venerdì 5 novembre 2021

Cristo nell'arte, di Alessandro Scafi



CRISTO NELL'ARTE

di Alessandro Scafi

                             


In moltissime opere d'arte Gesù Cristo, colui per il quale, secondo San Paolo, tutto è stato creato e nel quale ogni cosa sussiste, ci appare come un bambino. Il paradosso di un Dio incarnato, e quindi anche di un Dio neonato o ragazzino, è rappresentato in tutte quelle tele, affreschi, mosaici, o sculture, che durante tanti secoli di arte cristiana hanno tentato di descrivere l'infanzia del Figlio di Dio. Se infatti nei Vangeli si dice poco dei primi anni di vita del Redentore, gli artisti hanno sempre cercato di rimediare con la loro immaginazione a questa povertà di dettagli, e il patrimonio di immagini dove Gesù viene ritratto da bambino è vastissimo. Tanti episodi dell'infanzia di Cristo sono stati tradotti in linguaggio visivo: la Natività, l'Adorazione dei pastori, l'Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio e la Circoncisione di Gesù, la Fuga in Egitto, Gesù e i Dottori. Senza parlare delle rappresentazioni con la Sacra Famiglia e la Madonna col Bambino.

Secondo gli scrittori sacri, un gruppo di pecorai e tre sapienti orientali videro Cristo neonato. Generazioni di artisti hanno tentato di concederci con i loro colori lo stesso privilegio, e farci rivedere la scena. Per esempio, la Natività di Piero della Francesca, nella National Gallery di Londra, è l'ultima opera del maestro, per descrivere la prima giornata del Figlio di Dio sulla terra. Il Bambino è in primo piano, nudo su di un drappo di velluto turchino. La Vergine di Nazareth, ora Madre di Dio, ha un gesto di adorazione verso il Figlio. Ci appare come una delicatissima adolescente in preghiera. Dietro a lei, Giuseppe, seduto e pensieroso, e poi due semplici e umili pastori, coscienti però dell'avvento del Cristo, perchè uno di loro sembra indicare la luce divina della cometa. Un coro di Angeli celebra col canto il miracolo dell'Incarnazione, mentre accanto al bue immobile, c'è l'asinello che raglia. Il mistero della Natività è immaginato da Piero in una vecchia capanna, ridotta ad un rudere grigio, fatto di piccole pietre e coronato di erbacce. Il paesaggio sullo sfondo ricorda l'alta valle del Tevere. Figure ed immagini sono distribuite liberamente nello spazio, e quasi bloccate in una eterna immobilità, in questa interpretazione della sacra notte di Betlemme, quando il Divino ha voluto svuotarsi della sua potenza e perfezione infinita, e venirci incontro nella storia, neonato.

Nella Gemäldegalerie di Dresda un altro quadro, dipinto intorno al 1530 dal Correggio, descrive con straordinari effetti di luce l'Adorazione dei pastori. Il buio della notte è rotto dalla luce intensa che emana proprio dal bambino. Sono le prime ore del Figlio di Dio sulla terra. Quella notte il totalmente Altro, l'essere misterioso trascendente e lontano, si è manifestato in forma umana. Ai pastori l'avvenimento fu annunciato da un Angelo. Ai Magi invece lo dissero le stelle. E sono proprio loro - forse sacerdoti caldei, o astrologi della corte persiana o principi arabi, ma nei quadri sicuramente re - a riconoscere il grande mistero: quel bambino era un re che nasceva, Uomo e Dio allo stesso tempo. Un re a cui offrire oro; un Dio, da onorare con incenso, un Uomo, pronto ad affrontare la morte, e quindi da seppellire con la mirra.

I Magi avevano lasciato terre e palazzi solo per l'istante che poi è stato tanto dipinto per secoli: avevano seguito una sottile striscia di luce, riflessa sulla sabbia di deserti lontani, per capire che quel bambino era il re atteso e promesso nei secoli. Anche nel tondo dipinto nel primo Quattrocento da Domenico Veneziano, si stanno avvicinando al piccolo con i loro doni, in silenzio. Il più vecchio è prostrato a terra e sta baciando i suoi piedini, mentre la stella cometa sparisce nell'aurora. Felici della loro scoperta, questi tre signori orientali ancora oggi cavalcano nei colori, nella cappella di Palazzo Medici, a Firenze, tra i turbanti, i cammelli e i leopardi, immaginati da Benozzo Gòzzoli.

