LA "SANTA REGOLA"
DI S. BENEDETTO
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Indice dei capitoli della Regola di S. Benedetto:
Prologo
Capitolo I - Le varie categorie di monaci
Capitolo II - L'Abate
Capitolo III - La consultazione della comunità
Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere
Capitolo V - L'obbedienza
Capitolo VI - L'amore del silenzio
Capitolo VII - L'umiltà
Capitolo VIII - L'Ufficio divino nella notte
Capitolo IX - I salmi dell'Ufficio notturno
Capitolo X - L'Ufficio notturno dell'estate
Capitolo XI - L'Ufficio notturno nelle Domeniche
Capitolo XII - Le lodi
Capitolo XIII - Le lodi nei giorni feriali
Capitolo XIV - L'Ufficio vigilare nelle feste dei Santi
Capitolo XV - Quando si deve dire l'alleluia
Capitolo XVI - La celebrazione delle ore del giorno
Capitolo XVII - Salmi delle ore del giorno
Capitolo XVIII - L'ordine dei salmi nelle ore del giorno
Capitolo XIX - La partecipazione interiore all'Ufficio divino
Capitolo XX - La riverenza nella preghiera
Capitolo XXI - I decani del monastero
Capitolo XXII - Il dormitorio dei monaci
Capitolo XXIII - La scomunica per le colpe
Capitolo XXIV - La misura della scomunica
Capitolo XXV - Le colpe più gravi
Capitolo XXVI - Rapporti dei confratelli con gli scomunicati
Capitolo XXVII - La sollecitudine dell'abate per gli
scomunicati
Capitolo XXVIII - La procedura nei confronti degli ostinati
Capitolo XXIX - La riammissione dei fratelli che hanno
lasciato il Monastero
Capitolo XXX - La correzione dei ragazzi
Capitolo XXXI - Il cellerario del monastero
Capitolo XXXII - Gli arnesi e gli oggetti del monastero
Capitolo XXXIII - Il "vizio" della proprietà
Capitolo XXXIV - La distribuzione del necessario
Capitolo XXXV - Il servizio della cucina
Capitolo XXXVI - I fratelli infermi
Capitolo XXXVII - I vecchi e i ragazzi
Capitolo XXXVIII - La lettura in refettorio
Capitolo XXXIX - La misura del cibo
Capitolo XL - La misura del vino
Capitolo XLI - L'orario dei pasti
Capitolo XLII - Il silenzio dopo compieta
Capitolo XLIII - La puntualità nell'Ufficio divino e in
refettorio
Capitolo XLIV - La riparazione degli scomunicati
Capitolo XLV - La riparazione per gli errori commessi in coro
Capitolo XLVI - La riparazione per le altre mancanze
Capitolo XLVII - Il segnale per l'Ufficio divino
Capitolo XLVIII - Il lavoro quotidiano
Capitolo XLIX - La Quaresima dei monaci
Capitolo L - I monaci che lavorano lontano o sono in viaggio
Capitolo LI - I monaci che si recano nelle vicinanze
Capitolo LII - La chiesa del monastero
Capitolo LIII - L'accoglienza degli ospiti
Capitolo LIV - La distribuzione delle lettere e dei regali
destinati ai singoli monaci
Capitolo LV - Gli abiti e le calzature dei monaci
Capitolo LVI - La mensa dell'abate
Capitolo LVII - I monaci che praticano un'arte o un mestiere
Capitolo LVIII - Norme per l'accettazione dei fratelli
Capitolo LIX - I piccoli oblati
Capitolo LX - I sacerdoti aspiranti alla vita monastica
Capitolo LXI - L'accoglienza dei monaci forestieri
Capitolo LXII - I sacerdoti del monastero
Capitolo LXIII - L'ordine della comunità
Capitolo LXIV - L'elezione dell'abate
Capitolo LXV - Il priore del monastero
Capitolo LXVI - I portinai del monastero
Capitolo LXVII - I monaci mandati in viaggio
Capitolo LVIII - Le obbedienze impossibili
Capitolo LXIX - Divieto di arrogarsi le difese dei
confratelli
Capitolo LXX - Divieto di arrogarsi la riprensione dei
confratelli
Capitolo LXXI - L'obbedienza fraterna
Capitolo LXXII - Il buon zelo dei monaci
Capitolo LXXIII - La modesta portata di questa regola
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Regola dei monaci
Prologo
1.Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri
docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore
paterno e mettili in pratica con impegno, 2.in modo che tu possa tornare
attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per
l'ignavia della disobbedienza. 3.Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu
sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le
fortissime e valorose armi dell'obbedienza per militare sotto il vero re, Cristo
Signore. 4.Prima di tutto chiedi a Dio con costante e intensa preghiera di
portare a termine quanto di buono ti proponi di compiere, 5.affinché, dopo
averci misericordiosamente accolto tra i suoi figli, egli non debba un giorno
adirarsi per la nostra indegna condotta. 6.Bisogna dunque servirsi delle grazie
che ci concede per obbedirgli a ogni istante con tanta fedeltà da evitare, non
