S.E. Card. Camillo Ruini
EDUCARE OGGI : sfide e compiti della Chiesa alla luce dell'antropologia cristiana
Intervento presso la Domus Mariae al Convegno nazionale sul tema "Le sfide dell'educazione" (12-14 febbraio 2004) promosso dalla Commissione Episcopale per l'educazione cattolica, la scuola e l'università; l'Ufficio nazionale per l'educazione, la scuola e l'università e il Servizio nazionale per il progetto culturale.
1.
L’importanza del tema dell’educazione, in riferimento alle sfide e alle
prospettive poste dalla modernità e dal trapasso culturale in atto, è crescente.
Nel corso degli ultimi anni la Chiesa italiana ha seguito con particolare
attenzione la complessa vicenda della riforma scolastica, con l’intento di
cogliere gli orientamenti e le coordinate culturali ad essa sottese. Il
denominatore comune delle problematiche sottostanti alle riforme prospettate è
sicuramente l’esigenza di ripensare e rimettere l’uomo al centro della politica,
dell’economia, della cultura e, perciò, anche dell’azione educativa. Per questo
è indispensabile, oggi, investire in educazione, anche sotto il profilo
pastorale, secondo linee progettuali chiare in ordine ai fini da perseguire, ai
valori da promuovere e ai protagonisti da sostenere.
2. Nel
percorso del progetto culturale si è parlato delle possibilità, da parte della
fede cristiana, non già di arrestare i cambiamenti in atto, ma di orientarli e
indirizzarli. Si è cominciato ad affrontare, in questa ottica, il problema del
nostro futuro, in ordine alla costruzione di un “progetto di vita buona”, il
problema della trasmissione di generazione in generazione della cultura e della
fede, dimensioni non riducibili l’una all’altra e tuttavia profondamente
interconnesse.
Il
problema della trasmissione della fede non è risolvibile soltanto all’interno
della comunità cristiana, senza porsi il problema del divenire della società e
della sua cultura e delle nostre capacità di orientare questo divenire, nelle
sue manifestazioni ma anzitutto nei suoi presupposti e fattori dinamici. Su
questo versante la consapevolezza delle trasformazioni culturali e del loro
impatto sulla vita e sui processi di costruzione dell’identità personale e
sociale sta portando la comunità ecclesiale nel nostro paese a interrogarsi
sulla necessità di dare il primato all’evangelizzazione anche e
soprattutto nei percorsi di iniziazione alla fede, coinvolgendo in questo
radicale ripensamento anche la parrocchia.
Ma il
Vangelo di Gesù altro non è che il Vangelo che è Gesù. In lui appare a noi il
volto di Dio e nel contempo l’uomo è rivelato a se stesso. In lui si rivela e si
compie l’umanità nuova, l’uomo nuovo. Non basta quindi ripetere
verbalmente la formula del kerygma (“Cristo è morto ed è risorto”) senza
un adeguato sforzo di ritraduzione del messaggio e di una sua intelligente e
creativa inculturazione. L’irrinunciabile dovere della proposta della Chiesa di
dire in Cristo la verità sull’uomo chiede oggi di essere adempiuto
mediante un rinnovato e convinto annuncio accompagnato dal dialogo con la
cultura odierna (spesso pesantemente condizionata da visioni unilaterali) allo
scopo di superare la separazione tra Vangelo e cultura.
Studiare le condizioni dell’essere e del diventare cristiani oggi è pertanto
compito intrinseco della nuova evangelizzazione, proprio perché la persona e la
comunità cristiana in Italia si trovano al centro di un complesso di
trasformazioni che “si risolvono tutte in trasformazioni dell’ethos civile”.
Occorre rendere il percorso formativo ecclesiale centrato sull’annuncio,
prestando attenzione alle sue condizioni di possibilità e di esercizio, per
metterci in grado di proporre stili di vita cristiani praticabili e plausibili.
3.
D’altra parte, quello di imprimere un diverso orientamento al divenire della
società e della cultura non è un problema soltanto della Chiesa: sembra essere
infatti una necessità per la società stessa, se intende assicurare le condizioni
per un proprio futuro che sia umanamente migliore del passato e del presente.
