BELLEZZA E TRASFIGURAZIONE
di Enzo Bianchi
Nell’episodio
della trasfigurazione è certamente presente il nucleo evangelico più
denso e pregnante circa la visione cristiana della bellezza. Ci
chiediamo: Quale bellezza emerge dalla trasfigurazione di Gesù? E quale
rapporto può avere con la salvezza?
La
trasfigurazione è mistero di bellezza anzitutto in quanto mostra che la
bellezza è dimensione in Dio che si rivela in Cristo: Cristo narra la
bellezza di Dio con la luminosità irradiante del suo volto trasfigurato.
Il Dio che «abita una luce inaccessibile» (1 Tm 6,16) ha comunicato
agli uomini la sua luce in Cristo, dunque in un corpo umano, nel viso di
un uomo: così, tramite il Figlio, che è «irradiazione della gloria del
Padre» (Eb 1,3), l’uomo può conoscere il Dio che nessuno ha mai visto né
può vedere e può avere comunione con lui. Al cuore della
trasfigurazione, come della salvezza, vi è il dono di Dio: la bellezza
si declina pertanto come donazione e grazia di Dio cui l’uomo risponde
con la gratuità. La bellezza cristiana è l’evento di una relazione di
grazia, e la vita cristiana, in quest’ottica, si configura come vita
eucaristica posta sotto il primato del dono e non della prestazione,
come esperienza di luce e avventura di libertà e amore, dove luce,
libertà e amore trovano in Cristo la loro oggettivazione. Diventare
somigliantissimi al Cristo partecipando alla bellezza della sua vita è
quindi il compito dei discepoli. Bellezza e santità sono sinonimi! E la
santità cristiana si declina come comunione. Come la trasfigurazione,
infatti, è evento di comunione tra prima e nuova alleanza (Mosè ed Elia e
i tre discepoli), tra cielo e terra e tra l’uomo e tutto il creato e il
cosmo (l’alta montagna), tra viventi e trapassati che nel Cristo
ricevono la possibilità di comunicare, così anche la bellezza cristiana,
che nasce dalla rinuncia alla concupiscenza, al possesso e all’abuso,
trova nella comunione un suo criterio decisivo. Avvenuta nella carne
umana di Gesù di Nazaret, la trasfigurazione non è riducibile a
esperienza gnostica ma si oppone a ogni spiritualità dualistica, di
rottura: essa non vuole suscitare rotture con il mondo né evasioni dalla
storia, non richiede cinismo verso ciò che è corporeo e materiale e
neppure vuole negare o diminuire l’umano, ma chiede di accogliere
positivamente tutte queste realtà in Cristo per mantenerle o restituirle
alla loro bontà e bellezza radicali. E così la bellezza apre alla
contemplazione, alla purificazione dello sguardo sulle realtà tutte,
considerate come tempio di Dio, luogo della sua presenza.
La
trasfigurazione è poi celebrazione del volto, anzitutto il volto
luminoso di Cristo, ma poi i volti di coloro che lo attorniano – Mosè,
Elia, Pietro, Giacomo, Giovanni -, e questo ricorda ai credenti che la
comunione ecclesiale è compagnia di volti e nomi precisi, cioè di
libertà personali, e che la chiesa ha la responsabilità di essere un
luogo di libertà e di umanità, che bandisce la paura e tutto ciò che
attenta alla piena dilatazione dell’umano e, soprattutto, della libertà.