solo che egli giunga a diseredare i suoi figli come un padre sdegnato, 7.ma
anche che, come un sovrano tremendo, irritato dalle nostre colpe, ci condanni
alla pena eterna quali servi infedeli che non lo hanno voluto seguire nella
gloria. 8.Alziamoci, dunque, una buona volta, dietro l'incitamento della
Scrittura che esclama: "E' ora di scuotersi dal sonno!" 9.e aprendo gli occhi a
quella luce divina ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete ogni giorno la
voce ammonitrice di Dio: 10." Se oggi udrete la sua voce, non indurite il vostro
cuore!" 11.e ancora: " Chi ha orecchie per intendere, ascolti ciò che lo Spirito
dice alle Chiese!". 12.E che dice? " Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò il
timore di Dio. 13.Correte, finché avete la luce della vita, perché non vi
colgano le tenebre della morte". 14.Quando poi il Signore cerca il suo operaio
tra la folla, insiste dicendo: 15."Chi è l'uomo che vuole la vita e arde dal
desiderio di vedere giorni felici?". 16.Se a queste parole tu risponderai:
"Io!", Dio replicherà: 17."Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda
la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati
dall'iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila". 18.Se agirete così
rivolgerò i miei occhi verso di voi e le mie orecchie ascolteranno le vostre
preghiere, anzi, prima ancora che mi invochiate vi dirò: "Ecco sono qui!".
19.Fratelli carissimi, che può esserci di più dolce per noi di questa voce del
Signore che ci chiama? 20.Guardate come nella sua misericordiosa bontà ci indica
la via della vita! 21.Armati dunque di fede e di opere buone, sotto la guida del
Vangelo, incamminiamoci per le sue vie in modo da meritare la visione di lui,
che ci ha chiamati nel suo regno. 22.Se, però, vogliamo trovare dimora sotto la
sua tenda, ossia nel suo regno, ricordiamoci che è impossibile arrivarci senza
correre verso la meta, operando il bene. 23.Ma interroghiamo il Signore,
dicendogli con le parole del profeta: "Signore, chi abiterà nella tua tenda e
chi dimorerà sul tuo monte santo?". 24.E dopo questa domanda, fratelli,
ascoltiamo la risposta con cui il Signore ci indica la via che porta a quella
tenda: 25."Chi cammina senza macchia e opera la giustizia; 26.chi pronuncia la
verità in cuor suo e non ha tramato inganni con la sua lingua; 27.chi non ha
recato danni al prossimo, né ha accolto l'ingiuria lanciata contro di lui";
28.chi ha sgominato il diavolo, che malignamente cercava di sedurlo con le sue
suggestioni, respingendolo dall'intimo del proprio cuore e ha impugnato
coraggiosamente le sue insinuazioni per spezzarle su Cristo al loro primo
sorgere; 29.gli uomini timorati di Dio, che non si insuperbiscono per la propria
buona condotta e, pensando invece che quanto di bene c'è in essi non è opera
loro, ma di Dio, 30.lo esaltano proclamando col profeta: "Non a noi, Signore,
non a noi, ma al tuo nome dà gloria!". 31.Come fece l'apostolo Paolo, che non si
attribuì alcun merito della sua predicazione, ma disse:" Per grazia di Dio sono
quel che sono" 32.e ancora: "chi vuole gloriarsi, si glori nel Signore".
33.Perciò il Signore stesso dichiara nel Vangelo: "Chi ascolta da me queste
parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio il quale edificò la
sua casa sulla roccia. 34.E vennero le inondazioni e soffiarono i venti e si
abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia".
35.Dopo aver concluso con queste parole il Signore attende che, giorno per
giorno, rispondiamo con i fatti alle sue sante esortazioni. 36.Ed è proprio per
permetterci di correggere i nostri difetti che ci vengono dilazionati i giorni
di questa vita 37.secondo le parole dell'Apostolo: "Non sai che con la sua
pazienza Dio vuole portarti alla conversione?" 38.Difatti il Signore
misericordioso afferma: "Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e
viva". 39.Dunque, fratelli miei, avendo chiesto al Signore a chi toccherà la
grazia di dimorare nella sua tenda, abbiamo appreso quali sono le condizioni per
rimanervi, purché sappiamo comportarci nel modo dovuto. 40.Perciò dobbiamo
disporre i cuori e i corpi nostri a militare sotto la santa obbedienza. 41.Per
tutto quello poi, di cui la nostra natura si sente incapace, preghiamo il
Signore di aiutarci con la sua grazia. 42.E se vogliamo arrivare alla vita
eterna, sfuggendo alle pene dell'inferno, 43.finche c'è tempo e siamo in questo
corpo e abbiamo la possibilità di compiere tutte queste buone azioni,
44.dobbiamo correre e operare adesso quanto ci sarà utile per l'eternità.