Tale è anche la questione educativa che questo Convegno intende approfondire nei
termini di una sfida riguardante la stessa possibilità di trasmissione culturale
tra generazioni, che chiama in causa la famiglia, la scuola, le associazioni
operanti nella società civile, i media e le stesse comunità ecclesiali ai vari
livelli. In effetti l’educazione, in quanto trasmissione della cultura di un
popolo da una generazione all’altra, consiste nel rendere partecipi le nuove
generazioni di ciò che sta alla radice della vita comune, vale a dire del senso
profondo e ultimo del vivere, così come si trova inscritto nelle forme di vita
personali e sociali della generazione adulta.
Questo
Convegno rappresenta dunque una tappa nel comune cammino di riflessione civile
ed ecclesiale circa i modi con cui l’uomo vive e trasmette la sua cultura, con
cui concretamente costruisce il suo futuro.
4. La
possibilità stessa dell’educare, nel suo significato di “generare”, implica il
ricupero di una prospettiva realistica, attraverso cui far rivivere una cultura
delle istituzioni (in specie di quelle educative) come luoghi di mediazione
degli interessi e di trasmissione di un “senso”, in alternativa a una vita
pubblica che sembra ormai irrimediabilmente scissa tra le progettualità di
vertice e la quotidianità feriale delle relazioni personali. Proprio per questo
il Convegno odierno vede convocati, ad un livello articolato per Regione, non
solo il mondo della scuola (direttori generali degli uffici scolastici regionali
– dirigenti, docenti, genitori), ma anche quello della famiglia (dove l’atto del
generare educativo trova il suo punto più radicale e in un certo senso
decisivo), quelli delle associazioni (professionali e non) di ispirazione
cristiana, dei media e anche delle parrocchie (itinerari formativi
dell’educazione cristiana, oratori, sale della comunità…). E’ possibile
ricomporre la frammentazione individualistica e la frattura tra pubblico e
privato, evidenziare possibili percorsi di continuità educativa tra famiglia,
scuola, territorio e comunità cristiane? Nel contesto culturale odierno è
urgente chiedersi come attivare le migliori condizioni per garantire l’unità
dell’atto educativo che, nella coscienza della persona e nelle istituzioni,
permetta di porre in rapporto di continuità dinamica e critica le dimensioni
della fede, quelle della cultura e quelle della vita.
I lavori del Convegno si soffermeranno su alcuni
contenuti tematici o luoghi dove la trasmissione culturale tra generazioni
evidenzia un’accentuata divaricazione: quelli della bioetica, della rivoluzione
digitale nel campo delle tecnologie informatiche, della costruzione
dell’identità, della formazione alla professionalità in relazione alle
trasformazioni dell’economia e dei processi lavorativi, dell’educazione
interculturale e interreligiosa. Il Convegno potrà offrire pertanto un
contributo prezioso anche per concrete iniziative culturali, nel contesto dei
rapporti tra scuola, formazione professionale, famiglia e associazioni, oltre
che per quel “discernimento comunitario” che coinvolge la comunità ecclesiale in
tutte le sue componenti.
Mi
soffermerò dunque su alcune prospettive particolarmente significative, che
riguardano le relazioni, basilari per l’educazione, tra i soggetti operanti nel
territorio: la famiglia, il sistema di istruzione e di formazione, la comunità
cristiana.
5.
Nelle società di massa l’appropriazione del patrimonio culturale non avviene
spontaneamente, ma è affidata alle istituzioni appositamente deputate (il
sistema scolastico e formativo in particolare), come è ben comprensibile data la
complessità delle dinamiche socio-culturali in atto. L’appropriazione non può
dar luogo però ad una più profonda assimilazione se non coinvolge l’identità
personale e quelle questioni, collegate al senso ultimo della vita, che
rimandano al vissuto e alle realtà di riferimento della generazione giovanile.
Un sapere educativo che concorra alla crescita personale non può prescindere da
essa senza rimanere inefficace per la stessa crescita culturale.
La
famiglia è attualmente oggetto di un processo di marginalizzazione nel privato e
in un certo senso lo sono anche le comunità cristiane. La famiglia infatti
appare tendenzialmente espropriata delle sue fondamentali competenze in ordine
alla trasmissione della cultura. Allo stesso modo anche l’esperienza della
comunicazione e della crescita nella fede tende a non essere riconosciuta nella
sua valenza sociale e culturale. Se non appare chiara alla coscienza dei giovani
questa ragione di coerenza tra i modelli proposti dalle istituzioni (in
primis la scuola) e la “verità” annunciata dall’esperienza relazionale
primaria della famiglia, l’appropriazione di quei modelli rimarrà solo un fatto
esteriore e non darà luogo ad un processo di identificazione. L’apporto della
scuola e delle istituzioni deputate all’educazione è d’altronde necessario
perché si compia adeguatamente il processo di trasmissione culturale.
