S.E. Mons.
Giancarlo Vecerrica
Vescovo di
Fabriano - Matelica
DIAMO FORMA
ALLA BELLEZZA
DELLA VITA
CRISTIANA
Lettera
pastorale - 25 marzo 2006
1.
Carissimi sacerdoti, diaconi e catechisti, religiosi e laici,
nella mia prima Lettera pastorale "Chiesa, torna ad educare!" ho insistito sulla necessità dell'educazione a vivere la fede come risposta ad un bisogno profondo di ciascun uomo e donna, mostrando come la formazione sia la questione decisiva della vita di ogni persona a qualsiasi età. Con voi ringrazio Dio per il dono della vita e della fede e per chi ce l'ha comunicata.
Nessuna relazione può pretendere di essere educativa se non è un incontro che attrae profondamente, che conquista e libera. Infatti solo l'esperienza della bellezza, cioè dell'attrazione e del fascino suscitato da tante realtà, ci strappa da noi stessi, ci fa porre come afferma il Papa Benedetto XVI nell'Enciclica Deus Caritas est 1 «domande decisive su chi è Dio e chi siamo noi» (n. 2) donandoci il «pregustamento del vertice dell'esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende» (n. 4). La Chiesa propone una Bellezza senza fine, 2 quella che «rifulge sul Volto di Cristo» (2 Cor 4, 6).
L'imminente Visita pastorale del Vescovo alle comunità parrocchiali e associative della Diocesi desidera contribuire a renderci tutti consapevoli della bellezza della fede: la vita cristiana è una via di Bellezza. Il mio intento è quello di presentare a tutti, in particolare ai ragazzi e ai giovani, il fascino dell'incontro con Gesù, oggi, nella comunità cristiana. Guidati dallo Spirito Santo e tramite i mezzi che la tradizione secolare della Chiesa ci offre, cerchiamo di riscoprire ciò che entusiasmò S. Agostino: «Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova. Sì, perchè tu eri dentro di me, e io me ne stavo fuori. Lì ti cercavo, io deforme mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in Te. Mi chiamasti ed il tuo grido sfondò la mia sordità. Mi illuminasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità. Diffondesti la tua fragranza e respirai e ora anelo verso di Te. Ti gustai ed ebbi fame e sete di te; mi toccasti, e arsi del desiderio della tua pace» (Confessioni X, 27). A questa scoperta corrisponde la definizione di S. Tommaso d'Aquino. «La bellezza consiste in due realtà: lo splendore e la proporzione delle parti. La verità detiene la causa dello splendore e l'uguaglianza assicura le proporzioni» (In quatuor Libros Sententiarum, I, dist. 3, 2).
Desidero che tutta la Diocesi, impegnata nel Convegno ecclesiale di Verona, renda visibile e reale il tema proposto: «Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo», vivendo la liturgia, la catechesi e la carità come splendore della verità del Cristo Signore. Tornando dal pellegrinaggio giovanile in Terra Santa, all'inizio di gennaio 2006, avevo questa percezione: come Gesù abbia scelto sempre persone vere e luoghi belli; facendo percepire questo ai giovani, citavo il poeta Paul Claudel: «Ah, come è bello il mondo!», e parafrasavo «e come è bello Dio!». Le nostre comunità sono veramente belle, ma è come se non ce ne rendessimo conto; i nostri giovani cercano le cose belle, ma andando talvolta dietro alle apparenze, restano delusi, da tutto, da tutti. Le nuove generazioni hanno bisogno di testimoni della bellezza; 3 uno di tali testimoni era d. Luigi Giussani: «Toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita, e così ha trovato Cristo, in Cristo la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia» 4.
nella mia prima Lettera pastorale "Chiesa, torna ad educare!" ho insistito sulla necessità dell'educazione a vivere la fede come risposta ad un bisogno profondo di ciascun uomo e donna, mostrando come la formazione sia la questione decisiva della vita di ogni persona a qualsiasi età. Con voi ringrazio Dio per il dono della vita e della fede e per chi ce l'ha comunicata.
Nessuna relazione può pretendere di essere educativa se non è un incontro che attrae profondamente, che conquista e libera. Infatti solo l'esperienza della bellezza, cioè dell'attrazione e del fascino suscitato da tante realtà, ci strappa da noi stessi, ci fa porre come afferma il Papa Benedetto XVI nell'Enciclica Deus Caritas est 1 «domande decisive su chi è Dio e chi siamo noi» (n. 2) donandoci il «pregustamento del vertice dell'esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende» (n. 4). La Chiesa propone una Bellezza senza fine, 2 quella che «rifulge sul Volto di Cristo» (2 Cor 4, 6).
L'imminente Visita pastorale del Vescovo alle comunità parrocchiali e associative della Diocesi desidera contribuire a renderci tutti consapevoli della bellezza della fede: la vita cristiana è una via di Bellezza. Il mio intento è quello di presentare a tutti, in particolare ai ragazzi e ai giovani, il fascino dell'incontro con Gesù, oggi, nella comunità cristiana. Guidati dallo Spirito Santo e tramite i mezzi che la tradizione secolare della Chiesa ci offre, cerchiamo di riscoprire ciò che entusiasmò S. Agostino: «Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova. Sì, perchè tu eri dentro di me, e io me ne stavo fuori. Lì ti cercavo, io deforme mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in Te. Mi chiamasti ed il tuo grido sfondò la mia sordità. Mi illuminasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità. Diffondesti la tua fragranza e respirai e ora anelo verso di Te. Ti gustai ed ebbi fame e sete di te; mi toccasti, e arsi del desiderio della tua pace» (Confessioni X, 27). A questa scoperta corrisponde la definizione di S. Tommaso d'Aquino. «La bellezza consiste in due realtà: lo splendore e la proporzione delle parti. La verità detiene la causa dello splendore e l'uguaglianza assicura le proporzioni» (In quatuor Libros Sententiarum, I, dist. 3, 2).
Desidero che tutta la Diocesi, impegnata nel Convegno ecclesiale di Verona, renda visibile e reale il tema proposto: «Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo», vivendo la liturgia, la catechesi e la carità come splendore della verità del Cristo Signore. Tornando dal pellegrinaggio giovanile in Terra Santa, all'inizio di gennaio 2006, avevo questa percezione: come Gesù abbia scelto sempre persone vere e luoghi belli; facendo percepire questo ai giovani, citavo il poeta Paul Claudel: «Ah, come è bello il mondo!», e parafrasavo «e come è bello Dio!». Le nostre comunità sono veramente belle, ma è come se non ce ne rendessimo conto; i nostri giovani cercano le cose belle, ma andando talvolta dietro alle apparenze, restano delusi, da tutto, da tutti. Le nuove generazioni hanno bisogno di testimoni della bellezza; 3 uno di tali testimoni era d. Luigi Giussani: «Toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita, e così ha trovato Cristo, in Cristo la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia» 4.
Note
1 Cfr. BENEDETTO XVI, Lettera
Enciclica Deus Caritas Est, Città del Vaticano 2006.
2 Cfr. in particolare J. RATZINGER, «Il mistero della Bellezza», intervento al Meeting di Rimini dal titolo: «Il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza» (18 - 24 agosto 2002), ora in J. RATZINGER, La bellezza, la Chiesa, Castel Bolognese 2005, 11-26; BENEDETTO XVI, Discorso al Clero della Valle d'Aosta (25 luglio 2005), Città del Vaticano 2005, 14-16.
3 Sulla definizione e il ruolo dei testimoni, cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA - COMITATO PREPARATORIO DEL IV CONVEGNO ECCLESIALE NAZIONALE. Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo. Traccia di riflessione in preparazione al Convegno Ecclesiale di Verona 16-20 ottobre 2006, Milano 2005, in particolare pp. 28; 31-34.
4 J. RATZINGER, Omelia alle esequie di don Luigi Giussani, Milano 24 febbraio 2005.
2 Cfr. in particolare J. RATZINGER, «Il mistero della Bellezza», intervento al Meeting di Rimini dal titolo: «Il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza» (18 - 24 agosto 2002), ora in J. RATZINGER, La bellezza, la Chiesa, Castel Bolognese 2005, 11-26; BENEDETTO XVI, Discorso al Clero della Valle d'Aosta (25 luglio 2005), Città del Vaticano 2005, 14-16.
3 Sulla definizione e il ruolo dei testimoni, cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA - COMITATO PREPARATORIO DEL IV CONVEGNO ECCLESIALE NAZIONALE. Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo. Traccia di riflessione in preparazione al Convegno Ecclesiale di Verona 16-20 ottobre 2006, Milano 2005, in particolare pp. 28; 31-34.
4 J. RATZINGER, Omelia alle esequie di don Luigi Giussani, Milano 24 febbraio 2005.
I.
Il mistero della bellezza
2. Chi
di noi non ha mai fatto l’esperienza della bellezza? In un volto, in un
incontro, in un paesaggio, in un’opera d’arte, nella musica… Essa è una delle
esperienze più forti e affascinanti dell’essere uomini e donne. Platone per
primo si accorse che il mistero della Bellezza non si riesce a definire, ma si
dischiude solo nell’esperienza del desiderio (eros), cioè in una relazione
personale, un incontro che colpisce e suscita stupore, attrazione ed
entusiasmo, risvegliando la nostalgia di Dio e l’aspirazione a dare un senso
alla nostra vita. «Di questo entusiasmo hanno bisogno gli uomini di oggi e di
domani per affrontare e superare le sfide cruciali che si annunciano
all’orizzonte»
5. Il Papa Benedetto XVI ha mostrato nella sua Enciclica
Deus Caritas est che eros e agape non sono mai completamente
separabili (n. 7): tra i tanti desideri che attraversano, dilaniano o
unificano la nostra vita, l’amore è la forma più forte e radicale del
desiderio umano, quello che porta le tracce di Dio.
Un’esperienza totale e totalizzante
3.
L’esperienza della bellezza è qualcosa di totalizzante. Quando sperimentiamo
il bello, infatti, tutto il nostro essere è coinvolto: la corporeità,
l’affettività, le emozioni, l’immaginazione e la creatività, l’intelligenza (intus-legere,
come penetrazione della profondità delle cose), la volontà.
6 La bellezza ci provoca l’esperienza di qualcosa di
piacevole che ci riguarda direttamente da vicino come protagonisti, rendendoci
allo stesso tempo però direttamente partecipi di qualcos’altro, della vita di
qualcun altro, fino a suscitare in noi il desiderio di possedere e di essere
uniti a colui che ci attrae. La bellezza è per noi una magnifica promessa di
felicità. Sono tanti i motivi per cui essa è così importante per noi, e per
questo essa è anche uno dei nomi di Dio. Come può Dio o l’impegno cristiano o
una forma specifica di vita, attrarci se non è Bello? Possono davvero Dio e la
vita cristiana riguardare la corporeità, l’affettività, le emozioni,
l’immaginazione, la ragione oltre che la volontà? Può tutto questo renderci
felici? La Chiesa stessa, ricordava l’allora cardinale Joseph Ratzinger, non è
anzitutto una dottrina, ma bellezza. L’esperienza cristiana comincia da una
ferita, da un incon- tro - che quasi sempre è anche uno scontro - da un evento
che accade nella vita e la cambia. Questo evento si chiama Gesù Cristo.
7
Quale
bellezza salverà il mondo?
4. In
questi tempi in cui anche nella Chiesa e nella vita cristiana si è tornati a
parlare più spesso della bellezza, è facile sentire riecheggiare l’asserzione
di Dostoevskij, nel suo romanzo L’idiota: «La bellezza salverà il
mondo». Tuttavia meno spesso si ricorda che la domanda più cruciale del
romanzo è «Quale bellezza salverà il mondo?»
8 . Il protagonista, che è un simbolo di Gesù Cristo, si
innamora infatti di due donne: Aglaja (il cui nome ricorda l’antico mito greco
della bellezza come splendore, la bellezza ragionevole: Aglaja era une delle
tre Grazie) e Natasja (il cui nome ricorda la risurrezione, anastasis).