In particolare la trasfigurazione ricorda che il volto di ogni figlio
di Adamo, di ogni uomo creato a immagine e somiglianza di Dio è
portatore di un riflesso dello splendore divino e ha insita in sé la
vocazione alla bellezza, a vivere una vita bella, buona e felice. Ora,
la luce e lo splendore di bellezza che abitano l’umanità di Cristo
preannunciano il regno escatologico in cui non vi sarà più alcuna
bruttezza e in cui l’umanità tutta sarà resa dimora di Dio, bella come
una sposa pronta per il suo sposo (cf. Ap 21,2-3). Se il regno di Dio è
la perfetta bellezza, è cioè il mondo pienamente rispondente allo
sguardo e alla volontà di Dio, la chiesa ha nella storia il compito di
annunciare la bellezza, o meglio, ha la vocazione di essere bella,
«senza macchia né ruga, senza difetti» (Ef 5,27). Per far questo deve
essere chiaro che la bellezza da perseguire è certamente già stata
narrata da Cristo, ma per la chiesa è a-venire, è la bellezza del regno,
del Cristo quando verrà nella sua gloria. La dimensione escatologica è
costitutiva della trasfigurazione. Scrive Basilio: «Pietro, Giacomo e
Giovanni conobbero la bellezza di Cristo sul monte: era bellezza che
splendeva più del sole, ed essi furono resi degni di cogliere con gli
occhi un anticipo della sua gloriosa seconda venuta». La trasfigurazione
è promessa, promessa del regno, della ricapitolazione di tutte le cose
in Cristo, della Pasqua eterna, della salvezza universale, della venuta
nella gloria del Figlio dell’uomo, e anche la bellezza è sempre una
promessa: essa apre il futuro, ma non è mai totalmente fruibile, non può
essere esaurita, abbracciata completamente. Altrimenti sarebbe un
idolo. Anche l’esperienza umana di bellezza ha questo connotato: la
bellezza dischiude una promessa di felicità suscitando così una tensione
vitale nell’uomo. La bellezza ci visita, di essa noi possiamo parlare
solo in termini di evento e di avvento, mai di dato!
La
trasfigurazione configura dunque la salvezza come vita con Cristo, come
un essere con lui («È bello per noi stare qui»: Mt 17,4): essa apre al
credente la via della partecipazione alla vita divina attraverso
l’ascolto («Questi è il mio Figlio … Ascoltatelo!»: Mt 17,5) e dunque
connota la bellezza della vita cristiana anche nella sua dimensione di
interiorità: si tratta di «rendere bello l’uomo nascosto nel cuore» (1
Pt 3,4), cioè di dare radici interiori e profonde alla bellezza. Nessuna
comunione con gli altri uomini e con le creature se non si vive questa
dimensione interiore di comunione con Dio che richiede la pacificazione e
l’unificazione del cuore! Il «comportamento bello» (1 Pt 2,12) dei
cristiani, il loro «comportamento santo» (1 Pt 1,15-16), la loro
condotta eticamente responsabile e irreprensibile trova la sua radice
nell’innesto vitale della prassi nel mistero pasquale e si nutre di
interiorità, di silenzio, di solitudine, di attesa, di lacrime, di
preghiera… non di sola efficienza vive l’uomo, ma anche, e soprattutto,
di gratuità, di perdono, di carità.
È
questa comunione fra Dio e uomo, fra l’umano e lo spirituale, fra uomo e
uomo, fra l’uomo e il cosmo e tutte le creature che costituisce il
cuore della trasfigurazione come esperienza di bellezza e di salvezza.
La splendida Gerusalemme celeste descritta nell’Apocalisse non sarà
forse esperienza di comunione piena, senza più ombre e opacità? E ciò
che si celebra nell’eucaristia non è forse anche magistero di bellezza
per le vite dei cristiani? Vite troppo spesso tentate di spegnere il
fuoco del vangelo con la timidezza e perfino la pavidità, di frenare
l’irruenza del vento dello Spirito con un’etica delle buone maniere, di
rendere insipido il sale della buona novella con l’edulcorazione delle
esigenze evangeliche, di imprigionare la follia della croce nella
camicia di forza della razionalità, della prudenza e del buon senso. E
tutto questo fa sì che ci si debba porre una domanda: Che ne abbiamo
fatto, noi cristiani, della chiamata a vivere la bellezza?
Ma
dalla trasfigurazione discende anche un imperativo per le chiese. La
trasfigurazione è una festa amatissima dall’oriente cristiano e da li
assunta in occidente a partire dal XII secolo (con Pietro il Venerabile,
abate di Cluny): essa visibilizza quello scambio dei doni tra chiese
sorelle che dovrebbe condurre alla ricomposizione dell’unità visibile
tra i credenti in Cristo. Perché è proprio questa divisione che deturpa
la bellezza a cui è chiamata la chiesa. E smentendone la bellezza ne
indebolisce la forza di segno salvifico, ne spegne la dimensione
profetica, ne infiacchisce la capacità testimoniale. E infatti
nell’essere uno come il Padre e il Figlio sono uno nel seno della
Trinità divina, che i cristiani possono dare al mondo la loro «bella
testimonianza». La loro vocazione è essere riflesso della bellezza
trinitaria.
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Fonte : https://www.monasterodibose.it
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