45.Bisogna dunque istituire una scuola del servizio del Signore 46.nella quale
ci auguriamo di non prescrivere nulla di duro o di gravoso; 47.ma se, per la
correzione dei difetti o per il mantenimento della carità, dovrà introdursi una
certa austerità, suggerita da motivi di giustizia, 48.non ti far prendere dallo
scoraggiamento al punto di abbandonare la via della salvezza, che in principio è
necessariamente stretta e ripida. 49.Mentre invece, man mano che si avanza nella
vita monastica e nella fede, si corre per la via dei precetti divini col cuore
dilatato dall'indicibile sovranità dell'amore. 50. Così, non allontanandoci
mai dagli insegnamenti di Dio e perseverando fino alla morte nel monastero in
una fedele adesione alla sua dottrina, partecipiamo con la nostra sofferenza ai
patimenti di Cristo per meritare di essere associati al suo regno.
Fine del Prologo
Capitolo I - Le varie categorie di monaci
1.E' noto che ci sono quattro categorie di monaci. 2.La prima
è quella dei cenobiti, che vivono in un monastero, militando sotto una regola e
un abate. 3.La seconda è quella degli anacoreti o eremiti, ossia di coloro che
non sono mossi dall'entusiastico fervore dei principianti, ma sono stati
lungamente provati nel monastero, 4.dove con l'aiuto di molti hanno imparato a
respingere le insidie del demonio; 5.quindi, essendosi bene addestrati tra le
file dei fratelli al solitario combattimento dell'eremo, sono ormai capaci, con
l'aiuto di Dio, di affrontare senza il sostegno altrui la lotta corpo a corpo
contro le concupiscenze e le passioni. 6.La terza categoria di monaci, veramente
detestabile è formata dai sarabaiti: molli come piombo, perché non sono stati
temprati come l'oro nel crogiolo dell'esperienza di una regola, 7.costoro
conservano ancora le abitudini mondane, mentendo a Dio con la loro tonsura. 8.A
due a due, a tre a tre o anche da soli, senza la guida di un superiore, chiusi
nei loro ovili e non in quello del Signore, hanno come unica legge l'appagamento
delle proprie passioni, 9.per cui chiamano santo tutto quello che torna loro
comodo, mentre respingono come illecito quello che non gradiscono. 10.C'è infine
una quarta categoria di monaci, che sono detti girovaghi, perché per tutta la
vita passano da un paese all'altro, restando tre o quattro giorni come ospiti
nei vari monasteri, 11.sempre vagabondi e instabili, schiavi delle proprie
voglie e dei piaceri della gola, peggiori dei sarabaiti sotto ogni aspetto.
12.Ma riguardo alla vita sciagurata di tutti costoro è preferibile tacere
piuttosto che parlare. 13.Lasciamoli quindi da parte e con l'aiuto del Signore
occupiamoci dell'ordinamento della prima categoria, ossia quella fortissima e
valorosa dei cenobiti.
