giovedì 6 gennaio 2022

I Magi, primizie della fede

 


I Magi, primizie della fede


Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

  Le parole dei Papi sui Magi si intrecciano con i giorni vissuti a Betlemme dalla Santa Famiglia. Dal Vangelo secondo Matteo si leggono queste parole: "Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da Oriente a Gerusalemme e dicevano: 'Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo'".
Alle radici della fede
  Al vedere la stella, si legge inoltre nel Vangelo secondo Matteo, i Magi "provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono" . Papa Leone XIII nella lettera enciclica Catholicae Ecclesiae del 1890 sottolinea che questi sapienti sono “chiamati le primizie della nostra vocazione e della fede”. Papa Pio X, nel discorso del 23 dicembre del 1903 per la presentazione degli auguri natalizi della Curia romana, descrive la scena della Natività e, facendo riferimento all’arrivo dei Magi, afferma che “la capanna di Betlemme è una scuola”.
 “Videro il Bambino con Maria sua madre, e, prostratisi, l'adorarono. (Dal Vangelo secondo Matteo)”
In viaggio verso Betlemme

    I Magi giungono a Betlemme condotti dalla stella. Nel radiomessaggio del 6 gennaio del 1957 Papa Pio XII esorta a rivolgere lo sguardo al Bambino Gesù, il quale, “come chiamò i Magi dall'Oriente, così invita tuttora gli uomini di ogni stirpe alla pienezza della felicità mediante la conoscenza della verità e l'amore del bene”. Papa Giovanni XXIII, nel discorso del 18 dicembre del 1958 rivolge il proprio pensiero “alle auguste persone in viaggio” verso Betlemme: “a Gesù, rinchiuso nel seno immacolato di Maria; alla Madonna, esposta tutti i disagi, per il dovere dell'obbedienza a Dio e agli uomini; Giuseppe, che è con Lei, sposo umile e silenzioso, fedele e forte”. “Anche i Pastori e i Magi - aggiunge Papa Roncalli - si apprestano al viaggio, che li porterà all'adorazione nella grotta”.


“Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua Madre (Dal Vangelo secondo Matteo)”


Adorazione dei Magi
La via dei Magi conduce a Dio

  La presenza dei Magi a Betlemme introduce la dimensione missionaria della Chiesa: la venuta di Cristo, afferma Papa Paolo VI all’Angelus del 6 gennaio del 1977 “è per tutti, è universale nella sua intenzione di salvezza; è perciò apostolica, è missionaria; i Magi sono appunto considerati come i primi rappresentanti dei Popoli lontani, chiamati anche loro alla fede”. La Chiesa nella solennità dell’Epifania segue le orme dei tre Magi e ricorda le tappe del loro cammino. “La loro via - spiega Giovanni Paolo II durante la Santa Messa il 6 gennaio del 1985 - non conduce a Gerusalemme, a Betlemme, essa conduce a Dio, a quel Dio che è invisibile, benché si riveli mediante ciò che è visibile. I tre Magi sono stati chiamati a diventare testimoni di questo che nella rivelazione dell’invisibile è l’apice e il limite: Dio si è rivelato come uomo, è diventato uomo”.
Pellegrinaggio interiore
  Il Papa emerito Benedetto XVI durante la veglia con i giovani il 20 agosto del 2005 a Colonia, sulla Spianata di Marienfeld, descrive la scena dell’arrivo dei Magi a Betlemme. “Sicuramente avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso”. “Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione – spiega Benedetto XVI - si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo”. Il Dio cercato e adorato dai Magi “ci invita a quel pellegrinaggio interiore che si chiama adorazione”.

“Non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne (2 Cor 4,18)”

Vedere oltre il velo del visibile

  I Magi arrivati a Betlemme hanno dunque visto un povero bambino con sua madre. Ma hanno saputo trascendere quella scena così umile “riconoscendo in quel Bambino la presenza di un sovrano”. Furono cioè in grado di “vedere”, spiega Papa Francesco durante la Santa Messa il 6 gennaio del 2021, al di là dell'apparenza. "Come i Magi, anche noi dobbiamo lasciarci istruire dal cammino della vita, segnato dalle inevitabili difficoltà del viaggio. Non permettiamo che le stanchezze, le cadute e i fallimenti ci gettino nello scoraggiamento. Riconoscendoli invece con umiltà, dobbiamo farne occasione per progredire verso il Signore Gesù".
Francesco: Il Signore è nell’umiltà (6-1-2021)
  Per adorare il Signore bisogna “vedere” oltre il velo del visibile, che spesso si rivela ingannevole. Erode e i notabili di Gerusalemme rappresentano la mondanità, perennemente schiava dell’apparenza. Vedono e non sanno vedere – non dico che non credono, è troppo – non sanno vedere perché la loro capacità è schiava dell’apparenza e in cerca di attrattive: essa dà valore soltanto alle cose sensazionali, alle cose che attirano l’attenzione dei più. D’altro canto, nei Magi vediamo un atteggiamento diverso, che potremmo definire realismo teologale – una parola troppo “alta”, ma possiamo dire così, un realismo teologale –: esso percepisce con oggettività la realtà delle cose, giungendo finalmente alla comprensione che Dio rifugge da ogni ostentazione. Il Signore è nell’umiltà, il Signore è come quel bambino umile, rifugge dall’ostentazione, che è proprio il prodotto della mondanità. Questo modo di “vedere” che trascende il visibile, fa sì che noi adoriamo il Signore spesso nascosto in situazioni semplici, in persone umili e marginali. Si tratta dunque di uno sguardo che, non lasciandosi abbagliare dai fuochi artificiali dell’esibizionismo, cerca in ogni occasione ciò che non passa, cerca il Signore.
  I Magi, ricorda infine Papa Francesco il 6 gennaio del 2017, “avevano il cuore aperto all’orizzonte e poterono vedere quello che il cielo mostrava perché c’era in loro un desiderio che li spingeva: erano aperti a una novità”. Ed esprimono “il ritratto dell’uomo credente, dell’uomo che ha nostalgia di Dio; di chi sente la mancanza della propria casa, la patria celeste”. Riflettono l’immagine “di tutti gli uomini che nella loro vita non si sono lasciati anestetizzare il cuore”.

L'adorazione dei Magi

 

L'adorazione dei Magi 

  La scena dell'adorazione da parte dei magi, descritta in Mt 2,11 ("Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra"), è un quadretto preciso e concluso, preceduto dalla visione della stella (v. 10) e seguito dal sogno, che invita ad evitare la visita ad Erode (v. 12). L'adorazione si svolge dentro la casa, tutto il resto fuori dell'abitazione. Ed è nella casa che i magi trovano il bambino con Maria sua madre1. Giuseppe, in questo momento, non viene ricordato2. Lo scopo del presente studio è di esaminare se e in che modo le vane forme di interpretazione patristica di Mt 2,11 abbiano posto in rilievo la figura e il ruolo di Maria, madre del bambino adorato dai magi. Gli altri personaggi della scena (il bambino e i magi) verranno quindi considerati solo in rapporto a questa ipotesi di lavoro. Altrettanto si dica per le discussioni riguardanti il luogo (significato di ohda), il tempo della visita, il simbolismo dei doni. Il testo, il contesto immediato e il contesto profetico presupposto dall'evangelista presentano una scena di carattere spiccatamente regale: regale il bambino, regale la madre, regale l'omaggio dei magi, regali i loro doni3; ma sembra che si debba supporre qualcosa di più: una vera e propria proclamazione di regalità divina4É comunque indubbio che il testo di Mt sia costruito sulla base di accenni che chiedono di essere esplicitati. La stessa analisi strutturale-semiotica fa emergere questa esigenza5. La ricerca esegetica moderna, tuttavia, non risulta molto ricca circa 1'aspetto mariologico di Mt 2,11. A parte le considerazioni già accennate6, l'attenzione è rivolta soprattutto ai personaggi "attivi" dell'episodio, cioè ai magi7. I Padri della Chiesa, da parte loro, fin dall' inizio hanno cercato di sviluppare tutta una serie di interpretazioni, ricorrendo ai più diversi generi letterari8, e, come si vedrà, il ruolo di Maria è stato sempre più chiaramente e ampiamente valorizzato. La periodizzazione dell'interpretazione patristica di Mt 2,11, sotto l'aspetto specificamente mariologico, comprende tre grandi fasi. La prima va dalle origini sub-apostoliche fino alla metà del sec. IV, quando cominciano a celebrarsi le feste liturgiche collegate alla Natività e alla Teofania: in questa fase, i commenti a Mt 2,11, che si possono incontrare nelle opere più diverse, sono in realtà puri e semplici accenni, che si concentrano soprattutto sul significato profetico dell'episodio; vi si trovano anche le prime rielaborazioni letterarie. La seconda fase va dalla metà del sec. IV alla metà del sec. VI: prosegue e si accentua la produzione dei commenti scritturistici, delle prose narrative e della poesia, ma appaiono anche accenni sempre più frequenti al problema, sia nei trattati trinitari e cristologici, sia nelle prime monografie mariologiche; appaiono inoltre le prime preghiere mariane liturgiche ed extraliturgiche, e, naturalmente, le prime omelie e i primi sermoni riguardanti le già accennate feste della Natività e della Teofania. La terza fase va dalla metà del sec. VI alla fine dell'epoca patristica: mentre continuano i generi precedenti, si vanno sviluppando elaborazioni leggendarie sempre più complesse attorno alle figure dei magi, che offrono insieme variazioni assai significative intorno alla figura della madre di Gesù. Questa fase vede inoltre l'apparizione di un nuovo genere letterario: la vita di Maria. Essendo impossibile, in uno studio puramente orientativo come il presente, rendere conto di tutti gli echi patristici intorno a Mt 2,11 (che richiederebbero una trattazione assai voluminosa), si è adottato il metodo del sondaggio in riferimento sia alle tre fasi storiche accennate, sia ai principali generi letterari usati dai Padri nel corso del primo millennio. Si prendono in esame, perciò, prima di tutto i commenti veri e propri a Mt 2,11 apparsi sotto le più diverse forme; poi i vari tipi di ampliamenti teologico-narrativi attorno a quella pericope evangelica: gli apocrifi, le parafrasi, la produzione poetica, le leggende; la produzione eucologica e liturgica; l'abbondante produzione di omelie e sermoni circa la festa liturgica; le vite di Maria.

