venerdì 10 aprile 2020

 





L'immagine può contenere: una o più persone e spazio al chiuso

IL MEMORIALE DELLA PASSIONE DEL SALVATORE, di San Tommaso D'Aquino (1225-1274)





IL MEMORIALE DELLA PASSIONE DEL SALVATORE
        San Tommaso D'Aquino (1225-1274) 


  I benefici immensi di cui il Signore ha colmato il popolo cristiano, elevano quest'ultimo ad una dignità inestimabile. Qual nazione infatti ha ed ha avuto mai i suoi dei così vicini, come il Signore, Iddio nostro, è vicino a noi? (cf. Deut. 4, 7). L'unico Figlio di Dio, nel disegno di renderei partecipi della sua divinità, ha assunto la nostra natura e s'è fatto uomo per divinizzare l'umanità. Tutto ciò che ci ha elargito, l'ha messo al servizio della nostra salvezza. Poiché, per la nostra riconciliazione, ha offerto il suo corpo a Dio Padre sull'altare della croce, ha sparso il suo sangue per riscattarci dalla nostra condizione di schiavi e per purificarci da tutti i nostri peccati col bagno di rigenerazione.
   Affinché si perpetuasse fra di noi il ricordo continuo di un beneficio tanto grande, ha lasciato ai credenti il suo corpo come nutrimento ed il suo sangue come bevanda sotto le specie del pane e del vino. O mirabile e prezioso banchetto che dà la salvezza e contiene la dolcezza piena! Che mai si potrebbe trovare di più prezioso di una mensa in cui ci viene offerto non tanto carne di vitelli e di capri, quanto il Cristo vero Dio? Che mai di più meraviglioso di questo sacramento, in cui il pane ed il vino sono sostanzialmente trasformati nel corpo e nel sangue di Cristo, al punto che Cristo stesso, Dio e uomo perfetto, è contenuto sotto le umili specie del pane e del vino!
   In verità, nulla è più utile alla nostra salvezza di questo
sacramento con il quale vengono purificati i peccati, crescono le virtù ed in cui si trova la pienezza di tutti i carismi spirituali. E' offerto nella Chiesa a profitto di tutti, i e morti, perché è stato istituito per la salvezza di ti gli uomini.
Nessuno è capace di esprimere come si conviene il sapore di questo sacramento in cui la dolcezza spirituale viene gustata alla sua sorgente, poiché vi si celebra il memoriale dell'amore incommensurabile che Cristo ha manifestato nella sua Passione.
   Gesù ha voluto che l'immensità di questo amore resti impressa nella parte più profonda ed intima del cuore dei credenti. Ed è questa la ragione per cui durante l'ultima Cena, allorché stava per passare da questo mondo al Padre, dopo aver celebrato la Pasqua insieme con i suoi discepoli egli ha istituito questo sacramento come ricordo perpetuo della sua Passione, come compimento delle antiche figure, come il più grande dei miracoli da lui compiuti e come la più grande consolazione per coloro che la sua assenza avrebbe addolorato.

  Lezioni per la festa del Corpo di Cristo, testo latino in «opuscula omnia», Lethielleux, Parigi 1927, pp. 464-466.

San Leone Magno, I cristiani partecipano alla morte e alla Risurrezione di Cristo



La Passione di Cristo, icona ucraina del XVI secolo, villaggio Urgeci 
(Museo Nazionale di Leopoli) 


I CRISTIANI PARTECIPANO ALLA MORTE 
E ALLA RISURREZIONE DI CRISTO
        San Leone Magno  (m. 461)


 