Capitolo II - L'Abate
1.Un abate degno di stare a capo di un monastero deve sempre
avere presenti le esigenze implicite nel suo nome, mantenendo le proprie azioni
al livello di superiorità che esso comporta. 2.Sappiamo infatti per fede che in
monastero egli tiene il posto di Cristo, poiché viene chiamato con il suo stesso
nome, 3.secondo quanto dice l'Apostolo: "Avete ricevuto lo Spirito di figli
adottivi, che vi fa esclamare: Abba, Padre!" 4.Perciò l'abate non deve
insegnare, né stabilire o ordinare nulla di contrario alle leggi del Signore,
5.anzi il suo comando e il suo insegnamento devono infondere nelle anime dei
discepoli il fermento della santità. 6.Si ricordi sempre che nel tremendo
giudizio di Dio dovrà rendere conto tanto del suo insegnamento, quanto
dell'obbedienza dei discepoli 7.e sappia che il pastore sarà considerato
responsabile di tutte le manchevolezze che il padre di famiglia avrà potuto
riscontrare nel gregge. 8.D'altra parte è anche vero che, se il pastore avrà
usato ogni diligenza nei confronti di un gregge irrequieto e indocile, cercando
in tutti i modi di correggerne la cattiva condotta, 9.verrà assolto nel divino
giudizio e potrà ripetere con il profeta al Signore: "Non ho tenuto la tua
giustizia nascosta in fondo al cuore, ma ho proclamato la tua verità e la tua
salvezza; essi tuttavia mi hanno disprezzato, ribellandosi contro di me". 10.E
allora la giusta punizione delle pecore ribelli sarà la morte, che avrà
finalmente ragione della loro ostinazione. 11.Dunque, quando uno assume il
titolo di Abate deve imporsi ai propri discepoli con un duplice insegnamento,
12.mostrando con i fatti più che con le parole tutto quello che è buono e santo:
in altri termini, insegni oralmente i comandamenti del Signore ai discepoli più
sensibili e recettivi, ma li presenti esemplificati nelle sue azioni ai più
tardi e grossolani. 13.Confermi con la sua condotta che bisogna effettivamente
evitare quanto ha presentato ai discepoli come riprovevole, per non correre il
rischio di essere condannato dopo aver predicato agli altri 14.e di non sentirsi
dire dal Signore per i suoi peccati: "Come ti arroghi di esporre i miei precetti
e di avere sempre la mia alleanza sulla bocca, tu che hai in odio la disciplina
e ti getti le mie parole dietro le spalle?" 15.e ancora: "Tu che vedevi la
pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, non ti sei accorto della trave nel tuo".
16.Si guardi dal fare preferenze nelle comunità: 17.non ami l'uno piò
dell'altro, a eccezione di quello che avrà trovato migliore nella condotta e
nell'obbedienza: 18.non anteponga un monaco proveniente da un ceto elevato a uno
di umili origini, a meno che non ci sia un motivo ragionevole per stabilire una
tale precedenza. 19.Ma se, per ragioni di giustizia, riterrà di dover agire così
lo faccia per chiunque; altrimenti ciascuno conservi il proprio posto,
20.perché, sia il servo che il libero, tutti siamo una cosa sola in Cristo e,
militando sotto uno stesso Signore, prestiamo un eguale servizio. Infatti,
"dinanzi a Dio non ci sono parzialità" 21.e una cosa sola ci distingue presso di
lui: se siamo umili e migliori degli altri nelle opere buone. 22.Quindi l'abate
ami tutti allo stesso modo, seguendo per ciascuno una medesima regola di
condotta basata sui rispettivi meriti. 23.Per quanto riguarda poi la direzione
dei monaci, bisogna che tenga presente la norma dell'apostolo: "Correggi,
esorta, rimprovera" 24.e precisamente, alternando i rimproveri agli
incoraggiamenti, a seconda dei tempi e delle circostanze, sappia dimostrare la
severità del maestro insieme con la tenerezza del padre. 25.In altre parole,
mentre deve correggere energicamente gli indisciplinati e gli irrequieti, deve
esortare amorevolmente quelli che obbediscono con docilità a progredire sempre
più. Ma è assolutamente necessario che rimproveri severamente e punisca i
negligenti e coloro che disprezzano la disciplina. 26.Non deve chiudere gli
occhi sulle eventuali mancanze, ma deve stroncarle sul nascere, ricordandosi
della triste fine di Eli, sacerdote di Silo. 27.Riprenda, ammonendoli una prima
e una seconda volta, i monaci più docili e assennati, 28.ma castighi duramente i
riottosi, gli ostinati, i superbi e i disobbedienti, appena tentano di
trasgredire, ben sapendo che sta scritto: "Lo stolto non si corregge con le
parole" 29.e anche: "Battendo tuo figlio con la verga, salverai l'anima sua
dalla morte". 30.L'abate deve sempre ricordarsi quel che è e come viene
chiamato, nella consapevolezza che sono maggiori le esigenze poste a colui al
quale è stato affidato di più. 31.Bisogna che prenda chiaramente coscienza di
quanto sia difficile e delicato il compito che si è assunto di dirigere le anime
e porsi al servizio dei vari temperamenti, incoraggiando uno, rimproverando un
altro e correggendo un terzo: 32.perciò si conformi e si adatti a tutti, secondo
la rispettiva indole e intelligenza, in modo che, invece di aver a lamentare
perdite nel gregge affidato alle sue cure, possa rallegrarsi per l'incremento
del numero dei buoni. 33.Soprattutto si guardi dal perdere di vista o
sottovalutare la salvezza delle anime, di cui è responsabile, per preoccuparsi
eccessivamente delle realtà terrene, transitorie e caduche, 34.ma pensi sempre
che si è assunto l'impegno di dirigere delle anime, di cui un giorno dovrà
rendere conto 35.e non cerchi una scusante nelle eventuali difficoltà
economiche, ricordandosi che sta scritto :"Cercate anzitutto il regno di Dio e
la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in soprappiù" 36.e anche:
"Nulla manca a coloro che lo temono". 37.Sappia inoltre che chi si assume
l'impegno di dirigere le anime deve prepararsi a renderne conto 38.e stia certo
che, quanti sono i monaci di cui deve prendersi cura, tante solo le anime di cui
nel giorno del giudizio sarà ritenuto responsabile di fronte a Dio, naturalmente
oltre che della propria. 39.Così nel continuo timore dell'esame a cui verrà
sottoposto il pastore riguardo alle pecore che gli sono state affidate mentre si
preoccupa del rendiconto altrui, si fa più attento al proprio 40.e corregge i
suoi personali difetti, aiutando gli altri a migliorarsi con le sue ammonizioni.
