IL SIGNIFICATO DELLA LITURGIA
Il termine – La parola liturgia deriva
dalla radice greca lheit (da
laÒj = popolo) e dal termine
œrgon ( = opera, lavoro) e pertanto, nel
suo senso originario, significa: “opera a favore del popolo” e indicava dei
servizi che determinate categorie di persone svolgevano a favore della
collettività (preparazione di feste e giochi, armamento di reparti militari in
caso di guerra, …). successivamente il termine ha visto nel corso dei secoli
applicazioni con significati molto vari sia in campo religioso che profano.
Non seguiremo lo sviluppo delle utilizzazioni ditale parola
perché esula dalla nostra ricerca, rimandiamo per questo a E. Neunheuser,
S. Marsili, M. Augè, E. Civil, Anamnesis, vol. I,
pp. 33 – 103.
Al giorno d’oggi non esiste una definizione univoca di liturgia;
molti accettano quella di L. Beaudin che definiva la liturgia come “il
culto della Chiesa” (Essai de Manuel fondamental de liturgie, in “Essai
liturgiques et paroissiales”, 3 (1913), pp. 56 – 66), intendendo sottolineare il
carattere di ufficialità e di pubblicità. È bene comunque tenere presente che il
termine viene usato in una serie di contesti lontani dall’ambito religioso
(anche politici, sportivi, …) indicando qualsiasi fenomeno che, analogamente ai
fenomeni dell’area della religione, presenta comportamenti ritualizzati. È già
evidente da queste prime riflessioni la valenza sociale del fenomeno ‘liturgia’
e quindi l’interesse che essa riveste di fronte all’analisi sociologica.
Infatti la liturgia è un’azione propriamente umana, è la risposta
che la chiesa dà alla chiamata divina e per questo coinvolge l’uomo in tutte le
sue dimensioni, compresa quella corporale (gestualità, senso estetico,
comportamenti, azioni simboliche, …) “questa corporeità, sotto tutte le sue
forme e secondo le leggi proprie, è veramente causa e non solo condizione
dell’intensità umana e sacrale dell’azione liturgica” (M. D. Chenu, in Aa.
Vv., La liturgie après le Vatican II,
Paris, 1967, p. 166). La liturgia è l’azione di un uomo inserito in una
storia, in un’epoca: per tale motivo è sempre influenzata dalla cultura, dalla
tradizione, dalla mentalità propria di una società. Si comprende allora
l’interesse che la liturgia ha agli occhi delle culture di qualsiasi scienza
umana (antropologia, sociologia, psicologia).
Il linguaggio simbolico – La liturgia è costituita da
tutta una serie di gesti umani (levare le mani in preghiera, incensare, …), di
cose umane (cero pasquale, acqua del battesimo, crisma, paramenti, …) che
vogliono indicare significati che trascendono la cosa stessa (luce / Cristo,
incenso / preghiera, pastorale / potere vescovile, …); tutta la liturgia nel suo
complesso poi è il trait – d’union con il mistero di Dio nella storia. Ci
troviamo di fronte a quello che comunemente viene detto il linguaggio
simbolico. L’etimologia della parola ‘simbolo’ deriva dal greco (b£llein
= mettere, jun = insieme) ed indica la
funzione del collegare, dell’armonizzare. Il rapporto costitutivo del simbolismo
non è una rassomiglianza che risulta da una conoscenza separata delle due
realtà; è invece un movimento intenzionale che porta dalla realtà sensibile a
ciò che è simbolizzato da essa senza che questa relazione intenzionale possa
essere dominata concettualmente poiché la realtà simbolizzata non è mai
conosciuta per se stessa, ma solo attraverso il simbolo.
