CERTOSA DI SAN LORENZO
PADULA (SA)
La costruzione della Certosa di San Lorenzo in Padula, che faceva
parte della provincia cartusiana "Sancti Brunonis", fu voluta e
finanziata a partire dai 1306 da Tommaso Sanseverino, conte di Marsico e signore
dei Vallo di Diano, sotto la supervisione organizzativa dei Priore della Certosa
di Trisulti (Frosinone),
Tommaso aveva acquistato, in precedenza, dall'Abbazia di
Montevergine un'antica grància già dedicata a San Lorenzo, costituendo il nucleo
originario su cui realizzare il cenobio. Diverse furono le ragioni che spinsero
il Conte ad una tale realizzazione: accanto alle motivazioni ufficiali di ordine
religioso e devozionale, di sicuro ve ne furono altre di prestigio e di
convenienza. Certamente determinante fu la comune origine francese dell'ordine
monacale e degli Angioini, sicché i regnanti non poterono non gradire l’appoggio
dato a quell'ordine, aristocratico e colto, tant'è che, dopo qualche tempo,
Tommaso Sanseverino fu nominato connestabile dei Regno da Carlo II lo Zoppo.
Altra ragione fu certamente dettata dalla necessità di bonificare dalle paludi
le proprietà nel Vallo di Diano; d'altro canto, nel Medioevo, spesso furono
proprio le grandi organizzazioni monastiche ad occuparsi di questo servizio e un
gruppo come quello certosino si prestava bene anche a questo scopo. Un intreccio
di motivazioni diplomatiche e pratiche, quindi, portò la famiglia Sanseverino ad
interessarsi in particolare di questo ordine tanto da proteggerlo almeno fino
all'inizio dei sedicesimo secolo.
Dell'impianto più antico restano in
Certosa pochi elementi: tra questi si ricordano lo splendido portone della
chiesa datato al 1374 e le volte a crociera della chiesa stessa. A partire dal
Concilio di Trento (metà dei XVI sec.) furono avviate le grandi opere di
ampliamento che modificarono radicalmente l'antica struttura trecentesca. In
quegli anni, tra l'altro, furono iniziati anche i lavori che porteranno, molto
più tardi, alla realizzazione dei Chiostro grande e dello scalone ellittico. Gli
ultimi interventi si registrano nel XVIII sec., cui risalgono la costruzione dei
Refettorio e le decorazioni a stucco di diversi ambienti.
L'impianto costruttivo delle certose
è sempre uguale in qualsiasi paese esse siano state costruite, poiché deriva
dalla rigida applicazione della regola. Al di là, quindi, della grandiosità,
della bellezza e della ricchezza di ogni singola struttura, l'impianto
iconografico rimane sempre inalterato. Gli ambienti delle certose si dividono in
"casa bassa" e "casa alta": nella prima rientrano i luoghi di lavoro (depositi,
granai, stalle, lavanderie, ecc.), la seconda, invece, è la zona di residenza
dei padri, il regno dei silenzio e della più stretta clausura. Questa netta
divisione rispecchia in pieno le esigenze di un gruppo monastico composto sia da
padri di clausura che da conversi, monaci questi ultimi a tutti gli effetti, ma
che volontariamente non prendono il voto di clausura per occuparsi delle varie
attività produttive e dei servizi. Alla fine dei 1700 può
dirsi conclusa l'epoca felice vissuta da questo complesso perchè, durante il
"periodo francese" e precisamente all'inizio dei 1807, la Certosa di San Lorenzo
fu soppressa ed i monaci costretti ad abbandonarla. Tutto il tesoro d'arte,
tele, ori, statue, argenti, ecc., che i monaci avevano acquisito nei secoli
precedenti, fu portato via, compresi i testi della ricchissima biblioteca, e
disperso.
Alla fine dei periodo napoleonico, i certosini rientrarono nella
loro Casa senza più il peso ed il potere avuti in precedenza. Rimasero a Padula
fino al 1866 quando lasciarono definitivamente la Certosa, dichiarata nel 1882
monumento nazionale. Nonostante ciò essa cadde per molti anni nell'oblio e
nell'abbandono, utilizzata finanche come campo di prigionia nelle due guerre
mondiali.
