione del Verbo. Maria ritrova la sua chiave di comprensione nel mistero del Figlio, Salvatore e Redentore. Egli è la vera luce che illumina il suo mistero, colui che svela Maria all'umanità ed anche a se stessa. Troviamo quindi una assoluta inclusione di Maria nel mistero di Cristo e pertanto una assoluta relatività di Maria al servizio di questo mistero. Ma non dobbiamo dimenticare che è Dio stesso che ha voluto il necessario passaggio del Verbo per il grembo di Maria. Non ha affiancato Maria a Cristo, ma ha voluto Cristo nato dalla Vergine Maria. In un certo senso è lei, la Madre del Verbo Incarnato, che ha svelato a noi il mistero del Figlio eterno del Padre. Con la sua maternità lo ha reso immagine di Dio nella nostra umanità, parola, volto, amore. Non è esagerato affermare che Maria ha "umanizzato" Dio. Lo ha reso, per volontà stessa dell'Altissimo, uomo con tutte le conseguenze. Maria ci ricorda così che la salvezza di Dio è salvezza nella carne, salvezza incarnata. Maria non è una semplice Madre nell'ordine fisico ed ontologico della maternità; è Madre a partire dal suo libero consenso; la sua maternità che è insieme fìsica, psicologica, spirituale, diventa principio di comunione e di destino con la persona e l'opera del Figlio in un cammino progressivo di donazione. Qual è allora il senso dell'icona della Theotókos con il Figlio suo fra le braccia? Maria proclama la fede della Chiesa nella vera umanità di Cristo e nella sua divinità. Ci rassicura della verità dell'incarnazione che è fondamentale nel modo di percepire la salvezza. Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventi Dio. Egli non ci ha salvato soltanto attraverso i messaggi di una dottrina altissima, ma mescolandosi con la nostra natura, assumendo nel Figlio quello che è nostro per salvarlo. L'incarnazione, nella quale Maria ha avuto un ruolo specificamente materno, è la vera comunione di Dio con l'uomo; è la chiamata dell'uomo a condividere la comunione con Dio. La particolare accentuazione del mistero di Maria come Vergine della tenerezza, dell'amore tenero e materno, offre ai nostri occhi anche un'immagine della tenerezza materna del nostro Dio che si rivela nel volto materno della Madre. Si tratta di una tenerezza misericordiosa, di una compartecipazione alla vicenda del suo Figlio. Ma nella maternità di Maria che ci mostra Cristo, l'unico Salvatore, possiamo anche scorgere l'immagine del Primogenito che rimanda a tutti i suoi fratelli. Ieri Cristo, oggi la Chiesa, ieri il Figlio di Dio, ora noi, i figli di Dio. Per questo l'icona della Bruna è insieme un'immagine della tenerezza della Madre di Dio verso il suo Figlio e verso i suoi figli. È icona della Madre di Cristo, icona della Madre dei fedeli. Nel suo sguardo misterioso  si proietta la sua tenerezza verso tutti. E nei suoi occhi pieni di soave dolcezza i fedeli scoprono la Madre tenera e misericordiosa di tutti.

UNA PREGHIERA DAVANTI ALL'ICONA
Davanti all'icona della Bruna ci piace sostare in preghiera e ridire alla Vergine del Carmelo, guardando la sua icona materna, le parole di un Carmelitano della Spagna, Jaime Montanés : "Oh Vergine Santissima, Madre del Creatore e Salvatore del mondo, avvocata dei peccatori! E giusto che, dopo aver reso grazie a Gesù Cristo tuo Figlio e mio Redentore, per essersi dato con amore per me peccatore, e per avermi comunicato il suo santissimo copro, io dia grazia anche a tè, celeste Regina, perché da tè prese l'umanità questo Verbo divino, tuo Figlio e mio Dio e Creatore. Con umiltà supplico la tua clemenza, perché sei Regina del cielo e madre della misericordia e di questo misericordioso Signore e - poiché dalla pienezza della tua grazia i prigionieri ricevono redenzione, gli afflitti consolazione, i peccatori perdono dei loro peccati, i giusti grazia e gloria, gli infermi salute e gli angeli una grande gloria - ti supplico di comunicarmi la tua benevolenza, o Signora e Madre della stessa grazia e misericordia. Tu o Signora sei la scala del cielo, la stella del mare, la porta del paradiso, la sposa del Padre eterno, la madre del Figlio e il tabernacolo dello Spirito Santo, sigillata dal Padre con la sua potenza, dal Figlio con la sua saggezza e dallo Spirito Santo con la sua bontà ".10

