venerdì 2 agosto 2019

Il linguaggio simbolico nell'arte cristiana a cura di Maria Cristina Ricciardo




Il linguaggio simbolico nell'arte cristiana
 a cura di Maria Cristina Ricciardo
        


IL SIMBOLO E L'ALLEGORIA
Nell’arte figurativa, con particolare riguardo al formarsi e al tramandarsi delle immagini, è universalmente diffuso il procedimento di significare determinate cose mediante la rappresentazione di cose diverse, vale a dire mediante il simbolo, termine greco che in origine significava "accostamento". Quale che sia la definizione e l’applicazione di questo concetto nel campo filosofico, religioso, letterario, esso presuppone comunque una sostituzione di segni e perciò ha un fondamento originario nel campo del visibile, che è quello dell’immaginazione e della espressione dell’arte. Ovviamente nella rappresentazione simbolica esiste, tra figura significante e cosa significata, un rapporto concettuale immediato e diretto, che implica una loro rispondenza automatica, reversibile e, quasi, una loro identificazione: questo spiega i profondi legami della simbologia con l’immaginazione religiosa e spiega anche perché il nostro lavoro abbia privilegiato quello religioso tra i vari aspetti culturali.
In una sfera intellettualmente più elaborata, s’incontrano rappresentazioni allusive che hanno una loro compiuta autonomia figurativa rispetto alla realtà concreta o all’idea astratta cui esse si riferiscono (come può essere, ad esempio, una determinata immagine femminile per significare la pace, una virtù, ecc.): in questi casi si usa il termine di allegoria che, sempre dal greco, vuol dire "discorso per un altro".  Pur nella loro sostanziale differenza, il simbolo e l’allegoria appaiono talvolta non facilmente distinguibili nella storia dell’arte e delle iconografie artistiche, e sono di fatto spesso confusi o identificati fra loro. Pertanto possono essere studiati unitariamente per ciò che concerne i problemi teorici e la storia del pensiero critico.


SIMBOLO E ALLEGORIA NELL'ARTE
E’ evidente che tanto il simbolo quanto l’allegoria, per le loro stesse definizioni concettuali generali, sono semplici modi di espressione che in sé non hanno un valore estetico.
Il simbolo, infatti, consiste nella presentazione di un segno o di una immagine (significante) che fa riferimento ad una realtà (significato) che è diversa dall’immagine stessa, ma che finisce per identificarsi con essa. Il simbolo si presenta dunque come una connessione naturale ed ha carattere quasi magico, di valore assoluto ed esclusivo, di unicità riassuntiva; fa quindi parte di un patrimonio di nozioni generali usato nell’espressione artistica. In questa incisione, ad esempio, il segno, il significante, assume  il significato di una cosa reale, la figura umana,  diversa dal segno stesso, che è una sorta di semplificazione e di sintesi.




Incisione rupestre, Val Camonica, V Millennio a.C. 

Nell’allegoria, invece, il significante, la figura femminile, e il significato, la pace, sono sempre distinti  e tra di loro non c’è riferimento diretto; tale riferimento si istituisce piuttosto per una intenzionale trasposizione di significati. Proprio perché è fondamentalmente una translatio, fin dall’antico l’allegoria è stata spesso associata alla metafora, anzi considerata come uno sviluppo discorsivo di questa: nell’allegoria la cosa espressa (significato) non solo vale concettualmente più dell’immagine  che la esprime (significante), e che viene posta su un  piano  inferiore, strumentale.



