sabato 2 ottobre 2021

Teologia, Cristianesimo e Arte, di Emanuela Fogliadini

 

TEOLOGIA, CRISTIANESIMO E ARTE

di Emanuela Fogliadini


             


Il dialogo tra teologia e arte ha radici antiche, che hanno prodotto una storia millenaria di capolavori artistici e speculativi, frutto di un connubio fecondo tra due ambiti disciplinari autonomi chiamati a confrontarsi, ascoltarsi, interagire, eventualmente criticarsi con intelligente sagacia. Ancor prima delle differenti declinazioni che le tre principali confessioni cristiane – ortodossia, cattolicesimo, protestantesimo – hanno sviluppato nel corso dei secoli, l’arte è tra le espressioni principali della riflessione cristiana sulla rivelazione salvifica. 
Le modalità di relazione tra i due ambiti hanno attraversato molteplici fasi nel corso dei secoli: il misterioso aniconismo delle origini è stato sostituito da un lento e inesorabile diffondersi delle immagini sacre che ha posto questioni in relazione al dogma cristologico e ha suscitato accese discussioni teologiche, condensate in pronunciamenti conciliari che hanno fissato il paradigma della teologia iconica. 
A livello estetico, mentre il cristianesimo bizantino-ortodosso si è affidato a un canone che è stato investito sempre più strutturalmente del compito di garante della conformità delle icone alla Tradizione, la rielaborazione latina ha sviluppato un rapporto sapientemente libero con l’arte e il genio degli artisti, valorizzandone le proposte, le evoluzioni, gli stili, in un confronto apparentemente non vincolante, che in realtà fu sostanzialmente attento a convogliare l’estro al servizio dell’annuncio cristiano. 
Ricostruire la storia del rapporto tra teologia e arte cristiana significa inserirsi in un percorso complesso, costellato di molteplici sfaccettature che variano da una confessione all’altra e che, all’interno di ogni credo, produssero specificità legate alle culture, alle scuole, alla comprensione teologica del cristianesimo di una data epoca, alle suggestioni più o meno esplicite dei vertici ecclesiastici. 
La bellezza del confronto tra un ambito intellettivo versato nella speculazione e l’espressione artistica che gioca con i colori e le forme e mescola canoni e creatività, è custodita nella poliedricità di un approccio che non può essere riassunto in modo esclusivo in un’unica cifra. Persino il cristianesimo ortodosso e protestante, che apparentemente sembrano più nettamente indirizzati rispettivamente verso una fedeltà senza esitazioni alla Tradizione o verso un generale rifiuto della devozione alle immagini religiose, in realtà nascondono posizioni più articolate, sfumate e sovente eterodosse rispetto al principio generale. 
L’arte a soggetto religioso affascina il pubblico contemporaneo: ne sono prova le code che si allungano in occasione delle mostre e il successo delle pubblicazioni di ampia divulgazione su tali temi. L’arte cristiana attira l’interesse anche di chi è sprovvisto del codice preciso per comprendere la ricchezza del linguaggio iconografico cristiano. Tale linguaggio, che si è nutrito di simboli, storie canoniche e apocrife, il cui nucleo è stato attinto a un racconto biblico alimentato da vicende profondamente umane, ha lasciato spazio alla creatività degli artisti o al contrario come nell’universo bizantinoortodosso ha fatto appello a un canone fisso, garante dell’autenticità del rimando tra arte e mistero. 
Nella società contemporanea, l’arte sacra gode di quella versatilità che le permette di trasmettere all’uomo contemporaneo la feconda bellezza di un cristianesimo che si esprime in modo poliedrico perché il messaggio che trasmette ha una ricchezza inesauribile e allo stesso tempo è capace di rinnovarsi nel tempo e in contesti differenti tra loro. 
Il compito affidato all’espressione artistica religiosa diventa ancora più impellente a fronte della difficoltà di ascolto che oggi caratterizza mediamente l’interlocutore, abituato più a lasciarsi incantare dalle suggestioni visive che a fermarsi a scandagliare speculativamente le questioni. In tale situazione l’arte sacra sembrerebbe avvantaggiata perché capace di attrarre più immediatamente della Scrittura. In realtà il rischio dell’immagine è il suo fraintendimento, la manipolazione, la mistificazione o l’insignificanza. 
L’immagine sacra non parla da sola, ha bisogno della spiegazione della Parola che ne chiarisca il senso. L’immagine è più soggetta della Sacra Scrittura a ermeneutiche faziose, la sua espressione muta con la fantasia degli artisti, le epoche storiche, i contesti geografici. Infatti, i canoni a cui si appella sono molteplici e il suo potere apparentemente infinito coincide in realtà con la sua fragilità. 
Nell’affidare all’arte cristiana il ruolo di attrarre nuovamente l’uomo, ogni tradizione religiosa deve correlarla con l’ermeneutica della Scrittura. La Parola, infatti, enuncia, dichiara, spiega, chiarisce, mentre l’immagine sacra è fatta essenzialmente per mostrare, per mobilitare, richiamare l’attenzione, mutare lo sguardo, a volte per provocare, convertire e riconfortare. Ovviamente l’immagine sacra non è solo una fotografia della storia della salvezza, non è la sua replica in forme e colori, non è semplicemente la trascrizione in pittura della Scrittura. E allo stesso tempo non gode di un’autonomia espressiva incondizionata e esclusiva. 
