sabato 5 aprile 2025

La missione come esperienza spirituale, di Fr. Joel Cruz Reyes


La missione come esperienza spirituale 

di Fr. Joel Cruz Reyes (missionario comboniano)





1. Introduzione

La missione è la nostra lettera di presentazione nella Chiesa e nei vari ambiti della società. Per questo ci riconoscono, ci apprezzano e ci odiano. Per quanto riguarda noi, questa parola ci unisce o ci separa, ci mette in conflitto… perché pur essendo, la vocazione, essenzialmente la stessa, diversi sono i significati e i modi di attuarla. Spesso diciamo che la gente, nella missione, si fa un’idea di quello che siamo a partire da ciò che facciamo. Con questa misura ci valuta e ci definisce, fino ad arrivare a dire che uno è più missionario dell’altro. Riguardo a noi, persistono delle preoccupazioni che ci confondono e mettono in pericolo la fraternità. Ma, in fin dei conti, tutti possiamo dire che la missione continua ad essere una domanda divina, che ha bisogno di risposte umane, contestualizzate, vissute a partire dalle nostre specifiche vocazioni in un cammino fatto di ascolto, di contemplazione e di azioni che riteniamo necessarie e urgenti.

2. Visione distorta della nostra vocazione

Le diverse e problematiche situazioni delle popolazioni che abbiamo davanti agli occhi, penetrano nel nostro cuore e risvegliano la misericordia orizzontale della nostra vocazione, facendoci cadere nell’infinita spirale dell’assistenza sociale e della promozione umana. Molti di noi, infatti, possono dare l’impressione – e molta gente, in missione, lo pensa – che lo scopo della nostra presenza sia aprire strade di umanizzazione e di sviluppo fra i popoli. Il nostro buon cuore ci spinge e ci obbliga a confonderci con qualsiasi assistente sociale o promotore umano membro di una ONG. Il problema non sta nella ricerca di soluzioni ai bisogni della gente ma nel credere che questa sia la ragione del nostro stare lì o, peggio ancora, nel sentirci realizzati e soddisfatti di questo. Perché, alla fine, ci rendiamo contro che molte delle strade aperte e dei progetti intrapresi con grande sforzo, decadono quando si va via, per la solita mancanza di continuità, per l’individualismo, per la carenza di pianificazione, per le divergenze metodologiche, per le possibilità o le capacità del successore o semplicemente perché inadeguati alla cultura della gente. Di fatto, spesso, anche se non sempre lo diciamo, finiamo non del tutto soddisfatti, ma piuttosto preoccupati e anche frustrati.
Inoltre, a volte, la consapevolezza di essere membri della Chiesa, la formazione che abbiamo ricevuto, il peso di una tradizione missionaria nell’ottica sacerdotale e l’incapacità ad accompagnare i processi dei popoli, ci fanno cadere in una proposta cultuale e sacramentalista che in molte occasioni va ad unirsi alla mentalità magica dei popoli ai quali siamo inviati; e noi possiamo adattarci a questo. Non di rado la gente vede in noi dei promotori di un culto e di una civiltà straniera che ammette alcune forme culturali del luogo e ci conferisce un ruolo privilegiato fra la gente. La dimensione pratica della nostra vita missionaria, spesso altera il messaggio che vogliamo comunicare con la nostra vocazione.

3. Quale spirito stiamo incarnando?

Il nostro agire riflette lo spirito che ci muove. Per noi religiosi non è una novità dire che tra la fede e la vita esiste uno stretto legame anche se inconsapevole, perché i valori, i comportamenti, gli atteggiamenti, gli stili di vita e la prassi quotidiana sono intrinsecamente connessi alle convinzioni, cioè, a tutto ciò in cui si crede profondamente. Per questo non si può dire che esiste una “spiritualità disincarnata”, perché il fatto stesso di esistere e di operare secondo le convinzioni personali o di gruppo, ci fa agire in un determinato modo che tocca direttamente la realtà in cui ci troviamo. Il problema, dunque, non sta in una spiritualità “disincarnata”, ma piuttosto nel tipo di “spirito” che “incarniamo”, perché è questo “spirito” che incide nella prassi individuale o di gruppo. Ovvero, in quanto esseri umani, abbiamo uno “spirito” che modella il nostro essere e il nostro fare. C’è sempre uno “spirito” dietro al nostro modo di essere e di agire. È questo spirito che diventa la “fonte della nostra spiritualità”, dalla quale deriva il volto specifico della nostra presenza in tutti gli ambiti della nostra vita. Questo spirito parla attraverso il nostro stile di vita mostrando a tutti quelli che ci guardano o entrano in rapporto con noi, che tipo di persone siamo. Anche se siamo degli esperti nella nostra professione, e anche se le persone sono consapevoli di questo, la prima realtà visibile davanti a loro è la nostra persona e lo spirito che ci muove. La spiritualità ci definisce davanti agli altri. In altre parole “lo spirito parla di noi”. Da ciò che la gente percepisce ed esprime quando ci vede, è già possibile dedurre lo spirito che è alla base della nostra spiritualità.

