martedì 14 luglio 2020

L'AFFASCINANTE BELLEZZA DI ESSERE CRISTIANI, del Card. Stanislaw Rylko



L'AFFASCINANTE BELLEZZA DI ESSERE CRISTIANI

del Card. Stanislaw Rylko 

(Discorso conclusivo di S.Em il card. Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, 
alla XXVIII Assemblea plenaria del dicastero)


1. Siamo giunti al momento conclusivo della XXVIII Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici,1 un’Assemblea storica in quanto l’ultima del dicastero nella sua attuale configurazione. Non è facile concludere un evento di questa portata e così significativo. Ma credo ci possano aiutare in queste riflessioni conclusive alcune espressioni di Sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e padre della Chiesa. Nella sua Lettera ai cristiani di Magnesia scriveva: “Non basta essere chiamati cristiani, ma bisogna esserlo davvero...”.2 E mentre era in cammino verso Roma, dove avrebbe subito il martirio, il santo vescovo scriveva ai fedeli di quella città: “Per me chiedete solo la forza interiore ed esteriore, perché non solo parli, ma anche voglia, perché non solo mi dica cristiano, ma lo sia realmente”.3 Notiamo che è un vescovo che scrive e chiede ai cristiani di pregare affinché non solo porti il nome di cristiano, ma lo sia veramente. Sant’Ignazio non chiede che preghino perché sia un bravo vescovo, ma invita a pregare affinché sia fedele alla sua vocazione cristiana. Ciò evidenzia la grande dignità dell’essere cristiano e l’importanza di essere fedeli alla nostra identità cristiana che scaturisce dal sacramento del Battesimo.
Oggi noi viviamo in un “mondo liquido”, che produce “identità liquide”, incoerenti, identità “fai da te”, selettive, frutto delle scelte arbitrarie e di comodo. E per questo nel nostro lavoro al Pontificio Consiglio per i Laici, la parola identità cristiana ha costituito sempre una bussola del nostro servizio al laicato cattolico nel mondo. E durante le nostre Assemblee plenarie in questi anni abbiamo cercato innanzitutto di motivarci a vicenda - vescovi, sacerdoti e laici - affinché la nostra identità cristiana non venisse meno, non si sbiadisse davanti alle numerose sfide di questo mondo. Non vogliamo portare solo il nome di cristiani, ma vogliamo esserlo realmente!
L’identità cristiana come sfida fondamentale per ogni battezzato di oggi… San Giovanni Paolo II ha detto che l’identità vuol dire: “So chi sono”; e poi: “Assumo la responsabilità di ciò che sono”… La prima domanda che ciascuno di noi deve porre a sé stesso è dunque: Chi sono?, per divenire consapevole di ciò che sono come persona, ma ancor più come battezzato, come cristiano, come discepolo e missionario di Cristo. Il secondo aspetto è assumere la responsabilità di ciò che sono. Questo significa essere capace di dire: “Sono cristiano, voglio esserlo e voglio essere fedele alla mia verità di cristiano…”.