Negli Staatliche Museen di Berlino, invece, una tempera su tela di Andrea Mantegna descrive il momento in cui Maria di Nazareth presenta il divino neonato al Tempio di Gerusalemme. La legge di Mosè infatti prescriveva che ogni primogenito fosse consacrato al Signore, e il Vangelo di Luca narra come l'usanza fosse rispettata da Maria e Giuseppe. Mantegna ha dipinto il bambino in fasce e in lacrime. Un vecchio sacerdote lo sta riconsegnando alle dolci premure della Madre. Il pennello dell'artista padovano ha ricostruito anche un altro momento importante nell'infanzia del Figlio di Dio. Agli Uffizi di Firenze si trova una tavola dove Mantegna ha immaginato la circoncisione del Bambino. L'operazione, che per gli Ebrei è segno dell'Alleanza con Dio, sta per essere eseguita da un sacerdote con un coltello. Come in tanti altri quadri con lo stesso soggetto, c'è un assistente con un vassoio in mano. Il piccolo Gesù è in braccio a Maria. Al rito assistono Giuseppe, e altre figure, incorniciate da una solenne ambientazione architettonica. Di fronte al mistero del Dio Onnipotente, Causa prima dell'essere, che viene partorito da una donna e raccolto in fasce, anche Origene, pensatore cristiano dei primi secoli, non nascondeva il suo stupore.

Fra tutti i miracoli e le opere straordinarie compiute dal Figlio di Dio, ve n'è una che trascende l'intelletto umano e che la fragilità dell'intelligenza mortale non riesce a concepire né a comprendere: il modo come, cioè, l'infinita potenza della maestà divina, vale a dire il Verbo del Padre, e la sapienza stessa di Dio, nella quale sono state create tutte le cose visibili ed invisibili, si debba credere racchiusa nei limiti di quell'uomo che apparve in Giudea. La sapienza di Dio, pertanto, entrò nel ventre di una donna, nacque come un fanciullino ed emise i suoi vagiti, al pari degli altri bimbi quando piangono.

Era impossibile, secondo Origene, comprendere un mistero che trascende la nostra intelligenza. Nel IV secolo anche Zenone, vescovo di Verona contemplava l'enigma di un Dio bambino:

Adattandosi in pieno agli uomini, Dio si chiude nel vestito della carne: assume dal tempo una vita umana, colui che dà ai tempi l'eternità. O meraviglia! (...) O immensa novità! Ridottosi fanciullo per amore della sua immagine, Dio vagisce; tollera di essere avvolto in fasce colui che è venuto a sciogliere i debiti di tutto il mondo. Vien deposto nella mangiatoia di una stalla, proclamando così di essere pastore e cibo di tutti i popoli. Si assoggetta alla gamma delle età colui che per la sua eternità non ammette età in sé.

Tanti scrittori sacri in realtà hanno meditato sul fatto straordinario che il Verbo, uscito dal Padre, come Dio perfetto e non suscettibile di alcuno sviluppo e crescita, si sia fatto simile a noi, e quindi bambino, disposto a crescere nel corpo e nell'intelligenza, dai primi passi dell'infanzia, a poco a poco fino alla maturità. Gli artisti contemplavano questo enigma anche più dei teologi. Il Bambino per esempio appare in tantissimi quadri che ricordano la Fuga della Sacra Famiglia in Egitto, dove si vede il piccolo in braccio a Maria, sulla groppa di un asino. Nel Riposo durante la fuga in Egitto, un tema caro all'arte barocca, la Vergine e il Bambino appaiono seduti sotto una palma, con accanto Giuseppe, il fagotto poggiato per terra, e l'asino sullo sfondo, mentre qualche angelo volteggia sulle loro teste oppure offre del cibo. A volte l'albero piega i suoi rami per offrire datteri al Bambino, oppure Maria lava i panni in riva a un fiume, mentre Giuseppe si occupa del piccolo.

