Discorso sulla Dedicazione della Sacra Famiglia e la mia attività di scultore (Premio Ratzinger 2024)
di Sotoo Etsuro
Eminentissimo cardinale Pietro Parolin, eminentissimo cardinale Gianfranco Ravasi, eccellentissimo monsignor Salvatore Fisichella, Reverendo padre Federico Lombardi,
Cari signori, signore e amici,
Oggi, nel ricordare quel giorno indimenticabile in cui la Sagrada Familia fu consacrata da Papa Benedetto XVI, il 7 novembre 2010, avverto ancora una volta le sue parole risuonare in me, come un’eco sacra in ogni pietra, in ogni dettaglio di quest’opera vivente. La sua omelia non è stata solo un messaggio di fede e di speranza, è stata come la nota di una melodia; penso che noi siamo semplicemente parte di una nota della partitura divina, un alito che sembrava dare vita al tempio e a noi stessi. Ho sentito in quel momento, come lo sento oggi, che lavorare alla Sagrada Familia non è solo un progetto architettonico o artistico, ma una chiamata, uno scopo divino. La dedicazione ha significato molto più di una cerimonia religiosa. È stata un momento in cui ognuno di noi, dagli architetti, scultori e artigiani, fino al visitatore più umile, si è fatto testimone della trascendenza di quest’opera e ha avvertito che quel giorno avevamo ricevuto un grande compenso. Percepivamo di stare costruendo qualcosa che non appartiene solo a Barcellona, alla Catalogna o alla Spagna, ma a tutta l’umanità, un dono rivolto a noi tutti. È apparsa evidente l’universalità di questa chiesa, che si erge non solo come un simbolo di fede, ma come invito alla pace, all’incontro tra culture e credenze. Quel giorno ho capito, in modo molto personale, che il sogno di Gaudí, creare una «cattedrale del popolo», aveva smesso di essere un sogno. Era diventato realtà!
Quando giunsi per la prima volta a Barcellona dal Giappone, nel 1978, ricordo di essermi sentito come uno straniero in terra straniera. Ogni strada, ogni angolo, appariva pieno di storie e simboli che, all’inizio, mi erano estranei. Tuttavia, quando ho cominciato a lavorare la pietra, quando ho preso lo scalpello e ho cominciato a scolpire, sapevo che la pietra ha un suo linguaggio, un linguaggio che non ha bisogno di traduzione, per questo sono venuto a cercare la pietra dal Giappone all’Europa. La pietra è grande arte o qualcosa di più. L’arte, nella sua forma più pura, è un universo di pietra, fino alla fine dell’universo dove nessuno è andato e non possiamo andare, ma so che la pietra c’è.
Lavorare alla Sagrada Familia mi ha fatto capire che, pur provenendo da culture diverse, condividiamo un’essenza comune che può essere espressa non solo attraverso l’arte, perché ho scoperto che Gaudí aveva un intuito un po’ orientale. Col tempo ho cominciato a sentire che le mie radici giapponesi e questa terra catalana erano connesse, come due rami dello stesso albero, che s’incontrano nella spiritualità della creazione. Voglio spiegare i frutti e le foglie che ho lavorato: più di 200 pezzi, ognuno più o meno di una tonnellata, ogni pezzo terminato in cinque giorni, cioè lunedì portavo la pietra e venerdì la consegnavo. Nessuno allora sapeva che senso avessero. I discepoli di Gaudí mi avevano ordinato di metterci frutti con sotto foglie, i frutti in pietra; sopra i frutti, colorato mosaico veneziano, e al di sotto frutti e foglie in pietra. Ma perché, che cosa significa? Capirlo mi era necessario per scolpire, perché uno scultore non si limita a tagliare la pietra senza senso e senza significato, e se non lo comprendevo non potevo lavorare. Quindi ho indagato, ma poiché nessuno lo sapeva, ho dovuto inventare. Noi cresciamo grazie alle parole. E noi stessi siamo frutti, lo dico con parole di papa Ratzinger: «Siamo frutti della natura». Non dobbiamo solo rispettare la natura, Gaudí ha detto che la natura è la sua maestra, per esempio i frutti e le foglie. In Giappone, in natura senza foglie i frutti non nascono né maturano. In Giappone noi cresciamo e maturiamo grazie alle parole, perché le parole le scriviamo con i segni. L’ideogramma per Kotoba, parola è composto da due segni: “dire” e “foglie”, e letteralmente significa “fare del dire una foglia”.