Uno
sguardo alla direzione in cui sembrano andare la cultura e i costumi rafforza
le motivazioni di una simile attenzione alla formazione della persona. «Sono
impressionato dal sentimento di paura che dimora sovente nel cuore dei nostri
contemporanei», ha detto il Papa nel discorso del 12 gennaio scorso al Corpo
Diplomatico, rinnovando e per così dire “aggiornando” la diagnosi che aveva
proposto 24 anni prima nell’enciclica Redemptor hominis (nn. 15-16). Il
Papa aggiunge giustamente che tutto questo può cambiare, in quanto «ognuno può
sviluppare in se stesso il proprio potenziale di fede, di probità, di rispetto
altrui, di dedizione al servizio degli altri». Proprio le capacità di sviluppare
questo potenziale appaiono tuttavia gravemente ostacolate, anzitutto a quel
livello sorgivo che riguarda le attitudini a riflettere e valutare. Così, in
questi ultimi mesi, si è scritto di un “anno zero” del pensiero, inutilmente
occultato dalla moltitudine degli annunci di novità, di proposte e di opinioni.
Questa
situazione, che non facilita una responsabile presa di coscienza riguardo a noi
stessi e alla realtà che ci circonda, rende ancora più difficile l’autentico
processo di trasmissione culturale. Essa richiede pertanto un consapevole
impegno pastorale che abbini alla proposta di fede la cura per la maturazione
delle capacità critiche della persona, e uno sforzo a tutto campo per incidere
sull’attuale sistema informativo e formativo.
Per
conferire valenza educativa al processo di trasmissione culturale appare dunque
necessario dar vita ad un patto che metta in rete sul territorio l’apporto delle
istituzioni, e al contempo riconoscere il ruolo imprescindibile delle primarie
relazioni familiari e delle appartenenze religiose.
6. In
particolare, per quanto riguarda l’attuale sforzo per rinnovare lo slancio
missionario delle nostre comunità parrocchiali, si tratta di trovare il filo che
possa garantire la continuità della tradizione della fede all’interno del
mutamento culturale che caratterizza il nostro tempo. Non quindi una resa di
fronte al processo di frammentazione presente nell’esperienza religiosa, ma la
consapevolezza che questa esperienza è pienamente umana solo se è anche
socialmente condivisa, storicamente rilevante.
La
domanda che ci poniamo è la seguente: è in grado la parrocchia di accogliere e
attuare quella grande svolta che va sotto il nome di conversione missionaria
della nostra pastorale, o è invece destinata a rimanerne, purtroppo,
sostanzialmente al di fuori, restando prigioniera di due tendenze, tra loro
parzialmente contrastanti, ma entrambe poco aperte alla missionarietà: quella di
concepirsi come una comunità piuttosto autoreferenziale, nella quale ci si
accontenta di trovarsi bene insieme, e quella di una “stazione di servizio” per
l’amministrazione dei sacramenti, che continua a dare per scontata in coloro che
li richiedono una fede spesso assente?.
La
domanda ci sprona a capire se la parrocchia, nella sua forma e nelle sue
modalità attuali, è all’altezza di affrontare la sfida della cosiddetta
secolarizzazione e di un “ritorno del sacro” non esente da ambiguità; ci invita
a discernere se le comunità locali siano realmente capaci di alimentare nei loro
membri, soprattutto laici, quello zelo apostolico e quella urgenza di annunziare
Cristo che sono richiesti dalla nuova evangelizzazione, instancabilmente
richiamata dal Santo Padre.
Servire l’educazione non è compito solo della scuola. Lo è anche della Chiesa e
in particolare della sua azione pastorale, oggi tesa all’evangelizzazione anche
attraverso l’iniziazione cristiana e la catechesi. Si avverte l’esigenza di
ricuperare la dimensione educativa e culturale dell’annuncio della salvezza, in
quanto centrato sulla persona.