1. DALLE ORIGINI ALLA METÁ DEL SEC. IV

Nel periodo che va dalle origini alla metà del sec. IV, gli accenni a Mt 2,11 sono relativamente numerosi9, ma quasi esclusivamente rivolti a mostrare 1'adempimento delle profezie e a far risaltare 1' atto di ossequio compiuto dai magi ed il significato dei doni da loro offerti. Tra questi accenni, merita di essere segnalato il primo in ordine di tempo, quello di Giustino (ca. 165), che vuole mostrare la realizzazione di Isaia 8,4, riferendo i puri e semplici dati evangelici: "Noi possiamo dimostrare che Ciò si compì nel nostro Cristo ( ... ). Mentre erano lì, Maria partorì il Cristo e lo pose in una mangiatoia: ivi lo trovarono i magi venuti dall'Arabia"10. L'unico commento relativamente ampio al Vangelo di Matteo è, in questo periodo, quello di Origene (254), composto nel 224, che tuttavia è conservato solo in parte e, purtroppo, non per la pericope evangelica che ci interessa11. Tuttavia, un accenno si trova ugualmente quando il dotto alessandrino, commentando l'invito del Signore a non ostacolare i bambini (Mt 19,14), osserva come Dio stesso si sia fatto fanciullo e ricorda appunto i magi che videro il bambino con Maria sua madre12. Anche la produzione narrativa di questa fase, pur diffondendosi su altri momenti della vita di Maria, si presenta singolarmente sobria circa il suo atteggiamento di fronte ai magi. Il Protovangelo di Giacomo (sec. II) si limita a richiamare quasi alla lettera il testo di Matteo: "I magi videro il bambino con la madre di lui, Maria. Dalla loro bisaccia trassero fuori doni: oro, incenso e mirra"13. L'attività di Maria viene presentata, invece, poco dopo, sostituendo quasi l'iniziativa di Giuseppe: "Maria, udendo che si uccidevano i bambini, spaventata, prese il fanciullo, lo fasciò e lo pose in una greppia di buoi"14. Uguale sobrietà si riscontra, dal punto di vista sia narrativo che teologico, anche nel primo poema epico cristiano, quello del presbitero spagnolo Giovenco (composto nel 330 Ca.): "I magi provano grande gioia e salutano l'astro. Dopo aver visto il bambino al petto della madre, si inchinano, coprendo col corpo prono La terra"15.

