domenica 27 luglio 2025

Congregazione Mariana delle Case della Carità, Le Tre Mense: Eucaristia, Parola di Dio e Servizio ai fratelli bisognosi


Congregazione Mariana delle Case della Carità

Le Tre Mense: Eucaristia, Parola di Dio e Servizio ai fratelli bisognosi




La Casa della Carità, è nata nel 1941 dall’intuizione di Don Mario Prandi (1910-1986), Parroco di Fontanaluccia (Diocesi di Reggio Emilia), per rispondere ai bisogno di assistenza di alcuni membri della parrocchia; una sorta di piccolo Cottolengo, e non fa altro che riprendere ciò che Gesù ha lasciato come eredità alla sua chiesa e che fin dagli inizi le prime comunità cristiane hanno cercato di mettere in pratica: cercare di vivere ascoltando la Parola di Dio, ritrovandosi insieme per l’eucaristia e curandosi dei propri poveri.
Queste Case, però, non sono opere assistenziali ma vanno intese come il naturale completamento della Parrocchia, pensando la Casa come il tabernacolo dove viene accolto Gesù povero; questo tabernacolo viene a completare e ad essere un tutt’uno con il tabernacolo che esiste nella chiesa della Parrocchia.

La Casa della Carità ha al centro della sua vita Gesù Cristo, lodato, contemplato ed accolto in vari modi e diverse situazioni, ma tutto parte da Lui e a Lui ritorna. Vive una dimensione familiare: famiglia tra le famiglie, famiglia della Comunità parrocchiale, in ogni caso è sempre l’aspetto di famiglia allargata che prevale ed anzi rimane unico punto di riferimento sul modo sia di strutturarsi che di organizzarsi.

L’intuizione di don Mario ci porta a riconoscere la nascita della Casa della Carità dentro l’Eucaristia, quindi legata in modo indissolubile alla struttura ecclesiale (Vescovo – Parroco – Case della Carità). Qui si fonda il legame con la Chiesa che la Congregazione Mariana delle Case della Carità deve vivere, come “custode e garante” di questo carisma nelle parrocchie.

La Casa della Carità nasce dalla Parrocchia come espansione dell’Eucaristia in essa celebrata e la Parrocchia non è vera se l’Eucaristia non continua nella carità, che ovviamente può esprimersi anche in altri modi che non sono la Casa della Carità, come prolungamento della Mensa celebrata.

La Congregazione Mariana della Casa della Carità è il testimone di ciò che ha visto e vissuto, di ciò che don Mario ha intuito del mistero di Cristo. Come S. Mattia non è stato scelto perché “santo” o migliore degli altri, ma perché testimone della Risurrezione così oggi la Congregazione è chiamata a questa testimonianza delle meraviglie che ha visto di Gesù.

In questo legame profondo con la Parrocchia e la Diocesi, la Casa della Carità deve mettersi al servizio della Chiesa locale, ma come diceva don Mario: ” è la comunità parrocchiale che si vale di operatori anche specializzati e preparati altrove, per una proprio inderogabile presenza con i poveri”. Questa preparazione e formazione “altrove” è compito specifico della Congregazione.

Essa offre alle comunità locali gli strumenti per formare il “personale specializzato” indispensabile alla vita della Casa della Carità, perché sia erede di uno spirito che il Signore ha donato a don Mario, perché sia segno visibile del primato di Dio.

Alla Congregazione spetta il compito di formare i Congregati alla spiritualità dei Tre Pani, perché siano fedeli alla sacralità della Casa, alla sua dimensione liturgica-cultuale e diffondano negli ambienti e nello stato di vita in cui si trovano lo spirito delle Case della Carità.

Essere figli della Chiesa locale, educa nella vita della Casa ad accogliere ogni giorno quel dono grande che è l’appartenenza a tutta la famiglia dei figli di Dio.