Aglaja è una donna per bene e di buona famiglia, ma il protagonista sceglie di
sposare Natasja, che è una donna enigmatica ed oscura, perché egli è persuaso
di farla risorgere. Questa lo rigetterà ed egli cadrà nella follia. È
descritta qui la bellezza della follia dell’amore che va contro ogni
ragionevolezza: per questo il romanzo si chiama L’idiota, quasi un
commento alla follia della croce di cui parla S. Paolo (1 Cor 1,
18-23).
9 Dostoevskij intende qui la bellezza redentrice
dell’amore di Cristo che ci rende belli amandoci.
Note
5 GIOVANNI PAOLO II,
Lettera agli artisti, 4 aprile 1999, n. 16.
6 «Il bello infatti è lo splendore del vero», diceva Platone.
7 J. RATZINGER, La bellezza, la Chiesa, pp. 12-14.
8 Il Card. C.M. MARTINI ricordava che solo la bellezza che sa condividere il dolore può salvare il mondo; cfr. Quale bellezza salverà il mondo. Lettera pastorale per l’anno 1999-2000, in Coraggio, non temete, Bologna 2000, pp. 411- 435, qui pp. 424-425.
9 Cfr. P. GIANNONI, Ascetica come estetica, pro manuscripto, 5.2.
6 «Il bello infatti è lo splendore del vero», diceva Platone.
7 J. RATZINGER, La bellezza, la Chiesa, pp. 12-14.
8 Il Card. C.M. MARTINI ricordava che solo la bellezza che sa condividere il dolore può salvare il mondo; cfr. Quale bellezza salverà il mondo. Lettera pastorale per l’anno 1999-2000, in Coraggio, non temete, Bologna 2000, pp. 411- 435, qui pp. 424-425.
9 Cfr. P. GIANNONI, Ascetica come estetica, pro manuscripto, 5.2.
II.
L'odierna cultura dell'immagine: occasioni e deviazioni
L’uomo di oggi è capace di ascesi?
5. Dai
moderni mezzi di comunicazione, specchio della realtà in cui viviamo, emerge
che la bellezza sta al centro della vita e dei rapporti economici, sociali e
culturali dell’attuale mondo occidentale. Oggi, per perseguire i canoni della
bellezza, non solo le donne, ma anche gli uomini sono disposti a fare
sacrifici e pagare un caro prezzo in termini di tempo e di costi. L’uomo di
oggi non ha certo perso il senso e la consapevolezza che occorre una certa
«ascetica» per raggiungere la bellezza. Si tratta però di una bellezza ridotta
a cosmesi, a «trucco», nel duplice senso del termine che sottolinea anche
l’ambiguità di una tale bellezza.
Apparenza, commercio e schiavitù della bellezza
6.
Siamo in « …un’epoca dominata dalla dittatura dell’apparenza, che riduce ogni
cosa e persona a una superficie senza profondità e ogni godimento a un piacere
passeggero e banale» (J. Carrón)
10 .
Il corpo è ridotto ad una merce, messo in offerta tra i vari prodotti «usa e getta» del mercato dei consumi. La ricerca sfrenata del piacere e del proprio benessere immediato procura piaghe che pesano fortemente sul cuore delle persone, perché mina l’esperienza di fiducia reciproca e in Dio.
Il senso del pudore sembra smarrito, ma con esso anche il senso della propria inviolabilità e profondità. Prende piede una certa volgarità, un modo di affrontare la vita con superficialità, senza cercare di penetrare il mistero della realtà che ci circonda, quale segno di qualcos’Altro. Le emozioni e le relazioni sembrano in preda ad un profondo vortice dove diventa sempre più facile la legge del cambiamento: i ruoli tradizionali sono in crisi (rapporto uomo-donna, paternità e maternità, autorità). Il mondo virtuale facilita i cambiamenti di identità; si cerca il tutto nell’immediato delle emozioni sempre più forti.
Giustamente il sociologo Z. Baumann ha descritto la nostra epoca con il termine «liquidità» 11. Caratterizzate da questa fluidità sono soprattutto le relazioni fondanti e quindi educative. Si disgregano su questa scia non solo l’istituzione familiare, le relazioni costitutive, ma anche i pilastri su cui fino a pochi decenni fa la società si consolidava: formazione, scuola, impegno sociale, lavoro, politica. 12 Tutto ruota attorno al marginale, al privato, al disimpegno, al profitto immediato e si perdono di vista l’essenziale e il bene comune. La ricerca del sensazionale rischia di produrre appiattimento anche nell’annuncio cristiano e una fede di superficie risulta alla fine incapace di sostenere una vita nei momenti più delicati e difficili.
Il corpo è ridotto ad una merce, messo in offerta tra i vari prodotti «usa e getta» del mercato dei consumi. La ricerca sfrenata del piacere e del proprio benessere immediato procura piaghe che pesano fortemente sul cuore delle persone, perché mina l’esperienza di fiducia reciproca e in Dio.
Il senso del pudore sembra smarrito, ma con esso anche il senso della propria inviolabilità e profondità. Prende piede una certa volgarità, un modo di affrontare la vita con superficialità, senza cercare di penetrare il mistero della realtà che ci circonda, quale segno di qualcos’Altro. Le emozioni e le relazioni sembrano in preda ad un profondo vortice dove diventa sempre più facile la legge del cambiamento: i ruoli tradizionali sono in crisi (rapporto uomo-donna, paternità e maternità, autorità). Il mondo virtuale facilita i cambiamenti di identità; si cerca il tutto nell’immediato delle emozioni sempre più forti.
Giustamente il sociologo Z. Baumann ha descritto la nostra epoca con il termine «liquidità» 11. Caratterizzate da questa fluidità sono soprattutto le relazioni fondanti e quindi educative. Si disgregano su questa scia non solo l’istituzione familiare, le relazioni costitutive, ma anche i pilastri su cui fino a pochi decenni fa la società si consolidava: formazione, scuola, impegno sociale, lavoro, politica. 12 Tutto ruota attorno al marginale, al privato, al disimpegno, al profitto immediato e si perdono di vista l’essenziale e il bene comune. La ricerca del sensazionale rischia di produrre appiattimento anche nell’annuncio cristiano e una fede di superficie risulta alla fine incapace di sostenere una vita nei momenti più delicati e difficili.
Quale
immagine?
7. In
questo modo si affacciano le altre questioni legate al mondo post-moderno: ci
sono ancora valori e méte per dare senso, veracità e forma alla nostra vita?
Tutto è veloce e cambia freneticamente in questa epoca, anche i canoni della
bellezza, ai quali ci asserviamo secondo un’immagine imposta dall’esterno, il
cui modello non dura il tempo di una stagione di moda. A quale bellezza
conformarsi e per cui vale davvero la pena spendere le nostre energie? Quale
immagine perseguire?
A queste domande Dio ha risposto venendoci incontro e facendosi incontrare nel cammino affascinante della Rivelazione: la Bibbia è la storia degli incontri stupendi del Mistero con l’uomo e con il suo popolo.
A queste domande Dio ha risposto venendoci incontro e facendosi incontrare nel cammino affascinante della Rivelazione: la Bibbia è la storia degli incontri stupendi del Mistero con l’uomo e con il suo popolo.
Note
10 M. CORRADI, «Giussani, la
bellezza vi conquisterà», in Avvenire (27 ottobre 2005), p. 28.
11 Z. BAUMANN, Modernità liquida, Roma-Bari 2002.
12 Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Testimoni di Gesù Risorto, pp. 34 e 26; cap. IV, acuta analisi dell’attuale situazione culturale.
11 Z. BAUMANN, Modernità liquida, Roma-Bari 2002.
12 Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Testimoni di Gesù Risorto, pp. 34 e 26; cap. IV, acuta analisi dell’attuale situazione culturale.
III.
«Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto bella»
8. Il
tema della bellezza pervade dall’inizio alla fine la Bibbia. Già all’inizio
della creazione vediamo lo sguardo compiaciuto di Dio che ammira la creazione:
«E Dio vide che era cosa buona» (Gn 1). Alla conclusione del Nuovo
Testamento, nel libro dell’Apocalisse, la Gerusalemme che scende dal cielo è
risplendente della bellezza della gloria di Dio (Ap 21, 10). Ma in
modo particolare è nell’umanità che Dio mette e vede una particolare bellezza:
«Dio vide che era cosa molto bella». Tale splendore rifulge in modo
totale sul volto di Gesù Cristo, trasfigurato e risorto, in cui è svelato il
vero volto dell’uomo (Gaudium et Spes, 22). È questa l’immagine
secondo la quale Dio ci desidera. La bellezza di Cristo è una bellezza che
attrae: un amore gratuito, ricevuto incondizionatamente, è infatti qualcosa
che lega e attrae irrefrenabilmente noi creature fragili, ma desiderose di
felicità, gioia, amore, insomma della totale pienezza che è Dio.
L’immagine di Dio nell’uomo e nella donna
9. Fin
dalle prime pagine, la Bibbia ci presenta un Dio che, pieno di affetto, guarda
all’opera delle sue mani con la stessa vibrazione di sentimento che si
rifrange tra gli innamorati e «negli sguardi con cui gli artisti, avvinti
dallo stupore per il potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e
delle forme, hanno ammirato l’opera del loro estro, avvertendovi quasi l’eco
di quel mistero della creazione a cui Dio, solo Creatore di tutte le cose, ha
voluto in qualche modo associarli»
13.
In modo esclusivo la persona fa questa esperienza nell’attrazione tra uomo e donna, che è una delle modalità più speciali in cui si manifesta quell’«essere per l’altro» che è la struttura di ciascun essere umano, cioè la chiamata all’amore. Ogni persona infatti trova la sua autorealizzazione piena solo quando riesce a rispondere con totalità a questo codice dell’amore profondamente iscritto in sé.
C’è un libro biblico, il Cantico dei cantici, che ci parla di questa attrazione che è una delle potenze più grandi che Dio abbia messo nell’uomo. Come la preghiera ha la forza di superare la distanza tra Dio e l’uomo, la forza dell’amore ha la capacità di superare la distanza tra ciascuna persona e il suo prossimo. 14 È come se l’evento dell’innamoramento donasse all’amante quello sguardo sull’altro con cui Dio vede ogni persona nel crearla. Questo amore viene preso come immagine dell’unione tra Dio e l’umanità in tutta la Bibbia; 15 diventa infatti sacramento dell’amore di Lui, perché è il simbolo della grande avventura della fede. 16
Un recente documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo spiega come in Genesi 1, 26-27 infatti «l’umanità è … descritta come articolata, fin dalla sua prima origine, nella relazione del maschile e del femminile. È questa umanità sessuata che è dichiarata esplicitamente immagine di Dio» (n. 5). L’immagine di Dio nell’umanità infatti sta proprio nell’essere «chiamati ad esistere reciprocamente l’uno per l’altro» (n. 6). Questo reciproco essere per l’altro, nella «comunione interpersonale», è la caratteristica delle stesse persone della Trinità, ad immagine della quale siamo fatti. Così «ogni essere umano, uomo e donna, è destinato ad essere per l’altro» (n. 14). Egli è un Dio unico, ma non solitario (Fides Damasi: DS 71); è un Dio essenzialmente in relazione: Padre, Figlio e Spirito Santo. La tradizione teologica orientale ha chiamato la vita trinitaria una «danza» gioiosa e comune della vita.
In modo esclusivo la persona fa questa esperienza nell’attrazione tra uomo e donna, che è una delle modalità più speciali in cui si manifesta quell’«essere per l’altro» che è la struttura di ciascun essere umano, cioè la chiamata all’amore. Ogni persona infatti trova la sua autorealizzazione piena solo quando riesce a rispondere con totalità a questo codice dell’amore profondamente iscritto in sé.