2. DALLA META DEL SEC. IV ALLA METÁ DEL SEC. VI

Nella seconda fase, quella che va dalla metà del sec. IV alla metà del sec. VI, si va sviluppando, con cautela nei commenti biblici, con maggiore libertà nelle poesie e nelle preghiere, con grande ricchezza nelle prime omelie per la festa della Natività-Teofania o Epifania, quello che già si annuncia come l'autentico trionfo della "Madre di Dio". Le polemiche trinitarie, con la definizione della divinità del Logos (Nicea, 325) e dello Spirito santo (Costantinopoli I, 381); 1e po1emiche cristologiche, con la condanna del nestorianesimo (Efeso, 431) e del monofisismo (Calcedonia, 451), creano concretamente il terreno adatto per 1'inquadramento dottrinale e per la promozione devozionale intorno alla figura di Maria: vergine, madre, regina. É appunto nel fervore delle lotte anti-ariane che Ilario di Poitiers (367) richiama gli episodi dell'infanzia di Cristo, cercando di cogliere la dialettica divino-umana che sta alla loro radice, e mettendo in rilievo Maria come figura essenziale: "Giungono i magi e adorano l'infante avvolto in fasce e, dopo una vita consacrata ai riti divinatori propri della loro vana scienza, piegano le ginocchia davanti a colui che è deposto in una culla. I magi adorano un'umile culla e i vagiti sono festeggiati da una celestiale angelica gioia! ( ... ) Una cosa si comprende e un'altra si vede, una cosa si scorge con gli occhi e un'altra si coglie con l'animo. Infatti una vergine partorisce, ma il suo nato proviene da Dio!"16. Il medesimo senso di stupore si manifesta in alcuni accenni di Gregorio di Nazianzio (ca. 390)17, e soprattutto nelle considerazioni sviluppate da Ambrogio di Milano (397), che sottolinea i contrasti sconcertanti che emergono dalla scena della natività di Cristo: "Qui c'è il Signore, questa è la greppia, per mezzo della quale ci è stato rivelato il divino mistero, che cioè i gentili, mentre prima vivevano come bruti animali entro le stalle, saranno nutriti con l'abbondanza di un santo alimento... Sono forse modesti questi prodigi, con cui si dimostra la divinità di Cristo? Gli angeli lo servono, i Magi lo adorano, i martiri lo confessano. Nasce da un grembo materno, ma splende nel cielo; giace in un rifugio terreno, ma regna nello splendore celeste. Lo ha partorito una sposa, ma una vergine lo ha concepito; lo ha concepito una sposa, ma una vergine lo ha generato"18. Ambrogio rileva, però, contemporaneamente l'atteggiamento interiore ed esteriore, l'equilibrio spirituale della vergine-madre: "Maria, che si era turbata all'apparire dell'angelo, ora rimane tranquilla innanzi al succedersi di tanti miracoli, quali la fecondità nella sterile, la maternità nella vergine, il favellare nel muto, l'adorazione dei magi..."19. Dopo l'accenno all'adorazione dei magi e alla presenza di Maria, che si può registrare in Epifanio di Salamina (403)20, proprio alla vigilia del concilio di Efeso arrivano le testimonianze dei due più grandi rappresentanti della scuola di Antiochia, Giovanni Crisostomo (407) e Teodoro di Mopsuestia (428), entrambi impegnati a collocare Maria più dalla parte umana che da quella divina. Il primo, davanti all'adorazione dei magi, non nasconde l'apparente paradosso del loro gesto: "Che cosa mai li indusse ad adorare il bambino? La vergine, infatti, non mostrava, di per sé, nulla di particolarmente straordinario; la casa non era certo eccezionale ( ... ). Essi, tuttavia, non solo adorano, ma aprono i propri tesori ed offrono dei doni, doni - si noti - non degni di un uomo, ma addirittura di Dio (...). Eppure, nulla di ciò che cade sotto i loro occhi è degno di nota, bensì l'abitazione è un tugurio, la madre è una povera donna: e questo perché tu capisca e impari la semplicissima filosofia dei magi, e cioè che essi si accostarono non ad un uomo puro e semplice, ma ad un vero Dio benefico"21. Il secondo, Teodoro di Mopsuestia, cerca di immedesimarsi, come Ambrogio, in Maria; ma non tanto per esaltarne la perfezione spirituale, quanto piuttosto per presentarla come testimone della fede, della certezza nella divinità del Figlio: "Da dove mai sapeva che egli aveva il potere di operare queste cose? Certo è che sua madre fin dalla puerizia concepì di lui una grande opinione. ( ... ) Tra le altre circostanze, più mirabile per lei fu la visita dei magi. Da tutte queste cose ella potè conoscere con certezza la grandezza (del figlio)"22. Nel campo della produzione poetica, invece, non vi sono riserve. Dall'Oriente siriaco (Efrem) all'Oriente greco (Romano), all'Occidente latino (Prudenzio), si leva un coro di esaltazioni a Maria, anche in rapporto al ruolo da lei sostenuto durante la visita e l'adorazione dei magi. Efrem (373) dedica un intero suo carme a descrivere non solo l'arrivo dei magi, ma anche il dialogo fra costoro e Maria e il modo come gli interlocutori si svelano reciprocamente, dopo le prime titubanze, il mistero di quel bambino, che è Figlio di Dio. Il carme si conclude con la rivelazione piena, nel colloquio incalzante fra Maria e i magi: "L'angelo nunziante lo chiamò in mia presenza e prima che fosse concepito Signore e Figlio dell'Altissimo. Ma chi fosse stato il suo padre io lo ignoravo./ A noi la stella annunziò che il nascituro figlio tuo era il Signore del cielo e che avrebbe dominato sugli astri tutti sottomessi al suo potere./ A voi svelerò un altro mistero: io da vergine ho concepito un figlio che è Figlio di Dio e Signore; andate, annunciatelo!/ La stella anche a noi ha rivelato che il figlio tuo era Figlio di Dio e Signore e regnerà su tutti. Egli è davvero Figlio di Dio come tu hai detto!"23. Altrove, Efrem accosta il Padre celeste e Maria con singolare audacia teologica: "Ecco, tu sei nel Padre tuo e in Maria, sul cocchio, nel presepe e in ogni luogo! Nel Padre tuo tu sei con certezza, in Maria tu sei senza dubbio; sul cocchio e nel misero presepe e in ogni luogo, perché tu sei il Creatore"24Prudenzio ( ca. 405), tentando di descrivere la scena dei magi, appare più problematico di Efrem, ma nel contrasto fra l'umano e il divino è il senso del divino a prevalere, sia nella contemplazione del mistero da parte dei magi, sia net ruoto svolto dalla Vergine-madre: "Non è forse lui quel Dio la cui culla 1'Oriente è venuto a venerare offrendo supplice, su piatti dorati, doni regali a lui che, ricoperto di pannolini infantili, giace sul grembo della Vergine? Quale messaggero alato e motto simile al rapido austro raggiunse i popoli dell'Oriente e la remota Battriana per annunciare che era sorto il giorno luminoso dalle ore allettanti, nel quale Cristo era aggrappato alla verginale mammella? Abbiamo visto - affermano - questo fanciullo trasportato attraverso gli astri, che risplendeva al di sopra delle antiche orbite delle stelle"25. Romano il metode (560), invece, si muove con lo stesso stile di Efrem e drammatizza la scena dei magi attraverso un dialogo che vede impegnati non solo costoro e Maria, ma anche Maria e il bambino Gesù. Giuseppe è presente, ma in silenzio. La Madonna qui appare in maniera chiarissima come grande mediatrice fra Dio, suo Figlio e gli uomini. La scena si conclude proprio con Maria che svolge in pieno questo ruolo: "Terminati i racconti, i magi presero in mano i loro doni e si prostrarono davanti al Dono dei doni, davanti al Profumo dei profumi. Offrirono a Cristo oro, mirra e incenso, esclamando: «Accogli questo triplice dono come accogli l'inno trisagio dei Serafini»... L'Intemerata, di fronte a tutte queste cose nuove e splendide - i magi prostrati con le mani ricolme, lo splendore della stella, i pastori inneggianti - rivolse al Creatore e Signore di tutti questa supplica: «Accogli, Figlio, questo triplice dono e adempi la triplice domanda di colei che ti ha messo al mondo»..."26. Dai commenti biblico-teologici e dalla poesia di livello dotto ed elaborato, l'esaltazione di Maria passa, in questo periodo storico, anche alla letteratura popolare. Ne è testimone, tra il sec. V e VI, uno dei primi apocrifi sui magi, la Caverna dei tesori. I famosi personaggi orientali, diventati già tre di numero, scorgono, due anni prima della nascita del Messia, nella toro terra di origine, la Persia, una stella con al centro l'immagine di una vergine che porta in seno un fanciullo coronato. Quando arrivano a Betlemme, si trovano di fronte ad una scena motto diversa, ma la loro fede non vacilla: "Anche se essi videro tutto quello spettacolo di squallore e di miseria, non dubitarono nei loro cuori, ma si accostarono invece con timore, pregarono e adorarono e offrirono i loro doni: oro, mirra e incenso. Maria e Giuseppe furono molto rattristati per il fatto di non avere niente da dare in contraccambio"27. Ed è sempre in questo periodo che anche l'eucologia mariana, dopo una lunga incubazione, esplode in tutta la sua forza ed eloquenza, come è evidente nell'inno Akathistos, alcune strofe del quale sono dedicate ad esprimere poeticamente il brano di Mt 2,1-12. Nel ben noto inno (che qui tralasciamo) i magi "contemplano sulle braccia materne l'Artefice sommo dell'uomo", offrono i doni e poi prorompono in una preghiera a Maria, "madre del1'Astro perenne". Contemporaneamente, però, si è avuta anche la fioritura rigogliosa di omelie e sermoni liturgici riguardanti l'episodio dei magi. Una delle più antiche testimonianze è sicuramente quella di Basilio di Cesarea (379), che celebra la Teofania in tutti quegli aspetti che sono caratteristici per la teologia e la pietà greche, Teofania come autentico inizio della salvezza per tutti, anche per Maria, che ha generato l'autore della salvezza stessa: "Accorrono le stelle del cielo, partono i magi dai paesi lontani, la terra apre una sua grotta. Nessuno resti insensibile o si mostri ingrato. Innalziamo anche noi la voce per l'esultanza. Chiamiamo la nostra festa Teofania, celebriamo la salvezza del mondo, il giorno natalizio dell'umana natura. Oggi è stata pagata la pena di Adamo. Non si può dire più: sei polvere e in polvere tornerai, perché adesso, congiunto alla realtà celeste, sei ammesso in cielo. Non si udirà più: partorirai i figli nel dolore. Infatti è beata colei che ha partorito 1'Emmanuele, è beato il petto che lo ha nutrito"29. Anche Gregorio di Nissa (ca. 399) esalta, per la festa natalizia di Cristo, Maria e i magi, anche se non in rapporto al momento dell'adorazione30. A queste prime voci d' Oriente fanno eco quelle d' Occidente. Nel frattempo, fra le diverse parti del mondo cristiano, si è verificato lo scambio: la data del 6 gennaio resta in Oriente come festa del battesimo di Cristo e penetra in Occidente a commemorare la triplice Teofania dei magi, del battesimo e del miracolo di Cana; la data del 25 dicembre, invece, resta in Occidente come festa del Natale e penetra in Oriente a commemorare, insieme col Natale, anche l'adorazione dei magi31Massimo di Torino (prima del 423) può quindi accennare, in uno dei suoi sermoni per la festa dell'Epifania, al parallelismo fra Maria che presenta Gesù all'adorazione dei magi e il Padre celeste che presenta il medesimo Gesù, suo Figlio, al culto di tutte le genti32. Poco dopo è Agostino di Ippona (430) a dedicare all'Epifania sei sermoni, con accenni alla Vergine, sparsi però anche in altre prediche liturgiche. Tra considerazioni volte a sgombrare dalla mentalità degli uditori ogni idea legata alle superstizioni o alle eresie, Agostino trova il modo di sviluppare brevemente una specie di "comunicazione degli idiomi" tra madre e figlio, tra Maria e Gesù: "La nobiltà del figlio fu la verginità della madre, la nobiltà della madre fu la divinità del figlio. Mentre erano stati tanti i re dei Giudei già nati e defunti, i magi non cercarono nessuno di essi per adorarlo, perché di nessuno di essi il cielo aveva loro parlato"33. E ancora, sulla base dell'accostamento tra luce-Cristo e stella-Maria: "Non fu notte la vergine Maria, ché anzi fu in certo modo la stella della notte. Perciò ad indicare il suo parto fu una stella la quale condusse la remota notte, ossia i magi dell'Oriente, ad adorare la luce; e così anche per questi si adempì il detto secondo il quale dalle tenebre risplendette la luce"34. Il parallelismo Padre-Maria e Cristo-Maria, in rapporto a Mt 2,11, si generalizza sempre più. Proclo di Costantinopoli (446) mette sulla bocca dei devoti questa domanda: "Dove si trova colui che, in quanto è dal Padre, è invisibile e, in quanto è dalla madre, si trova racchiuso (nelle braccia)?"35. Come si sta verificando nella poesia e nell'eucologia mariane, l'esaltazione del meraviglioso si diffonde anche nelle omelie e nei sermoni. Un esempio, in Occidente, è Pietro Crisologo ( ca. 450). In una delle sue prediche, la Vergine e i magi vengono rappresentati come elementi dell'azione onnipotente di Dio: "Cosa vi è di più razionale del fatto che Dio può far tutto ciò che vuole? Infatti, chi non più ciò che vuole non è Dio. Dunque, l'angelo non fa altro che eseguire i comandi di Dio, lo Spirito li porta a compimento, la potenza divina li rende concreti, la Vergine crede in essi, la natura li accetta e i cieli li narrano, il firmamento li annunzia, le stelle li mostrano, i magi li predicano, i pastori li adorano e perfino gli animali li riconoscono"36. Un esempio analogo, in Oriente, è Esichio di Gerusalemme (451). Anch'egli, parlando degli avvenimenti natalizi, pone esplicitamente, in forma interrogativa, le questioni di fede che erano state tanto discusse nei decenni precedenti e che i magi avrebbero potuto sollevare: "Essi, mentre camminavano alla ricerca del bimbo, dietro la scia della stella, non dissero a quelli che il interrogavano: «Com'è che la concezione è divina? Com'è che il seno è senza seme? Com'è che il parto è incorrotto? Come mai dopo il parto la madre è vergine? Come mai è soggetto agli anni chi è prima di essi? Come è nel tempo chi è prima dei secoli? Come potè il seno contenere l'Incontenibile? L'Incorporeo farsi uomo senza mutazione? Come il gloriosissimo Dio Verbo, annientandosi nel seno di una vergine, ineffabilmente prese carne da lei e forma di servo?»... Ma, dopo essersi informati, pervennero in silenzio alla grotta, con doni che offrirono con la dovuta riverenza al Re e Dio"37. D'altra parte, il divario fra l'umano apparente e il divino effettivo viene colto e sottolineato sempre più spesso e con sempre maggiore compiacenza, come si pub constatare in due altri predicatori della seconda mètà del sec. V e della prima metà del sec. VI. Leone I (461) sintetizza in maniera efficace e quasi iconografica la scena della Vergine col bambino in una delle sue omelie sull'Epifania: "É ristretto tra le braccia della madre Colui che non è racchiuso da nessun limite"38Fulgenzio di Ruspe ( 532), polemizzando anche con l'arianesimo dei Vandali invasori della sua Africa, pub quindi richiamare i particolari dell'episodio dei magi per mostrare come, dietro il loro esempio, Gesù possa e debba essere adorato veramente come Figlio di Dio fatto uomo: "Archelao nacque in un palazzo, Cristo in una locanda ( ... ). Ma quello non viene affatto nominato dai magi, costui invece viene cercato, trovato e adorato devotamente. Il primogenito del re viene del tutto trascurato, mentre viene adorato con doni il primogenito di una donna poverella ( ... ). Maria ebbe, come figlio nato proprio da lei, quella medesima persona a cui la stella manifestò il proprio doveroso servizio. Maria a Betlemme partorì quello stesso medesimo Dio-uomo che la stella annunziò ai magi residenti in Oriente. I magi, dunque, arrivarono, e riconobbero nel figlio della Vergine l'unico e medesimo Dio-uomo"39. Questi stessi pensieri, in Oriente vengono espressi spesso, nelle omelie, in forma dialogica e drammatizzata. É il caso dello Pseudo-Teofilo (sec. VI), che pone le proprie parole sulla bocca di Maria stessa: "Ecco la stella, veduta in Oriente, il precedeva, finché giunse alla casa in cui noi eravamo, io e mio figlio Gesù, e il guidò come una buona guida. E quando furono entrati nella casa e videro il fanciullo sulle mie braccia si prostrarono adorandolo, con i doni nelle loro mani, oro, incenso e mirra"40.