Bisogna aspettare i
primi anni '60 per assistere all'inizio di lavori di ristrutturazione, voluti
dalla Cassa per il Mezzogiorno, ma il definitivo impulso alle opere di restauro
e di recupero è stato dato dalla Soprintendenza per i B.A.A.A.S. di Salerno a
cui il monumento è stato affidato dal giugno 1982 e che ha profuso ogni energia
intellettuale ed economica per riportare il cenobio al suo antico splendore e
per la sua valorizzazione e rifunzionalizzazione.
LA CORTE ESTERNA
E’ costituita da
un grande cortile rettangolare intorno al quale erano ospitate buona parte delle
attività produttive, utili per la sussistenza stessa della comunità. Qui erano
situate le stalle, i depositi, la lavanderia, i granai, i forni, le cantine ed
il frantoio. Sulla sinistra, entrando nella code, c'era la Spezieria, i cui
preparati, nati per provvedere ai bisogni interni dei religiosi, in cambio di
modeste elemosine erano disponibili anche per il pubblico laico e, a seguire,
gli alloggi dei monaci conversi, che qui svolgevano la maggior parte delle loro
attività. Era questa la "casa bassa" che rappresentava il trait d'union tra la
Certosa ed il mondo esterno sul quale incise profondamente sia socialmente che
economicamente. Per molti secoli la Certosa, infatti, fu l'unico centro di
raccolta di manodopera specializzata e non; basti ricordare che nel 1771 in essa
si registrava la presenza di ben 195 lavoratori, di cui un centinaio erano
salariati.
A sera
il portone del cortile chiudeva e l’ingresso veniva protetto dagli armigeri
rintanati in una torre della cinta muraria.
Dalla
parte opposta a quella dell'ingresso appare la Facciata, di impostazione tardo
manierista, il cui Portone poteva essere varcato da pochissimi. Sull'originaria
veste cinquecentesca, realizzata in pietra locale e rigidamente scandita
dall'ordine dorico delle colonne binate, essa fu arricchita in epoca barocca con
statue e pinnacoli: ai lati dell'ingresso le figure in pietra di San Paolo e San
Pietro, San Bruno e San Lorenzo agii estremi. Sul fastigio, sotto la scritta
"Fefix coefi porta", è scolpita una data, 1723, anno in cui verosimilmente
terminarono i lavori.
Nella seconda metà del XIX sec., il torrente Fabbricato, che
scorreva proprio davanti alla Certosa, straripò e la Corte esterna fu invasa da
enormi quantità di materiali di detrito, che coprirono l'originale
pavimentazione in Pietre che caratterizzava il cortile. Di recente questo
materiale è stato asportato, restituendo alla luce l'antico acciottolato fino ad
allora ricoperto da due metri di terriccio.
IL CHIOSTRO DELLA
FORESTERIA
La vita claustrale imposta dalla
regola riservava ai monaci la completa solitudine e scarsissimi contatti con il
mondo esterno. L'ospitalità in Certosa era, quindi, riservata a pochissimi
eletti: tra questi, e comunque in casi eccezionali, religiosi e nobili illustri.
Le stanze della Foresteria si trovano al piano superiore del chiostro, dove è
situata anche una cappella dedicata a Sant'Anna, ricca di stucchi dorati di
epoca settecentesca. il chiostro, tardomanierista, è composto da un portico con
fontana al centro e da un loggiato dal quale si eleva la torre dell'orologio. La
loggia attira la massima attenzione ricca com'è di pitture seicentesche: vedute
su boschi, paesaggi, scene di vita agreste, riconducibili alla pittura
paesaggista napoletana dei primo '600 e ad uno dei massimi esponenti di quella
corrente pittorica, Domenico Gargiulo. Sul portico si affacciano una cappella,
detta della Madonna dei Morti, e l'ingresso alla Chiesa di San Lorenzo.