   La natura umana è stata assunta dal Figlio di Dio con una unione così perfetta, che non soltanto in quest'uomo che è il primogenito di ogni creatura (Col. 1,15), ma anche in tutti i suoi santi, Cristo è uno e identico. E come il capo non può essere separato dalle membra, così le membra non possono venire divise dal capo...
   Tutto quello che il Figlio di Dio ha fatto e insegnato per operare la riconciliazione del mondo, lo conosciamo dalla storia degli avvenimenti passati, e lo sperimentiamo anche nella potenza delle presenti azioni sacre. Nato da una madre vergine per opera dello Spirito Santo, egli feconda la sua Chiesa immacolata effondendo su di lei quello stesso Spirito, perché possa venire alla luce, mediante il parto del battesimo, l'immensa moltitudine dei figli di Dio. Di essi la Scrittura dice che non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma da Dio sono nati (Gv. 1,13). In Cristo è benedetta, nell'adozione di tutto il mondo, la discendenza di Abramo e il patriarca diviene padre di popoli, ora che gli nascono figli, non dalla carne, ma dalla sua fede nella promessa. E' Cristo che senza eccettuare nessuna razza, forma un unico gregge santo di tutte le nazioni che sono sotto il cielo. Ogni giorno adempie così ciò che aveva promesso: Ho altre pecore che non sono di questo ovile, anche quelle devo condurre, e ascolteranno la mia voce e ci sarà un solo gregge e un solo pastore (Gv. 10,16). Sebbene abbia detto soltanto a Pietro: Pasci le mie pecore (Gv. 21,17), tuttavia l'opera apostolica di tutti i pastori è sorretta unicamente dal Signore; egli nutre con la gioia dei suoi freschi pascoli coloro che si accostano a lui, che è la pietra. Per questo ci sono tante pecore che, fortificate dalla sovrabbondanza del suo amore, non esitano a morire per il loro pastore, come il buon Pastore si è degnato di dare la vita per le sue pecore. Insieme a lui soffre non solo la gloriosa fortezza dei martiri, ma anche la fede di coloro che rinascono nel travaglio della rigenerazione. Quando infatti si rinuncia al diavolo e si crede in Dio, quando il vecchio uomo passa a novità di vita, quando si depone l'immagine dell'uomo terreno per rivestire l'immagine celeste, si compie una specie di morte e una specie di risurrezione. Ricevuto da Cristo e ricevendo Cristo, il cristiano dopo il battesimo non è più quello di prima: i'l suo corpo diventa carne del crocifisso...
    Per questo la Pasqua del Signore è celebrata secondo la legge con gli azzimi della purezza e della verità (I Cor. 5,8): infatti, rigettato il fermento dell'antica malizia, la nuova creatura si inebria e si nutre del Signore stesso. La partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non è ordinata ad altro che a trasformarci in ciò che prendiamo come cibo, rendendoci così portatori integrali, nel nostro spirito e nella nostra carne, di colui nel quale e col quale siamo morti, sepolti e risuscitati. 


* Sermo XII - De Passione Domini, VI-VII: PL. 54, 355-357.





giovedì 9 aprile 2020

La Passione di Gesù



LA PASSIONE DI CRISTO

La Passione del Signore Gesù Cristo, icona ucraina del XVI secolo  



        San Giovanni Crisostomo (m. 407)


    Oggi il Signore Gesù è sulla croce e noi facciamo festa: impariamo così che la croce è festa e solennità dello spirito. Un tempo la croce era nome di condanna, ora è diventata oggetto di venerazione; un tempo era simbolo di morte, oggi è principio di salvezza. La croce è diventata per noi la causa di innumerevoli benefici: eravamo divenuti nemici e ci ha riconciliati con Dio; eravamo separati e lontani da lui, e ci ha riavvicinati con il dono della sua amicizia. Essa è per noi la distruzione dell'odio, la sicurezza della pace, il tesoro che supera ogni bene.
     Grazie alla croce non andiamo più errando nel deserto, perché conosciamo il vero cammino; non restiamo più fuori della casa del re, perché ne abbiamo trovato la porta; non temiamo più le frecce infuocate del demonio, perché abbiamo scoperto una sorgente d'acqua. Per mezzo suo non siamo più nella solitudine, perché abbiamo ritrovato lo sposo; non abbiamo più paura del lupo, perché abbiamo ormai il buon pastore. Egli stesso infatti ci dice: lo sono il buon pastore (Gv. 10,11). Grazie alla croce non ci spaventa più l'iniquità dei potenti, perché sediamo a fianco del re.
    Ecco perché facciamo festa celebrando la memoria della croce. Anche san Paolo invita ad essere nella gioia a motivo di essa: Celebriamo questa festa non con il vecchio lievito... ma con azzimi di sincerità e di verità (1 Cor. 5, 8). E, spiegandone la ragione, continua: Cristo infatti, nostra Pasqua, è stato immolato per noi (1 Coro 5, 7). Capite perché Paolo ci esorta a ,celebrare la croce? Perché su di essa è stato immolato Cristo. Dove c'è il sacrificio, là si trova la remissione dei peccati, la riconciliazione con il Signore, la festa e la gioia. Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato per noi. Immolato, ma dove? Su un patibolo elevato da terra. L'altare di questo sacrificio è nuovo, perché nuovo e straordinario è il sacrificio stesso. Uno solo è infatti vittima e sacerdote: vittima secondo la carne, sacerdote secondo lo spirito...
    Questo sacrificio è stato offerto fuori dalle mura della città per indicare che si tratta di un sacrificio universale, perché l'offerta è stata fatta per tutta la terra. Si tratta di un sacrificio di espiazione generale, e non particolare come quello dei Giudei. Infatti ai Giudei Dio aveva ordinato di celebrare il culto non in tutta la terra, ma di offrire sacrifici e preghiere in un solo luogo: la terra era infatti contaminata per il fumo, l'odore e tutte le altre impurità dei sacrifici pagani. Ma per noi, dopo che Cristo è venuto a purificare tutto l'universo, ogni luogo è diventato un luogo di preghiera. Per questo Paolo ci esorta audacemente a pregare dappertutto senza timore: Voglio che gli uomini preghino in ogni luogo, levando al cielo mani pure (1 Tim. 2,8). Capite ora fino a che punto è stato purificato l'universo? Dappertutto infatti possiamo levare al cielo mani pure, perché tutta la terra è diventata santa, più santa ancora dell'interno del tempio. Là si offrivano animali privi di ragione, qui si sacrificano vittime spirituali. E quanto più grande è il sacrificio, tanto più abbondante è la grazia che santifica. Per questo la croce è per noi una festa.