3. DALLA METÁ DEL SEC. VI ALLA FINE DELL'ETA PATRISTICA

IL terzo e ultimo periodo della riflessione patristico-mariologica sull'episodio di Mt 2,11 va dalla metà del sec. VI at termine dell'età patristica, che può collocarsi, in senso lato, intorno al Mille. L'orizzonte esegetico di questa fase, coincidente nel mondo occidentale col primo Medioevo, è dominato dal più ampio commento latino al Vangelo di Matteo e certo il più utilizzato nei secoli successivi - un'opera già attribuita a Giovanni Crisostomo - ossia 1'Opera incompiuta su Matteo. Tornano e si fondono, nelle considerazioni di questo anonimo autore circa Mt 2,11, i temi già incontrati: la preoccupazione puntigliosa di sottolineare il contrasto fra le misere apparenze umane e le realtà divine che vi si trovano nascoste, e la fede dei magi che riesce ad oltrepassare tali apparenze, cogliendo appunto 1' aspetto soprannaturale: "Forse videro un palazzo splendido di marmi? Forse una madre coronata di diadema e giacente su un letto d'oro? Forse un bambino avvolto da oro e porpora? Forse una sala regia gremita di gente di popoli diversi? Che cosa videro invece? Un abituro, oscuro e sordido, buono più per animali che per uomini, dove certo nessuno si sentiva contento di abitare, se non costretto dalle necessità del viaggio. La madre aveva appena una semplice tunica, non per ornare il suo corpo ma per coprirlo, vestirlo, e tale come poteva portarlo in viaggio la moglie di un falegname. Il bimbo era avvolto in panni più che sordidi e si trovava collocato in una mangiatoia, sordida anch'essa. Il luogo era talmente angusto che non c'era spazio neppure per collocarvi il neonato. Se dunque essi erano venuti a cercare un re della terra, la gioia avrebbe presto dato luogo ad un sentimento di confusione, perché un così gran viaggio era senza risultato. Ma siccome il re che essi cercavano era il Re del cielo, benché non scoprissero in lui niente di regale, contenti della testimonianza che gli rendeva la stella, si rallegrarono alla vista di questo povero bambino, del quale lo Spirito Santo aveva loro svelato in fondo al cuore la temibile maestà. E perciò che essi si prostrarono per adorarlo, giacché, se i loro occhi non vedevano in lui che un uomo, essi vi riconoscevano un Dio"41. Nelle scuole patristiche dell'alto Medioevo, d'altra parte, l'esegesi di Mt 2,11 si definisce anche in termini mariologico-ecclesiologici, come si riscontra nel commento a Matteo, già attribuito a Beda il Venerabile ( 735): "Entrarono nella casa e trovarono il bambino con Maria sua madre. Ossia, entrando nella Chiesa per mezzo della fede, trovarono Cristo con la Chiesa primitiva, che si convertì alla fede in lui uscendo dal popolo d'Israele. E inginocchiati lo adorarono. Non lo avrebbero mai adorato se non lo avessero creduto il Signore. Il cammino dei popoli credenti era infatti di tipo mistico, e l'adorazione era basata sulla vera fede e sulla pura testimonianza"42. Nell' opera di Strabone (849) Si trovano accennate anche altre questioni, relative alla Trinità e a Giuseppe: "Entrati in casa... i tre magi, con un solo itinerario, arrivano ad adorare Dio, e questo perché in un solo Cristo, che è la Via, si giunge ad adorare l'inseparabile Trinità. Il bambino con Maria sua madre... Il bambino risulta nominato spesso, perché arrivino a riconoscere colui di cui è detto: è nato a noi un bambino. Perché, inoltre, Giuseppe non viene trovato, dai magi, insieme con Maria? Perché non fosse offerto nessun pretesto di cattivo sospetto ai pagani che, appena nato il Salvatore, mandarono a lui i magi, come loro primizie, ad adorarlo"43. Infine, Rabano Mauro (856) riassume, nella propria esegesi, un po' tutti i motivi tradizionali collegati con Mt 2,11, e altri ancora, che riflettono, com'è evidente, le idee e le preoccupazioni di una cristianità ormai molto diversa da quella dei secoli precedenti: "Dice: entrati in casa, e ciò significa nella locanda ricordata da Luca nel proprio Vangelo. Trovarono il bambino con Maria sua madre. Perché venga chiamato bambino colui che era ancora neonato dipende dal fatto che non necessariamente viene attribuita un'età precisa a colui che è sempre perfetto. Ci si chiede, inoltre, perché non viene detto che Giuseppe fu trovato dai magi insieme col bambino e con Maria: questo perché non fosse offerto nessun pretesto di cattivo sospetto ai pagani che, appena nato il Salvatore, mandarono a lui i magi, come loro primizie, ad adorarlo. Entrano inoltre nella casa in cui si trova Cristo, cioè arrivano alla Chiesa cattolica. Entrando in essa attraverso il battesimo e la vera fede, trovarono Cristo con la madre sua, ossia con la santa Chiesa che, rimanendo vergine, ogni giorno genera figli a Dio Padre. Giuseppe è tenuto da parte in quanto (simbolizza) il popolo giudaico, accantonato per la sua incredulità"44. Al contrario di quanto affermano i commentatori dotti, le leggende popolari Si compiacciono, invece, di far intervenire spesso e volentieri il personaggio tenuto in disparte, ossia Giuseppe. Mette soprattutto in opera Giuseppe, per esempio, il Vangelo dell'infanzia armeno, risalente alla fine del sec. VI. I magi si rivolgono infatti a lui e da lui ottengono risposta. Maria, dapprima spaventata, si rassicura. Il racconto continua poi descrivendo dettagliatamente le esperienze spirituali vissute dai magi nelle visite successive al bambino, per arrivare alla conclusione: "Tu sei Dio e Figlio di Dio!"45. Nel Vangelo dell'infanzia arabo, quasi contemporaneo al precedente, la scena è arricchita da un'iniziativa di Maria, che dona ai magi una fascia in segno di benedizione. Il Vangelo dello pseudo-Matteo, risalente ai sec. VII-VIII, si limita a precisare che "entrati in casa, trovarono il bambino Gesù seduto in grembo alla madre", continuando poi nella descrizione dei doni41. Nel Vangelo arabo di Giovanni, composto probabilmente fra 1' VIII e il IX secolo, prima ancora dell'adorazione i magi vedono il bambino e sua madre già nella luce della stella. Il Vangelo dell'infanzia del Salvatore, risalente ai sec. IX-X, infine, mostra i magi che salutano Maria con le parole stesse dell'angelo, sviluppando poi un ampio dialogo fra i magi stessi e Giuseppe, in cui quest'ultimo viene adeguatamente informato sull'origine e sulla divinità del bambino49. Attraverso tutte queste leggende, l'episodio evangelico dell'adorazione dei magi, modello della conversione dei pagani, si diffonde in Occidente e in Oriente in vane direzioni, assolvendo un compito missionario di singolare importanza50. Tarda eco di tutto questo leggendario sarà l'opera di Giovanni da Hildesheim ( 1375)51Ma intanto, la produzione letterario-liturgica continua a sviluppare con grande varietà e ricchezza, soprattutto in Oriente, il ruolo di Maria. Andrea di Creta ( 740) canta, per esempio: "La Vergine è seduta imitando i cherubini, portando nel grembo il Dio Verbo incarnato. I pastori glorificano il neonato, i magi offrono doni al Maestro ( ... ). Madre di Dio, Vergine, che hai messo al mondo il Salvatore, tu hai cancellato la maledizione di Eva. Tu sei infatti divenuta, per la benevolenza del Padre, la Madre che porta nelle viscere il Verbo di Dio incarnato"52. Nell' altrettanto abbondantissima produzione omiletico-liturgica, Maria viene ugualmente sempre più esaltata, e se ne riepilogano spesso i vari ruoli nella storia della salvezza, con una elencazione che prelude alla dottrina sistematica dei suoi "privilegi". Un esempio può essere rappresentato dallo Pseudo-Epifanio, del sec. VIII: "I magi, quando videro la stella, anzi, per meglio dire, il Salvatore, provarono grande gioia. Si curvarono e lo adorarono, offrendogli in dono oro, incenso e mirra come ad un essere mortale; anzi, essi offrirono questi doni per indicare la sepoltura di Cristo, creatore e artefice di tutte le cose, che Maria aveva generato, sposa celeste, cielo, tempio e trono della divinità, ineffabile tesoro del Paradiso (...)"53. Gli elementi mariologici dell'interpretazione patristica di Mt 2,11 giungono però a sistema e maturazione soprattutto nei primi tentativi, letterari e teologici insieme, di vere e proprie elaborazioni di qualcosa che si può chiamare Vita di Maria. In questo tipo di produzione, l'attenzione è ormai concentrata su Maria, come protagonista, capolavoro della grazia divina. Un primo esempio è il ritratto mariano attribuito a Massimo il Confessore ( 662). La scena dei magi è descritta così: "Videro il grande prodigio, perché, quando si accostarono al neonato, primogenito avanti i secoli, furono subito riempiti di grazia, di tenerezza e di luce, e una gioia indescrivibile si effuse nei loro cuori. Tuttavia, superiore ad ogni grazia e ad ogni gloria, era la contemplazione e l'ascolto della Madre intatta, inesperta di nozze, e l'armoniosa compostezza del suo aspetto era più alta di qualunque conoscenza umana ( ... ). In verità, le sue glorie cominciarono allora a manifestarsi; ma poi crebbero ancor più la sua gloria, la sua lode e la sua fedeltà"54. Tralasciando l'opera analoga di Epifanio (sec. IX)55, concludiamo il nostro esame con la sintesi biografica di Simeone Metafraste ( 1000 ca.), che tiene conto in maniera equilibrata di quanto la tradizione patristica più genuina aveva cercato di esplicitare circa la profonda dialettica di umano e di divino, che aveva operato anche nel destino di grazia di Maria, Madre di Dio: "Entrati nella casa - narra l'evangelista - videro il bambino con Maria sua madre. Ma cosa hanno visto di così grande da porsi in adorazione? Al contrario, tutto si presenta in una condizione tale che non puà esserci nulla di pi1 modesto! Non vedono forse una grotta, una mangiatoia, delle fasce e una madre tutta umiltà? Cosa, dunque, ha suscitato in essi tanta ammirazione che non solo si sono apprestati all'adorazione, ma hanno portato anche dei doni, e per giunta tali da significare con essi che il bambino è Dio e Re? ( ... ) Che cosa, dunque, li ha mossi? Sempre e solo ciò che li ha indotti ad uscire dalla loro patria e ad affrontare un così lungo percorso: certamente la stella e la luce che, inviata da Dio, ha illuminato i loro animi. Ma, naturalmente, quali pensieri attraversavano l'animo della madre osservando queste cose? (...) Questo, in fondo, è ciò che il Signore ha fatto fin dall'inizio: mentre ha paradossalmente innalzato ciò che è vile e inglorioso, al contrario ha umiliato ciò che è potente"56.