7. Tre
aspetti sembrano particolarmente significativi. La definizione dei contenuti che
dovranno tradurre nell’azione educativa quanto prospettato dalla riforma della
scuola. Si tratta di saperi che devono concorrere alla funzione
critico-educativa della cultura e quindi non possono essere semplicemente
piegati alle esigenze informativo-addestrative; occorre realizzare la promozione
della razionalità, della libertà e della responsabilità, evitando i rischi di un
impianto funzionalistico. Un’educazione così intesa non può ignorare le grandi
domande di senso e l’apertura alla trascendenza.
Ma il
problema della definizione dei contenuti nella nuova scuola si pone tenendo
conto del fatto che questa responsabilità ricadrà anche sulle singole scuole, in
forza dell’autonomia ad esse riconosciuta. In seguito alla riforma del Titolo V
della Costituzione per la prima volta, e in maniera formale, le istituzioni
scolastiche e formative sono riconosciute autonome dalla nostra Costituzione
e non solamente da una legge ordinaria, come la legge n. 57/1997. Inoltre gli
articoli 117 e 118 della Costituzione permettono ulteriori precisazioni, nella
direzione soprattutto della sussidiarietà. Anzitutto, l’attività
scolastica e formativa è espressione della società civile, entro le norme
generali di competenza dello Stato e le leggi ordinarie di iniziativa regionale.
In questo quadro anche le istituzioni scolastiche non statali che operano nel
rispetto delle norme generali devono godere di piena libertà ed essere
accessibili a tutti. Ciò significa che il processo di riforma va nella direzione
di una maggiore responsabilità educativa e culturale affidata alle comunità
locali. Di qui l’importanza di porre il tema educativo al centro di una rete di
relazioni e di soggetti operanti nel territorio.
L’introduzione di un percorso graduale e continuo di formazione professionale,
parallelo a quello dell’istruzione liceale e universitaria dai 14 ai 21 anni,
che porti all’acquisizione di qualifiche e titoli, fa sì che
la formazione professionale non venga più concepita
come un addestramento finalizzato esclusivamente all’insegnamento di destrezze
manuali. Essa diventa piuttosto un percorso capace di rispondere alle
esigenze del pieno sviluppo della persona, secondo un approccio specifico
fondato sull’esperienza reale e sulla riflessione, e quindi è in grado di
intervenire nel processo di costruzione dell’identità personale. E’ questo un
ambito significativo di incontro tra scuola e mondo del lavoro.
8. Il
primato dell’educazione di fronte a queste sfide significa anche testimoniare in
un contesto fortemente pluralistico una chiara visione antropologica, tesa a
impedire al pluralismo di smarrirsi nella confusione. Si tratta di un contributo
culturale insostituibile, che ha lo scopo di contribuire a fondare, ad
aggiornare e a rimotivare l’impegno educativo, soprattutto per quanto riguarda
le mete ultime, le grandi domande di senso, l’apertura alla trascendenza, per
sconfiggere la cultura della banalità, purtroppo diffusa anche nel mondo della
scuola.
Ad
esempio, nella legge di riforma appare utilizzata per la prima volta
l’espressione “convivenza civile”, assunta come sintesi di vari tipi di
educazione (alla cittadinanza, ambientale, stradale, alla salute, alimentare,
all’affettività). Tutto ciò significa che la scuola si assume, tra i suoi
compiti educativi, anche i comportamenti e gli atteggiamenti degli alunni. Non
si tratta di una nuova disciplina, ma di un compito che vede impegnati tutti i
docenti. L’obiettivo si presenta nobile e degno: la scuola è interessata anche
alla saggezza del vivere e dell’agire bene. Nello stesso tempo, però, il compito
appare assai problematico, se pensiamo al disorientamento della società in cui
viviamo e al clima di relativismo diffuso che si respira. Si può paventare,
lecitamente, che non si vada oltre la definizione di un galateo sociale. Perciò,
nella realizzazione di questo nuovo compito educativo della scuola i cristiani
possono e devono essere presenti con quell’apporto originale che è loro
possibile, “rendendo ragione della speranza che è in loro”.
Da
questo punto di vista risulteranno utili i lavori di queste giornate di
Convegno, che possono avvalersi anche dei frutti di alcuni seminari che hanno
visto riuniti pedagogisti e teologi attorno a quattro tematiche riconducibili ad
alcune delle istanze più controverse del dibattito in corso: Manipolazione,
artificializzazione, educazione
(28/29 marzo 2003), La
costruzione dell’identità (20-21 giugno 2003), Economia, lavoro,
educazione (26/27 settembre 2003), Interculturalità e educazione
(7/8 novembre 2003).