P. JESÙS CASTELLANO CERVERA OCD.
NAPOLI, 29 OTTOBRE 2000
ANNO GìUBÌLARE XI

Note :
7 NICEFORO CALLISTO, Storia della Chiesa, libro II, cap. 23: PG 145, 815-816;
Cfr. G. MONACO, O.C., p. li'-29, con la descrizione del volto di Maria.
8 Ermeneutica della pittura. Napoli 1971, p. 305.
9 O. CLÉMENT, Dialoghi con Atenagora, Torino, Gribaudi, 1972, p. 306.
10 Citato da E. BOAGA, Con Maria nelle vie di Dio. Antologia della marianità carmelitana. Roma, Edizioni Carmelitane, 2000, p. 100.




Fonte:  www.santuariocarminemaggiore.it    




lunedì 2 settembre 2024

Franco Zeffirelli. «Perché ho accettato di girare la storia di Gesù», di Alberto Contri

Franco Zeffirelli. «Perché ho accettato di girare la storia di Gesù»
Il suo film del 1977 fu visto da 700 milioni di persone. Il grande regista, morto il 15 giugno, ne parlò con Litterae Communionis all'indomani del debutto in tv. Erano altri tempi, ma la sfida di quella pellicola resta intatta
di ALBERTO CONTRI

Franco Zeffirelli

Settecento milioni di persone che guardano contemporaneamente lo stesso film è un fatto che sgomenta solo a pensarci. Chissà come si deve sentire il regista che ha avuto l'avventura di girarlo. Con Franco Zeffirelli abbiamo parlato di questo e di molto altro, nell'ora e mezza in cui siamo stati insieme. E ce ne siamo andati con la convinzione di avere incontrato un uomo umile quando parla di sé come regista e tenace quando la posta in gioco è la propria identità di cristiano. C'è un aneddoto che vogliamo subito raccontare a proposito di questa intervista. Tornando da Roma, proprio dopo l'incontro con Zeffirelli, ci fermiamo ad un autogrill per mangiare. Sono le nove. C'è la televisione accesa e non si sente nessun altro rumore. Tutti stanno guardando il “Gesù”. Le pietanze si freddano nei piatti, quattro camerieri in fila, con il loro tovagliolo sotto il braccio, hanno lo sguardo alla TV. Uno di loro si avvicina, cortese ma distratto. Ordiniamo, distratti anche noi, già presi da quanto avviene sullo schermo. Il cameriere non si allontana, rimane accanto a noi a guardare. Sta entrando in scena Pietro, preceduto dalla sua voce «Ci mancava un altro profeta, abbiamo altro a cui pensare noi... ma se potrà risolvere i nostri problemi, allora lo ascolteremo». Il linguaggio è semplice, roba di tutti i giorni e, con questa semplicità, il messaggio di questo “Gesù” entra nei cuori di tutti. Finito il programma c’è La domenica sportiva, che pure interessa molti degli avventori. Ma riprende subito il solito frastuono di un ristorante, i camerieri corrono solleciti. Riprendiamo il nostro viaggio e riflettiamo. Questo “Gesù di Nazareth” ha ottenuto, dicono i giornali, il più alto indice di gradimento di questi ultimi anni. Il 41 per cento degli intervistati per stabilire l'indice, ha risposto che il programma interessava moltissimo, il 43 per cento ha detto «molto», il 14 per cento «discretamente», il 2 per cento ha risposto «poco». Nessuno ha risposto «niente».
E mentre 700 milioni di persone stanno incollati al televisore, si scatena la sarabanda dei critici. È ovvio, tutti hanno da dire qualcosa; non invidiamo Zeffirelli, più che mai nell'occhio del ciclone, anche noi siamo tentati di dire la nostra, di fare le nostre osservazioni, di dire che secondo i nostri gusti la musica non ci convince del tutto, che alcuni effetti ci sembrano eccessivi, che la narrazione a tratti sembra molto spezzettata... Eppure più che criticare ci sentiamo di difendere nel suo complesso un’opera del genere.
Non è infatti cosa da poco sapere rendere accessibile ad una massa così grande di persone un racconto simile, per giunta spesso filtrato attraverso le citazioni visive di moltissimi quadri della tradizione artistica cristiana. Ma è avvenuto, e la semplicità del messaggio non è stata impedita, anzi.
Ma prima di dare spazio all'intervista con Zeffirelli, vorremmo citare alcune prese di posizione del mondo “laico”. Dalle colonne della Repubblica si lanciano deliranti proclami perché la commissione parlamentare di vigilanza intervenga, in quanto il film farebbe una troppo smaccata propaganda ai «cattolici»; nei corridoi della Rai si afferma che i socialisti hanno chiesto ufficialmente che il film termini senza l’episodio della Resurrezione... infine, un critico del Giorno sostiene «come è inverosimile questo Cristo che beve un drink seduto insieme agli amici, poi si alza e pronuncia il Verbo». 
Ecco, al fine, che cosa dà realmente fastidio: che Cristo, Figlio di Dio, agisca normalmente, come uomo in mezzo agli uomini. A significare che il suo incontro è una cosa che tutti gli uomini possono fare, con semplicità, in qualunque momento, come è successo a Pietro, a Matteo e a tutti gli altri. Questa è la cosa che, per quanto abbiamo visto fin’ora, il Gesù di Zeffirelli ha saputo dimostrare a tutti. E già per questo ci piace.