Ma la funzione del simbolismo ha pure una valenza orizzontale,
sociale: esso è “l’operatore d’un patto sociale di mutuo riconoscimento e per
questo il mediatore d’identità” (L. M. Chauvet, Du
symbolisme au symbole, Paris, 1979, p. 39): è ciò che permette ai
membri di un gruppo di identificarsi con il gruppo medesimo. La prima mediazione
simbolica è il mito. M. Eliade definisce il mito come il racconto di una
storia sacra (Mito e realtà, Milano, 1974), di un avvenimento
verificatosi nel tempo favoloso delle origini per opera di esseri
soprannaturali. Questa storia, che tratta per lo più di una creazione e di come
una cosa ha iniziato ad essere, è una storia vera (perché si riferisce
esclusivamente alla realtà), e ‘vincente’, nel senso che fornisce i modelli per
la condotta umana, conferendo con ciò significato e valore all’esistenza. I miti
raccontano cioè le irruzioni del sacro e del soprannaturale nel mondo, irruzioni
che hanno fondato il mondo e lo hanno reso come è oggi, per cui l’uomo è così
come è oggi, cioè mortale e culturale. Non c’è mito – rileva Eliade – se non c’è
lo svelamento di un mistero, di un avvenimento primordiale con cui si è
costituito, sia esso una struttura del reale, sia un comportamento umano. E non
può essere che universale, in quanto rivela le attività esemplari di esseri
sovrumani che così facendo hanno modificato la condizione umana. Tale narrazione
è rivolta, per Eliade, all’uomo totale, non alla sua intelligenza o alla sua
fantasia; si presenta cioè come un’esperienza dell’esistenza totale che rivela
all’uomo le sue modalità di essere nel mondo. Questa esperienza, per il suo
carattere sacro, non può avvenire indifferentemente, ma necessita di uno spazio
o di un tempo sacri, cioè di un’uscita dal tempo profano del quotidiano per
introdursi in una dimensione spazio – temporale qualitativamente differente, in
cui si reintegra il grande tempo delle origini e si diventa contemporanei dei
grandi personaggi mitici. Il mito ha la funzione di risvegliare e di conservare
la coscienza di un altro mondo, quello dei valori assiologici e trascendenti, di
una realtà che esiste in modo assoluto, che è sacra e sovraindividuale, ma
accessibile all’esperienza umana. La realtà si svela a partire da un livello
trascendente che può essere vissuto attraverso il rito, in grado di abolire il
tempo profano e recuperare quello sacro. Laddove il mito è vivo – rileva Eliade
– il mondo, seppur ancor pieno di mistero, acquista articolazione e significato,
sino a diventare non solo intelligibile, ma ‘trasparente’ perché il mito,
l’oggetto parla da sé, della sua origine.
Un’altra mediazione simbolica è quella del rito (rimandiamo per
la trattazione di questa realtà alla voce ‘rito’contenuta nel presente sezione).
Difficoltà della cultura contemporanea a comprendere il senso
della liturgia - È evidente che per l’individuo del XX secolo una
esperienza, quella della liturgia, basata su queste premesse teoriche (mito,
rito) fatica ad essere compresa e soprattutto vissuta. Le cause di questa crisi
la ravvisiamo nei seguenti motivi:
1) la mentalità scientista che ha portato, dal Rinascimento in
poi, ad una secolarizzazione del cosmo; mentalità che, nella pretesa di
analizzare un fenomeno, lo fraziona anziché ricondurlo all’unità (cosa che
invece fa la mentalità simbolica). Inoltre il pensiero contemporaneo ha
diseducato ad affondare lo sguardo al di là del mero fenomenico per cogliere la
profonda realtà delle cose;
2) una sproporzionata fiducia nella scienza che ha portato ad una
limitazione del mistero, di ciò che non è immediatamente oggetto dei cinque
sensi;
3) un diverso modo di abitare: il cosiddetto fenomeno della
‘città secolare’. Nel Medio Evo la chiesa come edificio rappresentava lo spazio
perfetto, protetto e sacro; è il luogo dove si è difesi da un mondo
incomprensibile, misterioso, dove è effettivamente all’opera il demoniaco,. Non
per niente le chiese romaniche hanno raffigurati sugli stipiti degli ingressi
palmizi, fiori, leoni, tigri e animali in genere aventi la bocca aperta a
significare che il maligno non può entrare in quei luoghi; ci sono animali, ma
anche palmizi e fiori perché la chiesa simboleggia l’arca che salva. Lo spazio
sacro (la chiesa medioevale) è rivolto ad oriente (Cristo è il sole che viene) e
a forma di croce (la croce è Cristo). In essa è presente tutta la societas:
i due sessi: le donne da una parte, gli uomini dall’altra); la chiesa purgante
(i morti sono sepolti sotto il pavimento), la chiesa militante (i viventi) e la
chiesa trionfante (i santi e gli angeli dipinti sul soffitto). Il tempo è
ritmato dalle campane: esse suonano ogni tre ore e ammoniscono che la chiesa è
lì, punto di riferimento e di protezione, inoltre il suono delle campane
‘allontana’ i temporali; così, più chiese sono presenti, più la città è
santificata ed ha protezione. Inoltre bisogna tenere presente che la chiesa era
anche il luogo di socializzazione: sul sagrato e sotto il portico si svolgevano
i mercati, si stipulavano contratti alla presenza del prete. (Descrizione
ripresa da S. Burgalassi in “Note di sociologia”, 3 (1973). Questo
processo sarà contrastato nel 1300 quanto la città sarà una città commerciale;
la costruzione dei palazzi, del comune prima e del principe poi, significherà il
sorgere del potere civile in contrapposizione a quello religioso.