LA CHIESA
Per i
monaci certosini essa rappresentava la sede di uno dei rari momenti di vita
comunitaria; vi si recavano una volta durante la notte e due volte durante il
giorno. Il portone, probabilmente opera di Baboccio da Piperno, racchiuso da un
portale in pietra cinquecentesco, è in legno di cedro dei Libano lavorato a
formelle inserite in cornici molto aggettanti. A destra in alto, sono
raffigurate alcune scene dei martirio di San Lorenzo con in basso la scritta, a
lettere gotiche, CARTUSIENSIS ORDINIS. Sulla sinistra invece, vi è la
scena dell'Annunciazione e la scritta AVE MARIA GRAZIA PLENA. La Chiesa a
navata unica con cinque cappelle sul lato destro è divisa in due zone da una
parete. Nella prima, all'ingresso, sedevano i conversi, dalla parte prossima al
presbiterio sedevano i padri di clausura che lì arrivavano attraverso un
passaggio interno. Due sono anche i cori. Quello dei conversi è composto da
ventiquattro stalli; sui dossali compaiono figure di Santi, Vescovi, Martiri e
dei quattro Evangelisti, ognuna sormontata da una frase, mentre in basso si
notano paesaggi ed architetture. E’ datato al 1507 e firmato, così come si legge
in alto a sinistra, dal maestro Giovanni Gallo. Il coro dei padri è datato al
1503 e, di certo, ha subito diversi interventi di rifacimento soprattutto nella
trabeazione. E’ composto da trentasei stalli con scene tratte dal Nuovo
Testamento sui dossali e storie di Martiri sui prospetti inferiori. Splendido il
pavimento della zona dei padri, realizzato in cotto e maiolica, databile alla
metà dei XVIII sec. L'altare maggiore è in scagliola e madreperla: il
gesso, dopo essere stato bollito a temperature molto elevate, veniva fatto
asciugare e quindi fissato su lastre di pietra per essere inciso e decorato. In
questo caso la scagliola fu arricchita da madreperle e iapislazzuli. L'opera
viene attribuita a Giovan Domenico Vinaccia che lo avrebbe realizzato alla fine
dei XVII sec.La Chiesa è decorata con stucchi dorati di gusto settecentesco che
vanno a sovrapporsi ad una struttura sicuramente trecentesca.
Di notevole interesse le scene dei Vecchio Testamento dipinte
sulla volta dal pittore palermitano Michele Ragolìa. All'interno della
decorazione, qui come in altre sale, si notano larghi vuoti: sono cornici dove
un tempo erano alloggiate le tele sparite quando, all'inizio dell'800 durante il
decennio francese, la Certosa fu soppressa ed i monaci cacciati via. Oggi le
uniche tre tele si trovano sulle pareti del presbiterio.
Sono lì perché opere tarde, ordinate dai padri nel 1860 una volta
rientrati in Certosa. Sulla destra è raffigurata la mode di San Bruno, a
sinistra il martirio di San Lorenzo, al centro San Lorenzo e San Bruno ai piedi
della Vergine con Bambino.
La
Sacrestia si apre alle spalle dell'altare ed in essa si possono ammirare
l'armadio dove i padri riponevano i paramenti, realizzato da alcuni di loro e
datato al 1684, e sull'altare con paliotto in scagliola con madreperle, il
Ciborio probabilmente dello scultore siciliano Jacopo dei Duca, allievo e
collaboratore di Michelangelo Buonarroti.
LA SALA DEL CAPITOLO E
LA CAPPELLA DEL TESORO
Accanto alla serie
di suggestive cappelle laterali, sono ambienti della chiesa anche la Sala dei
Capitolo e la Cappella dei Tesoro, cui si accede attraverso il piccolo passaggio
che i padri utilizzavano per arrivare nell'aula. Al Capitolo, presieduto dal
Priore, non partecipavano tutti i monaci: esso si occupava dei problemi della
Casa e vigilava sulla vita dei certosini; ogni decisione presa veniva
debitamente registrata. La sala rettangolare presenta quattro statue
recentemente attribuite a Domenico Lenmico, discepolo di Lorenzo Vaccaro nonché
padre certosino, ed è ricca di stucchi settecenteschi. Anche in questo caso le
cornici sono prive delle tele; l'unica rimasta si trova di fronte all'ingresso
sopra l'altare: sono raffigurati San Bruno e San Lorenzo ai piedi della Vergine
coi Bambino. La Cappella dei Tesoro costituiva una sorta di cassaforte dove
probabilmente veniva custodito e protetto il ricchissimo arredo della chiesa.
Oggi l'enorme armadio che conteneva gli ori, gli argenti, gli avori è
desolatamente vuoto. Resta da ammirare una sontuosa decorazione settecentesca
all'interno della quale però mancano gli affreschi, andati perduti a causa della
forte umidità e dell'incuria nella quale la Certosa è stata in passato lasciata.