Zeffirelli, come è nata l'idea di realizzare questo film?
Io penso che tutti, nel nostro mestiere, abbiamo pensato per lo meno una volta di fare una cosa su Gesù. Io ci avevo pensato nel ‘70, quando insieme a Flaiano e alla Susi D'Amico scrissi L'inchiesta, un film che prendeva le mosse dalla morte di Gesù e dal problema che aveva creato la scomparsa del suo corpo. Avevamo immaginato un inviato speciale di Tiberio, giovane cinico e smaliziato che doveva svolgere l'inchiesta per stabilire la verità su quanto era successo. Solo che l’inchiesta cominciava a durare anni, e lui perdeva man mano il suo distacco, colpito com'era dalla personalità dell'Uomo che andava ricostruendo dalle testimonianze di quanti l’avevano conosciuto. Per un film su Gesù l'idea mi sembrava buona, anche perché non me la sentivo di raffigurare il Cristo. Poi, come accade a tanti progetti, non se n’è fatto nulla.

Com’è che si è concretizzata invece la possibilità di realizzare questo “Gesù di Nazareth”?
È stata una sorta di congiunzione di stelle. La televisione italiana aveva già fatto il Mosè. E quelli del Mosè, quelli degli Atti degli Apostoli, che avevano già fatto programmi di quel tipo, che erano Gennarini e Fabiani, dissero che era il momento di affrontare il Gesù, prima che lo facessero altri e lo facessero male. I produttori vennero da me, con una lunga lista di registi. Io ero in testa. Ma rifiutai. Non me la sentivo, era una responsabilità troppo grossa. Ma loro per mesi continuarono ad insistere.

Che cosa l'ha fatta poi decidere per il sì?
Mah, è stato l’accorgermi di quanto fosse insistente il destino che continuava a ripropormi questa cosa, è stata l'insistenza di quanti continuavano a credere che a livello professionale io fossi la persona più adatta perché ero cattolico, perché mi ero battuto per un certo tipo di missione nel cinema. Poi perché davo garanzie, perché ero amato, rispettato e conosciuto nel mondo anglosassone, e la produzione del film è per una parte importante anglosassone.
Poi c’è stata la possibilità di raccontare tutto in un arco di tempo molto vasto, sei ore e mezzo. Infine c'è il fatto della storia. Che uno creda o no, si tratta della più bella storia di tutti i tempi: uno straordinario diario di bordo di tredici amici che hanno sconvolto le strutture del popolo di Israele, e che con quello che hanno combinato hanno provocato una straordinaria conflagrazione di spiriti in tutto il mondo. Comunque è già uscito un libro in cui racconto tutta la storia del film, dalle angosce iniziali, alla scelta degli attori, dal perché certe cose le ho realizzate in un modo piuttosto che in un altro, agli aneddoti di vita sul set veramente interessanti.