4) L’individualismo esasperato dei nostri giorni che ha
eliminato il valore della comunità con tutti i suoi gesti e i suoi valori
lasciando spazio, per assurdo, ad una massificazione senza volto;
5) la ricerca dell’utile materiale che ha portato
all’eliminazione di gesti gratuiti come ‘regalare’ un po’ del proprio tempo a
Dio;
6) una mancanza degli elementi
costitutivi del senso della festa: gratuità, fantasia, ricerca del bello, …
Presenza di liturgie più o meno laiche nella nostra società –
Pur in questo quadro negativo, l’atteggiamento religioso non è completamente
scomparso dalla nostra cultura, si è mascherato sotto vesti laiche, a –
religiose: basti pensare alle liturgie dei partiti e dei sindacati (congressi,
manifestazioni, …); alla valenza mitologica ed escatologica di grandi correnti
di pensiero contemporaneo (basti pensare all’ideologia messianica nel marxismo o
nel mito della razza). Anche tecniche di psicanalisi hanno caratteristiche,
almeno a livello inconscio, di discesa iniziatica agli inferi. Si può affermare
che l’uomo contemporaneo ha perso il valore della religione, ma che nel suo
“intimo ne conserva ancora il ricordo” (M. Eliade, Il sacro e il
profano, Torino, 19732, p. 135); questa affermazione può far
riflettere coloro che vorrebbero laicizzare la liturgia per renderla
maggiormente a misura di un uomo secolarizzato.
Caratteristiche del linguaggio liturgico –
Il fatto liturgico deve essere considerato, come abbiamo notato
sopra, un fatto umano e religioso nel contempo. fatto umano perché solo così il
momento liturgico assume la dimensione umana della ritualità (cfr. la voce
‘rito’ nella presente sezione), indispensabile per ogni esperienza liturgica,
compresa quella cristiana.
Il rito è un’azione simbolica che ha caratteristiche particolari,
che sono proprie della liturgia:
1) un rito è un’azione misurata, solenne perché si tratta del
rito di un’intera comunità; indispensabile quindi il carattere ieratico;
2) lo svolgimento della celebrazione è da sempre in parte
fissato, presenta un carattere di tradizionalità e di convenzionalità perché i
riti nella loro struttura umana sono il patrimonio del clan: accanto al mito c’è
la ritualità del mito. Perciò il rito, che comporta la presenza di qualcosa
d’altro che fa camminare e viver l clan, deve essere ripetuto.
Il futuro della liturgia – Ci sono
indubbi indici nelle culture emergenti in questi ultimi vent’anni che fanno
supporre una riscoperta della liturgia. Innanzitutto una valorizzazione
dell’esperienza della ‘comunità’, sia nel senso laico dei valori della
solidarietà umana, della ‘socializzazione’, di esperienze alternative (comuni,
anche a sfondo cristiano), sia in senso più prettamente ecclesiale (movimenti,
gruppi, …) e la liturgia, abbiamo visto, è il luogo in cui si celebrano nel rito
i valori comuni di tutto il gruppo e dove l gruppo \celebra il so stare assieme.