4. CONCLUSIONE

In estrema sintesi, e come pura e semplice ipotesi di lavoro che nasce da questo sondaggio orientativo, si può affermare che l'interpretazione mariologica di Mt 2,11, da parte dei Padri della Chiesa, si sviluppa gradualmente, ma in maniera molto ricca e complessa, sia nelle tematiche teologiche, sia nelle forme letterarie (entrambe, naturalmente, legate ad ambienti culturali e sociali che meriterebbero di essere indagati e approfonditi). In una prima fase, ossia dalle origini alla metà del Sec. IV, Maria in Mt 2,11 è vista soprattutto come un mistero di adempimento profetico, strettamente funzionale al Cristo nato e manifestato ai magi. In una seconda fase, dalla metà del sec. IV alla metà del sec. VI, lo scandaglio del mistero si arricchisce per il contributo diretto e indiretto delle grandi controversie teologiche sulla Trinità e sull'Incarnazione e per gli stimoli provenienti dalle feste liturgiche della Natività e dell'Epifania. In una terza fase, dalla metà del Sec. VI al termine dell'epoca patristica, si sviluppano ulteriormente le tematiche precedenti, ma vi si aggiungono anche quelle che conducono a collocare Maria sempre più nella dottrina e nella vita della Chiesa e nell'orizzonte missionario della cristianità. Emerge, così, una figura di Maria, Vergine, Madre, Regina, mai staccata dai vari contesti teologici (trinitario, cristologico, ecclesiologico, ecc.), mai resa estranea; anzi, sempre più immersa nella vita liturgica, nella devozione popolare, nell'attività apostolica e missionaria, e tuttavia sempre più netta e precisa, sempre più se stessa, come donna veramente "umile ed alta più che creatura".