Così com’è, anche povera e piccola, spiritualmente ed umanamente, la Parrocchia ci porta comunque a riconoscere che Gesù, per primo, viene a noi con la sua Grazia.
Sappiamo di avere un dono grande da portare e riconosciamo di avere molto da ricevere dalle comunità parrocchiali e diocesane.
La vita di Parrocchia, con i suoi momenti formativi – liturgici – di incontro – di festa, ci aiuta a vivere la nostra fede, la nostra formazione cristiana insieme a tutto il Popolo di Dio.
Questi momenti sono preziosi per la vita della Casa perché ci portano a vivere il nostro Battesimo come tutti i cristiani.

"La Casa della Carità è la famiglia dove il parroco ed i parrocchiani accolgono i più poveri perché in essi riconoscono Gesù che si dona a noi, come nell’Eucaristia e nella Parola (Gv 13,1-17).
Coloro che sono abbandonati e più bisognosi sono i tesori della Parrocchia, perché in loro possiamo amare, adorare e avere vicino Gesù. Egli è nato povero (Lc 2,1-20), ha fatto del bene ai poveri (At 10,38) ed è morto sulla croce come un malfattore (Fil 2.6-11)."
Tratto dal n°32 – “Come nasce la Casa” del 25/7/83

Nella famiglia della Casa della Carità ogni cristiano si impegna a vivere il proprio battesimo nutrendosi con l’Eucaristia, con la Parola di Dio, con il servizio ai fratelli.

Questi tre Pani, uniti in un unico cesto, sono la via per vivere il Battesimo e sono il fondamento della Casa della Carità.




Mensa della Eucaristia

Ogni giorno viene celebrata l’Eucaristia che diventa il centro di tutta la giornata e il luogo dove nasce tutta la vita della Casa della Carità.
Quando si celebra l’Eucaristia tutti i lavori si devono fermare e tutti devono partecipare perché è la famiglia che si raccoglie attorno a Gesù, il quale si dona a noi attraverso il suo Corpo e il suo Sangue.
La Casa della Carità partecipa il più possibile alla vita della Parrocchia, soprattutto alle liturgie della domenica e delle feste.
L’Eucaristia è il nutrimento più importante per i fratelli poveri, ma la loro presenza alla Messa diventa aiuto per tutta la parrocchia.
Essi infatti sono i più amati dal Signore e ci insegnano a sentirci umili davanti a Lui; nella Messa tutta la famiglia deve essere riunita, perché il Signore si vuole donare a tutti.


Mensa della Parola

Ogni giorno ci si nutre del Pane della Parola di Dio; in essa incontriamo Dio che ci parla, indicandoci la strada da percorrere per conoscere la sua volontà.
La giornata è scandita dalla preghiera perché non ci si dimentichi di Lui, perché Dio ha qualcosa da dire in ogni momento. Si cerca anche di meditare e di dialogare insieme, sulla Parola di Dio che la Chiesa dona quotidianamente nella Messa per essere uniti a tutta la Chiesa che nel mondo proclama quella Parola.
Per quanto è possibile, i poveri partecipano alla preghiera e, con l’aiuto dei fratelli, si nutrono della Parola.
Il Rosario stesso, arricchito di tanti misteri che presentano la vita di Gesù, è un modo per affidarsi a Maria, perché ci guidi nella Parola e ci mostri la via per crescere nella carità.
Questa è la preghiera preferita dai poveri, perché più semplice, più facile da recitare.


Mensa della Carità (Servizio ai fratelli bisognosi)

A volte si corre il rischio di considerare come cibo solo la Parola di Dio e l’Eucaristia, ma anche i fratelli bisognosi sono un nutrimento per la nostra vita cristiana. E’ Gesù che si dona a noi.
Il servizio della Carità diventa riconoscere e contemplare il volto di Cristo che nei fratelli ci ama e si lascia amare, è riconoscere che abbiamo bisogno di loro per amare il Signore non solo a parole, ma con le azioni di ogni giorno (1Gv3,16-18).
Ogni volta che avete fatto questo ad uno di questi fratelli più piccoli… (Mt 25,31-46): questo Vangelo, ci invita a vivere la Carità del Cristo, ci manda ad esercitare le 14 Opere di Misericordia, e ci dice che su questo saremo giudicati.
Attraverso il servizio ai fratelli bisognosi, siamo chiamati a convertirci, cioè a trasformare la nostra vita in carità.