Capitolo III - La consultazione della comunità
1.Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche
questione importante, l'abate convochi tutta la comunità ed esponga
personalmente l'affare in oggetto. 2.Poi, dopo aver ascoltato il parere dei
monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più
opportuno. 3.Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è
proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore. 4.I monaci
poi esprimano il loro parere con tutta umiltà e sottomissione, senza pretendere
di imporre a ogni costo le loro vedute; 5.comunque la decisione spetta all'abate
e, una volta che questi avrà stabilito ciò che è più conveniente, tutti dovranno
obbedirgli. 6.D'altra parte, come è doveroso che i discepoli obbediscano al
maestro, così è bene che anche lui predisponga tutto con prudenza ed equità.
7.Dunque in ogni cosa tutti seguano come maestra la Regola e nessuno osi
allontanarsene. 8.Nessun membro della comunità segua la volontà propria, 9.né si
azzardi a contestare sfacciatamente con l'abate, dentro o fuori del monastero.
10.Chi si permette un simile contegno, sia sottoposto alle punizioni previste
dalla Regola. 11.L'abate però dal canto suo operi tutto col timor di Dio e
secondo le prescrizioni della Regola, ben sapendo che di tutte le sue decisioni
dovrà certamente rendere conto a Dio, giustissimo giudice. 12.Se poi in
monastero si devono trattare questioni di minore importanza, si serva solo del
consiglio dei più anziani, 13.come sta scritto: "Fa' tutto col consiglio e dopo
non avrai a pentirtene".
Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere
1.Prima di tutto amare il Signore Dio con tutto il cuore, con
tutta l'anima, con tutte le forze; 2.poi il prossimo come se stesso. 3.Quindi
non uccidere, 4.non commettere adulterio, 5.non rubare, 6.non avere desideri
illeciti, 7.non mentire; 8.onorare tutti gli uomini, 9.e non fare agli altri ciò
che non vorremmo fosse fatto a noi. 10.Rinnegare completamente se stesso. per
seguire Cristo; 11.mortificare il proprio corpo, 12.non cercare le comodità,
13.amare il digiuno. 14.Soccorrere i poveri, 15.vestire gli ignudi, 16.visitare
gli infermi, 17.seppellire i morti ; 18.alleviare tutte le sofferenze,
19.consolare quelli che sono nell'afflizione. 20.Rendersi estraneo alla
mentalità del mondo; 21.non anteporre nulla all'amore di Cristo. 22.Non dare
sfogo all'ira, 23.non serbare rancore, 24.non covare inganni nel cuore, 25.non
dare un falso saluto di pace, 26.non abbandonare la carità. 27.Non giurare per
evitare spergiuri, 28.dire la verità con il cuore e con la bocca, 29.non rendere
male per male, 30.non fare torti a nessuno, ma sopportare pazientemente quelli
che vengono fatti a noi; 31.amare i nemici, 32.non ricambiare le ingiurie e le
calunnie, ma piuttosto rispondere con la benevolenza verso i nostri offensori,
33.sopportare persecuzioni per la giustizia. 34.Non essere superbo, 35.non
dedito al vino, 36.né vorace, 37.non dormiglione, 38.né pigro; 39.non
mormoratore, 40.né maldicente. 41.Riporre in Dio la propria speranza,
42.attribuire a Lui e non a sé quanto di buono scopriamo in noi, 43.ma essere
consapevoli che il male viene da noi e accettarne la responsabilità. 44.Temere
il giorno del giudizio, 45.tremare al pensiero dell'inferno, 46.anelare con
tutta l'anima alla vita eterna, 47.prospettarsi sempre la possibilità della
morte. 48.Vigilare continuamente sulle proprie azioni, 49.essere convinti che
Dio ci guarda dovunque. 50.Spezzare subito in Cristo tutti i cattivi pensieri
che ci sorgono in cuore e manifestarli al padre spirituale. 51.Guardarsi dai
discorsi cattivi o sconvenienti, 52.non amare di parlar molto, 53.non dire
parole leggere o ridicole, 54.non ridere spesso e smodatamente. 55.Ascoltare
volentieri la lettura della parola di Dio, 56.dedicarsi con frequenza alla