9. Il
punto di partenza, e al tempo stesso l’obiettivo, per contribuire alla
ricomposizione della cultura, e quindi del senso, è proprio la comunicazione del
Vangelo, intenzionalmente posta al centro degli Orientamenti pastorali per
questo primo decennio del duemila.
Molte
delle problematiche che toccano più da vicino l’evangelizzazione, la pastorale
tutta e i rapporti tra fede, vita e cultura, ruotano oggi intorno alla
cosiddetta questione antropologica, cioè alla domanda su chi sia, realmente,
l’uomo, con tutte le conseguenze che la risposta, o meglio le diverse risposte a
questa domanda portano con sé. Ciò che sembra particolarmente rilevante è la
progressiva caduta del ruolo di “orientamento” che la cultura, intesa come
appartenenza a un complesso di idee e di valori, ha sempre svolto nella storia
dell’umanità. In più occasioni e con diverse motivazioni siamo chiamati a
confrontarci con la valenza multiculturale del contesto in cui viviamo. Giovanni
Paolo II, nella Fides et ratio, ha denominato questo fenomeno
“frammentazione del senso”. Mi soffermerei in particolare su due aspetti
tematici: quello che si riferisce alla concezione dell’uomo alla luce
dell’antropologia cristiana e quello che riguarda il rapporto tra le culture in
un contesto educativo pluralistico.
10. Il
pensiero antropologico cristiano rifiuta il dualismo, inteso come scissione tra
le componenti della persona. Riprendere la prospettiva unitaria
dell’antropologia cristiana significa proporre all’uomo d’oggi adeguate
interazioni fra la dimensione conoscitiva e intellettuale, quella affettiva e
quella volitiva dell’esistenza.
L’Italia offre la possibilità di una presenza significativa dei cattolici ed è
dovere dei credenti vivere la fede in un modo che sia incarnato
nella storia e nella cultura del popolo italiano. Non si serve il Paese
vivendo la cittadinanza a prescindere dalla fede, ma offrendo il proprio
patrimonio di valori per la costruzione del bene comune. Le questioni di
primaria importanza che toccano la vita, la tutela e la promozione della
famiglia fondata sul matrimonio, l’educazione e la scuola, il lavoro e la
solidarietà, prima ancora della formulazione legislativa, pongono un problema
culturale. Quale visione abbiamo dell’uomo e del suo destino? Quale uso fare
delle innovazioni tecnologiche e delle scoperte scientifiche, soprattutto sul
versante della vita umana? Quale significato dare alla natura umana e alla
struttura sessuata della persona? Come intendere il significato dei rapporti
sociali?
Un particolare settore dove concentrare l’attenzione
e il discernimento è quello della ricerca scientifica sull’uomo e del vasto
campo delle neuroscienze e delle loro applicazioni tecnologiche. Certamente va
data una valutazione positiva dello sforzo delle scienze per l’esplorazione del
fenomeno umano, ma esso dev’essere accompagnato dal necessario discernimento sui
limiti della ricerca stessa. Infatti, essa attiene alla comprensione analitica
dei fenomeni e ha competenza nella costruzione di una visione globale solo in un
contesto interdisciplinare, in cui filosofia e teologia garantiscano il punto di
vista dell’intero e del senso.
Una
delle radici più profonde e determinanti del problema dell’uomo, come oggi si
presenta, va ricercata nel modo attuale di concepire la verità. La nostra
cultura ha spostato drasticamente l’accento dalla filosofia verso le scienze
(positivismo), anzi verso le tecniche applicate. Ciò fa sì che il problema umano
sia già all’inizio gravemente pregiudicato, perché si decide che la verità umana
in quanto tale (la domanda di senso, di valore, di progetto intenzionale, di
relazione vissuta, la libertà che produce storia e significati umani) sia
sottoposta al giudizio prevalente, se non esclusivo, del sapere
scientifico-tecnologico.
Questa
cultura è ulteriormente sostenuta dalla comunicazione mass-mediale, che tende ad
omologare verso il basso atteggiamenti e comportamenti di ogni genere. Si nota,
di conseguenza, un degrado dell’aspetto propriamente umano dell’esperienza
diffusa della gente. Questa riduzione dell’umano porta con sé una privazione che
oscura ogni riferimento “alto” alla destinazione del vivere (scelte
incondizionate, ideali liberanti e impegnativi, relazioni fedeli e segnate dalla
gratuità…, ecc.) e si traduce in uno stato diffuso di sofferenza, per cui “si
vive male”, come è ampiamente attestato dalla cultura occidentale sotto tutte le
sue forme: filosofica, letteraria, artistica…. (cfr Pier Angelo Sequeri,
L’apprendista al timone. Il ministero ordinato per la nuova evangelizzazione,
in: La rivista del Clero Italiano, 10 (2002), pp. 642-654).