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE
1 - Consigliare i dubbiosi
2 - Insegnare agli ignoranti
3 - Ammonire i peccatori
4 - Consolare gli afflitti
5 - Perdonare le offese
6 - Sopportare pazientemente le persone moleste
7 - Pregare Dio per i vivi e per i morti

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA CORPORALE 
1 - Dar da mangiare agli affamati
2 - Dar da bere agli assetati
3 - Vestire gli ignudi
4 - Alloggiare i pellegrini
5 - Visitare gli infermi
6 - Visitare i carcerati
7 - Seppellire i morti




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CASA DELLA CARITA' "La Visitazione" di Sassuolo (MO) - un esempio



“Ecco: vorrei che accettaste di più il vostro sincero abbandono al buon Dio e che foste più allegre e gioconde in ogni circostanza, con me e con tutti gli altri.
Fate che questa diventi la caratteristica della Casa della Visitazione perché è la casa della gioia, del giubilo, del canto (Benedictus e Magnificat sono nati là), della buona accoglienza (Elisabetta a Maria SS.ma), del servizio generoso di Maria alla cognata, della nascita del grande amico e precursore di Gesù, Giovanni il Battista.
Del resto non badate tanto alle mie impressioni e accogliete invece con amore e con cura questi ultimi suggerimenti, che vi servono a caratterizzare sempre meglio la missione vostra in quella casa…”
(da una lettera di don Mario del 1954 alla Casa della Carità di Sassuolo)

La Casa della Carità è una famiglia, forse un po’ particolare, perché costituita da persone molto diverse fra di loro: una nonna, una bimba mongoloide, un bimbo in carrozzella, le suore che fanno da mamme e il Signore che è il Padrone di Casa. Essi non sono degli estranei fra di loro , ma familiari e condividono tutta la loro vita: mangiano insieme, pregano insieme, si divertono e si ricreano insieme.

Così le suore e gli ausiliari, cioè tutti coloro che in diversi modi aiutano la Casa della Carità, non fanno un’opera di assistenza, ma fanno famiglia con i poveri. E il centro di tutto sono loro: i poveri. E in loro il Signore.

“Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Così ci dice Gesù e attraverso queste parole ci rivela la sua presenza nei nostri fratelli più piccoli, quelli più dimenticati dal mondo perché spesso sono bruti, deboli, malati, deficienti. Eppure proprio in loro Gesù ha scelto di continuare ad innamorarsi per essere in mezzo a noi così come è vivo attraverso la Parola di Dio che ascoltiamo e preghiamo attraverso Eucaristia. Ecco allora che la nostra Messa domenicale ha valore nella misura in cui noi sappiamo trasportarla e continuarla nella nostra vita di tutti i giorni: non possiamo far finta di niente di fronte a chi ha bisogno e ciascuno di noi conosce delle realtà di povertà, di malattia, di sofferenza.

È qui che il Signore ci chiama per vivere la Carità, cioè il servizio ai più poveri, non come semplice assistenza, ma come atto di amore al Signore presente in loro. Ecco dunque il significato che assume la Casa della Carità nella parrocchia: “Le case della Carità, espressione e strumento della carità del Vescovo, sono nella Parrocchia il “Tabernacolo” di Gesù presente nei poveri e la continuazione della Parola e dell’Eucaristia” (Dalle costituzioni della Congregazione Mariana delle case della Carità, Art 3,1).

La Casa della Carità custodisce i veri tesori, le perle più preziose, così come il tabernacolo custodisce il SS. Sacramento. Per i parrocchiani, gli ospiti della nostra Casa, non possono rimanere degli estranei, devono invece diventare coloro di cui ci si ricorda per primi in ogni occasione, coloro ai quali si riservano i posti d’onore, coloro con i quali si fa famiglia. Essi sono lo strumento che il Signore ci dona per imparare a servirlo nei più poveri.