preghiera; 57.in questa confessare ogni giorno a Dio con profondo dolore le
colpe passate 58.e cercare di emendarsene per l'avvenire. 59.Non appagare i
desideri della natura corrotta, 60.odiare la volontà propria, 61.obbedire in
tutto agli ordini dell'abate, anche se - Dio non voglia! - questi agisse
diversamente da come parla, ricordando quel precetto del Signore:" Fate quello
che dicono, ma non fate quello che fanno". 62.Non voler esser detto santo prima
di esserlo, ma diventare veramente tale, in modo che poi si possa dirlo con più
fondamento. 63.Adempiere quotidianamente i comandamenti di Dio. 64.Amare la
castità, 65.non odiare nessuno, 66.non essere geloso, 67.non coltivare
l'invidia, 68.non amare le contese, 69.fuggire l'alterigia 70.e rispettare gli
anziani, 71.amare i giovani, 72.pregare per i nemici nell'amore di Cristo,
73.nell'eventualità di un contrasto con un fratello, stabilire la pace prima del
tramonto del sole. 74.E non disperare mai della misericordia di Dio. 75.Ecco,
questi sono gli strumenti dell'arte spirituale! 76.Se li adopereremo
incessantemente di giorno e di notte e li riconsegneremo nel giorno del
giudizio, otterremo dal Signore la ricompensa promessa da lui stesso: 77."Né
occhio ha mai visto, né orecchio ha udito, né mente d'uomo ha potuto concepire
ciò che Dio ha preparato a coloro che lo amano". 78.L'officina poi in cui
bisogna usare con la massima diligenza questi strumenti è formata dai chiostri
del monastero e dalla stabilità nella propria famiglia monastica.
Capitolo V - L'obbedienza
1.Il segno più evidente dell'umiltà è la prontezza
nell'obbedienza. 2.Questa è caratteristica dei monaci che non hanno niente più
caro di Cristo 3.e, a motivo del servizio santo a cui si sono consacrati o anche
per il timore dell'inferno e in vista della gloria eterna, 4.appena ricevono un
ordine dal superiore non si concedono dilazioni nella sua esecuzione, come se
esso venisse direttamente da Dio. 5.E' di loro che il Signore dice: " Appena hai
udito, mi hai obbedito" 6.mentre rivolgendosi ai superiori dichiara: "Chi
ascolta voi, ascolta me". 7.Quindi, questi monaci, che si distaccano subito
dalle loro preferenze e rinunciano alla propria volontà, 8.si liberano
all'istante dalle loro occupazioni, lasciandole a mezzo, e si precipitano a
obbedire, in modo che alla parola del superiore seguano immediatamente i fatti.
9.Quasi allo stesso istante, il comando del maestro e la perfetta esecuzione del
discepolo si compiono di comune accordo con quella velocità che è frutto del
timor di Dio: 10.così in coloro che sono sospinti dal desiderio di raggiungere
la vita eterna. 11.Essi si slanciano dunque per la via stretta della quale il
Signore dice: "Angusta è la via che conduce alla vita"; 12.perciò non vivono
secondo il proprio capriccio né seguono le loro passioni e i loro gusti, ma
procedono secondo il giudizio e il comando altrui; rimangono nel monastero e
desiderano essere sottoposti a un abate. 13.Senza dubbio costoro prendono a
esempio quella sentenza del Signore che dice: "Non sono venuto a fare la mia
volontà, ma quella di colui che mi ha mandato". 14.Ma questa obbedienza sarà
accetta a Dio e gradevole agli uomini, se il comando ricevuto verrà eseguito
senza esitazione, lentezza o tiepidezza e tantomeno con mormorazioni o proteste,
15.perché l'obbedienza che si presta agli uomini è resa a Dio, come ha detto lui
stesso: "Chi ascolta voi, ascolta me". 16.I monaci dunque devono obbedire con
slancio e generosità, perché "Dio ama chi dà lietamente". 17.Se infatti un
fratello obbedisce malvolentieri e mormora, non dico con la bocca, ma anche solo
con il cuore, 18.pur eseguendo il comando, non compie un atto gradito a Dio, il
quale scorge 1a mormorazione nell'intimo della sua coscienza; 19.quindi, con
questo comportamento, egli non si acquista alcun merito, anzi, se non ripara e
si corregge, incorre nel castigo comminato ai mormoratori.