2. Papa Francesco nelle sue omelie delle celebrazioni mattutine nella Casa Santa Marta, all’inizio del suo pontificato, ha abbozzato una tipologia di cristiani o meglio di pseudo-cristiani del nostro tempo. Il Santo Padre ha parlato dei cosiddetti cristiani “ma non troppo”; dei cristiani “part-time”, coloro che sono cristiani solo in certi momenti della vita; i cristiani “satelliti”, cristiani cioè che hanno anche una certa ammirazione per Gesù, ma a distanza, non vogliono immischiarsi molto con lui; cristiani “in poltrona”, in pantofole sono invece coloro che accettano il Vangelo nella misura in cui fa comodo e non sconvolge molto la vita; i cristiani “di pasticceria”, che vorrebbero un cristianesimo senza croce, un cristianesimo addolcito, dimenticando che Gesù ha detto: voi siete il sale della terra, non il miele…! Ci sono ancora – elenca Papa Bergoglio – i cristiani “da salotto” che amano i dotti dibattiti, sono educati, ma non sanno fare figli alla Chiesa con l’annuncio e il fervore apostolico; i cristiani “a parole”; i cristiani “dal balcone”, che non si sporcano le mani e guardano la realtà della vita dal “balcone”. Ci sono poi nel mondo tanti cristiani “invisibili”, completamente omologati dalla mondanità che minaccia ogni persona nella Chiesa.
È questa una tipologia di cristiani molto interessante anche per poter fare un esame di coscienza. A quale categoria di cristiani mi avvicino? E Papa Francesco, che ha l’anima di un pastore e conosce le sue pecore, quali cristiani auspica per la Chiesa dei nostri tempi? Credo che per il Santo Padre nel mondo odierno occorrono cristiani “in cammino”, che non stanno fermi, ma portano nel cuore la profonda inquietudine di “essere sempre di più”, di essere sempre più discepoli e missionari di Cristo; uomini e donne che non hanno paura di rischiare, di sporcarsi le mani, non hanno paura di sbagliare e sanno andare sempre avanti.4 “Abbiamo bisogno di laici con visione del futuro, non chiusi nelle piccolezze della vita”5 ha affermato di recente il Santo Padre.

3. Spesso poi Papa Francesco dice che il cristiano dev’essere una persona decentrata. Ma cosa vuol dire questo in concreto? Significa che al centro della nostra esistenza non dobbiamo mettere il nostro io, a volte gonfiato dall’individualismo e dall’egocentrismo, ma dev’esserci la persona di Cristo. Solo ponendo Lui al centro della nostra vita, possiamo dirci veramente cristiani. Quanto è importante quindi vigilare perché siano la persona di Gesù Cristo e la sua parola a motivare ogni nostra scelta! Quanto è necessario custodire quella sana inquietudine del cuore che ci spinge a metterci continuamente in cammino per trovare il Signore. Ricordiamo le parole di Sant’Agostino: “Ci hai fatti per Te [Signore] e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te”.6
Un altro aspetto importante per la nostra vita cristiana è saper ritornare sempre a quel primo amore di cui parla l’Apocalisse.7 Coloro che sono sposati possono capire più facilmente cosa significhi ritrovare nel grigiore della quotidianità della vita coniugale la bellezza e la freschezza del primo amore. Oggi una delle minacce più grandi per la nostra vita cristiana è la routine, il déjà-vu, l’incapacità di stupirsi. Un poeta polacco Jan Twardowski ha intitolato una delle sue poesie: “Impara a stupirti nella Chiesa”. Dobbiamo ridestare in noi la capacità di stupirci della bellezza della Chiesa, della bellezza di essere cristiani. Prima della Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia nel 2005, un giornalista chiese a Papa Benedetto XVI: “Santo Padre, quale il messaggio specifico che lei vuole portare ai giovani che da tutto il mondo vengono a Colonia? Qual è la cosa più importante che lei vuole trasmettere loro?”. E il Papa rispose semplicemente: “Vorrei fare capire loro che è bello essere cristiani!”. E ciò che anche noi – membri e consultori – abbiamo tentato di fare in questi anni di lavoro insieme: credere sempre più profondamente che essere cristiani è bello.
Se in questi anni, le varie Assemblee plenarie del nostro dicastero hanno aiutato tutti noi – laici, sacerdoti, vescovi – a essere più cristiani, più fedeli alla nostra identità di battezzati, allora la ragion d’essere di questo Consiglio è stata realizzata e tutto il resto è secondario.

4. A questo punto vorrei offrirvi, come indicatori di strada per il cammino che ci attende, tre parole, ciascuna accompagnata dalla figura di un Pontefice.
La prima parola è fede a cui associo la figura di Papa Benedetto XVI. Nel corso del suo viaggio apostolico in Portogallo, Papa Ratzinger disse: “Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?”.8 Ciò evidenzia la necessità di prenderci cura della nostra fede, quale fondamento della nostra vita. Papa Benedetto XVI ci ha insegnato che tra le varie crisi che affliggono il mondo odierno - crisi finanziarie, economiche e altre – la più importante è la crisi di Dio che porta inevitabilmente a una crisi dell’uomo (una crisi antropologica), perché solo in Dio il mistero dell’uomo trova la sua piena spiegazione. Nel mondo di oggi dunque i cristiani sono chiamati a essere innanzitutto uomini di Dio, uomini di preghiera. Il cristiano del futuro o sarà un contemplativo o non sarà affatto un cristiano.