Ci vuole comunque raccontare brevemente come è arrivato a scegliere Robert Powell per la parte di Gesù?
Se la scelta di Maria è stata angosciosa, quella di Gesù è stata terribile. Ne ero talmente preoccupato che nel contratto con i produttori avevo messo una clausola che mi dispensava se non avessi trovato l'attore giusto.
Innanzitutto non poteva essere uno sconosciuto, perché io avevo deciso di raccontare, e quindi doveva essere uno capace di impersonare il protagonista del racconto. Poi doveva essere inglese, perché il programma inizialmente veniva girato in inglese, e non si poteva pensare di doppiarlo. Per di più doveva essere un attore qualificato, perché doveva pronunciare le parole più belle che siano mai state concepite. In conclusione, doveva essere un attore inglese di una certa maturità, ma con una età precisa tra i trenta e i trentacinque anni. E allora non poteva essere uno qualunque. Perché un giovane bravo può ancora essere sconosciuto... Ma se uno arriva a trentatre anni e ancora non si è fatto conoscere, vuol dire che non vale proprio niente. Avevo pensato a Dustin Hoffmann. Certo avrebbe rotto ogni schema, ma sarebbe stato troppo pericoloso per un programma destinato a 700 milioni di persone... e duemila anni di iconografia non sono certo passati invano. E poi ognuno ha il suo Gesù nella testa, quasi sempre derivato da quella iconografia. Robert Powell l'ho trovato setacciando il teatro inglese, dal quale ho sempre preso tutti i miei attori. L'avevo scelto per la parte di Giuda, ma i suoi occhi mi sgomentavano, mi turbavano. Allora gli feci fare un provino per Gesù, anche se tutti cominciavano a sospettare che non avessi le idee chiare. Ma come, lo stesso attore per due personaggi così opposti... Ma io gli feci preparare il trucco da Nazareno classico, e durante il provino il personaggio esplose: un controllo, una voce meravigliosa, una capacità di concentrazione... Durante la lavorazione ha fatto delle cose che non si possono chiedere a un attore, mai. Ha superato tutte le prove con un coraggio e uno stoicismo incredibili. Ma il fatto è che gli succedeva qualcosa dentro. In certe occasioni non basta essere bravi... a lui gli scoppiava una luce, un'ispirazione che ci lasciava sgomenti.

Degli amici che sono stati qualche giorno sul set mi hanno detto che si respirava un'atmosfera molto particolare, che tutti erano particolarmente toccati dalla storia che stavano interpretando. Vuole dirci qualche cosa in proposito?
È vero, tutti erano come pervasi da una specie di ideale. Si vedeva anche dal modo con cui aderivano, non per soldi o per carriera, ma per il sentimento di partecipare a qualcosa di indimenticabile. Ne ho la prova ancora oggi, quando in giro per il mondo, in un aeroporto o a una fermata d'autobus vengo abbracciato da qualcuno dei 260 attori che ricordano con nostalgia quei momenti in cui tutto sembrava svolgersi come in uno stato di grazia.
Capitava che mancasse di colpo un attore, ci si domandava chi poteva sostituirlo... E il giorno dopo arrivava un telegramma «Lieto partecipare tuo film, arrivo subito», ed era magari Rod Steiger. Ci sono stati di quelli che hanno fatto praticamente una comparsata, come si dice in gergo. La Cardinale, per esempio, ha detto in tutto cinque parole, interpretando l'adultera. Eppure ha aderito con entusiasmo.