C’è un libro biblico, il Cantico dei cantici, che ci parla di questa attrazione che è una delle potenze più grandi che Dio abbia messo nell’uomo. Come la preghiera ha la forza di superare la distanza tra Dio e l’uomo, la forza dell’amore ha la capacità di superare la distanza tra ciascuna persona e il suo prossimo. 14 È come se l’evento dell’innamoramento donasse all’amante quello sguardo sull’altro con cui Dio vede ogni persona nel crearla. Questo amore viene preso come immagine dell’unione tra Dio e l’umanità in tutta la Bibbia; 15 diventa infatti sacramento dell’amore di Lui, perché è il simbolo della grande avventura della fede. 16
Un recente documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo spiega come in Genesi 1, 26-27 infatti «l’umanità è … descritta come articolata, fin dalla sua prima origine, nella relazione del maschile e del femminile. È questa umanità sessuata che è dichiarata esplicitamente immagine di Dio» (n. 5). L’immagine di Dio nell’umanità infatti sta proprio nell’essere «chiamati ad esistere reciprocamente l’uno per l’altro» (n. 6). Questo reciproco essere per l’altro, nella «comunione interpersonale», è la caratteristica delle stesse persone della Trinità, ad immagine della quale siamo fatti. Così «ogni essere umano, uomo e donna, è destinato ad essere per l’altro» (n. 14). Egli è un Dio unico, ma non solitario (Fides Damasi: DS 71); è un Dio essenzialmente in relazione: Padre, Figlio e Spirito Santo. La tradizione teologica orientale ha chiamato la vita trinitaria una «danza» gioiosa e comune della vita.
Gesù
Cristo immagine dell’uomo
10.
Gesù Cristo, il Pastore bello (Gv 10, 11), l’uomo futuro (1 Cor
15, 45), vera immagine di Dio (Col 1, 15), Crocifisso e Risorto, è il
modello di quella bellezza che Dio propone all’uomo salvandolo. A sua immagine
ciascuno di noi è chiamato a dipingere la propria: «Ad ogni uomo è affidato il
compito di essere artefice della propria vita: in un certo senso, egli deve
farne un’opera d’arte, un capolavoro»
17.
Capiamo a questo punto perché un teologo del III secolo, Tertulliano, abbia commentato questo passo della Genesi dicendo che quando Dio creava l’uomo e la donna li faceva ad immagine di Cristo uomo futuro. 18 Il Concilio Vaticano II ha ricordato in modo splendido come «solo nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (Gaudium et Spes, 22), così il Vangelo risponde al mistero umano con un altro mistero. È questo il progetto umano, il modello dell’umanità che la Chiesa offre al mondo. Ciascuno di noi, ciascuna donna e ciascun uomo, è chiamato ad essere l’immagine di Gesù Cristo: una immagine parziale, certo, però vera.
Capiamo a questo punto perché un teologo del III secolo, Tertulliano, abbia commentato questo passo della Genesi dicendo che quando Dio creava l’uomo e la donna li faceva ad immagine di Cristo uomo futuro. 18 Il Concilio Vaticano II ha ricordato in modo splendido come «solo nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (Gaudium et Spes, 22), così il Vangelo risponde al mistero umano con un altro mistero. È questo il progetto umano, il modello dell’umanità che la Chiesa offre al mondo. Ciascuno di noi, ciascuna donna e ciascun uomo, è chiamato ad essere l’immagine di Gesù Cristo: una immagine parziale, certo, però vera.
La
danza della vita trinitaria
11. È
anzitutto il Padre che «attrae a sé» (cfr. Gv 6, 44), e seguendo
questa interiore attrazione ogni persona cerca di assecondare il proprio
desiderio che è in fondo un appello del Creatore stesso. Il Figlio, via che
conduce al Padre (cfr. Gv 14, 69), chiama ad una sequela che orienta
l’esistenza. Nel suo sguardo pieno d’amore che si posa su ciascuno di noi in
modo singolarissimo e unico (cfr. Mc 10, 21) toccando le radici del
nostro essere, noi vediamo l’«immagine del Dio invisibile» (Col 1,
15), irradiazione della Gloria del Padre (cfr. Eb 1, 3). Lo Spirito
Santo da sempre seduce e attrae ogni uomo e donna a percepire il fascino di
questo appello di Dio, come Geremia che afferma: «Mi hai sedotto, Signore, e
io mi sono lasciato sedurre» (Ger 20, 7). È Lui che guida la crescita
di questo desiderio dell’uomo e ne sostiene la risposta nella molteplicità
delle forme di vita e dei vari carismi, così che la Chiesa si presenti «anche
abbellita con la varietà dei doni dei suoi figli […] come una sposa adornata
per il suo sposo» (cfr. Ap 21, 2)
19.
La vocazione sponsale è quindi propria di tutta la Chiesa e di ogni forma di vita dei singoli. Infatti la sponsalità è «la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono e – mediante questo dono – attua il senso stesso del suo essere ed esistere» e «la storia dell’uomo sulla terra si realizza nell’ambito di questa chiamata… In base al principio del reciproco essere “per” l’altro, nella “comunione” interpersonale» 20.
Alcuni teologi orientali hanno visto in questa opera dello Spirito Santo, che ricrea la bellezza e guida alla conformazione all’immagine di Cristo in noi, un vivo «amore per la bellezza» (philokalia). Qui l’amore della bellezza è congiunto all’opera educativa dello Spirito stesso: plasmare l’uomo nuovo in ciascuno di noi. «L’arte educativa infatti è una delle più alte forme di arte» 21. Effettivamente l’uomo si rileva sommamente immagine di Dio Artefice e «realizza questo compito prima di tutto plasmando la stupenda “materia” della propria umanità» 22.
La vocazione sponsale è quindi propria di tutta la Chiesa e di ogni forma di vita dei singoli. Infatti la sponsalità è «la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono e – mediante questo dono – attua il senso stesso del suo essere ed esistere» e «la storia dell’uomo sulla terra si realizza nell’ambito di questa chiamata… In base al principio del reciproco essere “per” l’altro, nella “comunione” interpersonale» 20.
Alcuni teologi orientali hanno visto in questa opera dello Spirito Santo, che ricrea la bellezza e guida alla conformazione all’immagine di Cristo in noi, un vivo «amore per la bellezza» (philokalia). Qui l’amore della bellezza è congiunto all’opera educativa dello Spirito stesso: plasmare l’uomo nuovo in ciascuno di noi. «L’arte educativa infatti è una delle più alte forme di arte» 21. Effettivamente l’uomo si rileva sommamente immagine di Dio Artefice e «realizza questo compito prima di tutto plasmando la stupenda “materia” della propria umanità» 22.
Dalla
contemplazione un itinerario estetico
12. La
morale e l’ascesi, e spesso anche l’educazione, vengono talvolta sentite
oppressive e senza senso. Lo sforzo volontaristico per perfezionare sé stessi
risulta antipatico. L’educazione cristiana, che parte dall’amore per la
Bellezza del Volto di Cristo, sarà un itinerario di ascesi nel senso
originario del termine, cioè allenamento, esercizio, e quindi una estetica
«perché nasce dalla contemplazione della bellezza dell’intimo-profondo umano e
della grandezza dell’amore divino e corrisponde a questa divina volontà di
amore, per armonizzare tutte le energie e le dinamiche di chi cerca Dio»
23.
Note
13 GIOVANNI PAOLO II,
Lettera agli artisti, n. 1.
14 A. CHOURAQUI, Introduzione ai salmi e Cantico dei Cantici, Roma 1980, p. 7
15 Is 54, 5; 62, 4-5; Os 1-3; 2 Cor 11, 2; Gv 3, 29; Mt 9, 15; Mc 2,19; Lc 5, 34; Ef 5, 32; Ap 21, 2.
16 G. RAVASI, Il cantico dei cantici. Commento e attualizzazione, Bologna 1992, p. 864: «L’amore del Ct, è […] esperienza di donazione ma anche di appartenenza, è atto mistico che fonde insieme trascendenza e bellezza creata, è vicenda ‘estetica’nel senso fisico e spirituale […] Certo, ritrovare questa armonia tra dono e identità, tra eros e agape, tra presenza e assenza è un’avventura altissima, segno di ogni altra esperienza, anche di quella di fede».
17 GIOVANNI PAOLO II, Lettera agli artisti, n. 2.
18 TERTULLIANO, De resurrectione mortuorum, 6,3; Corpus Christianorum. Series latina, 2, p. 928.
19 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Vita Consecrata, Città del Vaticano 1996, nn. 17-19.
20 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella chiesa e nel mondo, Città del Vaticano 31 Maggio 2004, nn. 6-7.
21 GIOVANNI PAOLO II, Lettera agli artisti, n. 4.
22 ID., n. 1.
23 P. GIANNONI, L’orante. Testimone dell’invisibile, Milano 1998, p. 77; cfr. p. 105: «Il cammino ascetico… non è un procedimento di ordine morale, basato sullo sforzo nei confronti delle basi corporee della personalità, ma l’arte di mettere in atto l’esercizio, il costante allenamento (come dice il termine greco), che ha come scopo l’armonizzazione di tutte le energie umane secondo la prospettiva divina dell’uomo e dell’universo, camminando dietro Cristo».
14 A. CHOURAQUI, Introduzione ai salmi e Cantico dei Cantici, Roma 1980, p. 7
15 Is 54, 5; 62, 4-5; Os 1-3; 2 Cor 11, 2; Gv 3, 29; Mt 9, 15; Mc 2,19; Lc 5, 34; Ef 5, 32; Ap 21, 2.
16 G. RAVASI, Il cantico dei cantici. Commento e attualizzazione, Bologna 1992, p. 864: «L’amore del Ct, è […] esperienza di donazione ma anche di appartenenza, è atto mistico che fonde insieme trascendenza e bellezza creata, è vicenda ‘estetica’nel senso fisico e spirituale […] Certo, ritrovare questa armonia tra dono e identità, tra eros e agape, tra presenza e assenza è un’avventura altissima, segno di ogni altra esperienza, anche di quella di fede».
17 GIOVANNI PAOLO II, Lettera agli artisti, n. 2.
18 TERTULLIANO, De resurrectione mortuorum, 6,3; Corpus Christianorum. Series latina, 2, p. 928.
19 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Vita Consecrata, Città del Vaticano 1996, nn. 17-19.
20 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella chiesa e nel mondo, Città del Vaticano 31 Maggio 2004, nn. 6-7.
21 GIOVANNI PAOLO II, Lettera agli artisti, n. 4.
22 ID., n. 1.
23 P. GIANNONI, L’orante. Testimone dell’invisibile, Milano 1998, p. 77; cfr. p. 105: «Il cammino ascetico… non è un procedimento di ordine morale, basato sullo sforzo nei confronti delle basi corporee della personalità, ma l’arte di mettere in atto l’esercizio, il costante allenamento (come dice il termine greco), che ha come scopo l’armonizzazione di tutte le energie umane secondo la prospettiva divina dell’uomo e dell’universo, camminando dietro Cristo».
IV.
L'impetuoso desiderio di senso: le impronte di Dio nell'uomo
13. Il
desiderio di totalità che ci troviamo dentro è il segno che siamo fatti per
Dio e a Lui destinati. Per questo solo in Lui possiamo trovare piena
realizzazione. Sant’Agostino lo dice con stupenda sincerità: «Ci hai fatti per
te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Confessioni
I, 1).
La fede cristiana non vuole mortificare le aspirazioni profonde dell’umanità, come la libertà, la passione, l’intelligenza, la sensibilità, ma rivelarne il vero fine.
La fede cristiana non vuole mortificare le aspirazioni profonde dell’umanità, come la libertà, la passione, l’intelligenza, la sensibilità, ma rivelarne il vero fine.
«Il tuo
volto, Signore, io cerco»
14. La
Bibbia è piena di questo desiderio dell’uomo per Dio e lo esprime nella tipica
concretezza del linguaggio ebraico, come il «cercare il volto di Dio»
24. È lo stesso desiderio di Mosè, sul monte Sinai:
vedere Dio (Es 33, 18).