5. La seconda parola è santità e ad essa possiamo collegare la figura di San Giovanni Paolo II. Quando Papa Wojtyła tracciò la via per la Chiesa verso il Terzo Millennio, ribadì la necessità di ripartire da Cristo e dalla santità. “Se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio – scrisse nella Novo Millennio Ineunte - attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale. Chiedere a un catecumeno: «Vuoi ricevere il Battesimo?» significa al tempo stesso chiedergli: «Vuoi diventare santo?». Significa porre sulla sua strada il radicalismo del discorso della Montagna: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni «geni» della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. Ringrazio il Signore che mi ha concesso di beatificare e canonizzare, in questi anni, tanti cristiani, e tra loro molti laici che si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita. È ora di riproporre a tutti con convinzione questa «misura alta» della vita cristiana ordinaria”.9 San Giovanni Paolo II invitò poi in particolare i giovani ad avere il coraggio di puntare a traguardi alti ed esigenti, perché il cristiano autentico dev’essere esigente con sé stesso. La mediocrità, la superficialità, la distrazione sono infatti le grandi minacce che indeboliscono la testimonianza dei cristiani nel mondo e la privano di credibilità. Un cristiano mediocre è come un sale che non dà sapore! Occorre dunque tener viva in noi la fiamma del desiderio di santità, nell’umile consapevolezza della nostra fragilità e debolezza umana. Siamo peccatori, ma confidando nella misericordia di Dio vogliamo far vivere Cristo nella nostra vita.

6. La terza parola è gioia e con essa pensiamo alla figura dell’attuale Pontefice, Papa Francesco. Nell’Evangelii gaudium, il Santo Padre ha scritto: “Possa il mondo del nostro tempo – che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza – ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo”.10 Cristiani dunque che abbiano in loro la gioia di Cristo… A tal riguardo il filosofo Friedrich Nietzsche diceva: “Se Cristo è risorto, perché siete così tristi? Voi cristiani non avete un volto da persone redente”. Quante volte infatti i nostri volti contraddicono ciò che siamo in quanto cristiani; quante volte i nostri sguardi sono spenti e tristi, incapaci di trasmettere la gioia e la speranza cristiana. Manifestiamo dunque al mondo la nostra fede e facciamolo con gioia e con umile fierezza, colmi di gratitudine per il dono straordinario, stupendo, immeritato che abbiamo ricevuto. Ma di quale gioia si tratta? Non è senza dubbio una gioia facile, superficiale, ma è una gioia che non ci abbandona mai neanche nei momenti di prova, anche quando siamo costretti a evangelizzare con le lacrime agli occhi.

Custodiamo quindi nel nostro cuore quella salutare inquietudine che ci spinge a essere sempre più cristiani, sempre più ciò che siamo in quanto battezzati e viviamo e testimoniamo la nostra fede con gratitudine e gioia. Nella Chiesa e nella società di oggi ci sono tanti profeti di sventura, ma il mondo ha bisogno di profeti di speranza, una speranza che sia forte, radicata e costruita sulla roccia. “Non lasciatevi rubare la speranza!” dice spesso il Santo Padre Francesco. E questo è anche il mio augurio per tutti voi – membri e consultori - mentre concludiamo quest’ultima Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici.



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1 Discorso conclusivo di S.Em il card. Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, alla XXVIII Assemblea plenaria del dicastero.
2 Cfr. Sant’Ignazio di Antiochia, Dalla lettera ai cristiani di Magnesia, IV, 1.
3 Cfr. Sant’Ignazio di Antiochia, Dalla lettera ai Romani, III,1.
4 Cfr. Francesco, Ai partecipanti all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, in “L’Osservatore Romano”, 18 giugno 2016, p. 8.
5 Ibidem.
6 Agostino, Le Confessioni, I,1,1
7 Cfr. Ap 2,4-5.
8 Benedetto XVI, La concelebrazione eucaristica al Terreiro do Paço a Lisbona, in: “Insegnamenti”, VI, 1 (2010), p. 673.
9 Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, n. 31
10 Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 10.