Per questo la Casa della Carità è una palestra per tutta la parrocchia: qui si viene per allenarsi a vivere la Carità e la fraternità, perché l’Amore di Gesù diventi il nostro stile di vita che ci fa capire che siamo cristiani negli ambienti di lavoro, di scuola, di svago, di incontro.

La famiglia della Casa della Carità può essere un luogo di comunione e di unità dove si superano barriere e divisioni divenendo così testimonianza di fraternità e di pace.

È importante dunque che la comunità parrocchiale si senta più responsabile della Casa della Carità, ne senta come propri i problemi, le gioie, la sua stessa vita. Non è dunque una realtà a sé stante, non una fra le tante attività, ma parte integrante della parrocchia ed espressione privilegiata del suo vivere la Carità.


Un’esperienza nata dall’amore per la Chiesa

«Attraverso la loro obbedienza e docilità al Signore e alla sua Parola, al Vescovo, ai poveri e alla storia è nato quel che è nato». Con queste parole  don Romano Zanni, Fratello della Carità, ha cercato di trasmettere «l’enorme eredità» lasciata da don Mario Prandi, parroco di Fontanaluccia (provincia di Modena – diocesi di Reggio Emilia) fondatore delle Case della Carità e di suor Maria Giubbarelli, la prima Carmelitana minore della Carità.

Le Case della Carità, quindi come frutto d’amore, dono della misericordia del Signore. Un dono che è gioia, fatica, responsabilità di tutti mantenere vivo, perché – come è stato detto a conclusione della serata «oggi è più che mai attuale e profetico lo spirito delle tre mense: la mensa della Parola, dell’Eucaristia, dei poveri».

Don Romano ha considerato la vita e la fede di don Mario Prandi, raccontando che «prima di tutto era un parroco, un pastore». «La prima Casa della Carità a Fontanaluccia è nata dal suo cuore di parroco che ha trovato nella comunità alcune persone gravemente handicappate. Far famiglia con questi sofferenti significava per la parrocchia custodire i suoi poveri come i gioielli più preziosi. In casa c’era bisogno della presenza stabile di persone consacrate che facessero da “madre dei poveri”; le suore disponibili non si erano trovate e allora don Mario si fida della Parola del suo Vescovo che gli dice di cominciare con alcune ragazze della parrocchia». «Eccellenza – rispose don Mario – ne ho sempre fatte di tutti i colori, ma di suore non ne ho fatte mai!». Invece, nell’obbedienza, il 16 luglio 1942 nascono le prime tre Carmelitane Minori – suor Maria, suor Gemma, suor Giuseppina – «consacrate al regale servizio degli infelici e dei sofferenti», la cui regola suprema sarà la parola di Gesù: «Quello che avrete fatto a questi piccoli, lo avrete fatto a me».

«Don Mario poi nutriva un amore immenso per la Santa Chiesa che è madre, e – ha detto don Zanni – un amore immenso per il proprio Vescovo, che è il padre che il Signore ti ha messo accanto». Ecco perché nel testamento scrive: «Come sono contento di avere avuto questa immensa fortuna di essere nato e vissuto nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica e aggiungo, a scanso di equivoci, romana e reggiana. In mezzo a tutte le nostre povere miserie c’è però questa ricchezza e certezza, di essere con Cristo se si è con la Chiesa».

Anche di suor Maria del Carmine don Romano ha considerato alcuni aspetti della vita e della fede. «Non so se suor Maria è stata una donna perfetta, comunque quel che dice il libro dei Proverbi è calzante. È stata una donna forte, con una grande ricchezza di cuore, persona ricercatissima da tanta gente. La sapienza di cui era piena le veniva da un’intimità con Cristo e i poveri». Donna di grande umiltà e nascondimento, nel suo parlare era contenuta. Donna fedele, d’equilibrio, pratica e concreta, attenta a tutta la Casa e a tutta la famiglia delle Case.
 



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