Il desiderio più radicale di ciascuna persona, infatti, è sempre alla ricerca di un volto che segni la vita, che la cambi, che le dia un senso. In fondo, sentiamo sempre che ci manca un volto nella nostra esistenza (è il grido del salmista: Sal 27 [26], 8). La Scrittura non ignora che non si può vedere Dio e rimanere vivi (Es 33, 20-23). Eppure il Dio invisibile si fa trovare sul volto di Gesù.
Non ci può essere un amore senza un volto. La necessità di questo volto che ci corrisponda, ci guardi e ci ri-guardi, indica che ciò di cui la nostra vita ha veramente bisogno è una relazione, un’alterità personale, qualcosa di unico, esclusivo che unifichi la nostra persona. Ma perché l’amore unifichi, esso deve da noi essere ricevuto: infatti Dio è colui che ama per primo (Gv 4, 19). Questa esperienza ci sprona a trasmetterla ad altri, amandoli come Dio ci ama (Mt 22, 36-40; Mc 12, 28-34; 1 Gv 4, 18-21).
Come i Greci recatisi a Gerusalemme per il pellegrinaggio rituale, chiedono a Filippo: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12, 21), così gli uomini del nostro tempo, forse anche inconsapevolmente, chiedono ai credenti odierni di vedere il volto di Gesù.
Anzitutto, secondo la convinzione del Papa Gio- vanni Paolo II: «La nostra testimonianza sarebbe insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto» 25. Inoltre il vero testimone deve essere capace di farsi da parte per fare apparire con trasparenza il volto di Cristo in lui. 26. Qui ci aiuta un esempio: i biologi dimostrano che il carbone e il diamante sono composti della stessa materia, ma nell’uno la forma degli atomi è messa in modo tale che le molecole non fanno passare la luce, mentre nell’altro c’è una forma così perfetta delle stesse molecole che esso non fa solo passare la luce, ma rende il diamante solidissimo.
Allora il cammino educativo diventerà un dare forma alla nostra vita, perché essa sia davvero un’ope- ra d’arte, e attraverso la materia della nostra persona risplenda la luce di Cristo: «Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4, 7).
Il desiderio più radicale di ciascuna persona, infatti, è sempre alla ricerca di un volto che segni la vita, che la cambi, che le dia un senso. In fondo, sentiamo sempre che ci manca un volto nella nostra esistenza (è il grido del salmista: Sal 27 [26], 8). La Scrittura non ignora che non si può vedere Dio e rimanere vivi (Es 33, 20-23). Eppure il Dio invisibile si fa trovare sul volto di Gesù.
Non ci può essere un amore senza un volto. La necessità di questo volto che ci corrisponda, ci guardi e ci ri-guardi, indica che ciò di cui la nostra vita ha veramente bisogno è una relazione, un’alterità personale, qualcosa di unico, esclusivo che unifichi la nostra persona. Ma perché l’amore unifichi, esso deve da noi essere ricevuto: infatti Dio è colui che ama per primo (Gv 4, 19). Questa esperienza ci sprona a trasmetterla ad altri, amandoli come Dio ci ama (Mt 22, 36-40; Mc 12, 28-34; 1 Gv 4, 18-21).
Come i Greci recatisi a Gerusalemme per il pellegrinaggio rituale, chiedono a Filippo: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12, 21), così gli uomini del nostro tempo, forse anche inconsapevolmente, chiedono ai credenti odierni di vedere il volto di Gesù.
Anzitutto, secondo la convinzione del Papa Gio- vanni Paolo II: «La nostra testimonianza sarebbe insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto» 25. Inoltre il vero testimone deve essere capace di farsi da parte per fare apparire con trasparenza il volto di Cristo in lui. 26. Qui ci aiuta un esempio: i biologi dimostrano che il carbone e il diamante sono composti della stessa materia, ma nell’uno la forma degli atomi è messa in modo tale che le molecole non fanno passare la luce, mentre nell’altro c’è una forma così perfetta delle stesse molecole che esso non fa solo passare la luce, ma rende il diamante solidissimo.
Allora il cammino educativo diventerà un dare forma alla nostra vita, perché essa sia davvero un’ope- ra d’arte, e attraverso la materia della nostra persona risplenda la luce di Cristo: «Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4, 7).
L’ambiguità del desiderio umano
15.
Ogni uomo che «guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e
immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è
buono» (Gaudium et Spes, 13).
Ogni potenza umana però è sempre doppia: sia positiva che negativa. In senso positivo, l’eros è una tendenza naturale a conservare il proprio essere, a integrare e realizzare se stessi nella felicità 27.
In seno negativo questa cura può diventare egoismo, individualismo, chiusura all’altro. Questo avviene quando tentato dall’immediato, l’uomo sceglie il «molto» al posto del «tutto» che è Dio, come scrive S. Paolo, «preferendo servire la creatura piuttosto che il Creatore» (Rm 1, 25). È questa l’idolatria, che è la forma radicale del peccato e che io chiamo la dittatura dei desideri! Infatti, il desiderio messo da Dio nel cuore dell’uomo ha le dimensioni di Colui che lo ha creato e porta l’uomo a non accontentarsi mai, a trovarsi costantemente deluso da tutto ciò che non ha il carattere dell’infinità. L’uomo non ha in se stesso la possibilità di dare una risposta soddisfacente a questo desiderio infinito di bellezza, essendo «incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male» (Gaudium et Spes,13).
Cosa resta dunque? La disperazione? La tentazione del suicidio e della ricaduta nel nulla da cui Dio ci ha tratti e che sempre resta lì ad affascinarci con la sua ombra? No! C’è un’altra grande risposta: radunare tutta questa energia, tutto questo profondo desiderio di bellezza e di felicità, e dirigerlo verso il suo vero oggetto, verso Dio, affidandosi a Lui.
Ogni potenza umana però è sempre doppia: sia positiva che negativa. In senso positivo, l’eros è una tendenza naturale a conservare il proprio essere, a integrare e realizzare se stessi nella felicità 27.
In seno negativo questa cura può diventare egoismo, individualismo, chiusura all’altro. Questo avviene quando tentato dall’immediato, l’uomo sceglie il «molto» al posto del «tutto» che è Dio, come scrive S. Paolo, «preferendo servire la creatura piuttosto che il Creatore» (Rm 1, 25). È questa l’idolatria, che è la forma radicale del peccato e che io chiamo la dittatura dei desideri! Infatti, il desiderio messo da Dio nel cuore dell’uomo ha le dimensioni di Colui che lo ha creato e porta l’uomo a non accontentarsi mai, a trovarsi costantemente deluso da tutto ciò che non ha il carattere dell’infinità. L’uomo non ha in se stesso la possibilità di dare una risposta soddisfacente a questo desiderio infinito di bellezza, essendo «incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male» (Gaudium et Spes,13).
Cosa resta dunque? La disperazione? La tentazione del suicidio e della ricaduta nel nulla da cui Dio ci ha tratti e che sempre resta lì ad affascinarci con la sua ombra? No! C’è un’altra grande risposta: radunare tutta questa energia, tutto questo profondo desiderio di bellezza e di felicità, e dirigerlo verso il suo vero oggetto, verso Dio, affidandosi a Lui.
«Eccomi»
16.
Come Gesù si affida totalmente a Dio, anche sulla croce (Sal 31 [30],
6; Mt 27, 50; Lc 23, 46; Sal 40 [39], 7-9; Eb
10, 5;), come Maria si dispone totalmente all’azione di Dio, anche noi
possiamo affidare la nostra vita all’Unico che ha la potenza di realizzare le
nostre aspirazioni più profonde.
Non si tratta di reprimere, ma di liberare totalmente questa spinta che ci rende totalmente disponibili a Dio e agli altri. Dio stesso, in piena reciprocità, prima ancora che chiediamo, dirà: «Eccomi» (Is 58, 9; 65, 1; 65, 24). Lo Spirito Santo stesso, con gemiti inesprimibili, guida a questo incontro, perché «intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 8, 27).
Non si tratta di reprimere, ma di liberare totalmente questa spinta che ci rende totalmente disponibili a Dio e agli altri. Dio stesso, in piena reciprocità, prima ancora che chiediamo, dirà: «Eccomi» (Is 58, 9; 65, 1; 65, 24). Lo Spirito Santo stesso, con gemiti inesprimibili, guida a questo incontro, perché «intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 8, 27).
Note
24 Cfr. Sal 13 [12],
2: «Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi
nasconderai il tuo volto?»; Sal 42 [41], 3: «L’anima mia ha sete di
Dio, del Dio vivente; quando verrò e vedrò il volto di Dio?».
25 GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, Città del Vaticano 2001, n. 16.
26 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Testimoni di Gesù Risorto, n. 9, p. 28.
27 TOMMASO D’AQUINO, Summa theologica, I, 63, 3c; cfr. II-II, 163, 1.
25 GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, Città del Vaticano 2001, n. 16.
26 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Testimoni di Gesù Risorto, n. 9, p. 28.
27 TOMMASO D’AQUINO, Summa theologica, I, 63, 3c; cfr. II-II, 163, 1.
V.
Il corpo
17. A
torto l’etica cristiana è spesso ritenuta ostile al corpo. La Bibbia ci
testimonia come la fede nell’Incarnazione e nella Risurrezione sia fondata su
una esperienza globalizzante: «Quel che era dal principio, quel che abbiamo
udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che
abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della
Parola di vita» (1 Gv 1, 1). La bellezza è proprio la percezione di
qualcosa di divino nella realtà che ci circonda.
«Il
Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone»
18.
Certo Dio nessuno l’ha mai visto, ma Gesù si è dato a vedere Risorto, agli
Apostoli, e quindi il cammino dell’esperienza della nostra fede implica anche
una percezione fisica di tale realtà. «Per molti giorni, egli apparve a quelli
che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, i quali ora sono suoi
testimoni davanti al popolo» (At 13, 31).
La percezione, infatti, è il «modo originario del nostro rapporto col mondo» e ha a che fare per noi con la verità della realtà sperimentata 28. Quanto è importante questo, quando annunciamo che «Gesù Cristo è veramente risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24, 34)!
La percezione, infatti, è il «modo originario del nostro rapporto col mondo» e ha a che fare per noi con la verità della realtà sperimentata 28. Quanto è importante questo, quando annunciamo che «Gesù Cristo è veramente risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24, 34)!
Dai
sensi corporei ai sacramenti
19.
Quando sperimentiamo la bellezza, chiamiamo direttamente in causa
l’immediatezza dei sensi: dobbiamo abituarli a guardare. La bellezza è la
visibilità corporea e percepibile del Bene, che resta più oscuro per noi. La
bellezza è il marcatore «fisico» dell’esistenza di un mondo superiore,
immateriale e trascendente. La Bellezza colpisce questo senso interiore,
spirituale, forse non ancora sviluppato, e lo suscita, affinché impariamo a
scegliere il bene e rigettare il male (Is 7, 15). Si tratta quindi,
una volta risvegliati questi sensi spirituali, di aiutarli a crescere,
esercitarli a vedere in profondità: «La Chiesa deve rendere percepibile e
affascinante il mondo dello spirito, dell’invisibile, di Dio»
29.
In nessuna altra religione come nel cristianesimo, il corpo è così importante e la corporeità è così tanto innalzata e valorizzata, a tal punto che la si celebra già inserita nella vita divina, nell’eternità (Risurrezione di Gesù Cristo, Assunzione di Maria).
Nella vita sacramentale, viviamo la potenza della salvezza di Cristo nella nostra esistenza terrena: nell’Eucaristia ci viene donato il Corpo del Salvatore, che viene da noi «mangiato»; dal Calice assorbiamo il Sangue versato per la nostra Redenzione; i Sacramenti dell’iniziazione seguono e sostengono le tappe della nascita e della crescita; altri accompagnano la malattia e la morte del nostro corpo; il Matrimonio benedice l’unione sessuale dei coniugi; l’Ordine assimila alla persona di Cristo. L’intera vita sacramentale è tutta una glorificazione divina di Cristo Signore in noi e nella Chiesa.