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Fonte: http://www.laici.va/content/laici/it/messaggio-del-presidente/plenaria2016.html



La bellezza di Dio, di Lucia Antinucci



LA BELLEZZA DI DIO

di Lucia Antinucci


La ricerca del ‘Bello’, nel suo valore più elevato, è sempre stata un itinerario di avvicinamento al divino, come ha scritto Simone Weil: “[…] in tutto ciò che suscita in noi il sentimento puro e autentico del bello c’è come una specie di incarnazione di Dio […]; quindi tutta l’arte di prim’ordine è per essenza religiosa [in quanto] testimonianza in favore dell’Incarnazione. Una melodia gregoriana testimonia quanto la morte di un martire”. Come leggiamo infatti nell’Idiota di Fedor M. Dostoevskij, “La Bellezza salverà il mondo”. La Bibbia testimonia ampiamente lo stupore dell’uomo dinanzi al fascino della Bellezza di Dio, che supera ogni bellezza umana, poiché sempre fragile, sottoposta alla caducità. Nella Bibbia si parla anzitutto della bellezza degli elementi  del creato, che rimanda  a quella del Creatore.  Per la Bibbia il bello (tov / buono), riferito alle cose o alle persone, significa ciò che è ordinato, senza difetti, proporzionato e armonioso in tutte le sue parti. La bellezza è anche la tenerezza dei sentimenti, la verità, ma è soprattutto espressione della santità divina (cf Sal 25,8), perché è Dio la bellezza-bontà sperimentabile quasi in modo sensoriale: “Assaporate e gustate quanto è buono (bello) Jhwh” (Sal 27,13). Il mondo biblico, volendo esprimere la felicità delle origini della creazione, ricorre all’immagine della bellezza dell’Eden: “Il Signore Dio piantò un giardino in Eden e vi collocò l’uomo che aveva modellato; fece spuntare dal terreno ogni sorta di alberi, attraenti per la vista e buoni da mangiare” (Gn 2,8-9). Anche dell’albero proibito si dice che il frutto ”era buono da mangiare, seducente per gli occhi e attraente” (Gn 3,6). La  bellezza di Dio nella Bibbia viene espressa anche con il tema della Sapienza divina che è vitale, feconda, benefica. Essa è come le piante più belle della flora palestinese (come il cedro e l’umile rosa di Gerico), con il loro lussureggiante fogliame, con i fiori, i frutti, che rimandano al godimento spirituale che viene donato dalla Sapienza (cf Sir 24,12-17). Tutte le opere della creazione di Dio sono buone (belle): ”Dio vide tutto quello che aveva fatto ed ecco era molto buono” (Gn 1,31). La bellezza del Creatore emerge soprattutto nell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza (cf Gn 1,26-27); ne riflette meglio il suo splendore, la sua gloria e la sua grandezza (cf Sal 8). Tale bellezza si manifesta soprattutto attraverso i personaggi che hanno avuto un ruolo particolare nel piano salvifico di Dio, sono più vicini al suo cuore. I personaggi biblici che hanno grandi qualità morali e spirituali, sono sempre presentati con la caratteristica della bellezza fisica.