Nel confronto, talvolta dialettico, tra arte e teologia, è necessario ricordare che nei primi secoli della storia cristiana, la Scrittura fu il monopolio della rivelazione divina, trasmessa dalla comunità ecclesiale, nutrita dai sacramenti, dalla preghiera, dalle forme di carità e assistenza. L’immagine è subentrata nel cristianesimo solo nel III secolo e al suo debutto ha sollevato notevoli problemi. 
La raffigurazione religiosa, pur tra qualche celebre detrattore come Eusebio di Cesarea e qualche gesto provocatorio come quelli di Epifanio di Salamina e Sereno di Marsiglia, è stata sostanzialmente accettata prima della controversia iconoclasta che divampò a Bisanzio nell’VIII e IX secolo, ma in senso funzionale alla Parola e come opzionale rispetto a essa. 
La raffigurazione di soggetti sacri è stata concepita dal cristianesimo dei primi secoli come utile, ma a fronte di una conoscenza personale già acquisita della rivelazione scritturistica o comunque fruibile dai fedeli grazie all’ascolto della spiegazione del testo sacro. La rappresentazione iconografica di Cristo, della Madre, il racconto in immagini di scene bibliche ed evangeliche è stata concepita in termini di supporto, di insegnamento, di letterale illustrazione al testo sacro. La tematizzazione dell’immagine in senso didascalico, che ha subito una sorta di assolutizzazione nel cristianesimo occidentale, può funzionare solo se si ha una cultura e/o una familiarità con la Parola. 
L’immagine rimanda, ma l’efficacia di questo rimando è proporzionale alla cultura di chi la guarda. Il fatto che l’immagine non insegni nulla, in senso proprio, non significa che non abbia un ruolo da svolgere nell’insegnamento e nella trasmissione della fede; ma non possiede in sé una potenzialità didattica autonoma. Alimenta la memoria, può servirle da strumento, da supporto, da ricettacolo, da puntello, ma bisogna che tale memoria venga formata e istruita preventivamente. 
L’immagine religiosa richiede dunque sempre una preparazione dottrinale. Il compito principale che la Chiesa in particolare latina ha affidato alle immagini è stato a lungo l’illustrazione del mistero in forme e colori. Il cristianesimo occidentale, infatti, fu convinto fin dalla diffusione delle prime immagini religiose della loro utilità per i fedeli, ma anche della subordinazione dei dipinti religiosi alla spiegazione del testo sacro. 
Questo procedimento, che si può riassumere sotto la cifra innovativa di “gerarchia ermeneutica”, chiarisce bene il percorso intrapreso dall’immagine sacra occidentale: libera dalle vincolanti caratterizzazioni in senso teologico-dogmatico che sono state assegnate all’icona nell’Oriente cristiano dal secondo concilio di Nicea nel 787 e in particolare a seguito della festa del Trionfo dell’Ortodossia nell’843, la rappresentazione sacra non tradì la propria funzione religiosa quando si aprì alle tendenze culturali, al genio degli artisti, ai bisogni sociali e politici che le diverse epoche storiche le affidarono. Al contrario, proprio l’inculturazione dell’immagine nelle varie civiltà ha reso un servizio alla rivelazione del mistero che il messaggio della Scrittura garantisce e veicola in modo ufficiale. 
Le potenzialità dell’arte sacra cristiana di rendere il mistero prossimo, nel senso di comprensibile, a coloro che si affacciano alla sua porta tra domande e curiosità, sono davvero molteplici. Il compito dell’arte sacra, in particolare contemporanea, è dunque strategico. 
Il cristianesimo dispone di uno strumento potenzialmente ricco di senso e capace di veicolare i contenuti in modo esteticamente affascinante e teologicamente coerente. La sua lunga storia ci consegna un tesoro di immagini religiose che hanno accompagnato, a volte suggestionato, la fede comune, in un intreccio che, al di là delle singole problematiche o dei risultati raggiunti, è stato sempre vivo e vibrante.
Oggi l’arte religiosa contemporanea soffre generalmente di una deriva verso la provocazione e il sorprendente che suggestiona e/o un ricorso a un Cristo “umano troppo umano” che, con lo scopo di rendere Dio più prossimo, perde il riferimento al dogma fondamentale dell’unione delle nature divina e umana in Cristo. 
L’arte religiosa, anche laddove è il prodotto dell’interpretazione estrema della creatività artistica, dovrebbe continuare a riferirsi alla storia della salvezza, alla Parola che ha ispirato la storia dell’arte sacra cristiana, che è stata il punto di riferimento degli artisti in una coniugazione più o meno armoniosa con le varie espressioni del genio pittorico. 
Il cristianesimo è invitato a investire sulle feconde potenzialità del rapporto tra arte e teologia, ma anche a educare l’arte sacra contemporanea – come ha ripetutamente indicato Sacrosanctum concilium, cap. VII –, che deve ritrovare la sua diretta ispirazione alla Scrittura e la sua vocazione a veicolare in modo chiaro i contenuti che trasmette, a ricordare ai cristiani e a coloro che dal cristianesimo sono affascinati, che l’arte religiosa non può limitarsi a suscitare emozioni ma è investita del dovere di trasmettere contenuti conformi alla Rivelazione di Dio nella storia umana.



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