Un importante Padre della Chiesa, S. Ireneo di Lione († ca. 198-202), dichiarava che il corpo deve essere inserito in un cammino in cui si abitui e impari a portare lo Spirito, la Gloria di Dio, che sarà il nostro destino eterno 30.
In nessuna altra religione come nel cristianesimo, il corpo è così importante e la corporeità è così tanto innalzata e valorizzata, a tal punto che la si celebra già inserita nella vita divina, nell’eternità (Risurrezione di Gesù Cristo, Assunzione di Maria).
Nella vita sacramentale, viviamo la potenza della salvezza di Cristo nella nostra esistenza terrena: nell’Eucaristia ci viene donato il Corpo del Salvatore, che viene da noi «mangiato»; dal Calice assorbiamo il Sangue versato per la nostra Redenzione; i Sacramenti dell’iniziazione seguono e sostengono le tappe della nascita e della crescita; altri accompagnano la malattia e la morte del nostro corpo; il Matrimonio benedice l’unione sessuale dei coniugi; l’Ordine assimila alla persona di Cristo. L’intera vita sacramentale è tutta una glorificazione divina di Cristo Signore in noi e nella Chiesa.
Un importante Padre della Chiesa, S. Ireneo di Lione († ca. 198-202), dichiarava che il corpo deve essere inserito in un cammino in cui si abitui e impari a portare lo Spirito, la Gloria di Dio, che sarà il nostro destino eterno 30.
Una
sfida particolare: la castità
20. In
questo mondo, in cui la corporeità e la sessualità sono spesso denigrate e
strumentalizzate, il Mistero dell’Incarnazione ci spinge a proclamare
un’inscindibile unione tra spirito e corpo.
In modo particolare va affermato oggi il controvalore della castità, che è di ogni cristiano: essa non è la repressione della sessualità umana, ma un modo di vivere le proprie energie vitali in ordine al mistero profondo che abita il corpo. La castità ha il compito di rendere capace il corpo di dare e di ricevere l’amore, di accogliere ed esprimere il dono della personalità propria e dell’altro, rispettarne il mistero secondo la chiamata di ognuno. Qualsiasi desiderio infatti ha una sua verità: «La verità del desiderio non passa attraverso il diniego, ma attraverso le conversioni della sua intensità irriducibile» 31. Pensiamo alla forza di verità che questo desiderio può dare nel decidersi al matrimonio, se i fidanzati lo vivono nell’attesa gioiosa; pensiamo alla testimonianza di capacità di attenzione profonda, fino alla tenerezza, verso chiunque si incontri, che dovrebbe caratterizzare il celibato sacerdotale e religioso.
In modo particolare va affermato oggi il controvalore della castità, che è di ogni cristiano: essa non è la repressione della sessualità umana, ma un modo di vivere le proprie energie vitali in ordine al mistero profondo che abita il corpo. La castità ha il compito di rendere capace il corpo di dare e di ricevere l’amore, di accogliere ed esprimere il dono della personalità propria e dell’altro, rispettarne il mistero secondo la chiamata di ognuno. Qualsiasi desiderio infatti ha una sua verità: «La verità del desiderio non passa attraverso il diniego, ma attraverso le conversioni della sua intensità irriducibile» 31. Pensiamo alla forza di verità che questo desiderio può dare nel decidersi al matrimonio, se i fidanzati lo vivono nell’attesa gioiosa; pensiamo alla testimonianza di capacità di attenzione profonda, fino alla tenerezza, verso chiunque si incontri, che dovrebbe caratterizzare il celibato sacerdotale e religioso.
Note
28 E. PRATO, «Il ritorno
dell’estetica. Nichilismo postmoderno e verità del cristianesimo», in
Parola Spirito e Vita 44 (2001), pp. 265 - 277, qui p. 272.
29 GIOVANNI PAOLO II, Lettera agli artisti, n. 12.
30 IRENEO, Adversus hæreses, V, 8, 1; V, 32, 1.
31 R. KEARNEY – G. LAFONT, Il desiderio di Dio, Cinisello Balsamo 1997, p. 94.
29 GIOVANNI PAOLO II, Lettera agli artisti, n. 12.
30 IRENEO, Adversus hæreses, V, 8, 1; V, 32, 1.
31 R. KEARNEY – G. LAFONT, Il desiderio di Dio, Cinisello Balsamo 1997, p. 94.
VI.
Emozioni e affetti
I
colori della vita e i toni dell’anno liturgico
21.
Tutto il nostro mondo affettivo ed emotivo ha un suo spazio nella proposta
cristiana. Oggi, le persone, stanche di riti impersonali, cercano
un’esperienza religiosa che coinvolga anche emotivamente, ma talvolta al di
fuori dell’esperienza cristiana
32. Riusciremo a raggiungere i cuori, proponendo un
itinerario fatto di sostanza. Sarà necessario riuscire a vivere la sapienza
dei tempi dell’anno liturgico. Esso ci dà modo di attraversare tutti i nostri
stati d’animo in riferimento al mistero di Cristo celebrato lungo il fluire
delle stagioni: l’attesa dell’Avvento, la gioia serena del Natale e
dell’Epifania, l’austerità del deserto quaresimale, lo stupore della Pasqua e
della Pentecoste, il ritmo regolare dei momenti «ordinari». Con questa
Presenza che unifica, la vita, con i suoi toni, prende significato e
direzione, cioè un senso.
Alla
scuola dei salmi per un clavicembalo ben temperato
22.
Spesso tanti vorrebbero pregare e non sanno come, perché si sentono vuoti.
Riscopriamo la preghiera dei salmi, accessibile in modo particolare nella
celebrazione delle Ore liturgiche, per esempio Lodi e Vespri.
Nei salmi, Dio, che conosce il nostro cuore, ci fa attraversare tutta la gamma delle emozioni umane: il dolore, il lamento, la sofferenza, lo scoraggiamento, ma anche la gioia, la lode, la speranza, l’intercessione. Egli ci insegna come rivolgerci a Lui e noi impariamo a conoscere come è fatto il nostro cuore, perché ce lo racconta Colui che lo ha creato. Così, in unione con l’intera Chiesa, impariamo ad esprimere nella preghiera le nostre emozioni, a capirle, ma anche a guarirle perché le facciamo attraversare dalla potenza della Parola di Dio. Non possiamo scordare l’intensità e l’intimità che ci viene dal fatto che esse sono parole, preghiere ed emozioni che sono state attraversate e vissute da Gesù di Nazareth.
Esorto i giovani a partecipare alla celebrazione comunitaria delle Ore liturgiche, imparando a pregare alla scuola dei salmi. Ricordo che il Centro di Pastorale Giovanile, a Fabriano, a Matelica e a Sassoferrato, ha predisposto la celebrazione quotidiana del Vespro in continuità con la recente Missione giovani (2005); iniziative analoghe avvengono in altre località della Arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche.
Nei salmi, Dio, che conosce il nostro cuore, ci fa attraversare tutta la gamma delle emozioni umane: il dolore, il lamento, la sofferenza, lo scoraggiamento, ma anche la gioia, la lode, la speranza, l’intercessione. Egli ci insegna come rivolgerci a Lui e noi impariamo a conoscere come è fatto il nostro cuore, perché ce lo racconta Colui che lo ha creato. Così, in unione con l’intera Chiesa, impariamo ad esprimere nella preghiera le nostre emozioni, a capirle, ma anche a guarirle perché le facciamo attraversare dalla potenza della Parola di Dio. Non possiamo scordare l’intensità e l’intimità che ci viene dal fatto che esse sono parole, preghiere ed emozioni che sono state attraversate e vissute da Gesù di Nazareth.
Esorto i giovani a partecipare alla celebrazione comunitaria delle Ore liturgiche, imparando a pregare alla scuola dei salmi. Ricordo che il Centro di Pastorale Giovanile, a Fabriano, a Matelica e a Sassoferrato, ha predisposto la celebrazione quotidiana del Vespro in continuità con la recente Missione giovani (2005); iniziative analoghe avvengono in altre località della Arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche.
Note
32 CONFERENZA EPISCOPALE
ITALIANA, Testimoni di Gesù Risorto, p. 47: “Un superficiale
emozionalismo ha spesso effetti disastrosi sulla verità delle relazioni”.
VII.
L'intelligenza
Intelletto amoroso: conoscere - amare
23. La
bellezza suscita stupore e «solo lo stupore conosce»
33. La bellezza fa sorgere in noi il desiderio di
conoscere ciò che ci attrae. La Bibbia dà al vocabolo «conoscere» l’intensità
riservata all’unione tra uomo e donna. Si capisce allora perché secondo il
Vangelo di Giovanni credere a Gesù conduce a conoscere Dio, che significa
amarlo, unirsi a Lui, fare la Sua volontà. Anche l’esperienza della nostra
mente che accoglie la verità di Dio è carica di intimità e bellezza.
Non si tratta tanto di imparare nozioni nuove, ma di approfondire sempre di più il mistero di Cristo Signore, per lasciarci stupire dalla sua luce, che illumina la mente e scalda il cuore. Infatti «il Figlio è Verbo», dice S. Tommaso, «ma non un verbo qualunque bensì un verbo che spira amore … quindi il Figlio non è inviato per un perfezionamento qualsiasi dell’intelletto ma per quell’insegnamento che prorompe nell’affetto dell’amore» 34. Giustamente cantava Dante: «Luce intellettual, piena d’amore / Amor di vero ben, pien di letizia / Letizia che trascende ogni dolzore» (Par. XXX, 40-42).
Non si tratta tanto di imparare nozioni nuove, ma di approfondire sempre di più il mistero di Cristo Signore, per lasciarci stupire dalla sua luce, che illumina la mente e scalda il cuore. Infatti «il Figlio è Verbo», dice S. Tommaso, «ma non un verbo qualunque bensì un verbo che spira amore … quindi il Figlio non è inviato per un perfezionamento qualsiasi dell’intelletto ma per quell’insegnamento che prorompe nell’affetto dell’amore» 34. Giustamente cantava Dante: «Luce intellettual, piena d’amore / Amor di vero ben, pien di letizia / Letizia che trascende ogni dolzore» (Par. XXX, 40-42).
Lectio
divina e luoghi di formazione
24.
Quest’anno la nostra Diocesi ha visto aumentare le proposte di lectio
divina. È una esperienza da sostenere e incoraggiare, perché esprime il
profondo desiderio di molti di capire e conoscere, ma anche la potenza di
attrazione della Parola di Dio. Dalla paziente ricerca della comprensione
della Parola di Dio, impariamo a capire noi stessi, il senso che Dio ha posto
nella realtà in cui siamo immersi. Abituiamoci a vivere una sorta di
lectio divina anche quando accostiamo il mistero delle persone che
incontriamo, per cercare ovunque la presenza del Dio bello, vero e buono. In
particolare, il luogo della scuola sia un’esperienza di questa dolcezza del
comprendere: ho già insistito nella mia precedente Lettera su questo e lo
confermo con forza. Quando si riesce ad accendere nei giovani adolescenti
l’entusiasmo per lo studio che affina le loro capacità di giudizio, è una
fiamma che difficilmente potrà essere spenta e potrà offrire luce e calore
alla loro vita.
Penso tuttavia anche alle altre realtà di formazione permanente e cammini educativi cattolici che incoraggio: gli incontri di formazione permanente per i sacerdoti; i momenti di formazione per la comunità dei giovani sacerdoti; la Scuola Teologica Diocesana; il progetto formativo dell’Azione Cattolica, i gruppi Scout; il Cammino neocatecumenale, la Scuola di Comunità di Comunione e Liberazione, la Pastorale giovanile vocazionale, la Pastorale del lavoro, la Pastorale familiare. Anche l’impegno nello studio è espressione del desiderio di conoscere Dio.
Penso tuttavia anche alle altre realtà di formazione permanente e cammini educativi cattolici che incoraggio: gli incontri di formazione permanente per i sacerdoti; i momenti di formazione per la comunità dei giovani sacerdoti; la Scuola Teologica Diocesana; il progetto formativo dell’Azione Cattolica, i gruppi Scout; il Cammino neocatecumenale, la Scuola di Comunità di Comunione e Liberazione, la Pastorale giovanile vocazionale, la Pastorale del lavoro, la Pastorale familiare. Anche l’impegno nello studio è espressione del desiderio di conoscere Dio.