4. Identificare gli spiriti-fonte del nostro essere

Se guardiamo e leggiamo i Vangeli con attenzione, in ascolto contemplativo e con amore, possiamo percepire che Gesù realizzava una modifica radicale dello spirito e quindi di tutto “l’agire” delle persone che incontrava; in altre parole, dava loro “uno spirito nuovo”. Potremmo dire che Gesù ha realizzato una riforma degli spiriti, non delle istituzioni, una riforma “essenziale”, non transitoria. Per questo le sue parole continuano a parlarci ancora oggi. Non ha fatto un lavoro in superficie, ma nel profondo del cuore umano, cioè nel centro organico della vita, lì dove le cose non cambiano e dove nascono le azioni dell’essere umano (Mc 7,21-23). Per Gesù era chiaro che non basta eliminare o punire gli errori e le ingiustizie, per Lui è necessario abolire lo “spirito” che genera tutto questo.
Nei vangeli troviamo vari spiriti che “possiedono” le persone che Gesù incontra nel suo cammino quotidiano. Spiriti che spesso vengono definiti “demoni”[1] e che causano molti tipi di infermità e determinano il comportamento di queste persone, ad esempio:
Gli indemoniati di Gadara, la cui aggressività era forte, tanto da “non lasciar camminare” la gente sulle strade dove si trovavano. Ossia, erano posseduti da uno spirito che incuteva paura agli altri, uno spirito che li faceva considerare come un ostacolo al cammino degli altri[2]. Uno spirito che spinge la persona a vivere nei “sepolcri”, nel luogo dei morti[3], il luogo degli insensibili… Uno spirito che spinge la persona a cercare i luoghi deserti, che la porta a isolarsi, a non stabilire nessun tipo di rapporto con gli altri[4]. È uno spirito che rende l’individuo aggressivo, violento, isolato, solitario, insensibile… incapace di amicizia e di fraternità.
Il muto indemoniato è una persona posseduta da un altro spirito, che la rende incapace di parlare. Cioè, incapace di esprimere le proprie idee, i propri sentimenti, il proprio pensiero, i propri punti di vista... uno spirito che, anche se la persona vede la realtà e non è d’accordo, la costringe a tacere[5]. Uno spirito che lascia la persona senza voce, la rende incapace di comunicazione.
L’indemoniato cieco, muto e sordo, è una persona posseduta da uno spirito che la rende incapace di vedere, parlare e ascoltare. Uno spirito che toglie alla persona la capacità di vedere la realtà, di analizzarla, di comprenderla... uno spirito che non lascia nemmeno la possibilità di ascoltare la realtà[6] (incapacità di analisi, di espressione, di ascolto).
L’epilettico indemoniato, è una persona dominata da uno spirito che causa instabilità personale e incertezza. Uno spirito che distrugge la persona, che la fa soffrire internamente e non la lascia parlare. È uno spirito che fa gridare, che affatica e stanca la persona, che la lascia senza forze. Uno spirito che lascia vedere la sofferenza della persona ma che non le permette di chiedere aiuto[7] (incapacità di chiedere aiuto, incertezza, sfiducia, incostanza…).
La donna curva, è una persona posseduta da uno spirito che la tiene piegata, che la rende incapace di alzare lo sguardo e di guardare gli altri negli occhi. Uno spirito che le impedisce di alzare la testa. Uno spirito che produce una persona sottomessa, come se si vergognasse di se stessa...[8] (incapacità di essere e di sentirsi all’altezza degli altri).
Alcune di queste persone si trovavano nella sinagoga quando Gesù le ha guarite, cioè in un luogo “religioso”, dove si ascolta la Parola di Dio, dove si trovano persone sagge ed esperte della “Legge” (le Scritture). In altre parole, questo vuol dire che essere “religiosi” o frequentare luoghi “religiosi” non costituisce una garanzia per dire che abbiamo uno spirito da “figli di Dio”. Queste persone si trovavano nella sinagoga ma non volevano né ascoltare né vedere Gesù[9] e ciò non significa che erano liberi; anzi, al contrario, avevano uno spirito che li faceva vivere da schiavi ma erano talmente abituati a vivere così, che la presenza libera di Gesù li spaventava.
Da quanto abbiamo appena detto emerge l’importanza della spiritualità nella vita personale, in quella comunitaria e per camminare con la gente, perché è lo “spirito” che muove la persona, che la fa essere, agire, pensare, reagire... in un modo concreto. La sfida consiste nel saper scoprire lo spirito che sta dietro alle nostre convinzioni e azioni quotidiane, per poter procedere subito alla sua espulsione. Deriva da questo l’importanza del discernimento spirituale come metodo del missionario.