 Eis ton stauron kai eis ton lesten,  Omelia 1: P.G. 49, 399-401.

LA PASSIONE DI CRISTO, RAGIONE DELLA NOSTRA FIEREZZA, di Sant'Agostino (354-430), vescovo di Ippona







LA PASSIONE DI CRISTO, RAGIONE DELLA NOSTRA FIEREZZA


                              Sant'Agostino (354-430), vescovo di Ippona



   La Passione di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo è una testimonianza di gloria ed un insegnamento di pazienza e di rassegnazione. Che cosa non può aspettarsi dalla grazia divina il cuore dei credenti, per i quali il Figlio unico e coeterno del Padre non solo si è accontentato di nascere uomo fra gli uomini, ma ha anche voluto morire per mano degli uomini da lui stesso creati? Grandi sono le promesse del Signore. Ma ciò che ha compiuto per noi ed il cui ricordo rinnoviamo continuamente, è assai più grande ancora. Donde erano e chi erano quegli empi per i quali Cristo è morto? Ha loro offerto la sua morte: chi mai potrebbe dubitare che darà ai giusti la sua vita? Perché la debolezza umana esita a credere che verrà un giorno in cui gli uomini vivranno con Dio? Ciò che è già avvenuto è di gran lunga più incredibile: Dio è morto per gli uomini.
  Chi è Cristo, se non ciò che la Sacra Scrittura dice: In principio era il Verbo, ed il Verbo era presso Dio, ed il Verbo era Dio? (Gv. 1, 1). Questo Verbo di Dio si è fatto carne, ed abitò tra noi (Gv. 1, 14). Egli non avrebbe avuto in sé alcunché di mortale, se non avesse preso da noi una carne mortale. Così, !'immortale poté morire; così, egli volle donare la sua vita ai mortali. In seguito, farà partecipare della sua vita coloro la cui condizione ha in un primo tempo condivisa. Alla nostra sola essenza di uomini non apparteneva la possibilità di vivere, come alla sua non apparteneva quella di morire. Fece dunque con noi questo scambio mirabile: prese da noi ciò per cui è morto, mentre noi prendiamo da lui ciò per cui vivremo... Non solo non dobbiamo provare vergogna per la morte di Dio nostro Signore, ma dobbiamo ricavarne la più grande fiducia e la più grande fierezza. Nel ricevere da noi la morte che ha trovato in noi, ci ha fedelmente promesso di darci la vita in lui, quella vita che non potevamo avere da noi stessi. E se colui che è senza peccato ci ha amati al punto da subire per noi, peccatori, ciò che avremmo meritato per il nostro peccato, come potrà non darci ciò che è giustizia, lui che ci giustifica e ci discolpa? Come non darà ai giusti la loro ricompensa, lui che è fedele alle sue promesse e che ha subito la pena dei colpevoli? Riconosciamo senza timori, fratelli miei, e proclamiamo che Cristo è stato crocifisso per noi. Diciamolo senza timore e con gioia, senza vergogna e con fierezza. L'apostolo Paolo l'ha visto, lui che ne ha fatto un titolo di gloria. Dopo aver rammentato le grandi e numerose grazie ricevute da Cristo, non dice che si vanta di queste meraviglie, bensì afferma: Quanto a me, non sia mai che mi glorii d'altro se non della croce del Signore nostro Gesù Cristo (Gal. 6, 14).