Che cosa ha significato per lei questo avvenimento? Si è sentito cambiato dall'incontro più frequente con i testi sacri?
Certamente. I testi sacri sono messaggio di vita, nel Vangelo c'è tutto quello che ci serve per vivere, è quindi soltanto la nostra pigrizia che ci impedisce di essere più ricchi e più felici. Oggi si perde un sacco di tempo a leggere sciocchezze, riviste di ogni genere, invece di dedicare un po' di tempo alla lettura dei Vangeli. Ma anche quando lo si fa, si rischia di considerarli delle astrazioni sublimi.
Forse perché si ha paura poi che la fede, adeguatamente alimentata, esca dall'angolino del “privato” e ci faccia agire di conseguenza, in tutti i momenti della nostra vita, compresi quelli “pubblici”...
È una vera vergogna. Satana è lì sul trono e noi siamo carbonari. Quelli che hanno fede stanno nascosti; ogni tanto, se ci permettiamo di fare il segno della croce in pubblico, ci guardan tutti male. Eppure è un gesto carismatico perfetto. Attraverso la croce si è aperta la porta che ci ha permesso di vincere la morte. Ma se al passaggio di un funerale fai questo gesto sacrale, stupendo, ti guardano storto. Mentre pare normale che ci siano folle col pugno chiuso di fronte al seppellimento di un poveretto morto per una causa di violenza folle. E noi, che crediamo in una cosa talmente grossa che tutto il mondo ne è stato scosso, dobbiamo vergognarci in pubblico! Siamo proprio finiti in un ghetto.



Sono d'accordo con lei. Ma avrà notato come oggi sia sempre più difficile essere cristiani pubblicamente. Molotov contro le chiese, aggressioni e violenza fisica contro chi chiede soltanto di manifestare pubblicamente il proprio pensiero…
Lui l'ha detto: «Sarete perseguitati per causa mia». Sarete schiaffeggiati, burlati, perseguitati. Oggi è come allora. Glielo ha detto in faccia agli Apostoli: «Attenti, vi avviso», perché si rendeva conto che il suo messaggio era così dirompente, così inaccettabile per chi non apriva tutto se stesso alla rivelazione, che avrebbe scatenato la furia della rabbia di chi non è capace di credere e si trova di fronte alla forza di chi è capace di credere. La ferocia con cui i primi testimoni di Gesù sono stati perseguitati è senza precedenti. Speriamo che non si arrivi più a quei tipi di massacro.
Però aspettiamocelo sempre. Ma se siamo perseguitati, cerchiamo di reagire con semplicità e fermezza, senza presunzione. In fondo se crediamo non è merito nostro, ma merito di Dio che ci ha aperto gli occhi. Certo, il cristianesimo è una religione molto difficile, per questo viene abbandonato facilmente. Cristo è esigente con noi, come nessuno mai. Gli stessi Apostoli dicevano: «Come faremo a seguire i tuoi comandamenti» e Lui rispondeva: «Se non vi aiuta Dio non ce la farete. Ma se glielo chiederete con il cuore vi aprirà le menti».

Tornando ai giorni nostri, non pensa che una buona parte di responsabilità per quanto sta accadendo sia degli uomini di cinema, degli uomini della televisione, degli uomini della stampa?
Sicuramente. Mestieri come questi non dovrebbero far dormire la notte. Non so come tanti miei colleghi si assumano a cuor leggero una simile responsabilità. Ci sono milioni di persone che vengono vulnerate in maniera spesso irreversibile con un'immagine commentata in un modo piuttosto che in un altro. E poi tutto questo laicismo radicaleggiante di cui è pervasa la comunicazione sta rendendo i nostri contemporanei come stracci.
Non è neanche un ateismo virile con cui ti puoi confrontare. È solo pura cialtroneria, è il rifiuto di ogni responsabilità. Eppure oggi, e specialmente domani che saremo diventati tanti sulla terra, l'unica maniera per sopravvivere sarà di mettere in atto il Discorso della Montagna. Bisogna tollerare, tollerarsi, perdonarsi, altrimenti sarà lo sfacelo dell'umanità. Solo il cristianesimo la può salvare. 