NOTE
1 Gli esegeti sottolineano concordemente la presenza del binomio: il bambino-la madre, che ricorre ben cinque volte nel Vangelo dell'infanzia di Matteo (2,11.13.14.20.21). Cf in tal senso A. LANCELLOTTI (Matteo, Roma 1978, 50): "Sembra una formula coniata appositamente da Matteo per mettere al loro giusto posto i personaggi che sono all'origine della salvezza messianica. Viene in primo luogo il 'bambino' su cui si concentra l'attenzione di tutti, potenze terrestri e celesti, e verso il quale sono orientate le speranze dei giusti come le gelosie dei tiranni. Poi viene 'sua madre' che lo generò. Giuseppe, il cui ufficio di 'custode' occupa un posto centrale in tutta la narrazione, è come lasciato in disparte".
2 Le ragioni per l'assenza di Giuseppe ci sembrano chiaramente spiegate da T. STRAMARE (San Giuseppe nella Sacra Scrittura, nella Teologia e nel Culto, Casale M. 1983, 101-102): "Gli esegeti hanno saputo immaginare una occupazione per Giuseppe allo scopo di giustificarne l'assenza. Ci sembra, piuttosto, che la ragione dell'omissione di Giuseppe in Matteo sia da cercarsi nella preoccupazione di mostrare perfettamente adempiute le profezie dell'Antico Testamento, alle quali l'evangelista continuamente si riferisce. ( ... ) I tre elementi di Michea (5,1), Betlemme, il Messia e sua madre, vengono ripresi da Matteo, senza che egli si senta in dovere di aggiungere altro e senza che egli pensi con ciò di far torto a chicchessia. Il contesto di Luca, e più ancora la sua mens, esige invece la presenza di Giuseppe". Analogamente, R. LAURENTIN (I Vangeli dell'infanzia di Cristo, Cinisello B. 1985, 366): "Maria, così in ombra, riappare qui come segno del neonato bambino-Re. Lei e non Giuseppe. Questi scompare per la nascita come per la concezione, per riapparire più avanti, nel suo programma di protettore, secondo la sua funzione esclusiva".
3 In tal senso, Maria sarebbe la "regina-madre" testimoniata nell'Antico Testamento, la g'birâh. Ella sarebbe la "regina-madre del neonato re-messia". Anzi, in rapporto a Is 60,1-6, al posto di Gerusalemme-madre subentrerebbe ora Maria-madre (cf A. SERRA, Regina, in AA. Vv., Nuovo Dizionario di Mariologia, Cinisello B. 1988, 1192-1193).
4 Cf J. GNILKA, Il Vangelo di Matteo, I, Brescia 1990, 77: "Nel contesto essa ricorda la nascita verginale e designa Gesù quale Figlio di Dio".
Come rileva R. LAURENTIN (o. c. 380), la tecnica è quella di manifestazione-occultamento. Il soggetto principale della vicenda, Cristo, è esso stesso un "soggetto virtuale occultato", dato che "Dio rimane soggetto principale del fare dall'alto". A maggior ragione, "Giuseppe, Maria e i magi appaiono come aiutanti in rapporto al Messia".
6 Talvolta ci si è soffermati su particolari pittoreschi, ma assai secondari, per non dire insignificanti. Per es., C. A LAPTDE (Commentarii in S. Scripturam, VIII/l, Typis Societatis Bibliographicae, Melitae 1849, 67) afferma con tutta serietà: "Non c'è dubbio che i magi parlarono con la beata Vergine direttamente in lingua araba (perche la beata Vergine possedeva il dono delle lingue), oppure in ebraico, mediante un interprete".
7 Per la storia dell'interpretazione di Mt 2,1-12, cf la sintesi di W.A. SCHULZE, Zur Geschichte der Auslegung von Matth. 2,1-12, in Theologische Zeitschrift 31(1975)150-160. L' articolo passa in rassegna molto brevemente le interpretazioni succedutesi da Giustino agli esegeti tedeschi degli anni '30, ma soffermandosi soprattutto sui magi e dando poco spazio al ruolo di Maria. Dedicati anch'essi ai magi e al significato dei loro doni sono gli articoli di P. SCORZA BARCELLONA, "Oro e incenso e mirra" (Mt 2,11). L'interpretazione cristologica dei tre doni e la fede dei magi, in Annali di storia dell'esegesi 2 (1985) 137-147, e "Oro e incenso e mirra" (Mt 2,11)II.  Le interpretazioni morali, in ibid. 3 (1986) 227-245. In sostanza, per quanto ci consta, la ricerca esegetica moderna e contemporanea ha abbondantemente trascurato l'aspetto mariologico di Mt 2,11.
8 Circa i generi letterari utilizzati dai Padri, cf L. ALFONSI, I generi letterari dall'antichità classica alla letteratura cristiana, in Augustinianum 14 (1974) 451-458 (sintetico e introduttivo); C. RIGGI, Il nesso della letteratura classica antica con il clima culturale della Chiesa primitiva e dei Padri, in AA. Vv., De studio theologiae patristicae et historicae, in Seminarium 29 (1977) 259-276 (orientativo); e soprattutto le numerose voci in AA. Vv., Dizionario patristico e di antichità cristiane, Casale M. 1983-1988.
Cf AA. Vv., Biblia patristica, Paris 1975-1991, 5 vol. Per questi primi secoli, interessante, anche se non di taglio specificamente mariologico, l'analisi di A. ORBE, lntroducción a la teologIa de los siglos II y III, vol. II, Roma 1987, 575-609.
10 Dialogo con Trifone 78,5 (PG 6,66 1).
11 La parte conservata e, in greco, su Mt 13,36-22,33, in traduzione latina, su Mt 16,3-27,65.
12 Commento al Vangelo di Matteo 15,7 (PG 13,1274).
13 Protovangelo di Giacomo 21,3 (cf M. ERBETTA, Gli apocrifi del Nuovo Testamento, vol. 1/2, Casale M. 1983, 26).
14 Protovangelo di Giacomo 22,2 (cfM. ERBETTA, o. c., 27).
15 I libri dei Vangeli 1,281-283 (PL 19,98-99).
16 La Trinità 2,27 (PL 10,68). Questo testo di Ilario si trova, in traduzione italiana, anche nel vol. III, 119 di AA. Vv., Testi mariani del primo millennio, Roma 1988-91,4 vol. (d'ora in poi abbr. TM).
17 Discorsi 19,12 (PG 35,1057-1058); 29,19 (PG M,99-100).
18 Commento al Vangelo di Luca 2,36 (PL 15,1565; TM, vol. ILI, 187).
19 Le Vergini 13 (PL 16,210; TM, vol.111, 165).
20 Panarion 20,29,1 (PG 41,455-456).
21 Omelie sul Vangelo di Matteo 8,1 (PG 57,81ss.).
22 Commento al Vangelo di Giovanni (CSCO 116,40; TM, vol. I, 443).
23 Carmina Soghita 4,44-47 (CSCO 187,195-200; TM, vol. IV, 95).
24 J.E. RAHMANI, Hymne sur la Nativité de N. Seigneur, Beyrouth 1927, 11 CM, vol. N, 96).
25 Apoteosi 608-616 (FL 59,973; TM, vol. ILI, 217).
26 lnno I del Natale 21-24 (SC 110,76; TM, vol. I, 708).
27 Per il testo qui citato, cf U. MONNERET DE VILLARD (Le leggende orientali sui magi evangelici, Città del Vaticano 1952, 7-8), che offre un'ampia ricerca sugli sviluppi delle leggende attorno ai magi, nate appunto con questo apocrifo. Si veda anche il testo arabo con traduzione italiana e commento in A. BATTISTA - S. BAGATTI, La Caverna dei Tesori, Jerusalem 1979.
28 Akathistos 8-9 (PG 92,1339-1342).
29 Omelia sulla santa generazione di Cristo 6 (PG 31,1473-1474; TM, vol. 1, 300).
30 Discorso per il giorno natalizio di Cristo, tenuto il 25 dicembre 386 (PG 46,1144).
31 Cf M. RIGHETTI, Storia liturgica, vol. II, Milano 1955, 81-85; A. BERGAMINI, Natale/Epifania, in AA. Vv., Nuovo Dizionario di Liturgia, Cinisello B. 1988, 919-922.
32 Sermoni 8 (II sull'Epifania, PL 57,547).
33 Discorsi 200 (PL 38,1029; TM, vol. III, 370).
34 Discorsi 223 D (PS 2,718; TM, vol. III, 372).
35 Per il giorno natalizio di Cristo (PG 61,738).
36 Sermoni 141,4 (PL 52,578; TM, vol. III, 435).
37 Omelia I sulla santa Madre di Dio (PG 93,1460; TM, vol. I, 530).
38 Omelie 37 (PL 54,257; TM, vol. III, 497).
39 Sermoni 4, sull'Epifania (PL 65,734-736).
40 Omelia sulla fuga in Egitto e sul monte Coscam (TM, vol. IV, 719).
41 Opera incompiuta su Matteo 2 (PG 56,641-642).
42 Esposizione sul Vangelo di Matteo 1,2 (PL 92,14). Qualcuno ritiene non autentico questo commentario.
43 Glossa ordinaria. Vangelo di Matteo 2,11 (PL 114,75).
44 Commento al Vangelo di Matteo 1,2 (PL 107,759-761).
45 Cf M. ERBETTA, o. c., 145-146.
46 Cf  ibid., 105.
47 Cf ibid., 55.
48 Cf  L. MORALDI, Vangelo arabo apocrifo dell'apostolo Giovanni, Milano 1991, 64; M. ERBETTA, o. c. , 225, ne dà solo una breve notizia.
49 Cf M. ERBETTA, o. c., 212ss.
50 Su tutto questo argomento cf  U. MONNERET DE VILLARD, (o. c.), e l'aggiornamento della questione in M. BUSSAGLI - M. G. CHIAPPORI I Re Magi. Realtà storica e tradizione magica, Milano 1985.
51 Cf GIOVANNI DA HILDESHEIM, Storia dei Re Magi, Roma 1980, con traduzione parziale e commento di A.M. DI NOLA. Si vedano, in particolare, le pp. 112-118.
52 Menea 2,671-672 (cf in TM, vol. II, 460).
53 Omelia in lode di santa Maria Madre di Dio (PG 43,500-501; TM, vol. I, 804).
54 Vita di Maria (CSCO, vol. 479,:n. 39-40; TM, vol. II, 213-214).
55 Discorsi sulla vita della SS. Madre di Dio (PG 120,202; TM, vol. IL, 790). Parla semplicemente dell'arrivo dei magi dalla Persia.
56 Vita di Maria 17-18 (PG 115,544-545; TM, vol. IL, 992-993). Una biografia di Maria, edita solo per la parte riguardante Ia "dormizione", è quella di Giovanni Geometra (vissuto nella seconda metà del sec. X), teologo e letterato. Essa sarebbe assai superiore a quella del monaco Epifanio e starebbe alla base dell'opera di Simeone Metafraste. Cf G. ROSCHINI, Maria Santissima nella storia della salvezza, vol. 1, Isola del Liri 1969, 363-364, e inoltre TM, vol. II, 183-184.


PORTALE DI MARIOLOGIA - Mariologia patristica di Mat 2,11 (latheotokos.it)

Tutto sui Magi: chi erano, da dove venivano, perché sono citati nel Vangelo? (dall'Avvenire.it)

 

Tutto sui Magi: chi erano, da dove venivano, perché sono citati nel Vangelo?






  I magi questi (s)conosciuti. Si potrebbe titolare così l’atteggiamento generale nei confronti dei “misteriosi” personaggi che il 6 gennaio portano i doni a Gesù Bambino, la cui carta di identità “ufficiale” (contenuta nel Vangelo di Matteo) è stata arricchita nel corso dei secoli da una lunga, fantasiosa e multiforme tradizione. Dunque conosciuti, anzi conosciutissimi, perché in ogni presepe che si rispetti non mancano mai, ma al contempo anche sconosciuti, perché nell’immaginario collettivo i confini tra realtà e invenzione sono spesso molto labili. Ad esempio: semplicemente magi o anche re? Solo tre o in numero maggiore? Bianchi o di colore? E soprattutto di quale provenienza? E con quale significato hanno un posto nella Scrittura?
  A quest’ultima domanda molte sono le risposte nella catechesi, nella predicazione e nella teologia. Valga per tutte quella che diede papa Francesco nell’omelia dei 6 gennaio 2016: “I Magi – disse il Pontefice rappresentano gli uomini di ogni parte della terra che vengono accolti nella casa di Dio. Davanti a Gesù non esiste più divisione alcuna di razza, di lingua e di cultura: in quel Bambino, tutta l’umanità trova la sua unità”.
  Per tutti gli altri quesiti vale la pena di soffermarsi su alcuni particolari. Anche perché nel loro viaggio attraverso il tempo, i magi hanno avuto una fortuna inversamente proporzionale al breve episodio di cui sono protagonisti nel Nuovo Testamento. Di essi infatti si narra unicamente nei primi dodici versetti del secondo capitolo del Vangelo di Matteo. E tutto ciò che ricaviamo sulla loro identità dal racconto dell’evangelista è racchiuso in tre semplici parole: “Giunsero da oriente”. Non si dice invece che i magi erano tre, né che erano re, né tanto meno si fanno i loro nomi. Da dove derivano, dunque, questi particolari? Attingendo al molto che è stato scritto sull’argomento da autorevoli studiosi, vediamo di separare il “grano” della storia dal “loglio” delle leggende.