  Trattato sulla Passione del Signore (Serm. Guelferb. 3): PLS 2, 545-546.









Il PANE E IL VINO DELLA NUOVA ALLEANZA, di San Cirillo di Gerusalemme (313-380)


L'Ultima Cena

Qual era il menù dell'Ultima Cena? - Focus.it
                                        
          Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna



       San Cirillo di Gerusalemme (313-380)


Dalla sua predicazione che pronunciò nel 348.


   La notte in cui fu tradito, il Signore Gesù prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate: questo è il mio corpo. Poi prese il calice e disse: Prendete e bevete: questo è il mio sangue (cf. 1 Coro 11, 23-25). Se, dunque, egli stesso, parlando del pane, ha apertamente dichiarato: Questo è il mio corpo, chi oserà d'ora in avanti dubitare? E se egli stesso a questo punto dice in tono affermativo: Questo è il mio sangue, chi potrà avere ancora delle esitazioni o dirà che quello non è il suo sangue?...
    E' dunque con certezza piena che noi partecipiamo in tal modo del corpo e del sangue di Cristo. Infatti, sotto forma di pane ti viene dato il corpo, e sotto forma di vino ti viene dato il sangue, affinché tu divenga, partecipando del corpo e del sangue di Cristo, un solo corpo ed un solo sangue con lui. In questo modo, noi diventiamo portatori di Cristo, in quanto il suo corpo ed il suo sangue si diffondono nelle nostre membra. E così, secondo San Pietro, noi diventiamo partecipi della natura divina (2 Pt. 1, 4).
     Una volta Cristo disse, conversando con i Giudei: Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita (Gv. 6, 53). Ma essi non ascoltarono queste parole con l'orecchio dello spirito, e se ne andarono scandalizzati, pensando che il Signore li invitasse a un normale pasto.
Già nell'Antico Testamento c'erano i pani di proposizione. : ora non vi è più posto per offrire questi pani dell'Antica Alleanza. Nella Nuova Alleanza, vi è un pane celeste un calice di salvezza (cf. Sal. 115, 4) che santificano lima e il corpo. Infatti come il pane si accorda col corpo, ;ì il Verbo si armonizza con l'anima.
Non fissare dunque la tua attenzione sul pane e sul o come se si trattasse di essi soli, perché secondo l'affermazione del Maestro si tratta di corpo e di sangue.
La
fede ti aiuti per ciò che la percezione dei sensi ti suggerisce. Non giudicare la realtà in base al gusto, al sapore, ma in base alla fede.
Quanto tu hai imparato ti dà questa certezza: ciò che sembrava pane, pane non è, anche se ne possiede il sapore, ma
il corpo di Cristo; e ciò che ritenevi vino, vino non è, anche se tale dovesse sembrare al palato, ma il sangue di Cristo. Davide ha detto una volta in un salmo: ...ch'ei possa d'olio far nitido il volto; e il pane gli rinfranchi il cuore (Sal., 15). Rinfranca dunque il tuo cuore prendendo questo le spirituale e rendi nitido il volto della tua anima. E possa tu, a viso scoperto e con purezza di coscienza, rifletre come uno specchio la gloria del Signore.