5. Convivenza spirituale

Non è una novità per noi dire che i conflitti interpersonali e comunitari (relazione fra comboniani) sono frequenti perché alla base c’è una mancanza di comunicazione, di dialogo, c’è l’individualismo messianico, il carattere aggressivo e violento di alcuni, il complesso di superiorità e quello d’inferiorità, camuffati in diversi modi, la mancanza di un progetto comune, di programmazione, di continuità e di costanza… Tutto questo si accompagna sempre alla nostra quotidianità missionaria, anche se preghiamo fedelmente in tutti i modi, anche se celebriamo assieme come comunità e con la gente l’Eucaristia, anche se abbiamo una formazione permanente che contempla tutte le dimensioni della nostra vita… È un problema puramente umano? È una questione di capacità personali? È qualcosa di naturale e insito nella vita comunitaria? È questione di personalità o di caratteri? No, secondo la mia esperienza, è un problema di spiritualità, è una questione di comprensione e di accettazione del Vangelo. In poche parole, continuiamo a vivere assieme senza capire, forse, che i nostri “spiriti” non si lasciano toccare dallo “Spirito” di Gesù e che per questo le nostre comunità, province e l’Istituto diventano uno spazio dove convivono spiriti muti, sordi, violenti, epilettici, curvi, ciechi… incarnati nelle convinzioni e nei comportamenti di ciascuno, indipendentemente dalle nostre culture ed età.

6. Lo Spirito del Signore

Se rileggiamo il Battesimo del Signore con semplicità e con onestà intellettuale non avremo timore dell’amore, di lasciarci amare, di lasciarci possedere da chi ci ama (Dio), di lasciare che il suo Spirito ci abbracci e ci porti nel deserto, il luogo preferito da Lui per mostrarci la sua tenerezza. Come religiosi, questo, lo abbiamo letto e studiato nelle università in cui siamo stati. Sentirci figli amati del Padre, sentire che qualcuno ci ama e che questo qualcuno è Dio è ciò che dà significato al nonsenso della vita personale, comunitaria e della missione. È ciò che ci rende felici, che ci rende forti, che ci fa camminare nel mare delle difficoltà che, come missionari religiosi, affrontiamo. A volte la gente non ci ama, ci sopporta, ci tollera, ci usa… A volte, i nostri confratelli di comunità vivono con noi come se non esistessimo… Lo Spirito del Signore ci fa udire la voce del Signore che ci dice: “Questo è il mio figlio amato…”. No, non siamo dei “semplici collaboratori di Dio”, non siamo dei semplici “inviati” da Dio, siamo i suoi figli amati. È questo che lo Spirito del Signore ci sussurra costantemente. È questa coscienza che ci spinge fuori di noi, è questa la ragione fondamentale per la quale spendiamo la nostra vita fra la gente, anche se molti non ci apprezzano e anche se noi non li amiamo; è sufficiente sapere che il Signore li ama e che siamo con loro per Dio, non per la gente in sé, né per le sue tante necessità e problemi, ma per l’amato che ci ama. Questo dà significato a tutto.