Note
33 GREGORIO DI NISSA,
Vita di Mosè, PG 377B.
34 TOMMASO D’AQUINO, Summa theologica, I, 43, 5 ad 2.
34 TOMMASO D’AQUINO, Summa theologica, I, 43, 5 ad 2.
VIII.
Relazioni
«È
bello per noi stare qui»
25. Il
senso di profonda partecipazione che l’esperienza della bellezza ci dona, non
può restare estranea all’esperienza di Dio che, donando in abbondanza i suoi
carismi, rende ciascuno partecipe e responsabile della costruzione della
comunità. Si devono curare relazioni significative, costitutive, affinché le
nostre comunità e le nostre Parrocchie siano il luogo non del «loro», ma del
«noi», dove ciascuno è importante e necessario (anche se non indispensabile).
In questo periodo storico, in cui la Chiesa in Europa è considerata una realtà in minoranza che porta il peso di una realtà di maggioranza, è importante condurre coloro che già credono a quell’esperienza di stupore che fece Giacobbe quando disse: «Davvero il Signore era in questo luogo, e io non lo sapevo» (Gn 28, 16). Occorre seguire e coltivare la qualità della proposta e delle relazioni o tutto crolla il giorno dopo. Bisogna prendere a cuore, prima che l’impegno dei credenti, la qualità del rapporto con il Signore Risorto, l’unico che, anche se tutto passa, resta stabile 35.
La frequente mobilità che l’attuale situazione sociale ed economica permette e impone, ci mostra molto più chiaramente che non è semplicemente la frequentazione di uno stesso luogo a creare una comunione di vita, ma il dialogo e la comunicazione profonda. La Parrocchia, con il suo criterio territoriale, resta ancora il primo strumento di comunione ecclesiale, incentrato sull’Eucaristia domenicale e sulla formazione catechistica. Tuttavia, dai movimenti e dai vari gruppi che si stanno costituendo nei vari ambienti, ci viene un significativo monito e appello: non basta condividere uno spazio. Bisogna diventare, oltre che comunità territoriali, comunità educative e forti, comunità che educhino ad un percorso di fede adulta. Purtroppo l’unica catechesi con cui raggiungiamo la maggior parte delle persone resta quella del livello del catechismo per la prima comunione e la cresima. È una fede adatta ai bambini. Non meraviglia se essa non ha poi la forza di rispondere alle sfide e ai bisogni dell’uomo adulto di oggi, anche i più complessi.
Non si tratta di creare solo comunità in cui si sta bene, tipico di una situazione adolescenziale di «branco», anche se è importante far sentire accolta ogni persona come assolutamente unica ed originale. Bisogna invece offrire relazioni significative e anche esigenti, umilmente consapevoli che quand’anche riuscissimo a creare su questa terra la miglior Parrocchia, la migliore comunità, il miglior gruppo o la migliore associazione, non possiamo mai dire «Signore, è bello per noi stare qui» e fermarci.
Noi tutti aspettiamo infatti la Gerusalemme che viene dal cielo, da Dio.
In questo periodo storico, in cui la Chiesa in Europa è considerata una realtà in minoranza che porta il peso di una realtà di maggioranza, è importante condurre coloro che già credono a quell’esperienza di stupore che fece Giacobbe quando disse: «Davvero il Signore era in questo luogo, e io non lo sapevo» (Gn 28, 16). Occorre seguire e coltivare la qualità della proposta e delle relazioni o tutto crolla il giorno dopo. Bisogna prendere a cuore, prima che l’impegno dei credenti, la qualità del rapporto con il Signore Risorto, l’unico che, anche se tutto passa, resta stabile 35.
La frequente mobilità che l’attuale situazione sociale ed economica permette e impone, ci mostra molto più chiaramente che non è semplicemente la frequentazione di uno stesso luogo a creare una comunione di vita, ma il dialogo e la comunicazione profonda. La Parrocchia, con il suo criterio territoriale, resta ancora il primo strumento di comunione ecclesiale, incentrato sull’Eucaristia domenicale e sulla formazione catechistica. Tuttavia, dai movimenti e dai vari gruppi che si stanno costituendo nei vari ambienti, ci viene un significativo monito e appello: non basta condividere uno spazio. Bisogna diventare, oltre che comunità territoriali, comunità educative e forti, comunità che educhino ad un percorso di fede adulta. Purtroppo l’unica catechesi con cui raggiungiamo la maggior parte delle persone resta quella del livello del catechismo per la prima comunione e la cresima. È una fede adatta ai bambini. Non meraviglia se essa non ha poi la forza di rispondere alle sfide e ai bisogni dell’uomo adulto di oggi, anche i più complessi.
Non si tratta di creare solo comunità in cui si sta bene, tipico di una situazione adolescenziale di «branco», anche se è importante far sentire accolta ogni persona come assolutamente unica ed originale. Bisogna invece offrire relazioni significative e anche esigenti, umilmente consapevoli che quand’anche riuscissimo a creare su questa terra la miglior Parrocchia, la migliore comunità, il miglior gruppo o la migliore associazione, non possiamo mai dire «Signore, è bello per noi stare qui» e fermarci.
Noi tutti aspettiamo infatti la Gerusalemme che viene dal cielo, da Dio.
Note
35 CONFERENZA EPISCOPALE
ITALIANA, Testimoni di Gesù Risorto, p. 27 (La qualità della
testimonianza), p. 34 (Le ragioni della speranza: la sua coscienza e azione).
IX.
Il dolore: la deformazione della vita
26. La
proposta cristiana non è un analgesico, non risparmia dal dolore della vita,
non libera dalla fatica di vivere. Non è possibile né giusto ridurre la vita
cristiana ad un tranquillante: essa infatti è molto di più, perché dona la
forza di una motivazione vitale.
Lo
scandalo della fragilità e della morte
27.
Ogni vita, e anche la vita del cristiano, conosce la forza disgregante del
peccato e della morte, dell’infedeltà e dell’assurdo che sfigurano la
creazione, in cui riesce difficile continuare a vedervi la bellezza che Dio vi
ha posto. La proposta cristiana non elude la domanda sul senso del male, ma
non dà nemmeno una facile risposta. Essa è certa della gioia che viene dalla
Croce e quindi anche di quella che può venire da ogni croce nostra.
La
speranza dalla Croce - apertura all’oltre
28.
«Per riportare all’uomo il volto del Padre, Gesù ha dovuto non soltanto
assumere il volto dell’uomo, ma caricarsi del volto del peccato»
36. È un volto sfigurato e senza bellezza, che non attira
i nostri sguardi (Is 53, 2-3). Questo volto è però quello assunto dal
Figlio di Dio, il Signore Risorto, che mantiene le cicatrici della sua
passione d’amore.
Anche nel dolore, perciò, il cristiano ha la speranza di incontrare un volto, quello del Messia senza bellezza, che si è fatto prossimo al dolore di ciascun uomo e che è andato a cercare l’uomo anche nell’esperienza dell’allontanamento da Dio. Sulla croce, il volto di Gesù sfigurato ci apre il cuore della Trinità: proprio sulla Croce quindi egli manifesta pienamente la bellezza e la potenza dell’amore di Dio 37.
Si tratta quindi di aiutare le persone a percorrere la strada della guarigione delle loro fragilità proprio attraverso il dono che è ogni dolore, trasformando le ferite in fonti di energia. Potremo affermare con verità anche di fronte alla morte che la vita ha senso, se nella sfida del dolore riconosciamo la presenza di Gesù.
In vario modo siamo chiamati a rendere visibile questa bellezza: con il ministero della consolazione (2 Cor 1,3-7), con uno sguardo profondo alla dignità delle persone con la vicinanza ai sofferenti, ai morenti, alle persone minorate, 38 disagiate, alle vittime delle nuove povertà (Mt 25,31-46).
Anche nel dolore, perciò, il cristiano ha la speranza di incontrare un volto, quello del Messia senza bellezza, che si è fatto prossimo al dolore di ciascun uomo e che è andato a cercare l’uomo anche nell’esperienza dell’allontanamento da Dio. Sulla croce, il volto di Gesù sfigurato ci apre il cuore della Trinità: proprio sulla Croce quindi egli manifesta pienamente la bellezza e la potenza dell’amore di Dio 37.
Si tratta quindi di aiutare le persone a percorrere la strada della guarigione delle loro fragilità proprio attraverso il dono che è ogni dolore, trasformando le ferite in fonti di energia. Potremo affermare con verità anche di fronte alla morte che la vita ha senso, se nella sfida del dolore riconosciamo la presenza di Gesù.
In vario modo siamo chiamati a rendere visibile questa bellezza: con il ministero della consolazione (2 Cor 1,3-7), con uno sguardo profondo alla dignità delle persone con la vicinanza ai sofferenti, ai morenti, alle persone minorate, 38 disagiate, alle vittime delle nuove povertà (Mt 25,31-46).
Dallo
sfiguramento alla trasfigurazione
29.
Nelle nostre relazioni familiari, nelle relazioni educative, nelle nostre
comunità, nella vita consacrata, sul luogo del lavoro, vi saranno sempre
momenti difficili costituiti dallo scandalo del «brutto»: i limiti di un
sacerdote, l’ambiente chiuso di una comunità, quel lato del carattere del
nostro sposo o collega, e le tante meschinerie di noi uomini e donne.
Forse è anche importante che ad un certo punto in ogni relazione si arrivi alla percezione della bruttezza propria e di ciascuno per sperimentarci salvati da uno sguardo che resta amante nonostante il nostro limite 39 Questo sguardo è anzitutto quello di Gesù, ma dovrebbe essere anche un po’ la luce nei nostri occhi quando guardiamo un fratello o una sorella. Solo così possiamo richiamare fiduciosamente ad un cammino di conversione. In questi momenti si tratta di riandare a quella intuizione originaria come un dono dall’alto, a quella bellezza percepita all’inizio di un cammino, la fase del «fidanzamento» (Os 2, 17-22), che ci ha come immessi dentro la prospettiva divina (creatrice) permettendoci, anche se per breve, di guardare l’altro con lo stesso sguardo che aveva Dio nel crearlo (Gn 1, 15-16. 31 et a.) 40 Infatti ogni sguardo che non sia amoroso sul limite dell’altro crea caricature dell’altro, senza cogliere l’unicità del suo volto. Solo l’amore vede la bellezza.
Anche lo sfiguramento di Gesù sulla croce allora assume un ruolo centrale nell’educazione alla fede. Gesù usa questa pedagogia: mostra tutto il suo splendore alla Trasfigurazione per predisporre i suoi discepoli a vedere il Figlio di Dio anche nel suo volto sfigurato sulla croce. Bisogna abituare progressivamente i nostri sensi spirituali a guardare nel profondo; rafforzare il nostro sguardo per penetrare la profondità della realtà e andare oltre la superficie. Certo, la croce ferisce e il dolore brucia, ma tramite queste esperienze possiamo aprire nella nostra vita un varco a qualcosa di più grande, all’oltre che è Dio. Dio spesso raffina nel crogiuolo del dolore il nostro cuore, come l’oro, perché sia portato ad una bellezza più grande (1 Pt 1, 7) 41 Dio infatti è colui che fa la piaga e la fascia, se ferisce è per risanare (cfr. Gb 5, 18).