  Catechesi mistagogica, 1, 3-6, 9, PG 33, 1098-1102, 1103.

domenica 5 aprile 2020

Le preghiere della Settimana Santa




La Passione di Gesù, icona ucraina del XVI secolo 
 



SETTIMANA SANTA



Nella Settimana santa la Chiesa celebra i misteri della salvezza portati
a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita,
a cominciare dal suo ingresso messianico in Gerusalemme.
Il tempo quaresimale continua fino al Giovedì santo.
Dalla Messa vespertina “nella Cena del Signore” inizia il Triduo pasquale,
che continua il Venerdì santo “nella Passione del Signore” e il Sabato santo ha il
suo centro nella Veglia pasquale e termina ai Vespri della domenica di Risurrezione.
Le ferie della Settimana santa, dal lunedì al giovedì incluso, hanno
la precedenza su tutte le altre celebrazioni.
E’ opportuno che in questi giorni non si celebri né il Battesimo né la
Cresima. (Paschalis Sollemnitatis n. 27)

DOMENICA DELLE PALME
La Settimana santa ha inizio la domenica delle Palme “della Passione
del Signore” che unisce insieme il trionfo regale di Cristo e l’annunzio
della Passione. Fin dall’antichità si commemora l’ingresso del Signore
in Gerusalemme con la solenne processione, con cui i cristiani celebrano
questo evento, imitando le acclamazioni e i gesti dei fanciulli ebrei, andati
incontro al Signore al canto dell’”Osanna”.
I fedeli partecipano a questa processione portando rami di palma o di altri alberi.
Il sacerdote e i ministri precedono il popolo portando anch’essi le palme.
La benedizione delle palme o dei rami si fa per portarli in processione.
Conservate nelle case, le palme richiamano alla mente dei fedeli
la vittoria di Cristo celebrata con la stessa processione.
La secondo forma di commemorazione è l’ingresso solenne, quando
non può farsi la processione fuori della chiesa. La terza forma è
l’ingresso semplice che si fa in tutte le Messe della domenica, in cui
non si svolge l’ingresso solenne.

LUNEDI' SANTO
Il lunedì siamo condotti a Betania, sei giorni prima della Pasqua. Il racconto è in Giovanni (12,1-11): in casa di amici, ha luogo un banchetto. Marta serve, Lazzaro, che Gesù ha risuscitato, è uno dei commensali; Maria, presa una libbra di nardo puro, cosparge e lava i piedi di Gesù con il profumo che si spande e riempie tutta la casa. Il momento è densamente significativo: alcuni si scandalizzano ma Gesù gradisce molto il gesto d’amore folle della donna: in realtà, quel profumo è per la sua sepoltura. Quando, infatti, egli morirà e sarà sepolto, poiché gli amici non avranno il tempo per tergere il suo corpo e profumarlo come avrebbero voluto, il solo profumo che rimane è quello di Betania. Esso resta anche come segno della dedizione e consegna di Maria al Maestro, come se lei stessa fosse divenuta il profumo di Gesù. La sola unzione che Gesù ha ricevuto in vista della morte, è questa.
In questo lunedì leggiamo il primo Canto del Servo del Signore (Is 42,1-7).

MARTEDI' SANTO
Il martedì la Chiesa si sofferma sulla consapevolezza di Gesù che lo tradiranno, proprio uno dei Dodici ed anche Pietro (Gv 13,21-33.36-38). Possiamo dire che ha inizio quella intima sofferenza di Gesù che culmina nel Getsemani e che alcuni mistici, come la Beata Camilla Battista da Varano, e J.H. Newman, chiamano: «I dolori mentali del Salvatore».
Il secondo Canto del Servo (Is 49,1-6) apre una breccia per farci conoscere l’intima consapevolezza di Gesù nell’imminenza della passione, la sua fiducia e la sua preghiera di abbandono.

MERCOLEDI' SANTO
Il Mercoledì Santo ricordiamo la triste storia di uno che è stato Apostolo di Cristo: Giuda. Così ne parla S. Matteo nel suo Vangelo: Uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?”. E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo.


Sacro Triduo Pasquale:
Il Santo Triduo è il vertice di tutto l’anno liturgico.
La Messa del giovedì sera è già l’inizio del Triduo santo della passione, morte, sepoltura e risurrezione del Signore che termina poi con i Vespri della domenica di Pasqua.