Gli artisti cercavano di immaginarsi l'infanzia e l'adolescenza di questo Dio incarnato, che nelle tele con il Ritorno dall'Egitto appare già grandicello. Nei quadri con la Sacra Famiglia, ambientati a Nazaret, Maria cuce, o legge, con il bambino in braccio, mentre il marito da buon carpentiere, fatica al tavolo da lavoro. Oppure la famiglia siede a tavola. I capolavori di Leonardo o Raffaello ci ricordano che un soggetto molto comune era quello della Vergine con Gesù Bambino e San Giovannino. Si narrava infatti che tornando dall'Egitto la Sacra Famiglia soggiornò a casa della cugina di Maria, Elisabetta, il cui bambino, futuro San Giovanni, già mostrava rispetto verso il Cristo.

Ovviamente il classico quadro dove è possibile contemplare il mistero di un Dio che è stato piccolo è quello del tipo "Madonna col Bambino", un'immagine che ancora oggi domina le pareti dei musei europei. C'è una cosa che ricorre nelle raffigurazioni di Gesù Bambino: riferimenti e presagi al suo destino di Redentore. Così in qualche Natività si può notare - tra i doni offerti dai pastori - una pecora con le zampe legate, simbolo dell'Agnello sacrificale. La fronda di palma, albero spesso rappresentato nella Fuga in Egitto, è l'emblema del martirio cristiano. Se Gesù Bambino è dipinto mentre è a tavola con Maria e Giuseppe, pane e calice alludono al sacrificio dell'eucarestia, oppure ci sono indicazioni che la trave che è sul tavolo da lavoro di Giuseppe sarà usata per la Croce. Il tema della circoncisione è di per sé un presagio, visto che allora fu versato per la prima volta il sangue del Redentore. Senza parlare della Presentazione al Tempio, quando toccò al vecchio Simeone di profetizzare il futuro sacrificio.

Anche gli oggetti che il Bambino tiene in mano nei quadri che lo ritraggono con la madre hanno un significato simbolico che rimandano alla sua missione. Se ha in mano una mela, tradizionalmente considerato il frutto della conoscenza, essa allude al suo ruolo di Redentore. L'uva rappresenterebbe il vino eucaristico. Per esempio nella Madonna col Bambino di Masaccio, alla National Gallery di Londra, Gesù Bambino sgrana un grappolo d'uva con una mano, mentre, con l'altra, porta alcuni acini alla bocca. Uva bianca e uva nera insieme alluderebbero al sangue e all'acqua fuoriusciti dal costato del Figlio dell'Uomo crocefisso. Chicchi di grano ci ricordano il pane eucaristico, la ciliegia, il frutto del paradiso, mentre il melograno allude alla Resurrezione. Un agnello evoca il sacrificio di Cristo, come in un'opera di Leonardo. Nella Madonna del Cardellino di Raffaello, agli Uffizi, si vede il piccolo Gesù giocare con un cardellino: secondo la leggenda, un cardellino volò sulla testa di Cristo che saliva sul Calvario, e tolse una spina dalla sua fronte. Fu così che l'uccellino si macchiò di rosso, proprio schizzandosi con una goccia di sangue del Salvatore.

C'è poi un interessante episodio evangelico che molti artisti hanno voluto descrivere. Gesù aveva dodici anni, e con i genitori si recò a Gerusalemme per celebrare la Pasqua. Dopo la festa, Maria e Giuseppe si misero in cammino verso Nazareth, pensando che il ragazzo stesse da qualche parte con la comitiva. Verso sera lo cercarono tra parenti e conoscenti, e, non avendolo trovato, ritornarono a Gerusalemme, dove evidentemente Gesù era rimasto all'insaputa dei suoi. Dopo averlo cercato per tre giorni, lo ritrovarono che ascoltava e interrogava i dottori nel Tempio, stupendo tutti per la sua intelligenza e le sue risposte. Vedendolo, la madre ne restò meravigliata: «"Figlio, perchè ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, addolorati, andavamo in cerca di te". Egli rispose loro: "Perchè mi cercavate? Non sapevate che io mi devo occupare di quanto riguarda mio Padre?"» (Luca, 2,41-51).

