Saluto del Cardinale Ravasi durante l'incontro degli Artisti
Santità, è arduo per me dare voce ora a questa folla di artisti
provenienti da tutto il mondo, in rappresentanza anche di tanti altri
loro colleghi. Un’emozione profonda percorre, infatti, l’animo di tutti
davanti a questo grandioso e glorioso fondale michelangiolesco, simbolo
supremo dell’incontro tra arte e fede, e di fronte al successore di
Pietro che incarna la storia secolare della Chiesa.
Quarantacinque anni fa, il 7 maggio 1964, in questa stessa
straordinaria cornice, il Papa Paolo VI con un appassionato discorso si
rivolgeva agli artisti, ricordando loro che la sfida ultima della
creazione estetica è quella di «carpire dal cielo dello spirito i suoi
tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità».
Nello stampo limitato della parola, della forma, dell’immagine, del
suono, l’artista cerca, infatti, di far balenare l’infinito e l’eterno.
Come affermava uno di loro, Joan Miró, l’arte non rappresenta il
visibile, ma rende visibile l’Invisibile, si affaccia sugli abissi
dell’essere e dell’esistere, varca i confini dell’evidenza immediata per
penetrare nelle regioni dell’assoluto e della trascendenza.
Dieci anni fa, Santità, il Suo venerato predecessore Giovanni Paolo II, il giorno di Pasqua del 1999, scriveva la sua Lettera agli artisti
«per confermare a loro la stima ma anche per contribuire al riannodarsi
di una più proficua cooperazione tra l’arte e la Chiesa», così da
rinverdire «quel fecondo colloquio che in duemila anni di storia non si è
mai interrotto». Alle nostre spalle c’è, infatti, quell’immensa e
mirabile eredità che faceva dire a Goethe: «La lingua materna
dell’Europa è il cristianesimo». Marc Chagall era convinto che per
secoli i pittori hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto
colorato che erano le pagine bibliche. Ma già nell’VIII secolo il
cantore delle immagini sacre, san Giovanni Damasceno, non aveva
esitazione a suggerire: «Se un pagano viene e ti dice: Mostrami la tua
fede! tu portalo in chiesa e mostra a lui la decorazione di cui è ornata
e spiegagli la serie dei sacri quadri» (PG 95, 325).
Questo vincolo così stretto, a partire dal secolo scorso, si
è molto allentato. Da un lato, la riflessione spirituale non ha sempre
seguito la via dell’“estetica teologica” e in ambito ecclesiale si è
spesso ricorso al mero ricalco di stili e generi delle epoche
precedenti; oppure non di rado ci si è adattati alla bruttezza che
assedia le nuove città. D’altro lato, l’arte ha imboccato le vie della
città secolare, archiviando i temi religiosi, i simboli, le narrazioni,
le figure di quel codice culturale che è stato per secoli la Bibbia. Si è
spesso dedicata solo all’effimero e a esercizi stilistici sempre più
provocatori o autoreferenziali, si è talora asservita a mode e a logiche
di mercato.
Eppure c’è in tutti il desiderio di ritessere quel «fecondo
colloquio». E gli artisti attendono ora che Lei, Santità, con le Sue
parole pronunci la prima battuta di questo nuovo dialogo, nel quale –
come Lei già affermava – si possono incrociare «estetica ed etica,
bellezza, verità e bontà». Rimosse le macerie delle incomprensioni e
delle distanze, la via pulchritudinis è ancora aperta davanti al
credente e all’artista. La meta da raggiungere è quella che delineava lo
scrittore Hermann Hesse quando offriva questa sorprendente definizione:
«Arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio», cioè l’Eterno e
l’Infinito. È ciò che auspicava Giovanni Paolo II nella sua Lettera:
«L’arte contribuisca all’affermarsi di una bellezza autentica che,
quasi riverbero dello Spirito di Dio, trasfiguri la materia, aprendo gli
animi al senso dell’eterno». E ora, Santità, noi tutti La preghiamo di
illuminarci su questo cammino di bellezza, di amore e di fede, con la
Sua parola che ascolteremo con intensa simpatia e viva partecipazione.
http://www.latinitas.va/content/cultura/it/dipartimenti/arte-e-fede/testi-e-documenti/ravasiart/saluto-agli-artisti.html