In secondo luogo assistiamo in questi ultimi decenni a una chiara
sconfitta della pretesa assolutizzante della scienza, ultimo residuo del
positivismo e a un ripresa del senso del mistero, vuoi in forme come la magia,
l’astrologia, la parapsicologia, ecc., vuoi in modo da comprendere il senso
esistenziale della persona, come ce ne dà testimonianza A. J. Heshel:
Noi viviamo ai margini della realtà e difficilmente sappiamo
giungere alla sua essenza … Delle cose che contano per noi, non sappiamo render
conto. Indaghiamo i modi dell’esistenza, ma non ne conosciamo né la ragione e
l’origine. Né il mondo, né il nostro ansioso riflettere su di esso ricevono una
spiegazione … possiamo riuscire a risolvere molti enigmi, ma la mente in sé
rimane sempre una sfinge. Il mistero è al centro del mondo visibile: il
conosciuto non è che l’aspetto ovvio dello sconosciuto” (Dio alla ricerca
dell’uomo, Torino, 1969, pp. 74 – 75).
E la liturgia non è il luogo dove, attraverso il rito e il mito,
il misterioso viene vissuto? Afferma ancora Heshel: “Tutti i culti e i
riti sono essenzialmente dei tentativi volti a smuovere la nostra sensibilità al
mistero insito nella nostra esistenza e nella nostra attività” (op. cit., p.
81).
Assistiamo poi a un sempre maggior interesse a forme di
religiosità di provenienza orientale, forme dove è sottolineata – di contro al
pensiero occidentale moderno – la dimensione della corporeità come elemento
indispensabile per un’esperienza di preghiera o almeno di meditazione o di pace
dei sensi. questa nuova sensibilità può aiutare a capire il valore della
gestualità, delle posizioni del corpo (in ginocchio, in pedi, …); del silenzio,
… proprie della liturgia.
È doveroso poi accennare, senza entrare nel merito perché si
allargherebbe troppo la nostra ricerca, che il cristianesimo si sta diffondendo
in paesi (Asia, Africa, America latina) dove la liturgia trova terreno fertile
in culture abituate a vivere da sempre il momento della festa, della danza, del
canto, dei gesti carichi di significati simbolici, dei colori. In questa
situazione di spostamento della cultura mondiale dalla vecchia Europa a questi
giovani paesi, anche il problema della liturgia ha nuovi orizzonti insieme
ovviamente a problemi di adattamento non indifferenti.
Esistono anche fattori che pongono grosse questioni intorno al
futuro della liturgia. Ne accenniamo a due: una certa spiritualizzazione del
concetto di fede, contrapposto appunto a quello di religione, intesa in senso
negativo come un insieme di strutture, di riti, di credenze inficianti il senso
originario del cristianesimo, per cui la liturgia viene a trovarsi in una
posizione ambigua. In secondo luogo appare evidente una dimenticanza del valore
simbolico di molti riti, formule, oggetti, … in quanto appartenenti a culture
ormai scomparse, dimenticanza che fa apparire in certi casi lo svolgimento della
liturgia come rappresentazione lontana dalla quotidianità della vita o
addirittura della propria spiritualità. Ma non è questo l’ambito in cui cercare
soluzioni.
Bibliografia – Aa. Vv., La liturgie
aprés le Vatican II, Paris, 1967; E. Cattaneo, Introduzione alla storia
della liturgia occidentale, Roma, 1969; L.-M., Chauvet, Du symbolisme au
symbole, paris, 1979; C. Di Sante, Il rinnovamento liturgico: problema
cultuale, Bologna, 1978; M. Eliade, Il sacro e il profano, Torino,
19732; di., Mito e realtà, Milanoo, 1974; F. Isambert, Rite
et efficacitè symbolique, Paris, 1974; A. Marazzi (a cura di), Simboli e
culture, Bologna, 1976; Panikkar, La culte et l’homme séculier,
Paris, 1976; A. Vergote, Interprétation du langage religeux, Paris, 1974.
Fonte : http://web.tiscali.it/cmmarchi/testi/dizionario/liturgia.htm
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