Mi vuol dire quale è stata una reale alternativa a Cristo? Erasmo da Rotterdam? Voltaire? I marxisti? I positivisti? Che ne dice dell'abitudine che c'è oggi di vedere il Cristo soprattutto come uomo? Che ne dice di quanti vedono il Cristo come «primo socialista»?
È ridicolo. Non hanno capito niente né del socialismo né del cristianesimo. Già, adesso ci sono i cristiani per il socialismo. È una cosa che mi irrita. Cominciamo a dire i socialisti per il cristianesimo, che è più giusto. Bisogna fare una inversione di proporzioni, perché inevitabilmente ubi major, minor cessat. Ecco, i socialisti per il cristianesimo: e alla fine sarà proprio così. Ma non sapete le cose che stanno accadendo in Russia? Lì c'è la più bella dimostrazione che non esiste tiranno che possa soffocare il lievito dello spirito nell'uomo. Anche gli avvenimenti più semplici dimostrano che la Russia è come quei vulcani che stanno zitti per un po', ma poi esplodono. Provate ad andare alla galleria Tetriakov, a Mosca, dove è custodita la famosa Madonna di Rublev, che è stata oggetto di venerazione per secoli, una delle immagini più sacre di tutta la Russia. Come tutte le icone è custodita sotto cristallo. Ebbene, provate ad andare là alla fine della giornata… Non la vedrete. Il cristallo è talmente unto di baci, di mani che l'hanno toccata, che ogni sera devono ripulirla con calma. E il giorno dopo si ricomincia da capo. La gente va lì di nascosto e tocca, bacia. Una volta ebbi occasione di parlare di religione con il ministro della cultura, Romanoff, e lui mi disse: «Sa, da noi la religione è un problema superato». Se ne accorgerà… Vada intanto alla galleria Tetriakov a vedere un po' verso le cinque di sera che cosa succede a quel quadro…

Mi pare che oggi non soltanto in Russia si vuole negare spazio alla cultura cristiana, anzi ci sono cattolici che sostengono che non deve più esistere una cultura cristiana…
Già. Oggi c’è questa moda incredibile. Sembra che il cristianesimo sia diventata la negazione della cultura. Siamo arrivati a questo punto: la cultura è solamente laica. Prima di tutto bisogna negare il messaggio cristiano e poi si può cominciare a fare cultura. Ma se tutta la grande arte, per esempio, è stata un'arte cristiana! La gente si esaltava a Firenze quando Cimabue fece la famosa Madonna e la portarono in trionfo per le strade della città con tutto il popolo che la seguiva: perché era un'espressione dell'arte cristiana! In questo senso mi sono sentito un pochino quasi in quella posizione. 700 milioni di telespettatori che seguono questa pala del Cimabue. Ma purtroppo io non sono Cimabue.
Però sono convinto che la gente sia toccata nel rivedersi portato nelle case un discorso nel quale si ha ancora speranza. Per questo non volevo fare il film e per questo l'ho fatto. Però non vorrei che si personalizzasse troppo. Io sono un disgraziato con poca fede che fa quello che può… E per caso mi son trovato in mano le leve in grado di far saltare oppure far fiorire una montagna. Questo è il pericolo di un simile lancio, perché la civiltà dei consumi massacra tutto. Il Gesù di Zeffirelli, il Gesù di Zeffirelli... diventerò antipaticissimo, e questo mi dispiace.

Ecco, Zeffirelli, per finire, che cosa si aspetta lei da questo film?
Mi piacerebbe che scatenasse una rinascita: la gente deve avere il coraggio di essere cristiana e di credere... Ma che cos'è questa vergogna di credere? Siamo arrivati a un punto in cui Satana ci impedisce di muoverci... Svegliamoci tutti, diamine.
Io spero che questo film risvegli questa capacità latente degli italiani di essere cristiani, ora soffocata da una coltre di grigiore. Io spero che ci siano delle conseguenze, che non ci si fermi al piacevole programma davanti al quale magari ci si commuove... Io non so se ho fatto un'opera egregia o no. Ma se un solo fotogramma riuscirà a scuotere qualcuno, a risvegliare in lui l'eco di quel messaggio divino che ognuno porta dentro di sé, non solo avrò dato una giustificazione a tutti i sacrifici fatti, ma addirittura avrò dato un senso a tutta la mia vita.



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