7. L’azione dello Spirito

Chi di noi non ha sperimentato la presenza dello Spirito nel caos e nella confusione dei popoli fra i quali siamo stati o ci troviamo, come missionari? Tutti abbiamo toccato questa realtà, descritta nel racconto della creazione del libro della Genesi. Noi religiosi abbiamo gli strumenti e la sensibilità per poter percepire come lo Spirito “aleggi” nelle realtà della gente. Per questo, anche se non comprendiamo gli eventi, anche se tutti vanno via e abbandonano la gente perché vedono solo orizzonti di morte, noi rimaniamo con il popolo. La certezza che lo Spirito è qui, ci dà la fiducia e la forza fino a versare il sangue, ed è una testimonianza che molti comboniani hanno dato.
Nel cammino di accompagnamento e di formazione delle persone, tutti abbiamo sicuramente toccato con mano la bellezza creatrice di Dio che va dando forma alla polvere finché diventa un essere umano; contempliamo con stupore come il “soffio di Dio” (Spirito) penetra in questi esseri umani e ne trasforma la vita individuale e collettiva, come il fango diventa pian piano persona. Quanti di noi si sono fatti strumento dello Spirito del Signore che ci fa, pur con tutti i nostri limiti, Emanuele, soffio di Dio nella realtà dei popoli; e così apriamo gli occhi a quanti non possono vedere con i propri occhi (coscientizzazione), restituiamo la capacità di camminare con i propri piedi e di utilizzare le proprie mani paralizzate dalla mancanza di capacità (protagonismo della gente), aprendo le orecchie ai sordi (capacità di dialogo), curando ferite profonde nei cuori della gente (cultura di giustizia e pace), togliendo i carichi pesanti che tengono piegate le persone (ricostruzione della dignità umana)… Insomma, la missione per noi è un’esperienza spirituale. È sentire, cioè, lo Spirito del Signore che è in ciascuno di noi e ci spinge a stare con i poveri, a ridare la vista ai ciechi, la libertà ai prigionieri… Essere missionario non è FARE, è ESSERE incarnazione dello stesso Spirito che Gesù ha reso visibile e palpabile al suo tempo. Questo Spirito che non annulla la diversità ma la propone come ricchezza (pentecoste)… Perciò spesso diciamo: “La missione è opera dello Spirito”, e questo, lo abbiamo visto, lo abbiamo udito, lo abbiamo vissuto.

Fr. Joel Cruz Reyes



Note:
[1] Mt 8,16.
[2] Mt 8,28ss.
[3] Mc 5,1ss.
[4] Lc 8,29.
[5] Mt, 9,32-33; Lc 11,14ss.
[6] Mt 12,22; Mc 7,31ss.
[7] Mt 17,14-16; Mc 9,14-18; Lc 9,37ss.
[8] Lc 13,10ss.
[9] Mc 1,21ss; Lc 4,31ss.

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venerdì 4 aprile 2025

San Carlo Acutis (1991-2006), giovane apostolo dell'Eucaristia come presenza di Cristo nell'umanità


San Carlo Acutis (1991-2006)

giovane apostolo dell'Eucaristia come presenza di Cristo nell'umanità



Nascita e famiglia

Carlo Acutis nacque a Londra (Gran Bretagna), il 3 maggio 1991, da genitori italiani: Andrea e Antonia Salzano, che si trovavano nella City per motivi di lavoro. Venne battezzato il 18 maggio nella chiesa di “Our Lady of Dolours” a Londra. Nel settembre 1991 la famiglia rientrò a Milano. All’età di quattro anni i genitori lo iscrissero alla scuola materna, che frequentò con grande entusiasmo. Giunto il momento della scuola obbligatoria, venne iscritto all’Istituto San Carlo di Milano. Dopo tre mesi venne trasferito alle scuole elementari presso l’Istituto Tommaseo delle Suore Marcelline, perché era più vicino alla sua abitazione.
Il 16 giugno 1998 segnò una tappa decisiva nella sua vita: ricevette la prima Comunione, in anticipo rispetto all’età consueta, grazie a uno speciale permesso del direttore spirituale, don Ilio Carrai e dell’Arcivescovo Pasquale Macchi, già segretario partico­lare di San Paolo VI. La celebrazione avvenne nel Monastero delle Romite del­l’Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemus a Bernaga di Perego (Lecco).
Altra tappa importante per Carlo fu il Sacramento della Cresima, il 24 maggio 2003, che gli venne conferito nella chiesa di Santa Maria Segreta, da Monsignor Luigi Testore, già segretario del Cardinale Carlo Maria Martini e parroco di San Marco in Milano. A quattordici anni passò al Liceo classico dell’Istituto Leone XIII di Milano, diretto dai Padri Gesuiti, dove sviluppò pienamente la sua personalità. Con uno studente di ingegneria informatica si occupò del sito internet della parrocchia milanese di appartenenza. Nonostante gli studi fossero particolarmente impegnativi, decise spontaneamente di dedicare parte del suo tempo alla preparazione dei bambini per la Cresima, insegnando il Catechismo nella parrocchia di Santa Maria Segreta. Quello stesso anno progettò il nuovo sito internet per il volontariato dell’Istituto Leone XIII, promosse e coordinò la realizzazione degli spot sempre per il volontariato di molte classi nell’ambito di un concorso nazionale. Trascorse tutta l’estate del 2006 a ideare il sito per questo progetto, organizzando anche quello della Pontificia Accademia “Cultorum Martyrum”.