A. Lorenzetti,Allegoria della pace, Siena XIV secolo

IL LINGUAGGIO SIMBOLICO NEL CRISTIANESIMO
Il simbolismo e l’allegorismo dell’arte paleocristiana derivano direttamente dall’esempio e dalle immagini poetiche delle Sacre Scritture e dei Vangeli. La necessità di una base concettuale e culturale più estesa si fa però sentire assai presto, sia per il progressivo rifiuto dei valori naturalistici della rappresentazione figurativa, troppo legata al mondo pagano, sia anche in concomitanza della lotta contro le eresie, che favorì la formazione di un’iconografia teologicamente ortodossa. Tale base concettuale è data non da  trattati specifici, ma piuttosto da vari testi filosofici e letterari, dai quali le arti figurative derivano in notevole misura  repertori tematici e procedimenti di simbolizzazione e di allegorizzazione.
Così, ad esempio, è certa l’importanza dei testi dei grammatici, nei quali si istituiva uno stretto rapporto tra studio (spesso arbitrario) delle etimologie e allegoria: fondamentali, in proposito, furono le
Etymologiae di Isidoro da Siviglia. Altrettanto importanti e cospicue furono le traduzioni letterarie in allegorie cristiane degli scritti di poeti e di filosofi greci e latini.
Ma naturalmente l’interesse maggiore si concentrò sull’interpretazione allegorica delle Sacre Scritture, già di per sé ricche di passi allegorici e simbolici, e delle opere dei Padri della Chiesa e dei filosofi cristiani: attraverso questi scritti si diffuse anche il gusto per la presentazione parallela di episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento (concordatio charitatis).
Il filone più fecondo, peraltro, è quello che traduce in allegorie i simboli paleocristiani e crea immagini allegoriche nuove, atte ad esprimere le idealità della nuova cultura. Il processo di allegorizzazione, che prevalentemente si attua mediante la personificazione, si orienta su due distinte direttive: l’una che tende a dare una presentazione statica delle immagini allegoriche, come nel caso delle personificazioni delle Virtù; l’altra è quella che raffigura queste immagini in un contesto narrativo che segue lo schema della contesa tra il Bene e il Male: ricordiamo in proposito la
Psychomachia di Aurelio Prudenzio Clemente (384-410), che descrive la lotta della Fede (Cristo) contro i regni di Sodoma e Gomorra (i Vizi) che tentano Lot (l’Anima umana).
Bisogna anche accennare alla formazione di immagini allegoriche di tipo non strettamente religioso, come quelle delle Arti del Trivio e del Quadrivio, delle Arti Liberali e di quelle Meccaniche, già nei testi di Filone Ebreo e di S. Agostino, poi particolarmente nei poemi carolini di Teodulfo, nei quali si trova la personificazione allegorica dei segni dello Zodiaco.
Diffusa è anche l’allegorizzazione delle nozioni scientifiche e storiche, che sono così ricondotte ad una visione generale di carattere moralistico: ricordiamo il
De Natura Rerum, le Chronicae e il Liber de Viris Illustribus di Isidoro da Siviglia; le opere cronologiche e cosmografiche del Venerabile Beda; il De Universo di Rabano Mauro, che dà l’avvio ad un genere di trattazioni enciclopediche; a questo stesso tipo di testi scientifico-allegorici si possono collegare i "bestiari" dell'epoca romanica.




Unicorno, dal Bestiario latino

Per quanto riguarda più particolarmente le arti figurative, la consapevolezza del loro carattere simbolico e allegorico appare costante in tutto il Medioevo, fin da quando si volle dare una giustificazione teologica alle immagine della divinità per confutare l’eresia iconoclastica; già Gregorio Magno (Epistulae, III, IV) e Gregorio Il (in una lettera indirizzata proprio al promotore dell’iconoclastia, Leone Isaurico) teorizzano il simbolismo e l’allegorismo dell’arte medievale, enunciando il concetto che l’arte debba "demonstrare invisibilia per visibilia".
Alla fine del secolo VIII, nei Libri Carolini, si nota un atteggiamento diverso, che potremmo in certo modo definire laico: la cultura carolingia non intende, in effetti, negare la qualità simbolico-allegorica delle opere d’arte, bensì dare loro anche un valore estetico autonomo al di là della pura e semplice funzione teologico-didattica cui tendevano i processi di allegorizzazione e di simbolizzazione.
Con questo si ribadiva l’idea di una relativa insufficienza dell’arte, rispetto alla parola scritta, ad esprimere contenuti concettuali: gli stessi Libri Carolini raccomandano l’aggiunta di tituli e
superscriptiones esplicativi delle immagini figurate.
L’abate Sugerio, proprio negli anni in cui attende alla costruzione dell’abbazia di S. Denis (consacrata nel 1044), pur ritenendo che non ci sia legame tra la bellezza visibile e quella invisibile, considera tuttavia le immagini necessarie per la conoscenza delle cose invisibili e quindi finalizzate a mostrare la sapienza di Dio.
Un atteggiamento diverso, che rifiuta la connessione tra le due bellezze (visibile ed invisibile) è invece implicito nel pensiero di Bernardo da Chiaravalle: nella sua famosa invettiva (
Apologia ad Guillelmum, c. 1123), contro la "deforme bellezza e la bella deformità" delle sculture dei chiostri, afferma l’autonomia dell’opera d’arte, considerata insufficiente ad esprimere concetti teologici, ma anche tale da distrarre dalla meditazione su questi, per le sue qualità formali. Ma ciò, evidentemente, non si riduce ad un rifiuto teologico dell’arte: piuttosto indica le esigenze di una nuova spiritualità.