Forse è anche importante che ad un certo punto in ogni relazione si arrivi alla percezione della bruttezza propria e di ciascuno per sperimentarci salvati da uno sguardo che resta amante nonostante il nostro limite 39 Questo sguardo è anzitutto quello di Gesù, ma dovrebbe essere anche un po’ la luce nei nostri occhi quando guardiamo un fratello o una sorella. Solo così possiamo richiamare fiduciosamente ad un cammino di conversione. In questi momenti si tratta di riandare a quella intuizione originaria come un dono dall’alto, a quella bellezza percepita all’inizio di un cammino, la fase del «fidanzamento» (Os 2, 17-22), che ci ha come immessi dentro la prospettiva divina (creatrice) permettendoci, anche se per breve, di guardare l’altro con lo stesso sguardo che aveva Dio nel crearlo (Gn 1, 15-16. 31 et a.) 40 Infatti ogni sguardo che non sia amoroso sul limite dell’altro crea caricature dell’altro, senza cogliere l’unicità del suo volto. Solo l’amore vede la bellezza.
Anche lo sfiguramento di Gesù sulla croce allora assume un ruolo centrale nell’educazione alla fede. Gesù usa questa pedagogia: mostra tutto il suo splendore alla Trasfigurazione per predisporre i suoi discepoli a vedere il Figlio di Dio anche nel suo volto sfigurato sulla croce. Bisogna abituare progressivamente i nostri sensi spirituali a guardare nel profondo; rafforzare il nostro sguardo per penetrare la profondità della realtà e andare oltre la superficie. Certo, la croce ferisce e il dolore brucia, ma tramite queste esperienze possiamo aprire nella nostra vita un varco a qualcosa di più grande, all’oltre che è Dio. Dio spesso raffina nel crogiuolo del dolore il nostro cuore, come l’oro, perché sia portato ad una bellezza più grande (1 Pt 1, 7) 41 Dio infatti è colui che fa la piaga e la fascia, se ferisce è per risanare (cfr. Gb 5, 18).
Note
36 GIOVANNI PAOLO II,
Novo millennio ineunte, n. 25.
37 AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos, 44,3: “Bello è Dio, Verbo presso Dio […] È bello in cielo, bello in terra; bello nel seno, bello nelle braccia dei genitori, bello nei miracoli, bello nei supplizi; bello nell’invitare alla vita, bello nel non curarsi della morte; bello nell’abbandonare la vita e bello nel riprenderla; bello nella Croce, bello nel sepolcro, bello nel cielo. Ascoltate il cantico con intelligenza, e la debolezza della carne non distolga i vostri occhi dallo splendore della sua bellezza” (traduzione di R. MINUTI, Roma 1967, pp. 1079-1081; Opere di S. Agostino, XXV).
38 Si pensi in modo particolare alla realtà della Casa della Rosa.
39 Cfr. DIOCESI DI FABRIANO-MATELICA, Atti del Convegno Pastorale Diocesano: Gesù nostra speranza (21-23 settembre 2006), Supplemento al Bollettino Diocesano 3 (2005), pp. 24-25.
40 Cfr. M.B. ZORZI, Desiderio della Bellezza (eros tou kalou) da Platone a Gregorio di Nissa: tracce di una rifrazione teologico-semantica, Excerptum ex Diss., Roma 2005, 87-88.
41 Cfr. P. GIANNONI, L’orante, p. 211: Il credente «… sa che ogni ferita è benefica, perché gli permette di convertirsi, di condividere il cammino di altri e di poter vivere il dialogo con loro, imparando a navigare con l’energia di ogni vento contrario, che può essere forma dello Spirito che lo chiama a conversione, perché egli sa che Dio ferisce, ma per sanarlo. Lo ferisce mentre lo trasfigura, conducendolo faticosamente verso la propria bellezza».
37 AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos, 44,3: “Bello è Dio, Verbo presso Dio […] È bello in cielo, bello in terra; bello nel seno, bello nelle braccia dei genitori, bello nei miracoli, bello nei supplizi; bello nell’invitare alla vita, bello nel non curarsi della morte; bello nell’abbandonare la vita e bello nel riprenderla; bello nella Croce, bello nel sepolcro, bello nel cielo. Ascoltate il cantico con intelligenza, e la debolezza della carne non distolga i vostri occhi dallo splendore della sua bellezza” (traduzione di R. MINUTI, Roma 1967, pp. 1079-1081; Opere di S. Agostino, XXV).
38 Si pensi in modo particolare alla realtà della Casa della Rosa.
39 Cfr. DIOCESI DI FABRIANO-MATELICA, Atti del Convegno Pastorale Diocesano: Gesù nostra speranza (21-23 settembre 2006), Supplemento al Bollettino Diocesano 3 (2005), pp. 24-25.
40 Cfr. M.B. ZORZI, Desiderio della Bellezza (eros tou kalou) da Platone a Gregorio di Nissa: tracce di una rifrazione teologico-semantica, Excerptum ex Diss., Roma 2005, 87-88.
41 Cfr. P. GIANNONI, L’orante, p. 211: Il credente «… sa che ogni ferita è benefica, perché gli permette di convertirsi, di condividere il cammino di altri e di poter vivere il dialogo con loro, imparando a navigare con l’energia di ogni vento contrario, che può essere forma dello Spirito che lo chiama a conversione, perché egli sa che Dio ferisce, ma per sanarlo. Lo ferisce mentre lo trasfigura, conducendolo faticosamente verso la propria bellezza».
X.
La gioia
«Perché la vostra gioia sia piena»
30.
Siamo fatti per la gioia e la felicità, ma la gioia cristiana non è una gioia
ingenua. Sa che il dolore e lo sfiguramento attraversano la vita. Il vero
contrario della gioia però non è la sofferenza, quanto la tristezza. Ricordava
Papa Benedetto XVI alla Giornata Mondiale della Gioventù, Colonia 2005,
che oggi le persone sono spesso in preda ad un sentimento di insoddisfazione
di tutto e di tutti. «Vien fatto esclamare: Non è possibile che questa sia la
vita! Davvero no!» Nel mondo occidentale attuale, benché pieno di benessere, è
facile scorgere un senso di disperazione diffuso, anche se latente, di
insostenibilità della vita. Siamo abituati ad avere tutto, ma non siamo più
capaci di dare tutto. Anche questo ci fa felici.
Gesù può dirsi bello sulla croce, perché manifesta la bellezza di un amore che dona tutto se stesso per la salvezza dell’umanità. Qui sta «il fascino della persona del Signore Gesù e la bellezza del totale dono di sé alla causa del Vangelo» 42.
Gesù può dirsi bello sulla croce, perché manifesta la bellezza di un amore che dona tutto se stesso per la salvezza dell’umanità. Qui sta «il fascino della persona del Signore Gesù e la bellezza del totale dono di sé alla causa del Vangelo» 42.
Le
doglie di un parto, attesa della creazione tutta
31. La
Bibbia conosce un’immagine molto intensa per dire come la sofferenza può
trasformarsi fino ad esplodere in gioia: le doglie del parto. Gesù stesso
ricollega la tristezza per la sua morte e la gioia pasquale a quella del
travaglio di una donna per la nascita di un figlio (Gv 16, 21). San
Paolo afferma che tutta la creazione attraversa questo travaglio e geme (Rm
8, 20-21). Si tratta però di dolori che porteranno alla nascita di una nuova
vita. In questa speranza dobbiamo poter educare i giovani ad affrontare gli
scacchi della vita, i malati e gl’infermi ad attraversare il dolore, gli
anziani ad andare incontro alla sera dell’esistenza. Con il coraggio di
accettare anche noi quel dolore felice di chi viene trasfigurato dalle mani
del Dio vasaio, perché «leali sono le ferite dell’amico» (Pro 27, 6).
Servitori della gioia
32. La
formazione cristiana come educazione alla bellezza, è una relazione
propositiva, non di imposizione, in cui si cerca insieme la verità della
propria vita, che insieme la si scopre e la si accoglie come un dono. Infatti
ogni crescita ha bisogno di un aiuto «educante», che cioè porti fuori le
capacità della per- sona fino alla sua maturità, ma nel tono di S. Paolo che
scrive: «Noi non siamo padroni della vostra fede; siamo al servizio della
vostra gioia» (2 Cor 1, 24). È Dio infatti Colui che fa crescere
(«Paolo ha piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere»,
1 Cor 3, 6)
43.
«Vi do
la mia pace»: shalom!
33. La
gioia cristiana non è una semplice emozione forte e passeggera, né
un’esperienza piacevole come un divertimento. Essa è frutto dello Spirito del
Risorto: è la gioia profonda di Pasqua. Essa in ebraico è shalom, e
la pace che deriva dall’essere stati pacificati perché perdonati. Essa diventa
in noi una forza che immette pace, facendo di noi uomini e donne di giustizia,
perché non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono
44
Diceva fr. Roger di Taizé: «Prima di tutto è una pace interiore, una pace del cuore. È quella che permette di volgere uno sguardo di speranza sul mondo, anche se spesso è lacerato da violenze e conflitti» 45
Diceva fr. Roger di Taizé: «Prima di tutto è una pace interiore, una pace del cuore. È quella che permette di volgere uno sguardo di speranza sul mondo, anche se spesso è lacerato da violenze e conflitti» 45
Note
42 GIOVANNI PAOLO II,
Vita Consecrata, n. 64.
43 Cfr. GIANNONI, Ascetica come estetica, 4.1.
44 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002, n. 15.
45 Fr. ROGER, Lettera incompiuta, 2005.
43 Cfr. GIANNONI, Ascetica come estetica, 4.1.
44 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002, n. 15.
45 Fr. ROGER, Lettera incompiuta, 2005.
XI.
Maria, la «tutta bella»
34.
L’anno liturgico si apre con la visione della bellezza: la solennità
dell’Immacolata. Qui è affermato il primo compito della Chiesa: non imporre
dottrine o insegnare delle verità, ma cantare la bellezza. È Maria la «piena
di grazia« (“grazia - charis”: salvezza, bellezza e gioia), la tutta
bella, perché ha detto quell’«Eccomi», aprendo la totalità della sua vita,
senza riserva, a quel desiderio che ci inabita tutti, permettendo a Dio di far
dispiegare all’umanità finita e limitata tutte le sue capacità: partorire
l’infinito, Dio.
Con questa festa ci viene presentato il fine della nostra vita: la bellezza futura della creazione che assume il tono della gratuità. In Maria, infatti, primo frutto della salvezza e segno splendente dell’umanità rinnovata, l’umanità è riportata al progetto di Dio sull’uomo (Gn 1).
Nel mistero dell’Assunzione noi vediamo in Lei anticipato il nostro destino, la chiara visione di ciò che accade quando il desiderio di Dio e quello dell’umanità si incontrano. Infatti S. Paolo proclama che anche noi siamo «santi e immacolati» (Ef 1, 4), chiamati cioè con gli stessi termini nei quali Maria è glorificata dalla Chiesa. In Maria è quindi anticipata e realizzata quella totalità di bellezza che tutti saranno chiamati a ricevere e che la Risurrezione di Cristo ha procurato a lei e a noi.
In Lei tutti noi possiamo contemplare già realizzato il nostro stesso destino di bellezza. «In fondo la bellezza è la gloria di Dio che risplende nella creazione, è Dio che vive nell’uomo: la santità» 46.
Con questa festa ci viene presentato il fine della nostra vita: la bellezza futura della creazione che assume il tono della gratuità. In Maria, infatti, primo frutto della salvezza e segno splendente dell’umanità rinnovata, l’umanità è riportata al progetto di Dio sull’uomo (Gn 1).
Nel mistero dell’Assunzione noi vediamo in Lei anticipato il nostro destino, la chiara visione di ciò che accade quando il desiderio di Dio e quello dell’umanità si incontrano. Infatti S. Paolo proclama che anche noi siamo «santi e immacolati» (Ef 1, 4), chiamati cioè con gli stessi termini nei quali Maria è glorificata dalla Chiesa. In Maria è quindi anticipata e realizzata quella totalità di bellezza che tutti saranno chiamati a ricevere e che la Risurrezione di Cristo ha procurato a lei e a noi.
In Lei tutti noi possiamo contemplare già realizzato il nostro stesso destino di bellezza. «In fondo la bellezza è la gloria di Dio che risplende nella creazione, è Dio che vive nell’uomo: la santità» 46.
Note
46 D. BARSOTTI, Il
mistero cristiano nell’anno liturgico, Cinisello Balsamo 2004, p. 70.