Molti artisti hanno descritto questo episodio della vita del Messia. Generalmente la scena si svolge all'interno del Tempio di Salomone. Il dodicenne Gesù si trova al centro di un gruppo di vecchi dalla barba grigia che lo ascoltano estasiati. In qualche quadro il Bambino conta sulle dita i suoi argomenti. Maria e Giuseppe entrano da un lato, oppure Maria tiene una mano sulle spalle di Cristo, nell'attitudine di portarlo via, rimproverandolo. Tra gli altri, il Beato Angelico ha dipinto Gesù ragazzino tra i Dottori, in uno dei riquadri per l'Armadio degli argenti, ora nel museo fiorentino di San Marco. E' un tema importante, perché si tratta della prima circostanza documentata di Gesù come insegnante. Ma è anche il racconto della spensieratezza di un bambino dodicenne che fa stare in pena i suoi genitori. Umano e divino sono qui l'enigma dove si confondono l'autorità del Figlio di Dio e lo sviluppo di un adolescente.

L'arte e il Verbo fatto carne

La rappresentazione di Gesù Bambino, il paradosso di rappresentare Dio come un ragazzino, è segno di come tutta l'arte di rappresentare Gesù germogli sull'antinomia fondamentale del Verbo che si fa carne, di un Dio che è Assolutamente Altro e Presente, che esiste prima del tempo, e che nasce nel tempo, che i cieli non possono contenere, ma poi viene contenuto nel grembo di Maria. Il Signore, il cui volto non si poteva vedere senza morire, e il cui nome gli Ebrei non volevano nemmeno pronunciare, si è fatto di carne nel seno di una donna, e si è mostrato agli uomini. Come sottolineava Teodoro Studita, «l'Inconcepibile viene concepito nel grembo di una Vergine; l'Incommensurabile si fa alto tre cubiti; l'Inqualificabile acquista una qualità; l'Indefinibile si alza, si siede e si corica; e l'Incorporeo entra in un corpo... è dunque Lui stesso descrivibile e indescrittibile insieme».

La Chiesa dei primi secoli giunse alla contemplazione del Mistero dell'Incarnazione soffrendo eresie e organizzando concili, attraverso un lungo travaglio teologico. Le eresie cristologiche dei primi secoli costituiscono in realtà una tentazione perenne per tutti i cristiani: sottolineare l'umanità di Cristo per mettere in ombra la sua divinità oppure sottolinearne la divinità per trascurare la sua umanità. Anche gli artisti, che erano chiamati ad esaltare il divino nell'uomo e l'uomo in Dio, oscillavano nella loro immaginazione tra un Cristo divinizzato, trascendente e pantocratore, ed un uomo storico, Gesù di Nazaret, il profeta crocifisso della Galilea. Così scriveva Germano, patriarca di Costantinopoli:

In memoria perenne della vita nella carne del nostro Signore Gesù Cristo... noi abbiamo ricevuto la tradizione di rappresentarLo nella sua forma umana, cioè nella sua Teofania visibile, ben sapendo che in questo modo esaltiamo l'umiliazione del Verbo di Dio.

Giovanni Damasceno, domandandosi perché nell'Antico Testamento vi fosse la proibizione di dipingere immagini sacre, rispondeva che allora non si conosceva l'Incarnazione: una volta però che l'incorporeo si è fatto uomo, cioè Cristo si è incarnato, Dio può essere dipinto. Dipingere il volto e il corpo di Cristo era allora rappresentare l'oggetto della fede. Ma il paradosso rimaneva, perché il divino conserva sempre la sua trascendenza e il suo mistero. Così si esprimeva il VII Concilio di Nicea, del 787:

Sebbene la Chiesa cattolica rappresenti con la pittura Cristo nella sua forma umana, essa non separa la sua carne dalla divinità che vi si è unita: al contrario, crede che la sua carne è deificata e la confessa una con la divinità.

Questa carne deificata del Verbo investe di energia sacra tutta la materia, saldando divino ed umano, effimero ed eterno. L'arte cristiana celebra proprio la bellezza del cosmo riflessa nella santità di quel corpo che trabocca di energia divina. Un grande interesse assume in questo contesto l'arte delle icone, il cui splendore si è sviluppato in intimo legame con l'arte bizantina, dal IV al XV secolo. Per chi dipinge o per chi contempla un'icona, si rivela il mistero dell'Incarnazione e della trasfigurazione della materia. Il Figlio di Dio è rappresentato nelle icone in un'umanità concreta ma universale, capace di raccogliere in sé tutti gli uomini, proprio perché indissolubilmente legata alla divinità che trascende tutto. Per questo il suo volto non è fissato in un atteggiamento naturalistico, ma è ampliato all'infinito, per rivelare la più intima struttura dell'essere.