Alla scuola di San Francesco d’Assisi

Per la sua affabilità e cordiale ilarità Carlo era sempre al centro dell’attenzione dei suoi amici, anche perché li aiutava nell’uso del computer e dei suoi programmi. Molti sono gli attestati di ricono­sci­mento delle sue doti informatiche e della sua completa disponibilità a metterle a disposizione dei suoi compagni di scuola e di chiunque ne avesse bisogno, compresi i familiari. Una delle caratteristiche di Carlo era quella di trascorrere la maggior parte delle sue vacanze ad Assisi in una casa di famiglia. Nella cittadina umbra, oltre a divertirsi con gli amici, imparò a conoscere San Francesco e Santa Chiara. Dal Poverello imparò a rispettare il creato e a dedicarsi ai più poveri. Gli esempi del Serafico e di Sant’Antonio di Padova lo spinsero a esercitare la carità nei confronti dei poveri, dei bisognosi, dei senzatetto, degli extracomunitari, che aiutava anche con i soldi risparmiati dalla sua paghetta settimanale.

Amore all’Eucaristia e devozione alla Madonna

Il fulcro della spiritualità di Carlo era l’incontro quotidiano con il Signore nell’Eucaristia. Egli ripeteva spesso: “L’Eucaristia è la mia autostrada per il Cielo!”. È questo il centro di tutta la sua esistenza trascorsa nell’amicizia con Dio. Ciò si tradusse, dopo la prima Comunione, nella partecipazione alla Messa tutti i giorni, con il permesso del suo direttore spirituale. Grande devoto delle appari­zioni e del messaggio di Fatima, a imitazione dei Pastorelli, offriva dei piccoli sacrifici per coloro che non amano il Signore Gesù presente nell’Eucaristia. Quando, per gli impegni scolastici, non poteva andare alla Messa, faceva la Comunione spirituale. Compì anche una preziosa opera di apostolato in mezzo ai compagni di scuola e agli amici, spiegando loro il mistero eucaristico con l’utilizzo dei racconti dei più importanti miracoli eucaristici accaduti nel corso dei secoli. Fu così che quale apostolo dell’Eucaristia, Carlo scelse di utilizzare il suo genio informatico per progettare e realizzare una mostra internazionale sui “Miracoli eucaristici”. Si tratta di un’ampia rassegna fotografica con descrizioni storiche, che presenta diversi dei principali miracoli eucaristici (circa 136) verificatisi nel corso dei secoli in Paesi sparsi nel mondo e ricono­sciuti dalla Chiesa.
L’altra colonna fondamentale della spiritualità di Carlo fu la devozione alla Madonna. Essa si esprimeva nella recita quotidiana del Rosario, nella consacrazione al suo Cuore Immacolato e nella progettazione di uno schema del pio esercizio che riprodusse con il suo computer. Dedicò una particolare attenzione ai Novissimi, che proiettarono la sua esistenza nella realtà della vita eterna.