Nel Nuovo Testamento  il binomio bellezza-bontà è del tutto assente. Coloro che vengono chiamati da Dio per realizzare il suo disegno salvifico (Maria, Giovanni Battista, Giuseppe), sono persone comuni, di cui si evidenziano anche i difetti, la vita di peccato (Matteo, la Maddalena) e non c’è nessun riferimento all’aspetto fisico. Sul monte Tabor la gloria di Dio si manifesta attraverso la luce e il candore delle vesti. Ciò dipende dal fatto che nel Nuovo Testamento emerge la sapienza della croce, per cui è grande e bello dinanzi a Dio tutto ciò che è stoltezza e realtà sgradevole dinanzi agli uomini. Ciò che conta non è il vigore fisico, ma la debolezza accettata per testimoniare la fede, non la potenza e la forza, ma la mitezza, l’umiltà, la povertà e la semplicità, non la ricchezza e lo splendore agli occhi degli uomini. La bellezza di Dio si manifesta soprattutto nell’uomo dei dolori, nel Crocifisso che è lo stesso Unigenito del Padre Celeste. Il Nuovo Testamento evidenzia quindi che Gesù è l’icona del Padre (cf Col 1,15), è l’irradiazione della gloria divina (cf Eb 1,3), perchè è passato per l’annientamento, rinunciando allo splendore divino: “Gesù Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo” (Fil 2,6). La bellezza di Dio si manifesta nel Cristo, per il fatto che ha donato tutto se stesso per amore dell’umanità, come il pastore buono che dà la vita per le pecore (cf Gv 10,11.14), e si è fatto servo di tutti. Gesù ci manifesta che la bellezza di Dio è quella dell’amore. Lo splendore dell’alba di Pasqua, che supera le tenebre del venerdì santo, attesta il fulgore della vita che vince la morte, della riconciliazione che vince l’odio e la separazione. Per il cristianesimo la “bellezza si è compiuta una volta per sempre nel giardino fuori di Gerusalemme: sulla roccia del Calvario sta la Croce della Bellezza […]” (B. Forte). Il Verbo si è sottoposto alla kenosis; Colui che “è il più bello tra i figli degli uomini” (Sal 45,3) è diventato Colui che “non aveva più né bellezza, né decoro” (Is 53,2). S. Agostino ha sottolineato il motivo di questo mistero paradossale: “Egli non aveva bellezza né decoro per dare a te bellezza e decoro. Quale bellezza? Quale decoro? L’amore della carità, affinchè tu possa correre amando e amare correndo […]. Guarda a Colui dal quale sei stato fatto bello”. L’amore infinito di Colui che ha il volto sfigurato, lo rende il più bello tra i figli degli uomini. Egli ha rinunciato alla sua bellezza divina per rendere noi belli, non secondo l’aspetto fisico, bensì nell’amore, nel servizio, nella testimonianza. L’umanità spesso smarrisce il vero senso della bellezza; si lascia prendere dalla vertigine di ciò che è appariscente,  e trasforma il bello in spettacolo, in bene di consumo, abbandonandosi all’immediatamente fruibile. La bellezza che si è resa trasfigurata e crocifissa ci redime dalla seduzione dell’effimero. Il grido di abbandono del più bello tra i figli degli uomini (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Mc 14,34) ci libera dall’abbaglio delle bellezze caduche, per rivelarci il vero Bello, il volto del Padre misericordioso, che per amore ci dona il Figlio Crocifisso (cf Rm 8,32) e lo Spirito di Amore (cf Gv 19,30), Autore della rinascita nella vera bellezza. La vittoria pasquale del Crocifisso dà senso anche alle fragili bellezze terrene, che sono un segno della bellezza divina, nonostante il loro limite, quando rispecchiano la Sapienza divina e il suo progetto salvifico. Un’icona della trasfigurazione della bellezza terrena è Maria di Nazareth, la giovane e umile donna totalmente protesa all’accoglienza della bellezza divina. Maria non è un mito, non è un’astrazione, ma una donna concreta che è vissuta nella società ebraica. E’ questa concreta femminilità che rivela la bellezza dell’Eterno; è l’incontro tra la bellezza terrena e quella divina. La Vergine Madre figlia del suo Figlio, coperta dall’ombra dello Spirito (cf Lc 1.35), diventa la dimora santa del Verbo di Dio fra gli uomini. Maria è l’icona della Bellezza trinitaria, è “il santuario e il riposo della Santissima Trinità” (San Luigi Maria Grignion de Monfort), il grembo della Bellezza divina (H.U. von Balthasar). In Maria tota pulchra, la Donna Bella secondo il piano salvifico di Dio, si rende presente in modo eminente l’esistenza umana redenta, protesa alla contemplazione del Bello Assoluto.