Il ritratto di Gesù

Ma com'era fatto veramente Gesù? Il Verbo non si è incarnato nell'epoca tecnologica delle telecamere e dei registratori. Non ha lasciato dietro di sé fotografie o nastri registrati. La Provvidenza ha voluto che il ricordo della sua persona passasse solo attraverso la mediazione degli apostoli e sempre grazie ad un contatto diretto e vivente. Ogni generazione è stata chiamata allora a rinnovare lo stupore di un nuovo incontro. E' questo è avvenuto anche attraverso l'arte. La sfida a cui erano chiamati gli artisti cristiani era effettivamente sublime: disegnare, dipingere, scolpire il volto umano di Dio. Efrem Siro, dottore della Chiesa del IV secolo, sottolineava con entusiasmo l'evento salvifico della visione di Dio in Gesù. Ascoltiamo cosa scrisse nell'Inno per la nascita di Cristo:

Mosè desiderò contemplare la gloria di Dio, ma non gli fu possibile vederla come aveva desiderato. (...) Allora nessun uomo sperava di vedere Dio e restare in vita; oggi tutti coloro che l'hanno visto sono sorti dalla seconda morte alla vita.

L'immagine di Cristo è stata tra quelle che hanno dominato di più la storia dell'arte degli ultimi duemila anni. I cristiani di tantissime generazioni si sono fatti un'idea dell'aspetto fisico di Gesù di Nazareth proprio a partire dalle tante opere artistiche che lo hanno raffigurato. Ma chi volesse ricostruire fedelmente i tratti del suo volto, il colore dei suoi capelli, la statura del suo corpo, per immaginarsi come realmente appariva il Figlio di Dio, si accorge che in realtà non si conoscono ritratti o descrizioni di Cristo che risalgano all'epoca in cui ha vissuto. Nei primi secoli si raccontava di ritratti del Salvatore dipinti mentre lui era in vita. Giovanni Damasceno e Andrea da Creta riferivano di ritratti presenti a Gerusalemme e a Roma, che la leggenda attribuiva a San Luca. Seguendo questa tradizione, molti pittori posteriori, per esempio Roger van der Weyden, hanno immaginato, e dipinto, Luca nel suo studio che ritrae Gesù o la Madonna. Ma ovviamente nessun ritratto di Cristo firmato da Luca ci è mai pervenuto. Dobbiamo forse frenare la nostra curiosità e rinunciare alla possibilità di vedere il Dio-Uomo faccia a faccia, scoprire come era fatto?

Dietro alla curiosità di chi cerca di capire se Dio abbia scelto di essere biondo o bruno, alto o basso, bello o brutto, si può nascondere un certo imbarazzo di fronte al suo essere uomo. Gesù è nello stesso tempo Dio e uomo, figlio dell'Altissimo e di Maria, ma se esploriamo le implicazioni di ciò che affermiamo nel Credo, può insinuarsi un certo disagio: il paradosso dell'Incarnazione riaffiora per mettere alla prova fede e ragione. Gesù era veramente Dio? Aveva dei nei, un naso lungo, corto, aquilino, all'insù? Era grasso o era magro?

Nei Vangeli, considerati una fonte storicamente attendibile della vita di Gesù, non troviamo descrizioni del suo aspetto fisico. Probabilmente gli scrittori sacri volevano soprattutto affermare le verità spirituali su di lui, raccontare le meraviglie dei suoi insegnamenti, invece di compiacere il gusto pagano per le immagini e soffermarsi su particolari di poca importanza, come per esempio il colore dei suoi occhi o la prestanza della sua muscolatura. C'è anche da dire che Gesù e i suoi discepoli - il figlio di un umile carpentiere e dei semplici pescatori - venivano da un ambiente sociale poco abituato a commissionare ritratti o busti commemorativi. Nella cultura ebraica, poi, fare ritratti di profeti o perfino di Dio, era considerato una forma di idolatria. Ma una volta che il Cristianesimo si diffuse tra i Gentili, molto più abituati a rappresentarsi visivamente eroi e divinità, si acuì il bisogno di avere simboli visivi ed immagini del Salvatore. Anche se non erano disponibili informazioni dirette o documenti figurativi sull'aspetto di Cristo, restava il fatto che si trattava di una figura umana, quindi rappresentabile.