Malattia e morte

Nell’ottobre 2016 Carlo si ammalò di leucemia di tipo M3, considerata la forma più aggressiva, che inizialmente venne scambiata per una forte influenza. Venne ricoverato alla Clinica De Marchi di Milano. Successivamente, per l’aggravarsi della situazione, fu trasferito all’ospedale San Gerardo di Monza, dove esiste un centro specializzato per quel tipo di leucemia. Pochi giorni prima del ricovero offrì la sua vita al Signore per il Papa, per la Chiesa, per andare in Paradiso. In ospedale, un sacerdote gli amministrò il Sacramento dell’Unzione degli infermi. Alcuni tra le infermiere ed i medici che lo curavano rimasero edificati dall’ac­cettazione della malattia e della sofferenza. La morte cerebrale avvenne l’11 ottobre 2006, il suo cuore smise di battere alle ore 6:45 del 12 ottobre. La notizia della sua nascita al Cielo si diffuse immediatamente tra i suoi compagni di classe e tra chi l’aveva conosciuto. Esposta la salma nella sua abitazione, un continuo afflusso di persone gli rese l’ultimo saluto. I funerali vennero celebrati nella chiesa di Santa Maria Segreta a Milano, il 14 ottobre 2006. La salma venne sepolta nella tomba di famiglia a Ternengo (Biella), poi nel febbraio 2007 fu traslata nel cimitero comunale di Assisi per soddisfare il suo desiderio di rimanere nella città di San Francesco. Il 5-6 aprile 2019 i resti mortali di Carlo sono stati traslati nel Santuario della Spogliazione, chiesa di Santa Maria Maggiore, ad Assisi.

Tratti della spiritualità

Nella presenza di Cristo nell’Eucaristia Carlo imparò a riconoscere l’amore di Dio per l’umanità. In essa trovò la via più rapida per accedere ai tesori della grazia divina e lo rese fedele discepolo del Maestro. Innamorato di Gesù, non si stancò mai di annunciare al mondo la gioia indicibile dell’amicizia con Dio. La presenza reale di Gesù Cristo nell’Ostia consacrata era per Carlo una realtà dalla quale derivava per lui ogni bene. Era anche la garanzia che l’uomo non è mai lasciato solo, neppure nei momenti più duri della prova. Le sue giornate divennero perciò incentrate intorno alla Messa e, quando poteva, sostava anche in adorazione eucaristica. Nella sua breve esistenza, ha messo continuamente in pratica i valori evangelici, facendosi annunciatore di Cristo non solo con la parola, ma soprattutto con la testimonianza di vita.

L’eredità di Carlo

Da giovane laico, ha saputo ravvivare il fervore e la pratica cristiana in tanti consacrati e Sacerdoti. Ha vissuto interamente proteso verso l’Assoluto, verso Gesù che sentiva vicino e presente. Egli è stato anche un testimone in ambito scolastico, quale modello per gli alunni per le scuole di ogni ordine e grado. La principale eredità che Carlo ha lasciato, soprattutto alle nuove generazioni, è la coerenza di vita con i valori del Vangelo. Proprio per la sua capacità di condivisione con gli altri dei misteri della fede, Carlo può essere definito un vero apostolo in tutti gli ambienti in cui è vissuto, che sono quelli tipici di un adolescente: famiglia, scuola, sport, tempo libero, viaggi, giochi.
In particolare, ai ragazzi e ai giovani di ogni tempo, Carlo indica che nell’Eucaristia si trova la salvezza che non delude mai. Vivendo intensamente il mistero del Corpo mistico di Cristo, mostra a tutti il bisogno di esercitare la carità. Infatti, si fece promotore dell’acco­glienza e della pace tra persone di diverse etnie, lingue e tradizioni. Chiedeva di abbracciare i bisogni dei senzatetto e dei più poveri che si incontrano sulle strade del mondo. Di fronte alle violenze, alle guerre, ai conflitti anche all’interno delle famiglie, Carlo propone di optare per Cristo e il suo Vangelo e di affidarsi alla protezione materna di Maria.
Autentico testimone di Cristo in tutti gli ambienti in cui visse, la sua esistenza è un luminoso esempio per i giovani di oggi. Infatti, il messaggio che Carlo trasmette alle nuove generazioni è quanto mai importante e attuale. Invita a non guardare al limitato orizzonte terreno, ma proietta la vita verso una realtà che già ha inizio in questo mondo e avrà il suo compimento nell’aldilà.


Carlo Acutis fu beatificato il 10 ottobre 2020, nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi, sotto il pontificato di papa Francesco. Lo stesso Pontefice, il 23 maggio 2024, autorizzò la promulgazione del decreto relativo al secondo miracolo preso in esame per la canonizzazione, e si celebra a Roma il 27 aprile 2025. I resti mortali di Carlo riposano dal 6 aprile 2019 ad Assisi, nella chiesa di Santa Maria Maggiore – Santuario della Spogliazione, mentre la sua memoria liturgica ricorre il 12 ottobre, giorno della sua nascita al Cielo.




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