Il mio cuore mi dice che con questa verità le persone sentono o imparano, e che qui si cela il segreto che animava Gaudí: foglie e frutti come simbolo della crescita della nostra anima, perché questo tempio è uno strumento per farci crescere. Immagino che Gaudí non conoscesse la lingua giapponese, ma poiché egli ha imparato dalla natura, cioè la natura è stata la sua maestra, e anche la nostra cultura viene dalla natura, arriviamo alla medesima risposta. È così che mi sono immerso nello spirito di quest’opera, sentendomi profondamente giapponese e allo stesso tempo figlio di questa città, come un seme che nato in Giappone è volato fino a Barcellona, città mediterranea, terra ricca dove cresce adattandosi e sviluppandosi ben oltre le mie aspettative. In ogni scultura, in ogni figura che ho sbozzato, ho voluto trasmettere qualcosa di quella dualità, di quell’incontro tra mondi che arricchisce, somma e approfondisce la nostra identità, perché quanto più sono diverse le culture che si uniscono, più nuova e più forte è la cultura che nasce.
Forse non c’è esempio migliore del Portale della Natività, dove gli angeli musicanti e il coro dei bambini celebrano la nascita di Gesù Bambino. Per me queste sculture non sono solo figure di pietra. Sono un canto alla vita, un tentativo di catturare quei bambini nella pietra come se fossero i miei figli vivi, come se ogni figura stesse per muoversi, ballare o cantare. Questo è il segreto di Gaudí: egli cercava sempre forme che facessero sembrare la statua di pietra viva, in movimento. Molte persone discutono di arte. L’arte non è tale per la sua antichità, tantomeno per il prezzo che le si attribuisce, ma perché è sempre viva, così che ogni volta che vediamo quadri, leggiamo libri, ascoltiamo musica, sentiamo sempre qualcosa di nuovo: questo è arte. E Gaudí diceva: «La bellezza è lo splendore della verità». Per questo il coro dei bambini occupa un posto molto speciale nel mio cuore. C’è un bambino birichino che sembra voler scendere ad accarezzare Gesù Bambino, un gesto così semplice e umano e, allo stesso tempo, così sacro. Quando iniziai a lavorare la pietra, venne a trovarmi un signore molto anziano, e mi disse: «Quel bambino sono io, quando avevo nove o dieci anni giocavo a palla davanti alla Sagrada Familia e ogni volta che passava il signor Gaudí interrompevamo il gioco, ci fermavamo in segno di rispetto. Un giorno questo signor Gaudí si avvicinò a me e, mettendomi una mano sulla testa, mi disse: “Ti darò una caramella se farai da modello”. Io non sapevo che cos’è un modello, con i miei amici sono andato a visitare il suo studio». Non mi aspettavo di poter vedere un modello vivente di quella facciata, pensavo che fossero tutti morti, e sono anche felice di aver reso qualcosa di molto simile a quell’uomo. Non è quello che sentiamo tutti dentro? Quell’impulso ad avvicinarsi, a toccare il divino. Non stiamo semplicemente realizzando una figura e tanto meno un monumento, ma dobbiamo realizzare qualcosa di vero. Il Gesù Bambino che è lì non è di pietra, tutti vogliono vederlo come duemila anni fa, là dove davvero esisteva, tutti vogliono esserci, insieme ai Magi, presenti all’evento più importante e magnifico di quel momento.