La bellezza del Crocifisso risplende particolarmente attraverso la testimonianza di coloro che si sono conformati a lui; non si può non far riferimento al cantore della bellezza di Dio: Francesco d’Assisi. Egli è stato folgorato dalla bellezza divina, immergendosi in essa fino all’unione estatica. Nella bellezza delle creature il Poverello di Assisi contempla il Bellissimo che lpossiede e le riempie, per cui uno dei titoli che attribuisce a Dio è proprio quello della BellezzaIl Giullare di Dio contempla e loda la Bellezza del Padre celeste, come emerge dalle Lodi di Dio Altissimo, scritte per ringraziarLo del dono della bellezza delle stimmate. ‘Tu sei Bellezza” (FF 261,4). Il Celano nella Vita Seconda attesta che il Santo assisiate “nelle cose belle riconosce la Bellezza somma” (FF 750). La gioia estatica invade l’animo dell’Araldo del Gran Re nel contemplare la bellezza dei fiori e della natura in genererecuperando il messaggio biblico della contemplazione del creato: “E quale estasi pensi gli procurasse la bellezza dei fiori quando ammirava le loro forme o ne aspirava la delicata fragranza? Subito rivolgeva l’occhio del pensiero alla bellezza di quell’altro Fiore il quale spuntando luminoso nel tempo della fioritura dalla radice di Jesse, con il suo profumo richiama alla vita migliaia e migliaia di morte” (FF 460).  Anche il fuoco suscita la sua ammirazione: “Frate mio focu, di bellezza invidiabile fra tutte le creature, l’Altissimo ti ha creato vigoroso, bello e utile”  (FF 752). Egli ammirava a tal punto la bellezza e l’utilità del fuoco che “non voleva mai impedire la sua azione”  (FF 1816), come quella volta che, prendendo fuoco il suo abito, impedì che venisse spento. La bellezza di tutte le creature viene espressa da Francesco particolarmente nel Cantico di Frate Sole (FF 263). La bellezza di Dio si manifesta per lui soprattutto attraverso il sole, che è Luce radiosa, Vita, Bontà, Amore. Sull’esempio di Cristo povero e umile egli ha ammirato la bellezza di ciò che umanamente è considerato spregevole, e per questo ha amato intensamente Madonna Povertà (cf FF 641). Francesco contempla soprattutto nel Crocifisso di San Damiano la Bellezza di Dio, come pure  nell’esperienza personale della Passione del Figlio di Dio. Due anni prima della fine del suo pellegrinaggio terreno gli fu concesso di contemplare la Bellezza sconvolgente della gloria del Cristo Crocifisso: è l’esperienza della Verna, della visione del Serafino trafitto in croce (FF 1225), della Bellezza radiosa e sfigurata dalla Passione nello stesso tempo. Come segno di tutto ciò, egli che in vita non aveva avuto alcuna bellezza, essendosi del tutto assimilato al Crocifisso, dopo l’incontro con sorella morte ottiene il dono della trasfigurazione del suo corpo, segno della bellezza futura (cf FF 1247). E’ questo il premio eterno che viene donato a coloro che sanno rinunciare alle bellezze effimere per amore della Bellezza che viene da altrove, dalla Patria trinitaria, a cui anela fortemente chi si pone senza compromessi alla sequela del Cristo, l’Uomo dei dolori, irradiazione dello splendore celeste. In base alla testimonianza delle Scritture ebraiche, delle Scritture cristiane, della Chiesa, possiamo quindi concludere che “la bellezza che salverà il mondo non è ‘l’armonia’ delle parti, o una ‘forma’ qualsiasi che esprime il senso personale del piacere. Né si riduce alle assenze asimmetriche nella vita sociale e politica di un popolo. Non è bello ciò che piace, ma ciò che riconcilia. Il Cristo, Crocifisso-Risorto, è la Bellezza che salverà il mondo, l’orizzonte ultimo della nostra visione, il possesso finale dei redenti” (E. Scognamiglio). 


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