XII.
Decisione per la santità: dare forma alla vita, per danzarla e cantarla
35.
Entriamo in questo cammino di santità, dunque, per dare forma alla nostra
vita, non per mortificarla, anzi! Per danzarla e cantarla! Per partecipare
alla danza trinitaria della vita ed essere ad immagine di Dio Trinità.
Come una vocazione artistica, anche chi avverte in sé una speciale chiamata, come una sorta di scintilla divina, sente «allo stesso tempo l’obbligo di non sprecare questo talento, ma di svilupparlo, per metterlo a servizio del prossimo e di tutta l’umani- t à » 47.
Accogliamo una delle scelte di vita che la Chiesa offre: «Nell’unità della vita cristiana, infatti, le varie vocazioni sono come raggi dell’unica luce di Cristo riflessa sul volto della Chiesa. I laici, in forza dell’indole secolare della loro vocazione, rispecchiano il mistero del Verbo incarnato soprattutto in quanto esso è l’Alfa e l’Omega del mondo, fondamento e misura del valore di tutte le cose create. I ministri sacri, da parte loro, sono immagini vive di Cristo capo e pastore, che guida il suo popolo nel tempo del «già e non ancora», in attesa della sua venuta nella gloria. Alla vita consacrata è affidato il compito di additare il Figlio di Dio fatto uomo come il traguardo escatologico a cui tutto tende, lo splendore di fronte al quale ogni altra luce impallidisce, l’infinita Bellezza che, sola, può appagare totalmente il cuore dell’uomo» 48.
In questo spirito vorrei che lavorassero le persone coinvolte nella Catechesi, 49 nella Pastorale giovanile, nella Pastorale familiare: aiutate a riconoscere Qualcuno dentro qualcosa!
Le nostre Diocesi sono ricche di forme di arte e cultura cristiana.
Cari sacerdoti e laici, esponete la fede anche tramite esse.
Insegnate ad amare le tante forme di vita cristia- na presenti nel nostro territorio: la vocazione al sacerdozio, al diaconato permanente, alla vita reli- giosa e monastica, all’Ordo virginum, alla famiglia, al laicato impegnato in vario modo nel mondo, in attività di carità, assistenza e missione. La Caritas diocesana, nelle Vicarie e nelle Parrocchie, sia il luogo più significativo per quella «formazione del cuore» a cui richiamava Papa Benedetto XVI nell’Enciclica (n. 31) per vivere la bellezza del cristianesimo.
Come una vocazione artistica, anche chi avverte in sé una speciale chiamata, come una sorta di scintilla divina, sente «allo stesso tempo l’obbligo di non sprecare questo talento, ma di svilupparlo, per metterlo a servizio del prossimo e di tutta l’umani- t à » 47.
Accogliamo una delle scelte di vita che la Chiesa offre: «Nell’unità della vita cristiana, infatti, le varie vocazioni sono come raggi dell’unica luce di Cristo riflessa sul volto della Chiesa. I laici, in forza dell’indole secolare della loro vocazione, rispecchiano il mistero del Verbo incarnato soprattutto in quanto esso è l’Alfa e l’Omega del mondo, fondamento e misura del valore di tutte le cose create. I ministri sacri, da parte loro, sono immagini vive di Cristo capo e pastore, che guida il suo popolo nel tempo del «già e non ancora», in attesa della sua venuta nella gloria. Alla vita consacrata è affidato il compito di additare il Figlio di Dio fatto uomo come il traguardo escatologico a cui tutto tende, lo splendore di fronte al quale ogni altra luce impallidisce, l’infinita Bellezza che, sola, può appagare totalmente il cuore dell’uomo» 48.
In questo spirito vorrei che lavorassero le persone coinvolte nella Catechesi, 49 nella Pastorale giovanile, nella Pastorale familiare: aiutate a riconoscere Qualcuno dentro qualcosa!
Le nostre Diocesi sono ricche di forme di arte e cultura cristiana.
Cari sacerdoti e laici, esponete la fede anche tramite esse.
Insegnate ad amare le tante forme di vita cristia- na presenti nel nostro territorio: la vocazione al sacerdozio, al diaconato permanente, alla vita reli- giosa e monastica, all’Ordo virginum, alla famiglia, al laicato impegnato in vario modo nel mondo, in attività di carità, assistenza e missione. La Caritas diocesana, nelle Vicarie e nelle Parrocchie, sia il luogo più significativo per quella «formazione del cuore» a cui richiamava Papa Benedetto XVI nell’Enciclica (n. 31) per vivere la bellezza del cristianesimo.
Note
47 GIOVANNI PAOLO II,
Lettera agli artisti, n. 3.
48 ID., Vita Consecrata, n. 16.
49 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicazione e missione. Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa, nn. 58- 58, in particolare: “Questa intonazione alla bellezza deve diventare una dimensione costante della catechesi”, n. 59.
48 ID., Vita Consecrata, n. 16.
49 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicazione e missione. Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa, nn. 58- 58, in particolare: “Questa intonazione alla bellezza deve diventare una dimensione costante della catechesi”, n. 59.
Conclusioni
36.
Quarant’anni or sono, il Concilio Vaticano II, alla sua chiusura, affermava:
«Questo mondo nel quale noi viviamo ha bisogno di bellezza, per non cadere
nella disperazione. La bellezza come la verità mette la gioia nel cuore degli
uomini…» (Messaggio agli artisti, 8 dicembre 1965). «Quale bellezza
salverà il mondo?». Solo una bellezza capace di inglobare tutto il male e la
sofferenza, e che risulti più grande di ogni bruttezza può davvero salvare il
mondo. Ebbene sì, Dio, la vita cristiana, il cammino spirituale ed ecclesiale
sono questa bellezza!
Diamo forma alla nostra vita e a tutta la ricchezza che ciascuno di noi è. Costruiamo fin da ora la bellezza della Chiesa sposa! Trasformiamo il carbone in diamante perché risplenda su di noi la luce del Suo volto!
«L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino» (Ap 21, 10-11).
Sono spunti di sollecitazione a riflessioni e cambiamenti: i sacerdoti e i diaconi a ritrovare il gusto della bellezza della fede cristiana, da vivere e comunicare con entusiasmo nella Catechesi, nella Liturgia, nel rispetto della propria identità, nel modo di vivere la carità con tutti, in collaborazione con il Presbiterio diocesano e in una prospettiva di Chiesa universale. Le religiose e i religiosi a testimoniare la bellezza della loro vocazione e del vivere insieme. I laici ad esprimere la loro indole secolare nello spirito delle Beatitudini per trasfigurare il mondo. I giovani a dimostrare la loro autentica esigenza di Bellezza.
Come sempre attendo le vostre risposte, proprio perché scrivendovi, desidero tenere vivo il rapporto con voi.
Diamo forma alla nostra vita e a tutta la ricchezza che ciascuno di noi è. Costruiamo fin da ora la bellezza della Chiesa sposa! Trasformiamo il carbone in diamante perché risplenda su di noi la luce del Suo volto!
«L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino» (Ap 21, 10-11).
Sono spunti di sollecitazione a riflessioni e cambiamenti: i sacerdoti e i diaconi a ritrovare il gusto della bellezza della fede cristiana, da vivere e comunicare con entusiasmo nella Catechesi, nella Liturgia, nel rispetto della propria identità, nel modo di vivere la carità con tutti, in collaborazione con il Presbiterio diocesano e in una prospettiva di Chiesa universale. Le religiose e i religiosi a testimoniare la bellezza della loro vocazione e del vivere insieme. I laici ad esprimere la loro indole secolare nello spirito delle Beatitudini per trasfigurare il mondo. I giovani a dimostrare la loro autentica esigenza di Bellezza.
Come sempre attendo le vostre risposte, proprio perché scrivendovi, desidero tenere vivo il rapporto con voi.
Don Giancarlo Vecerrica,
vostro Vescovo.
Pasqua 2006
vostro Vescovo.
Pasqua 2006
PREGHIERA A MARIA PER LA VISITA PASTORALE
O
Maria, nella tempesta della vita
noi rischiamo di perderci:
siamo pieni di desideri e domande
ma confusi nel riconoscere la strada.
Quel giorno una Presenza nuova ti ha raggiunto
e si è proposta come il compimento
della tua giovinezza.
Tu hai detto sì e hai introdotto la bellezza della vita.
Quell’annuncio continua nel tempo e nella storia
e oggi raggiunge ciascuno di noi.
Rendici disponibili ad accogliere Gesù
che viene a visitarci nelle nostre comunità
e rendici amici di Gesù per sempre.
Amen
noi rischiamo di perderci:
siamo pieni di desideri e domande
ma confusi nel riconoscere la strada.
Quel giorno una Presenza nuova ti ha raggiunto
e si è proposta come il compimento
della tua giovinezza.
Tu hai detto sì e hai introdotto la bellezza della vita.
Quell’annuncio continua nel tempo e nella storia
e oggi raggiunge ciascuno di noi.
Rendici disponibili ad accogliere Gesù
che viene a visitarci nelle nostre comunità
e rendici amici di Gesù per sempre.
Amen
+ Giancarlo, vescovo
25 Marzo 2006, festa dell’Annunciazione
25 Marzo 2006, festa dell’Annunciazione
PREGHIERA PER LA MISSIONE GIOVANI 2005
O
Gesù,
noi giovani desideriamo essere felici
e siamo in continua ricerca di cose grandi e belle!
Avvertiamo spesso la delusione della sconfitta
e la realtà ci fa talvolta paura.
Abbiamo bisogno di incontrare
qualcuno che sia all’altezza dei nostri desideri.
Tu hai dato la vita per i tuoi amici:
mai avevano vissuto una vita così piena e compiuta
come quella in Tua compagnia.
Ti hanno tradito, ma Tu non li hai rimproverati
e non hai domandato loro di seguire regole o valori.
Hai solo fissato Pietro negli occhi
e gli hai chiesto: “Mi ami tu?”.
Attraverso la Chiesa,
misteriosamente ma realmente
sei sempre Tu, oggi,
a fissarci negli occhi personalmente
e a domandarci: “Mi ami tu?”.
Sì, o Gesù, Tu lo sai che io Ti amo.
Tutto, così, ha più gusto,
perchè nel Tuo abbraccio
sperimentiamo che al fondo di quello che ci manca,
sei Tu che ci manchi!
Ti presentiamo, dunque,
la decisione di annunciarTi
presente tra noi in questa missione giovani
e di amare tutti nel Tuo nome.
Sì, o Gesù,
noi Ti amiamo e Ti seguiamo
nella vocazione che Tu ci doni.
Per sempre. Amen!
noi giovani desideriamo essere felici
e siamo in continua ricerca di cose grandi e belle!
Avvertiamo spesso la delusione della sconfitta
e la realtà ci fa talvolta paura.
Abbiamo bisogno di incontrare
qualcuno che sia all’altezza dei nostri desideri.
Tu hai dato la vita per i tuoi amici:
mai avevano vissuto una vita così piena e compiuta
come quella in Tua compagnia.
Ti hanno tradito, ma Tu non li hai rimproverati
e non hai domandato loro di seguire regole o valori.
Hai solo fissato Pietro negli occhi
e gli hai chiesto: “Mi ami tu?”.
Attraverso la Chiesa,
misteriosamente ma realmente
sei sempre Tu, oggi,
a fissarci negli occhi personalmente
e a domandarci: “Mi ami tu?”.
Sì, o Gesù, Tu lo sai che io Ti amo.
Tutto, così, ha più gusto,
perchè nel Tuo abbraccio
sperimentiamo che al fondo di quello che ci manca,
sei Tu che ci manchi!
Ti presentiamo, dunque,
la decisione di annunciarTi
presente tra noi in questa missione giovani
e di amare tutti nel Tuo nome.
Sì, o Gesù,
noi Ti amiamo e Ti seguiamo
nella vocazione che Tu ci doni.
Per sempre. Amen!
+ Giancarlo, vescovo
Fonte : http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/vis_diocesi.jsp?idDiocesi=68
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