Credo che in quel gesto sia racchiuso il messaggio vivo di Gaudí, il suo desiderio che la Sagrada Familia fosse un luogo d’incontro tra il celeste e l’umano. In quei piccoli dettagli, in quelle espressioni di tenerezza e curiosità, ho voluto lasciare un messaggio a tutti coloro che visiteranno questa chiesa: che l’amore, nella sua forma più pura, è ciò che ci unisce tutti. Questa facciata-pala d’altare, che normalmente si troverebbe all’interno del tempio, è stata posta all’esterno per invitare le persone, siano o non siano interessate; chiama tutti. Il modello in gesso a grandezza naturale che ho impiegato dieci anni a trasformare in pietra ora si trova a Kyoto, in Giappone, dove il prossimo dicembre verrà inaugurato nella Kyoto City Fine Arts University, che è accanto alla stazione di Kyoto: se un giorno andate in Giappone e visitate Kyoto, potrete vederla gratuitamente.
La gente si chiede come si possa continuare a costruire senza Gaudí. L’arte non è che qualcuno ha sbagliato e noi seguiamo questa strada sbagliata, l’arte è, come la scienza, ricerca della risposta giusta, perché anche se Gaudí non c’è più e non ha lasciato dati, se guardiamo dove guardava Gaudí, troviamo sempre la risposta corretta. Questo è il mio modo di costruire la Sagrada Familia. Oggi, dopo quasi un secolo e mezzo da quando Gaudí iniziò a lavorare, siamo più vicini che mai a vedere la Sagrada Familia completata. Ma mi chiedo: anche quando il progetto architettonico verrà portato a termine, è davvero possibile che un’opera come questa sia terminata? Si può dire completato qualcosa che sta crescendo?
La Sagrada Familia non è solo una costruzione; è un simbolo della nostra capacità di creare qualcosa più grande di noi, qualcosa che dura, che trascende. Gaudí ha detto: «Quanto più ci mettiamo, meglio è, perché il padrone di quella casa non ha fretta». Aggiungo che questo tempio è uno strumento eterno che costruisce noi: Papa Benedetto ha detto nella sua omelia che «la Chiesa non ha consistenza da se stessa; è chiamata ad essere segno e strumento». Personalmente so che la mia missione in quest’opera non è terminata. Ci sarà sempre qualcosa in più da fare, qualche dettaglio da perfezionare, qualche spazio da riempire di significato, qualcosa da restaurare e migliorare. Diceva Gaudí che il suo vero committente era Dio e credo che, in qualche modo, tutti noi che lavoriamo qui sentiamo questa stessa vocazione. Il mio lavoro non è solo scolpire la pietra, ma darle vita, trasmettere attraverso di essa la fede e l’amore che Gaudí ha sognato. Pensando sempre: come possiamo dare felicità a questo grande cliente, Dio? La risposta è: «Cerchiamo semplicemente di rendere felici noi stessi, come ogni genitore si sente felice quando vede i propri figli felici, amati». Pertanto, finché ci sarà una scintilla di creatività, finché ci sarà una pietra in attesa di essere scolpita, resterò qui, a servire quest’opera con umiltà e devozione.
Nel frattempo cerchiamo di migliorare il lavoro, imparando, costruendo noi stessi come esseri umani. Per me la Sagrada Familia non è solo un edificio in costruzione: è una preghiera che si eleva, un canto che celebra la grandezza di Dio e la nobiltà dello spirito umano. E so che, in questo luogo, troverò sempre una casa, una ragione per andare avanti, uno scopo che mi riempie il cuore. Siamo semplicemente una nota all’interno della partitura che armonizza la musica di Dio. Quando vedo i visitatori meravigliarsi davanti alle sculture, fermarsi a osservare ogni dettaglio, so che il mio lavoro, il nostro lavoro, acquista significato. L’opera della Sagrada Familia è un invito al dialogo con Dio, alla pace, alla comunione. Ed è questo, alla fine, che mi dà la forza. Sento che la mia vita, la mia cultura, la mia storia e ciascuno dei giorni che ho dedicato a questa Basilica non solo sono valsi la pena, ma mi sento costruito da essa, non lei da me. La Sagrada Familia continuerà a essere un faro di speranza e di amore per tutti coloro che la visiteranno. E io, finché Dio e il destino lo permetteranno, resterò qui, a prendermi cura di lei, scolpendo, sognando e lavorando affinché ogni angolo di questo tempio rifletta la luce divina, quella luce che ci unisce e ci ricorda che, alla fine, «tutti siamo uno nell’amore».