Capitolo VI - L'amore del silenzio
1.Facciamo come dice il profeta: "Ho detto: Custodirò le mie
vie per non peccare con la lingua; ho posto un freno sulla mia bocca, non ho
parlato, mi sono umiliato e ho taciuto anche su cose buone". 2.Se con queste
parole egli dimostra che per amore del silenzio bisogna rinunciare anche ai
discorsi buoni, quanto più è necessario troncare quelli sconvenienti in vista
della pena riserbata al peccato! 3.Dunque l'importanza del silenzio è tale che
persino ai discepoli perfetti bisogna concedere raramente il permesso di
parlare, sia pure di argomenti buoni, santi ed edificanti, perché sta scritto:
4."Nelle molte parole non eviterai il peccato" 5.e altrove: "Morte e vita sono
in potere della lingua". 6.Se infatti parlare e insegnare é compito del maestro,
il dovere del discepolo è di tacere e ascoltare. 7.Quindi, se bisogna chiedere
qualcosa al superiore, lo si faccia con grande umiltà e rispettosa
sottomissione. 8.Escludiamo poi sempre e dovunque la trivialità, le frivolezze e
le buffonerie e non permettiamo assolutamente che il monaco apra la bocca per
discorsi di questo genere.
Capitolo VII - L'umiltà
1.La sacra Scrittura si rivolge a noi, fratelli, proclamando
a gran voce: "Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato".
2.Così dicendo, ci fa intendere che ogni esaltazione è una forma di superbia,
3.dalla quale il profeta mostra di volersi guardare quando dice: "Signore, non
si è esaltato il mio cuore, né si è innalzato il mio sguardo, non sono andato
dietro a cose troppo grandi o troppo alte per me". 4.E allora? "Se non ho
nutrito sentimenti di umiltà, se il mio cuore si è insuperbito, tu mi tratterai
come un bimbo svezzato dalla propria madre". 5.Quindi, fratelli miei, se
vogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell'umiltà e arrivare rapidamente a
quella glorificazione celeste, a cui si ascende attraverso l'umiliazione della
vita presente, 6.bisogna che con il nostro esercizio ascetico innalziamo la
scala che apparve in sogno a Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere e
salire gli angeli. 7.Non c'è dubbio che per noi quella discesa e quella salita
possono essere interpretate solo nel senso che con la superbia si scende e con
l'umiltà si sale. 8.La scala così eretta, poi, è la nostra vita terrena che, se
il cuore è umile, Dio solleva fino al cielo; 9.noi riteniamo infatti che i due
lati della scala siano il corpo e l'anima nostra, nei quali la divina chiamata
ha inserito i diversi gradi di umiltà o di esercizio ascetico per cui bisogna
salire. 10.Dunque il primo grado dell'umiltà è quello in cui, rimanendo sempre
nel santo timor di Dio, si fugge decisamente la leggerezza e la dissipazione,
11.si tengono costantemente presenti i divini comandamenti e si pensa di
continuo all'inferno, in cui gli empi sono puniti per i loro peccati, e alla
vita eterna preparata invece per i giusti. 12.In altre parole, mentre si astiene
costantemente dai peccati e dai vizi dei pensieri, della lingua, delle mani, dei
piedi e della volontà propria, come pure dai desideri della carne, 13.l'uomo
deve prendere coscienza che Dio lo osserva a ogni istante dal cielo e che,
dovunque egli si trovi, le sue azioni non sfuggono mai allo sguardo divino e
sono di continuo riferite dagli angeli. 14.E' ciò che ci insegna il profeta,
quando mostra Dio talmente presente ai nostri pensieri da affermare: "Dio scruta
le reni e i cuori" 15.come pure: "Dio conosce i pensieri degli uomini". 16.Poi
aggiunge: "Hai intuito di lontano i miei pensieri" 17.e infine: "Il pensiero
dell'uomo sarà svelato dinanzi a te". 18.Quindi, per potersi coscienziosamente
guardare dai cattivi pensieri, bisogna che il monaco vigile e fedele ripeta
sempre tra sé: "Sarò senza macchia dinanzi a lui, solo se mi guarderò da ogni
malizia". 19.Ci è poi vietato di fare la volontà propria, dato che la Scrittura
ci dice: "Allontanati dalle tue voglie" 20.e per di più nel Pater chiediamo a
Dio che in noi si compia la sua volontà. 21.Perciò ci viene giustamente
insegnato di non fare la nostra volontà, evitando tutto quello di cui la
Scrittura dice: "Ci sono vie che agli uomini sembrano diritte, ma che si
sprofondano negli abissi dell'inferno" 22.e anche nel timore di quanto è stato
affermato riguardo ai negligenti: "Si sono corrotti e sono divenuti spregevoli
nella loro dissolutezza". 23.Quanto poi alle passioni della nostra natura
decaduta, bisogna credere ugualmente che Dio è sempre presente, secondo il detto
del profeta: "Ogni mio desiderio sta davanti a te". 24.Dobbiamo quindi guardarci
dalle passioni malsane, perché la morte è annidata sulla soglia del piacere.