GIOVEDI' SANTO 
 ULTIMA CENA
Il giovedì, al mattino, una sola Eucaristia nelle diocesi, per la consacrazione degli Oli Santi e la memoria del Sacerdozio unico di Gesù, partecipato a tutto il popolo e per esso, in maniera tutta speciale, ai vescovi, presbiteri e diaconi.
È la festa di tutto il popolo sacerdotale e, per questo, i fedeli sono invitati a partecipare insieme al vescovo e agli altri ministri ordinati. Vengono benedetti: il crisma, olio d’oliva o di altre piante misto ad essenze profumate, olio che consacra i re, i profeti e i sacerdoti, nel battesimo, nella cresima, nell’ordine e nei segni dell’altare e dell’edificio chiesa; l’olio per i Catecumeni, che conferisce la forza dello Spirito per la lotta contro il male; l’olio degli infermi che dona lo Spirito Santo per offrire in sacrificio il proprio dolore, strappargli la sua negatività e farlo divenire redenzione e salvezza unendolo a quello di Gesù, guarendo lo spirito e spesso anche il corpo dei fedeli.

La sera del giovedì santo: 
«Messa nella Cena del Signore»
All’inizio della Messa nella Cena del Signore, sono recati in processione gli Oli nuovi che tutta la comunità saluta ed accoglie; il diacono o il sacerdote li depone sulla mensa dell’altare, li incensa e poi va a deporli nella loro custodia che solitamente è presso il battistero; verranno usati nella notte di Pasqua per i sacramenti ai battezzandi.
La Chiesa fa memoria questa sera dell’Istituzione dell’Eucaristia, del sacerdozio ministeriale e ricorda il «mandato» del Signore: «Fate questo in memoria di me», «Amatevi come io vi ho amato », fino a consegnare la vostra stessa vita.
Ogni comunità si raduna attorno ai propri presbiteri nell’unica celebrazione. L’Evangelo di Gesù che lava i piedi ai suoi durante la cena, è l’altro modo per dirci che cosa egli fece della sua vita; è la sconvolgente manifestazione di Dio che si china dinanzi agli uomini per compiere un gesto da schiavo, per deporre ai loro piedi la propria vita, tutta versata per lavarli.


VENERDI' SANTO 
nella passione del Signore
In questo giorno, per antichissima tradizione, la Chiesa non celebra l’Eucarestia. La Liturgia che si celebra oggi è detta «Celebrazione della Passione del Signore», essa è una vera azione sacramentale cui bisogna dare precedenza sul pio esercizio della «Via Crucis», invitando i fedeli a parteciparvi numerosi. L’azione liturgica si svolge verso le ore 15 che corrispondono all’ora nona della morte del Signore sulla croce (cf Mt 27,45) a meno che, per motivi pastorali, non si ritenga necessario disporla per altro orario, ma non oltre le ore 21.
 
 La liturgia si svolge in tre momenti:
Liturgia della Parola;
Adorazione della Croce;
La Comunione eucaristica.

SABATO SANTO 
Veglia Pasquale
«Per antichissima tradizione questa è la notte di veglia in onore del Signore» (Es 12,42). I fedeli, portando in mano, secondo l’ammonimento del Vangelo (Lc 12,35 ss), la lampada accesa, assomigliano a coloro che attendono il Signore al suo ritorno in modo che, quando egli verrà, li trovi ancora vigilanti e li faccia sedere alla sua mensa. L’intera celebrazione della Veglia pasquale si svolge di notte; essa quindi deve incominciare dopo l’inizio della notte e terminare prima dell’alba della domenica»



 https://www.preghiereperlafamiglia.it/settimana-santa.htm

L’ingresso di Gesù a Gerusalemme, di Fabrizio Bisconti



L’ingresso di Gesù a Gerusalemme

di Fabrizio Bisconti


Codex Purpureus Rossanensis | Dettaglio tavola




Codice di Rossano Calabro. Rappresentazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme (VI secolo)