CHIOSTRO DEL CIMITERO
ANTICO E CAPPELLA DEL FONDATORE
Il Cimitero
antico, situato in una zona piuttosto nascosta dei monastero, veniva
attraversato dai padri di clausura per raggiungere la chiesa o per far ritorno
dopo le funzioni nelle proprie celle; è piccolo perché la sepoltura avveniva
senza la bara, quindi i corpi si decomponevano piuttosto velocemente. Sulla
fossa veniva messa una croce anonima di legno. Il Chiostro che lo delimita, con
al centro una croce in pietra, presenta diversi elementi riconducibili al
periodo settecentesco: la balaustra traforata, i capitelli naturalistici, i
doccioni a forma di mascheroni, gli stucchi. Questo cimitero cadde in disuso
quando i padri decisero di farne costruire uno nuovo nel Chiostro grande.
La Cappella dei Fondatore è collocata in un angolo dei chiostro
ed è posteriore di oltre un secolo alla morte di Tommaso Sanseverino avvenuta
nel 1324. Vi si possono ammirare l'altare in scagliola e il sarcofago
cinquecentesco in pietra dove il fondatore è raffigurato nelle vesti di un
guerriero dormiente.
LA CUCINA E LE CANTINE
La
cucina è frutto di quella febbrile attività settecentesca che stravolse
significativamente gli ambienti dei monastero. Si trattava probabilmente di un
refettorio riadattato. Questa ipotesi è supportata anche dalla scoperta, fatta
qualche anno fa durante lavori di restauro, di un affresco dei 1600 raffigurante
la Deposizione, con il Cristo circondato da monaci certosini. La scena,
assolutamente inadatta per una cucina, era stata fatta coprire dagli stessi
monaci con una compatta scialbatura. Affreschi un po' offuscati dal tempo e dai
fumi della cucina decorano la volta a botte, mentre più in basso mattonelle
verdi e gialle, recuperate dallo spoglio di qualche cupola, corrono lungo le
pareti. Da ammirare i tavoli di lavoro in pietra e la cappa enorme al di sotto
della quale è collocato, sui fuochi utilizzati di solito, l'antico bollitore. E’
noto che nelle cucine sarebbero stati preparati pranzi luculliani in occasione
della visita di personaggi importanti a fronte di cibi giornalieri parchi e
ripetitivi: sintomatica è la leggendaria frittata di mille uova preparata in
onore di Carlo V fermatosi alcuni giorni di ritorno da Tunisi.
I padri certosini consumavano invece il pasto ognuno nella
propria cella; la regola proibiva loro la carne, mentre facevano largo consumo
di verdure, uova, latte, formaggi e pesce nei periodi di maggiore benessere.
Alle cantine si accede attraverso due Porte situate ai lati della
parete dove poggia la cappa. L'unico pezzo originario è costituito dall'enorme
torchio la cui costruzione fu avviata alla fine dei 1785 e sulla cui base è
stata murata l'epigrafe dedicata al dio pagano Attis proveniente da Co(n)silinum.
IL REFETTORIO
In questo suggestivo ambiente veniva consumato il pasto comune
nei giorni festivi e durante la Quaresima. Massimo era il silenzio, interrotto
soltanto dal padre che leggeva una predica tratta dalle Scritture o da sermoni
antichi degli stessi padri. E’ una sala costruita nei primi decenni dei XVIII
sec. di forma rettangolare. Addossati alle pareti sono i sessantuno stalli in
noce, davanti ai quali erano collocati i lunghi tavoli su cui i monaci
mangiavano. Oggi questi non ci sono più, così come non ci sono più le tele
alloggiate all’interno di una decorazione a stucco di gusto tardobarocco. Resta,
però, in fondo alla sala un dipinto ad olio su muro: vi è raffigurata una scena
che ben si adattava alle funzioni della sala, le Nozze di Cana ovvero il
Miracolo dell'acqua e vino. E’ una pittura ricca di personaggi in abiti
settecenteschi, a riproporre l'atmosfera e l'ambiente dell'epoca in cui fu
realizzata; datata infatti al 1749, è firmata dal pittore napoletano Alessio
D'Elia. Avare sono le notizie sul pulpito sorretto dall'aquila reale al quale si
accedeva dalla porta posta su una delle due pareti lunghe, mentre il pavimento
in marmi policromi fu posato da maestranze locali in circa sette mesi di
paziente lavoro. Tre, infine, sono le porte che danno accesso al Refettorio; i
portali, realizzati in pietra di Padula, hanno una decorazione in marmi
policromi con motivi piuttosto in voga in quegli anni.