11.
Sulle motivazioni profonde e sui requisiti essenziali della testimonianza
missionaria a cui la Chiesa è chiamata occorre riflettere anche alla luce del
pluralismo sociale e culturale della nostra società.
Un
punto essenziale è rendere di nuovo presente e operante nel popolo cristiano la
consapevolezza diffusa che Dio ha preso l’iniziativa di rivelarsi a noi, nella
nostra storia, la quale diventa per ciò stesso storia di salvezza. Di tutta
questa rivelazione salvifica, nella quale Dio, per amore gratuito, ci fa
conoscere se stesso e il mistero della sua volontà – cioè il suo concreto
atteggiamento verso di noi – e ci fa entrare in comunione con Lui, Gesù Cristo
«è insieme il mediatore e la pienezza»
(Dei Verbum, n. 2; cfr n. 4).
È
questo il motivo fondamentale per il quale, pur essendo pienamente aperti e
cordialmente partecipi agli sviluppi della cultura e della scienza, non possiamo
adattarci a una mentalità scientista e nello stesso agnostica e relativista.
Parimenti insoddisfacenti sono però alcune tendenze che hanno le loro matrici
nelle grandi religioni orientali, ma anche – per quanto riguarda il nostro
passato – in larghi strati del pensiero filosofico e religioso ellenistico, e
che oggi sembrano di nuovo diffondersi in Occidente, sulla base di una certa
sintonia con il relativismo e l’agnosticismo presenti nella nostra cultura.
Queste tendenze sottolineano la presenza di Dio, o più esattamente del divino,
al fondo di ogni realtà e insistono però sull’impossibilità, per la nostra mente
limitata, di averne alcuna reale conoscenza. Il divino così inteso sarebbe alla
fine impersonale, identificandosi con la dimensione più profonda e misteriosa
dell’universo.
Al
loro confronto il cristianesimo può mantenere intatta anche oggi quella
rivendicazione di verità – di una verità superiore alla nostra ragione, ma al
contempo ad essa profondamente corrispondente – che era stata un suo
fondamentale punto di forza nel confronto con il mondo filosofico e religioso
dell’Antichità. Anche oggi, infatti, l’annuncio che il Verbo di Dio, la Sapienza
creatrice, è all’origine di tutta la realtà e di ogni suo mutamento o evoluzione
– compreso l’emergere di quella realtà unica che è l’uomo – conserva pienamente
e vede semmai accresciuta la sua plausibilità, dato che l’avanzare delle nostre
conoscenze richiama sempre più l’attenzione sull’intelligibilità dell’universo e
della sua stessa evoluzione.
Aprendoci nella fede, sotto l’impulso dello Spirito Santo che opera in noi, alla
rivelazione del vero volto di Dio, siamo contestualmente chiamati ad entrare in
una nuova forma di vita, il cui ethos è incentrato sull’agape,
l’amore puro e generoso che scopre Dio nel prossimo e vede nell’altro il
fratello. Su questa base l’Apostolo Paolo ammonisce la prima generazione
cristiana: «Tutto quello che è vero,
nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto
questo sia oggetto dei vostri pensieri»
(Fil 4,8). Dio, infatti, è amore (cfr 1Gv 4,8.16) e quindi ciò che
Egli dona e chiede è anzitutto l’amore.
Anche
oggi la fede cristiana, coerentemente vissuta, conserva integra la sua capacità
di toccare nel profondo il cuore degli uomini, proprio perché riconosce nel
comandamento dell’amore la legge suprema e il senso profondo dell’esistenza, sia
personale che sociale.
12. Concludendo, formulo
l’auspicio che il passaggio dall’una all’altra generazione sia basato su una
ritrovata capacità di “generare” da parte del mondo adulto, intendendo così la
capacità stessa di amare e di donarsi. Le sfide dell’educazione ci richiamano a
riflettere sulla carità, sull’amore oblativo come chiave della costruzione del
futuro.FONTE : www.chiesacattolica.it
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