I primi artisti cristiani rappresentarono Gesù con simboli o riciclando immagini allegoriche tratte dal patrimonio dell'arte classica. Un'iconografia di Cristo, sviluppatasi tra la Terra Santa, Costantinopoli, Ravenna e Roma, lentamente costituì le basi della futura arte dell'Europa occidentale. Questa tradizione era destinata a consolidarsi e modificarsi di secolo in secolo sotto lo stimolo di tendenze artistiche locali ed epocali, in un'Europa dove continuavano a sorgere basiliche e cattedrali e a splendere miniature. La storia delle rappresentazioni di Cristo si svolge così parallela alla storia dell'arte tout court. Il volto di Gesù cambiava fisionomia od espressione, dai tempi dello stile bizantino, a quelli dell'arte romanica e gotica, mentre con il Rinascimento l'emergere della personalità individuale degli artisti iniziò ad arricchire e complicare la semplicità della dottrina e la sicurezza della tradizione. Comunque, attraverso un lento processo pluri-secolare di elaborazione, si definì un modo di ritrarre il Redentore, e una determinata iconografia degli avvenimenti principali della sua vita. Per esempio, soltanto a partire dal VI secolo Gesù è stato raffigurato con la barba, il segno distintivo dei grandi maestri e leader spirituali.

Nonostante l'infinita varietà di interpretazioni, e la possibilità che variassero mille dettagli, il volto di Gesù fu presto definito: è un volto dai tratti chiari e regolari, generalmente incorniciato da lunghi capelli, che gli scendono sul collo, e dalla barba. I capelli sono generalmente color rame, o castani. Da questi pochi elementi comuni, d'altro canto, veniva partorito ogni volta un Cristo diverso. I bizantini lo rappresentavano nell'oro di una solenne maestà, mentre fissava gli uomini con occhi grandi e severi. Agli autori delle icone non interessava un ritratto realista del Verbo di Dio incarnato, ma semplicemente la contemplazione del Mistero dell'Incarnazione nel suo aspetto essenziale. Il Cristo degli artisti del Rinascimento italiano, che studiavano anatomia e guardavano alle opere degli antichi, ha invece una fisionomia ben precisa, un corpo elegante e plasticamente definito.

Una diversa idea di Bellezza si aveva però in Francia, in Germania, in Spagna, nelle Fiandre, nel resto d'Europa. Il Cristo di Memling o Hugo van der Goes è diverso da quello di Brunelleschi, Botticelli, o Perugino. Gesù è atletico in Rubens, intensamente drammatico in Tintoretto, aggraziato in Zurbaran, agile in Murillo. Rembrandt invece trasformava l'umanità di Gesù in presenza pittorica semplicemente con la magia del suo chiaroscuro. Ogni secolo, ogni generazione, ogni artista ha avuto qualcosa da aggiungere all'aspetto di Gesù. È comunque significativo che tra i ritratti di Gesù, la tradizione bizantina annoveri il cosiddetto Salvatore non dipinto da mano umana, cioè l'immagine impressa da Cristo stesso su un lino, quella che dovrebbe essere la rappresentazione più fedele del suo volto. Come la Sacra Sindone custodita a Torino, essa era soggetta a particolare venerazione, proprio per via dell'idea di un'immagine terrena del Salvatore non disegnata dall'uomo. Del resto la Bibbia descrive un Dio che non si lascia definire o manipolare: è il Dio di Abramo e di Gesù Cristo, una presenza distinta e concreta con cui instaurare un rapporto di dipendenza, e non un idolo da gestire.