CHIOSTRO DEI
PROCURATORI
Il procuratore, scelto direttamente dal Priore, amministra il
patrimonio della Certosa, vigila sul funzionamento della casa, si occupa delle
provvigioni e delle elemosine, visita i monaci malati, cura l'educazione dei
conversi. Una volta all'anno rende conto dei proprio operato al padre priore coi
quale peraltro ha contatti frequenti. Alcune certose, quelle più importanti,
avevano più di un procuratore: è il caso dei monastero di Padula che ai
possedimenti a Brindisi, Taranto e Napoli aggiunse ben presto anche i feudi di
Padula, Montesano e Buonabitacolo (1645).
Il chiostro, collocato lungo l'asse che dall'ingresso conduce al
chiostro grande, sul lato sinistro, è composto da un portico al piano terra e da
un corridoio finestrato al piano superiore: qui erano gli alloggi dei
procuratori, mentre in basso era situato il refettorio dei monaci conversi. Una
fontana in pietra con delfino e animali marini si trova al centro dei chiostro.
La decorazione è a stucco.
LA CELLA DEL PRIORE
Ogni certosa è retta da un priore eletto, di solito, a scrutinio segreto dai suoi confratelli per occuparsi dei diversi uffici spirituali e temporali: dà l'estrema unzione ai malati, veglia sul progresso spirituale dei certosini, tiene capitolo nei giorni di festa e, come rappresentante della casa, riceve gli ospiti di riguardo ed accoglie gli artisti che giungono in sede per realizzare le opere ordinate dai monaci. A Padula, la sua autorità varcava le soglie dello stesso monastero: egli, infatti, non potendolo fare di persona, era costretto a nominare un capitano per amministrare la giustizia civile e penale sui territori cadenti sotto la giurisdizione della Certosa. Il i priore, mediatore della vita claustrale e della vita comunitaria, dava conto di tutto il suo operato ogni due anni al Capitolo generale, l'assemblea di tutti i priori che si teneva nella Grande Chartreuse, presso Grenoble.
Alla "cella" dei priore si giunge dopo aver superato un portone
che separa la zona delle celle dei padri da tutti gli ambienti sinora descritti.
Quel portone rimaneva sempre chiuso e l'unico a poterlo varcare con una certa
libertà era proprio il priore. La sua non è in verità una cella come il termine
può fare immaginare: si tratta, invece, di un appartamento residenziale di ben
dieci stanze, con in più vari locali di servizio, l'archivio, l'accesso diretto
alla biblioteca ' un bel giardino con loggia affrescata e la cappella privata.
Quest'ultima, dedicata al patrono di Padula, San Michele Arcangelo, presenta
all'interno una decorazione a stucco dorato con, sulle pareti, quattro dipinti
ad olio rappresentanti alcuni episodi della vita dei Santo, di epoca
settecentesca. Sull’altare in marmi policromi, è posta la statua lignea
seicentesca dell'Arcangelo. Accanto alla cappella si apre la loggia affrescata
che conduce ai giardino, che taglia trasversalmente le celle dei novizi
permettendo l'accesso ai priore e, quindi, il controllo sulla loro vita di
preghiera. Le scene dipinte da Francesco De Martino da Buonabitacoio (in questo
caso paesaggi marini) richiamano molto da vicino le pitture che decorano la
loggia della Foresteria.
LA BIBLIOTECA
Essa rappresentava un momento molto importante nella vita di un
certosino: assieme alla preghiera e ai lavoro, lo studio non poteva che elevare
lo spirito e rafforzare la dottrina. Questa attività, però, doveva essere
praticata con moderazione, senza distrarre i padri dalla contemplazione e dalla
ricerca di Dio.
Fu dovuta probabilmente a ciò la proibizione, avvenuta nel 1400,
dello studio dei diritto e dell'astrologia e, a partire dai 1542, la negazione
della lettura delle opere di Erasmo e dell’apprendimento dell’ebraico e dei
greco. La Biblioteca custodiva decine di migliaia tra libri, codici miniati,
manoscritti, di cui in Certosa resta oggi solo una piccolissima parte, circa
duemila volumi. Le prime spoliazioni si ebbero tra il 1811 ed il 1814, quando
decine e decine di casse furono spedite nella Biblioteca Reale di Napoli (oggi
Biblioteca Nazionale). Altre opere sono state rintracciate nella Certosa di
Serra San Bruno in Calabria e nelle Badie di Cava e di Montevergine.