Un aneddoto di quel 7 novembre 2010: dopo la solenne cerimonia mi chiesero di aspettare Papa Benedetto XVI «Ratzinger» sul percorso verso la Porta della Natività, che Gaudí aveva iniziato a costruire e io avevo portato a termine. Prima che Papa Ratzinger andasse a rivolgersi alla gente, dovevo avere una breve udienza con lui. Ma quando il Papa era quasi arrivato, a un passo da dov’ero io, una giovane guardia venne e si fermò proprio davanti a me. E il Papa, vedendola, con un gesto che immediatamente compresi, aprì le braccia e con il suo sguardo, con quel gesto mi disse: «Non si può evitare», e mi passò davanti, fissandomi (pensai di dare un calcio nel tallone alla giovane guardia, ma non l’ho fatto). Perché è andata così? Mi sento ancora oggi stupito e impotente. Tuttavia, grazie a tutti voi che siete qui oggi, mi sento fortemente abbracciato da Papa Ratzinger, ciò che era stato impossibile allora, e sono profondamente commosso. Le persone sono imperfette. Vorrei aggiungere «per fortuna». Il motivo è che non importa quanto lo desideri o quanto ci provi, non sempre le cose si realizzano. Tuttavia, se aspetti obbedientemente, ci sarà sempre un risultato che gli esseri umani non possono produrre attraverso i calcoli, a cui gli esseri umani non potrebbero mai pensare. Gaudí lo chiamava Gozo, «Gioia», e sperava che la Basilica fosse piena di Gozos. Inoltre, anche le «parole» sono imperfette, il che dimostra che lo siamo anche noi esseri umani.
Solo la Parola di Dio è perfetta e dice la verità. Ciò che Dio desidera veramente sono persone che continuino a imparare mentre la Basilica viene costruita con la sincerità. Dobbiamo costruirla come noi stessi eternamente! Per aiutare gli esseri umani imperfetti e le loro parole instabili, Gaudí ha utilizzato tanti nuovi simbolismi per trasmettere direttamente al mondo, soprattutto ai giovani, il significato della Bibbia, che va oltre le parole, oltre il linguaggio. Secondo la parola del Papa Benedetto: «Non con parole, ma con pietre». Questa è la missione moderna del costruire la Basilica della Sagrada Familia. Attualmente sto lavorando e aspetto che sia finito il progetto degli interni della Torre di Gesù, la torre più grande e importante dell’intera Sagrada Familia. Qui i miei riflessi del firmamento moderno richiamano l’idea dell’essenza semplice: «Padre, Figlio e Spirito Santo». Sono 60 metri di altezza, un unico spazio da riempire di messaggi di Dio e fisica e quantistica, con più di 32.000 pezzi di ceramica colorata. Rispecchierà tutti gli elementi che Dio ci ha dato. Per via del regolamento della Sagrada Familia non posso ancora mostrare le foto al pubblico, ma l’anno prossimo sarà completata con dei colori in ceramica, un sistema che ho inventato, simili all’acquerello, e sarà possibile visitarla. Inoltre sto lavorando su alcuni simboli delle chiavi della volta del chiostro, su entrambi i lati della Facciata della Natività; uno è nuovo per la Vergine di Montserrat e sull’altro lato c’è la continuazione della Vergine del Rosario, che Gaudí costruì come un testamento a cui teneva molto, ma purtroppo venne distrutta durante la Guerra Civile spagnola e l’ho restaurata su richiesta dei discepoli di Gaudí. Sono un messaggio molto importante per proseguire, camminare, verso il futuro dell’umanità. Inoltre supervisionando il monumento enorme che è in fase di completamento come nuovo simbolo del cristianesimo, accanto alla Torre di Gesù, poiché Gaudí non ha lasciato nulla, è compito mio creare un nuovo simbolo, di acqua, fuoco e vento. E la terra rappresenta la Torre della Vergine Maria. Lavoro lì da 46 anni e continuerò a farlo con ancora più forza grazie a questo premio e al vostro supporto.
Molte grazie.
Sotoo Etsuro
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