Una complessa e suggestiva scena tra IV e VI secolo

    Nella plastica funeraria prodotta nella seconda metà del iv secolo e cioè dal tempo dei Costantinidi a quello di Teodosio spunta una scena complessa, che riproduce il festoso ingresso di Cristo in Gerusalemme. La scena è costituita dalla giovane figura di Gesù, vestito di tunica e pallio, che incede verso destra sul dorso di un’asina, facendo il solenne gesto della parola.
    L’episodio, ricord
ato dai Vangeli (Matteo 21, 6-9; Marco 11, 4-11; Luca 19, 32-38; Giovanni 12, 14-16), viene tradotto in figura modellandosi sull’iconografia dell’adventus imperiale, proponendo una sorta di contrappunto figurativo, nel senso che il solenne ingresso dell’imperatore viene declinato nel festoso arrivo di Gesù, che ha le sembianze di un fanciullo imberbe, con una leziosa acconciatura a boccoli, nel mentre cavalca un’umile asina, accompagnata da un puledro che a malapena si tiene sulle zampe, secondo il racconto dell’evangelista Matteo.
  La figura del piccolo re, che incede verso la città di Gerusalemme, attorniato dagli apostoli, è accolta da un personaggio, di modulo minore, che stende un mantello davanti a Cristo, mentre una piccola folla acclama festosa.
   Se la scena appare già nel celebre sarcofago di Giunio Basso, prefetto dell’Urbe, morto nel 359, essa trova una definizione iconografica nei sarcofagi di Bethesda, un gruppo di arche marmoree prodotte nelle officine romane nell’ultimo scorcio del iv secolo. Si tratta di circa venti esemplari di raffinatissima realizzazione, ordinati da committenti di altissimo rango e di elevatissimo potenziale economico. Tutti questi sarcofagi, dispersi un po’ in tutto il mondo cristiano antico — anche se sono rimasti pressoché intatti quello dei Musei Vaticani, quello di Ischia, quello di Tarragona e quello atipico di Pretestato — propongono la stessa sequenza figurativa, con scene di tipo cristologico: su uno sfondo urbico, si snodano la guarigione dei ciechi, quelle dell’emorroissa, del paralitico, del servo del centurione, l’ingresso di Cristo in Gerusalemme.
   Quest’ultima scena, sicuramente la più complessa e la più articolata, funge da estuario semantico della sequenza evangelica e propone un interessante particolare che, a un primo sguardo, può sfuggire all’osservatore. Tra gli alberi, che contornano l’animato episodio, si intravede una piccola figura, che può essere facilmente identificata con Zaccheo, noto per la narrazione incastonata nel vangelo di Luca (19, 1-10): «Entrato in Gerico, Gesù attraversa la città. Ed ecco che un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse in quel luogo Gesù alzò lo sguardo e disse: “Zaccheo, scendi subito, poiché oggi devo fermarmi a casa tua”. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia».
  La chiamata di Zaccheo e l’ingresso di Cristo in Gerusalemme propongono, dunque, un fenomeno di contaminazione iconografica, forse per l’analogia figurativa, che si intrattiene tra coloro che tagliano i rami degli alberi per far festa al Salvatore e il piccolo pubblicano, che si arrampica sul sicomoro.
    Tornando all’animato ingresso del Cristo in Gerusalemme — come abbiamo anticipato — l’arte recupera, in un libero adattamento, le epifanie imperiali e, in particolare, quelle rappresentazioni che ritraggono l’imperatore a cavallo, accolto da una folla acclamante. Secondo questo schema, la scena viene rappresentata, più tardi, anche in pittura, come succede nel programma figurativo dell’ipogeo di Santa Maria in Stelle nei pressi di Verona, già riferibile alla prima metà del v secolo e in una scena, oramai poco giudicabile, della catacomba siracusana di Vigna Cassia, ancora della fine del iv secolo.
  L’episodio evangelico ricorre, poi, su alcuni avori del v e del vi secolo, trovando la sua manifestazione più definita in una formella della cattedra eburnea del vescovo ravennate Massimiano negli anni centrali del vi secolo.
  La scena, più o meno dettagliata, entra nel giro delle raffigurazioni miniate di alcuni celebri codici, come quello del Corpus Christi College, quello di Rabbula e quello di Rossano Calabro, preparando i cicli cristologici del Medioevo.
  Tutte queste testimonianze figurative, che si affacciano nel più antico repertorio iconografico cristiano, vogliono fissare il momento in cui Gesù è ormai giunto alla periferia di Gerusalemme, nel quartiere di Betfage, sulle pendici del monte degli Ulivi. L’ingresso trionfale nella città santa può essere letto in chiave messianica, richiamando la profezia di Zaccaria (9, 9), ma anche la festa gioiosa delle Capanne, quando si compiva il rito processionale delle fronde e si intonavano i Salmi al Signore.

di Fabrizio Bisconti

https://www.vaticannews.va/it/osservatoreromano/news/2020-04/l-ingresso-di-gesu-a-gerusalemme.html

Post più popolari negli ultimi 30 giorni