L'ingresso della Biblioteca è collocato accanto alla cella dei
priore; appena varcata la soglia, ci si trova di fronte ad una delle opere più
belle dell'intero monumento: si tratta di una scala elicoidale composta da
trentotto gradini monolitici che, aprendosi a ventaglio, conducono dolcemente
all'antisala della biblioteca. E’ una scala in pietra, raccordata unicamente da
un cordolo ricavato negli stessi scalini, culminante in una balaustra anch'essa
in pietra. Di autore ignoto, risalirebbe alla metà dei XV sec.
Sulla chiave di volta dei portale che introduce alla sala si può
leggere la scritta "Da sapienti occasionem et addetur ei sapientía"
(Offri al saggio l'occasione e la sua sapienza crescerà).
Scomparsi i libri, la sala della biblioteca è caratterizzata da
tre elementi che si fondono armonicamente quasi a formare un tutt'uno: il
pavimento, gli armadi e la grande tela della volta. Il primo, in cotto e
maiolica, è attribuito come quello della chiesa a Giuseppe Massa e datato al
XVIII sec.; i motivi e i colori prevalenti, giallo e azzurro, ne esaltano la
bellezza. Gli armadi in noce, oggi vuoti, erano divisi per materia e sui
cartigli, infatti, si legge "Historíci profani", "Poetae", 'PolemicP, "Sanctí
patres", ecc. e perfino tibri prohíbíti", armadio questo che
conteneva argomenti via via negati allo studio dei monaci. La tela che copre la
volta a padiglione è dipinta a tempera e vi sono raffigurate alcune scene
allegoriche: l'Aurora coi carro, il Giudizio Universale, la Scienza * L'opera
firmata da Giovanni Olivieri è datata al 1763.
IL CHIOSTRO GRANDE E
LE CELLE DEI PADRI
Tra le opere monumentali di questa Certosa rientra sicuramente il
Chiostro grande, che con i suoi quasi quindicimila metri quadrati di superficie,
risulta essere tra i maggiori in Europa.
Misura infatti 104 metri di larghezza per 149 di lunghezza e
poggia su 84 pilastri in pietra locale. La costruzione fu avviata nel 1583
rifacendo sostanzialmente un chiostro preesistente. I lavori andarono avanti per
quasi due secoli, dai momento che subivano ogni tanto rallentamenti ed
interruzioni dovuti a difficoltà economiche e costruttive ma anche al disagio
che i padri di clausura erano costretti a subire per la presenza di un cantiere
aperto a maestranze esterne. Alcuni,anzi, si ribellarono a Giovanni Battista
Manducci, priore dal 1628 ai 1636, il quale, a loro avviso, dedicava troppe
risorse alla realizzazione di tale progetto a scapito anche della stessa salute
dei monaci. li Capitolo generale di Grenoble in verità assolse il priore ma lo
sollevò dall'incarico destinandolo peraltro a funzioni più importanti.
Il Chiostro si sviluppa su due livelli,: in basso il portico con
le celie dei padri, in alto la galleria finestrata utilizzata dai monaci per la
passeggiata settimanale, il cosiddetto spaziamento, che di solito veniva fatto
all'aperto nei giardini personali. Durante questa “uscita" la clausura veniva
interrotta ed i padri potevano incontrarsi, comunicare tra loro e pregare
insieme.
Su di un lato corto dei chiostro fu costruito il nuovo cimitero
che sostituì quello posto tra cucina e refettorio; è racchiuso da una balaustra
con alcuni teschi in pietra a ricordarne la funzione. Piuttosto evidente è la
somiglianza di questo cimitero con quello della Certosa di San Martino a Napoli,
opera quest'ultimo di Cosimo Fanzago. Al centro dei Chiostro è una bella fontana
a forma di coppa, realizzata in pietra e datata al 1640.
Poco si sa sugli autori di questa grandiosa realizzazione e, data
la durata dei lavori, furono probabilmente diversi gli architetti che se ne
occuparono. Uno fu sicuramente Gaetano Barba (1730‑1806) che fu allievo dei
Vanvitelli e che per la Certosa progettò la galleria superiore dei chiostro e lo
scalone ellittico.