La carta di identità dei magi

  Innanzitutto è da respingere la tesi formulata ai nostri giorni che i magi di cui parla Matteo non siano mai esistiti e che l’evangelista li abbia inseriti nella sua narrazione solo a scopo didattico: attestare cioè che la divinità di Gesù era stata riconosciuta presso tutte le genti fin dalla nascita.
   Fa fede per loro la stessa parola magi, che è una carta di identità ben conosciuta nell’antichità. Quasi cinquecento anni prima che l’apostolo scrivesse il suo Vangelo, ne parla anche lo storico greco Erodoto, che li descrive come una delle sei tribù dei Medi, un antico popolo iranico stanziato in gran parte dell’odierno Iran centrale e occidentale, a sud del mar Caspio. Essi precisamente costituivano la casta sacerdotale ed erano perciò sacerdoti della religione mazdea (credevano nel Dio unico Ahura Mazda), il cui culto fu riformato nel VI secolo a.C. da Zarathustra. Coltivavano anche l’astronomia ed erano dediti all’interpretazione dei sogni, come attestano fonti storiche riguardanti, ad esempio, l’imperatore persiano Serse.
  In quanto astronomi è dunque plausibile che si siano messi in viaggio seguendo una “stella”. Tra l’altro, nel loro credo si parla di un Messia o «Soccorritore», nato da una vergine e annunziato da una stella, destinato a salvare il mondo. A tal proposito lo storico Franco Cardini scrive: “Matteo, povero pubblicano, dei magi mazdei non doveva sapere un bel niente o quasi: com’è che con tanta sostanziale esattezza ha mostrato reminiscenze che noi conosciamo soltanto dall’Avesta, giuntoci peraltro attraverso redazioni tardive e non anteriori comunque al III secolo d.C.?”. L’Avesta è, potremmo dire, la Bibbia, ossia il testo della rivelazione,



I re magi: chi erano davvero? - di quella religione.

Dove irrompe la tradizione

  La fantasia dei popoli e delle culture si è invece esercitata, lungo i duemila anni della storia cristiana, per dare un volto, un nome e un «curriculum» ai magi evangelici. E qui vengono in primo piano i Vangeli apocrifi, cioè non ispirati, che la Chiesa ha sempre tenuto a debita distanza in quanto sovente si tratta di elaborazioni derivanti da eresie (soprattutto quella monofisita, tendente ad attribuire a Gesù la sola natura divina, e quella nestoriana, che professa la totale separazione tra le due nature, umana e divina, del Cristo). I Vangeli apocrifi, però, erano molto diffusi e hanno dato linfa alle tradizioni stratificatesi tra l’VIII e il XII secolo dell’era cristiana. Ad ogni modo, come ricorda Cardini, la maggior parte delle nostre conoscenze tradizionali sui magi deriva da due fonti: la translatio delle loro supposte reliquie da Milano a Colonia, voluta da Federico Barbarossa nel 1164, e il testo del domenicano Giacomo da Varazze, vescovo di Genova alla fine del Duecento e autore della Legenda Aurea, testo composto tra il 1260 e il 1298, anno della morte dell'autore.


Perché re e perché proprio tre?


Probabilmente alla trasformazione dei magi in re ha contribuito anche l’interpretazione, per così dire estensiva, di alcuni passi dell’Antico Testamento, soprattutto Isaia 60,1-6 e Salmi 72,10. Nel primo passo si dice: “Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere” e si fa riferimento anche a doni come oro e incenso. Nel secondo si elencano i re di Tarsis, di Sceba e di Seba, nell’atto di pagare tributi e offrire doni. E si conclude dicendo che “tutti i re gli si prostreranno dinanzi, tutte le nazioni lo serviranno”. Non è un caso unico in relazione alla Natività. Anche il bue e l’asinello, assenti dai Vangeli riconosciuti, sono probabilmente arrivati nel presepe grazie a Isaia 1,3: “Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende”.
   Il numero tre – altamente simbolico nella Scrittura – può invece essersi affermato in riferimento ai Magi per affermare che tutto il mondo aveva reso omaggio al Salvatore. Tre era infatti anche il numero dei continenti allora conosciuti. La presenza di un magio di colore completerebbe questo simbolismo, facendo riferimento alle popolazioni africane. Oppure potrebbe essere una deduzione dal numero dei doni: oro, incenso e mirra. Anche questo dal profondo significato simbolico: l'oro per la regalità di Cristo, l'incenso per la divinità e la mirra con riferimento alla morte di Gesù.

I nomi dei magi

Più complesso appare l’enigma dei nomi. Baldassarre sembrerebbe avere un’origine babilonese-caldea, Gaspare iranica, mentre Melchiorre una provenienza fenicia. In questo campo, comunque, è inutile addentrarsi più di tanto in ricostruzioni storiche, dal momento che le tradizioni sono diverse da epoca a epoca e da popolo a popolo.

La stella

   C’è poi un altro elemento che ha molto colpito la fantasia popolare: l’astro che guida i magi. Nel Vangelo di Matteo si parla genericamente di una “stella”. Quand’è che essa diviene una cometa, corpo celeste del tutto differente dalle stelle propriamente dette? Gli studiosi ritengono che la fonte in questo caso vada ricercata non negli Apocrifi (dove di cometa non si parla), ma nell’affresco di Giotto L’adorazione dei magi, dipinto dal grande artista nella Cappella degli Scrovegni a Padova, anche sulla spinta emotiva del passaggio della cometa di Halley, da lui vista nel 1301. Che cos’era dunque la stella dei magi? Gli studi più recenti, attestati anche da Benedetto XVI nel suo libro sull’infanzia di Gesù, portano a ritenere che si sia trattato di fenomeni celesti realmente avvenuti tra il 7 e il 4 a.C. (che sarebbe poi l’epoca dell’effettiva nascita di Gesù), come l’allineamento di alcuni pianeti (Giove e Saturno, soprattutto) nella costellazione dei Pesci, con un conseguente effetto ottico di straordinaria brillantezza.


I magi in viaggio fino ai nostri giorni

  Ma il destino errante dei magi non si sarebbe interrotto con il ritorno al loro Paese - “per un’altra strada”, come scrive Matteo. Sarebbe proseguito anche dopo la loro morte, avvenuta, secondo una leggenda, a Gerusalemme, dove dopo la risurrezione di Gesù essi sarebbero tornati per testimoniare la fede. Le loro spoglie sarebbero poi state ritrovate da sant’Elena, trasportate a Costantinopoli e in seguito donate a Eustorgio, vescovo di Milano dal 343 al 355 circa, il quale le fece traslare nella sua città. In loro onore edificò quindi una basilica (Sant’Eustorgio, appunto) nel luogo in cui il carro trainato da buoi, che trasportava il pesante sarcofago, si era impantanato nel fango.
  Lì le reliquie rimasero fino al 1164, quando Federico Barbarossa se le portò a Colonia, nel cui duomo sono tuttora custodite. Attorno ad esso si svolsero tra l’altro alcuni degli eventi principali della Giornata mondiale della Gioventù del 2005, la prima di Benedetto XVI, proprio ispirata ai magi. Per una volta, si potrebbe dire, non furono essi a muoversi, ma i pellegrini ad andare loro incontro.
   Non è superfluo notare, infine, che negli anni Ottanta del secolo scorso le reliquie di Colonia sono state sottoposte a esami scientifici. Ne è risultato che i tessuti sono di tre stoffe distinte, due di damasco e una di taffettà di seta, tutte di provenienza orientale e databili tra il II e il IV secolo. Le leggende, come si suol dire, hanno sempre un fondo di verità.

Tutto sui Magi: chi erano, da dove venivano, perché sono citati nel Vangelo? (avvenire.it)

Solennità Epifania del Signore 2010, Omelia di Papa Benedetto XVI

 

Solennità Epifania del Signore 2010

Omelia di Papa Benedetto XVI

Nella Solennità dell’Epifania del Signore, riportiamo l’Omelia del Santo Padre Benedetto XVI, del 6 Gennaio 2010, così come trascritta dalla Libreria Editrice Vaticana.

“Oggi, Solennità dell’Epifania, la grande luce che irradia dalla Grotta di Betlemme, attraverso i Magi provenienti da Oriente, inonda l’intera umanità. La prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, e il brano del Vangelo di Matteo, che abbiamo poc’anzi ascoltato, pongono l’una accanto all’altro la promessa e il suo adempimento, in quella particolare tensione che si riscontra quando si leggono di seguito brani dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Ecco apparire davanti a noi la splendida visione del profeta Isaia il quale, dopo le umiliazioni subite dal popolo di Israele da parte delle potenze di questo mondo, vede il momento in cui la grande luce di Dio, apparentemente senza potere e incapace di proteggere il suo popolo, sorgerà su tutta la terra, così che i re delle nazioni si inchineranno di fronte a lui, verranno da tutti i confini della terra e deporranno ai suoi piedi i loro tesori più preziosi. E il cuore del popolo fremerà di gioia.

Rispetto a tale visione, quella che ci presenta l’evangelista Matteo appare povera e dimessa: ci sembra impossibile riconoscervi l’adempimento delle parole del profeta Isaia. Infatti, arrivano a Betlemme non i potenti e i re della terra, ma dei Magi, personaggi sconosciuti, forse visti con sospetto, in ogni caso non degni di particolare attenzione. Gli abitanti di Gerusalemme sono informati dell’accaduto, ma non ritengono necessario scomodarsi, e neppure a Betlemme sembra che ci sia qualcuno che si curi della nascita di questo Bambino, chiamato dai Magi Re dei Giudei, o di questi uomini venuti dall’Oriente che vanno a farGli visita.

Benedetto XVI: “che cosa ha visto Isaia con il suo sguardo profetico?”

Poco dopo, infatti, quando il re Erode farà capire chi effettivamente detiene il potere costringendo la Sacra Famiglia a fuggire in Egitto e offrendo una prova della sua crudeltà con la strage degli innocenti (cfr Mt 2,13-18), l’episodio dei Magi sembra essere cancellato e dimenticato. E’, quindi, comprensibile che il cuore e l’anima dei credenti di tutti i secoli siano attratti più dalla visione del profeta che non dal sobrio racconto dell’evangelista, come attestano anche le rappresentazioni di questa visita nei nostri presepi, dove appaiono i cammelli, i dromedari, i re potenti di questo mondo che si inginocchiano davanti al Bambino e depongono ai suoi piedi i loro doni in scrigni preziosi. Ma occorre prestare maggiore attenzione a ciò che i due testi ci comunicano.