Nella Alte Pinakothek di Monaco si trova un ritratto di Cristo molto particolare: è un'opera del 1500 del grande pittore e grafico tedesco Albrecht Dürer. In realtà non è un ritratto di Cristo, ma un autoritratto dell'artista. Dürer sovrapponeva il suo volto a quello del Figlio di Dio: ha i capelli lunghi, la barba ben curata, lo sguardo intenso. L'aspetto ieratico e il gesto solenne, evidenti nella figura rappresentata, sono da sempre attributi di Gesù. Chi abbiamo di fronte allora? Cristo o Dürer? San Paolo esortava il cristiano a rivestirsi dell'immagine del Figlio dell'Uomo, e per il grande incisore di Norimberga imitare Cristo significava imitare il processo creativo di Dio. Ma forse neanche l'esprimersi in un autoritratto è veramente ovvio. L'artista che inseguiva la sua icona nascosta interiore, si identificava con l'immagine del Redentore, un qualcuno che lui sicuramente non era, ma forse un qualcosa che gli era stranamente intimo.

Tornare bambini

Come penetrare dunque il grande mistero dell'Incarnazione? Probabilmente Gesù sorriderebbe, dicendo che non è necessario essere super-intelligenti o pluri-laureati. Come raccontano gli evangelisti, il figlio del falegname di Nazareth indicava i bambini come modello di chi veramente riesce a entrare nei segreti del regno di Dio. I bambini certo sono incompleti e vulnerabili, ma hanno voglia di imparare e di crescere, e sono pronti ad esplorare. Infatti solo un innocente stupore può renderci disponibili ad accettare l'incomprensibile, a vedere la coincidenza degli opposti. E così, anche nell'arte, dopo Gesù Bambino troviamo Gesù e i bambini. Infatti Gesù, vero Uomo e vero Dio, una volta adulto dimostrava grande attenzione verso i bambini, li benediceva e giocava con loro.

Gli conducevano dei bambini perchè li toccasse, ma i discepoli sgridavano quelli che glieli presentavano. Gesù, veduto questo, s'indignò e disse loro: "Lasciate venire a me i bambini e non impediteli, perchè il regno di Dio è di quelli che sono simili a loro. In verità vi dico: chi non riceverà il regno di Dio come un fanciullo, non c'entrerà". Poi li abbracciò e li benedisse imponendo loro le mani. (Marco, 10.13-16)

L'episodio è stato molto rappresentato, soprattutto nell'arte nordeuropea. Il Salvatore è raffigurato mentre poggia la sua mano sul capo di un piccolo bambino, in piedi o inginocchiato accanto a lui. Altri bambini sono raggruppati intorno. Le madri, tenendo i loro pargoli in braccio, guardano la scena. Possono esserci anche i padri. Due o tre apostoli, generalmente Pietro, a volte anche Giacomo e Giovanni, guardano invece con disapprovazione. Ma proprio a loro - e a noi - Gesù, lo stesso che appare Bambino in tante opere d'arte, voleva insegnare qualcosa, come ripeteva papa Leone Magno nei suoi sermoni:

Tutta la saggezza della vita cristiana, carissimi, non consiste nelle molte chiacchiere, non nelle dispute sottili e neppure nella brama di lode e gloria, ma nell'umiltà vera, voluta, che il Signore Gesù Cristo scelse, dal grembo della madre fino al supplizio della croce, preferendola ad ogni prestigio, e che a noi insegnò. Quando infatti i suoi discepoli discutevano fra di loro, come ci dice l'evangelista, chi fosse maggiore nel regno dei cieli, egli chiamò un fanciullo, e lo pose in mezzo ad essi e disse: In verità vi dico, se non vi convertirete e non diverrete come fanciulli non entrerete nel regno dei cieli. Colui dunque che si renderà piccolo come questo fanciullo, sarà il più grande nel regno dei cieli (Mt. 18.1; Mc 9.3ss; Lc. 9.44ss). Cristo ama la fanciullezza, che all'inizio accettò nell'anima e nel corpo. Cristo ama la fanciullezza, maestra d'umiltà, norma d'innocenza, modello di mansuetudine. Cristo ama la fanciullezza, verso la quale orienta il comportamento degli adulti e che fa abbracciare agli uomini nella loro tarda età.

Il Regno dei Cieli, cioè il grande mistero, che comprende il paradosso dell'Incarnazione, è una cosa seria, invano intravista da molti. Ma appartiene solo a chi assomiglia ai bambini.



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Il tuo sacerdote, raccolta di poesie di Gian Piero Stefanoni

 

Il tuo sacerdote

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