I monaci certosini vivevano la gran parte della propria giornata
all'interno della propria cella dedicandosi alla preghiera, al raccoglimento,
allo studio e alla meditazione nella continua ricerca di Dio. Le celle sono
generalmente confortevoli ed ospitali: un corridoio immediatamente dopo
l'ingresso, due stanze di cui una con camino, una loggia coperta e un orticello
alla cui cura dedicare le prime ore dei pomeriggio. Accanto ad ogni porta di
ingresso, un piccolo vano ospitava la ruota della clausura, girando la quale si
ritirava il pasto e quant'altro consegnato dai conversi. Nella Certosa di San
Lorenzo si contano oggi ventiquattro celle, mentre originariamente erano
ventisei, alcune delle quali costituite da più di due locali, collocate lungo
tre lati dei chiostro stesso.
LO SCALONE ELLITTICO
L'ultima opera
che i padri riuscirono ad ordinare e a vedere realizzata prima delle
soppressioni francesi. Si tratta di uno scalone ellittico a doppia rampa, che
unisce i due livelli dei chiostro grande. un'opera di straordinaria grandiosità
che, aldilà della funzione pratica cui era ed è tuttora destinata, si
giustificava come un maestoso elemento scenografico illuminato dai suoi sette
grandi finestroni che spaziavano sul paesaggio circostante, fin quasi ad
appropriarsene ed a fondersi con esso. Lo scalone si rifà ai modi sanfeliciani e
vanvitelliani ed è, come già detto, firmato da Gaetano Barba; permette l'accesso
alla passeggiata coperta, nei cui quattro bracci sono attualmente allestiti gli
spazi espositivi delle opere d'arte restaurate nei laboratori presenti in
Certosa, opere provenienti principalmente dai paesi terremotati dei Salernitano
e dell'irpinia che hanno trovato solo a Padula gli ambienti adatti agli
interventi a cui devono essere sottoposti.
IL GRANDE GIARDINO
DELLA CLAUSURA
L'aspetto attuale dei
giardino non corrisponde che in minima parte alla sistemazione settecentesca,
soprattutto a causa degli interventi effettuati durante le due guerre mondiali
per la costruzione dei ricoveri dei prigionieri. D'altro canto negli anni
Cinquanta l'Amministrazione provinciale tentò una sistemazione dei "parco" con
la creazione di alcuni viali a siepi sul modello dei giardino all'italiana,
creando, altresì, un vivaio per la crescita in loco delle piante da mettere a
dimora nello stesso e realizzando un viale di cipressi. Studi recenti hanno
permesso di ipotizzare una diversa sistemazione funzionale dello spazio dei
grande giardino (il "desertum", confine invalicabile tra la vita
spirituale
della clausura e il mondo esterno).
Lungo il muro di cinta, infatti, sono stati rinvenuti e restaurati i fondali
muniti di sedili che chiudevano un sistema di viali tra loro ortogonali percorsi
dai monaci nella preghiera. Tali viali andavano a formare una serie di grandi
aree rettangolari, che per dimensioni e forma si avvicinano a quelle dei
chiostro grande. Certo è che un viale parte dal cancello dei giardino del
Priore, un altro giunge allo scalone, un altro ancora raggiunge la piccola
cappella dedicata a San Rocco, le cui decorazioni a stucco sono datate al 1801,
mentre quello "dei cipressi" ne costituisce l'asse principale. Il grande
giardino della clausura presentava in origine, nella zona in lieve pendio che si
sviluppa verso Padula dopo lo scalone ellittico, un uliveto.
Accanto a quest'area oggi coltivata a foraggere si possono
ammirare i resti di un viale acciottolato di collegamento con la Cappella della
Maddalena, costruita a ridosso dei muro di cinta, e i piloni dell'antico
acquedotto che portava l'acqua al mulino e ai frantoio.
Il "desertum", infine, si collegava con un vialone rettilineo
acciottolato al monumento settecentesco di San Brunone, in località Vascella,
realizzando un asse prospettico di grande suggestione che, attraverso i portoni
dell'ingresso e della clausura e un braccio del chiostro grande, si concludeva
nello scalone ellittico.
FONTE : http://www.comune.padula.sa.it/davedere/certosa/certosa.htm
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