In realtà, che cosa ha visto Isaia con il suo sguardo profetico? In un solo momento, egli scorge una realtà destinata a segnare tutta la storia. Ma anche l’evento che Matteo ci narra non è un breve episodio trascurabile, che si chiude con il ritorno frettoloso dei Magi nelle proprie terre. Al contrario, è un inizio. Quei personaggi provenienti dall’Oriente non sono gli ultimi, ma i primi della grande processione di coloro che, attraverso tutte le epoche della storia, sanno riconoscere il messaggio della stella, sanno camminare sulle strade indicate dalla Sacra Scrittura e sanno trovare, così, Colui che apparentemente è debole e fragile, ma che, invece, ha il potere di donare la gioia più grande e più profonda al cuore dell’uomo.

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In Lui, infatti, si manifesta la realtà stupenda che Dio ci conosce e ci è vicino, che la sua grandezza e potenza non si esprimono nella logica del mondo, ma nella logica di un bambino inerme, la cui forza è solo quella dell’amore che si affida a noi. Nel cammino della storia, ci sono sempre persone che vengono illuminate dalla luce della stella, che trovano la strada e giungono a Lui. Tutte vivono, ciascuna a proprio modo, l’esperienza stessa dei Magi.

Essi hanno portato oro, incenso e mirra. Non sono certamente doni che rispondono a necessità primarie o quotidiane. In quel momento la Sacra Famiglia avrebbe certamente avuto molto più bisogno di qualcosa di diverso dall’incenso e dalla mirra, e neppure l’oro poteva esserle immediatamente utile.

Benedetto XVI: i doni dei Magi dicono che Gesù è il nostro Re

Ma questi doni hanno un significato profondo: sono un atto di giustizia. Infatti, secondo la mentalità vigente a quel tempo in Oriente, rappresentano il riconoscimento di una persona come Dio e Re: sono, cioè, un atto di sottomissione. Vogliono dire che da quel momento i donatori appartengono al sovrano e riconoscono la sua autorità. La conseguenza che ne deriva è immediata. I Magi non possono più proseguire per la loro strada, non possono più tornare da Erode, non possono più essere alleati con quel sovrano potente e crudele. Sono stati condotti per sempre sulla strada del Bambino, quella che farà loro trascurare i grandi e i potenti di questo mondo e li porterà a Colui che ci aspetta fra i poveri, la strada dell’amore che solo può trasformare il mondo.

Non soltanto, quindi, i Magi si sono messi in cammino, ma da quel loro atto ha avuto inizio qualcosa di nuovo, è stata tracciata una nuova strada, è scesa sul mondo una nuova luce che non si è spenta. La visione del profeta si realizza: quella luce non può più essere ignorata nel mondo: gli uomini si muoveranno verso quel Bambino e saranno illuminati dalla gioia che solo Lui sa donare. La luce di Betlemme continua a risplendere in tutto il mondo. A quanti l’hanno accolta Sant’Agostino ricorda: “Anche noi, riconoscendo Cristo nostro re e sacerdote morto per noi, lo abbiamo onorato come se avessimo offerto oro, incenso e mirra; ci manca soltanto di testimoniarlo prendendo una via diversa da quella per la quale siamo venuti” (Sermo 202. In Epiphania Domini, 3,4).

Benedetto XVI
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Benedetto XVI: “in quel Bambino si manifesta la forza di Dio”

Se dunque leggiamo assieme la promessa del profeta Isaia e il suo compimento nel Vangelo di Matteo nel grande contesto di tutta la storia, appare evidente che ciò che ci viene detto, e che nel presepio cerchiamo di riprodurre, non è un sogno e neppure un vano gioco di sensazioni e di emozioni, prive di vigore e di realtà, ma è la Verità che s’irradia nel mondo, anche se Erode sembra sempre essere più forte e quel Bambino sembra poter essere ricacciato tra coloro che non hanno importanza, o addirittura calpestato. Ma solamente in quel Bambino si manifesta la forza di Dio, che raduna gli uomini di tutti i secoli, perché sotto la sua signoria percorrano la strada dell’amore, che trasfigura il mondo.

Tuttavia, anche se i pochi di Betlemme sono diventati molti, i credenti in Gesù Cristo sembrano essere sempre pochi. Molti hanno visto la stella, ma solo pochi ne hanno capito il messaggio. Gli studiosi della Scrittura del tempo di Gesù conoscevano perfettamente la parola di Dio. Erano in grado di dire senza alcuna difficoltà che cosa si poteva trovare in essa circa il luogo in cui il Messia sarebbe nato, ma, come dice sant’Agostino: “è successo loro come le pietre miliari (che indicano la strada): mentre hanno dato indicazioni ai viandanti in cammino, essi sono rimasti inerti e immobili” (Sermo 199. In Epiphania Domini, 1,2).

Possiamo allora chiederci: qual è la ragione per cui alcuni vedono e trovano e altri no? Che cosa apre gli occhi e il cuore? Che cosa manca a coloro che restano indifferenti, a coloro che indicano la strada ma non si muovono? Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio. Sono sicuri dell’idea che si sono fatti del mondo e non si lasciano più sconvolgere nell’intimo dall’avventura di un Dio che li vuole incontrare. Ripongono la loro fiducia più in se stessi che in Lui e non ritengono possibile che Dio sia tanto grande da potersi fare piccolo, da potersi davvero avvicinare a noi.

Alla fine, quello che manca è l’umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme. Manca la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio. Il Signore però ha il potere di renderci capaci di vedere e di salvarci. Vogliamo, allora, chiedere a Lui di darci un cuore saggio e innocente, che ci consenta di vedere la stella della sua misericordia, di incamminarci sulla sua strada, per trovarlo ed essere inondati dalla grande luce e dalla vera gioia che egli ha portato in questo mondo. Amen!”.

a cura di Antonella Sanicanti

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Fonte testo Omelia di Papa Benedetto XVI: https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2010/documents/hf_ben-xvi_hom_20100106_epifania.html

Omelia di Papa Benedetto XVI nella solennità dell'Epifania del Signore 2013

 

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Domenica, 6 gennaio 2013



Cari fratelli e sorelle!

Per la Chiesa credente ed orante, i Magi d’Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione che pervade la storia. Per questo, la liturgia legge il Vangelo che parla del cammino dei Magi insieme con le splendide visioni profetiche di Isaia 60 e del Salmo 72, che illustrano con immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme. Come i pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo neonato giacente nella mangiatoia, personificano i poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che interiormente vivono molto vicino a Gesù, così gli uomini provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui. La Chiesa chiama questa festa “Epifania” – l’apparizione, la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini (cfr Tt 3,4).

Seguendo una tradizione iniziata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, celebriamo la festa dell’Epifania anche quale giorno dell’Ordinazione episcopale per quattro sacerdoti che d’ora in poi, in funzioni diverse, collaboreranno al Ministero del Papa per l’unità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo nella pluralità delle Chiese particolari. Il nesso tra questa Ordinazione episcopale e il tema del pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo è evidente. Il Vescovo ha il compito non solo di camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli altri, ma di precedere e di indicare la strada. Vorrei, però, in questa liturgia, riflettere con voi ancora su una domanda più concreta. In base alla storia raccontata da Matteo possiamo sicuramente farci una certa idea di quale tipo di uomini debbano essere stati coloro che, in seguito al segno della stella, si sono incamminati per trovare quel Re che, non soltanto per Israele, ma per l’umanità intera avrebbe fondato una nuova specie di regalità. Che tipo di uomini, dunque, erano costoro? E domandiamoci anche se, malgrado la differenza dei tempi e dei compiti, a partire da loro si possa intravedere qualcosa su che cosa sia il Vescovo e su come egli debba adempiere il suo compito.

Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica. Ma non volevano soltanto sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano sapere come si possa riuscire ad essere persona umana. E per questo volevano sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio.

Ma con ciò giungiamo alla domanda: come dev’essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo. Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies irae. L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo. È questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev’essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore.

Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri. Il Vescovo, come pellegrino di Dio, dev’essere soprattutto un uomo che prega. Deve essere in un permanente contatto interiore con Dio; la sua anima dev’essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo.

Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse così incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.

Come non pensare, in una tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri. Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo. Egli dev’essere valoroso. E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti. Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!

In questo contesto mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in libertà. San Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,40ss). Anche i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi, in maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo. E allora possono essere lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenerne l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt’al contrario invitiamo tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo.

I Magi hanno seguito la stella, e così sono giunti fino a Gesù, alla grande Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr Gv 1,9). Come pellegrini della fede, i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che devono risplendere come astri nel mondo (cfr 2,15).

Cari amici, ciò riguarda anche noi. Ciò riguarda soprattutto voi che, in quest’ora, sarete ordinati Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con Cristo, a Lui nuovamente legati nel Sacramento, allora anche voi diventerete sapienti. Allora diventerete astri che precedono gli uomini e indicano loro la via giusta della vita. In quest’ora noi tutti qui preghiamo per voi, affinché il Signore vi ricolmi con la luce della fede e dell’amore. Affinché quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi tocchi, perché tutti sperimentino la sua vicinanza e ricevano il dono della sua gioia. Preghiamo per voi, affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e l’umiltà della fede. Preghiamo Maria che ha mostrato ai Magi il nuovo Re del mondo ( Mt 2,11), affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù Cristo anche a voi e vi aiuti ad essere indicatori della strada che porta a Lui. Amen.




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