IL SIMBOLISMO PALEOCRISTIANO
Il patrimonio di simboli è particolarmente ricco sia nell’ambiente giudaico, sia in quello cristiano; nell’uno e nell’altro, tuttavia, l’identificazione tra segno e immagine ha ridotto i simboli quasi a livello di geroglifici, togliendo loro ogni valore e intenzionalità artistica; infatti la criptografia vi ha larga parte, con vari significati per singole lettere e gruppi di esse, basti pensare al nome stesso di Cristo.
Il sistema del simbolo era consono alla mentalità giudaica: "Tutte le cose che dissero i profeti le avvilupparono con parabole e figure" e lo stesso vale per l’insegnamento evangelico.
L’identità tra segno e immagini si spezza, sia per gli Ebrei che per i cristiani, quando viene meno la necessità di nascondere la propria fede e, contemporaneamente, per influsso della cultura ellenistico-romana che tendeva a dare forma d’arte ad ogni opera figurativa; motivo determinante fu anche la necessità di ornare i nuovi edifici di culto.
Tutta la cultura e la spiritualità dell’Alto Medioevo riconoscono nel simbolismo e nell’allegorismo gli schemi espressivi della concezione del mondo terreno e ultraterreno. Arte, scienza e filosofia sono figlie dello stesso Dio e si esprimono con parole che, pur avendo un significato diverso, tendono tutte all’armonia superiore. Malgrado questa unità di fondo, il simbolismo prende forme diverse: in primo luogo bisogna distinguere il simbolismo dei primi secoli del Cristianesimo dall’allegorismo romanico e gotico, derivato dal pensiero della filosofia scolastica.
Il simbolismo paleocristiano esprime infatti qualcosa di naturale e di gioioso, come se l’Annuncio, la persecuzione e il martirio non fossero che premessa alla futura felicità.
Proprio per il carattere semplice e idillico del simbolismo paleocristiano ebbe più fortuna la parabola che l’allegoria vera e propria: la parabola è infatti legata a un esempio specifico e verosimile (il buon pastore, i vendemmiatori), mentre l’allegoria si basa su una generalizzazione razionale e intellettuale.
Che si tratti di simboli, di allegorie, di metafore, in ogni caso il patrimonio iconografico cristiano si forma con l’apporto delle esperienze figurative provenienti sia dall’oriente che dall’occidente e che affondano le loro radici in un lontanissimo passato: questo è il motivo per cui il lavoro che segue ripercorre fin dalla preistoria le testimonianze dell’esigenza dell’uomo ad esprimere le sue certezze e le sue paure, la sua concezione del mondo e, soprattutto, la sua religiosità, attraverso il linguaggio dei simboli .







Fonte :  http://www.cortonagiovani.it/progettididattici/simboli/prima.htm
Il linguaggio simbolico nell'arte cristiana . Dalle origini al VI secolo .
Progetto a.s. 2002-2003
Coordinatore Prof.ssa Maria Cristina Ricciardo








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