25.Per questa ragione la Scrittura prescrive: "Non seguire le tue voglie". 26.Se
dunque "gli occhi di Dio scrutano i buoni e i cattivi" 27.e se "il Signore
esamina attentamente i figli degli uomini per vedere se vi sia chi abbia
intelletto e cerchi Dio", 28.se a ogni momento del giorno e della notte le
nostre azioni vengono riferite al Signore dai nostri angeli custodi, 29.bisogna,
fratelli miei, che stiamo sempre in guardia per evitare che un giorno Dio ci
veda perduti dietro il male e isteriliti, come dice il profeta nel salmo e,
30.pur risparmiandoci per il momento, perché è misericordioso e aspetta la
nostra conversione, debba dirci in avvenire: "Hai fatto questo e ho taciuto".
31.Il secondo grado dell'umiltà è quello in cui, non amando la propria volontà,
non si trova alcun piacere nella soddisfazione dei propri desideri, 32.ma si
imita il Signore, mettendo in pratica quella sua parola, che dice: "Non sono
venuto a fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato". 33.Cosa"
pure un antico testo afferma: "La volontà propria procura la pena, mentre la
sottomissione conquista il premio". 34.Terzo grado dell'umiltà è quello in cui
il monaco per amore di Dio si sottomette al superiore in assoluta obbedienza, a
imitazione del Signore, del quale l'Apostolo dice: "Fatto obbediente fino alla
morte". 35.Il quarto grado dell'umiltà è quello del monaco che, pur incontrando
difficoltà, contrarietà e persino offese non provocate nell'esercizio
dell'obbedienza, accetta in silenzio e volontariamente la sofferenza 36.e
sopporta tutto con pazienza, senza stancarsi né cedere secondo il monito della
Scrittura: " Chi avrà sopportato sino alla fine questi sarà salvato". 37.E
ancora: "Sia forte il tuo cuore e spera nel Signore". 38.E per dimostrare come
il servo fedele deve sostenere per il Signore tutte le possibili contrarietà,
esclama per bocca di quelli che patiscono: "Ogni giorno per te siamo messi a
morte, siamo trattati come pecore da macello". 39.Ma con la sicurezza che nasce
dalla speranza della divina retribuzione, costoro soggiungono lietamente: "E di
tutte queste cose trionfiamo in pieno, grazie a colui che ci ha amato",
40.mentre altrove la Scrittura dice: "Ci hai provato, Signore, ci hai saggiato
come si saggia l'argento col fuoco; ci hai fatto cadere nella rete, ci hai
caricato di tribolazioni". 41.E per indicare che dobbiamo assoggettarci a un
superiore, prosegue esclamando: "Hai posto degli uomini sopra il nostro capo".
42.Quei monaci, però, adempiono il precetto del Signore, esercitando la pazienza
anche nelle avversità e nelle umiliazioni, e, percossi su una guancia,
presentano l'altra, cedono anche il mantello a chi strappa loro di dosso la
tunica, quando sono costretti a fare un miglio di cammino ne percorrono due,
43.come l'Apostolo Paolo sopportano i falsi fratelli e ricambiano con parole le
offese e le ingiurie. 44.Il quinto grado dell'umiltà consiste nel manifestare
con un'umile confessione al proprio abate tutti i cattivi pensieri che sorgono
nell'animo o le colpe commesse in segreto, 45.secondo l'esortazione della
Scrittura, che dice: "Manifesta al Signore la tua via e spera in lui". 46.E
anche: "Aprite l'animo vostro al Signore, perché è buono ed eterna è la sua
misericordia", 47.mentre il profeta esclama: "Ti ho reso noto il mio peccato e
non ho nascosto la mia colpa. 48.Ho detto: "confesserò le mie iniquità dinanzi
al Signore" e tu hai perdonato la malizia del mio cuore". 49.Il sesto grado
dell'umiltà è quello in cui il monaco si contenta delle cose più misere e
grossolane e si considera un operaio incapace e indegno nei riguardi di tutto
quello che gli impone l'obbedienza, 50.ripetendo a se stesso con il profeta:
"Sono ridotto a nulla e nulla so; eccomi dinanzi a te come una bestia da soma,
ma sono sempre con te". 51.Il settimo grado dell'umiltà consiste non solo nel
qualificarsi come il più miserabile di tutti, ma nell'esserne convinto dal
profondo del cuore, 52.umiliandosi e dicendo con il profeta: "Ora io sono un
verme e non un uomo, l'obbrobrio degli uomini e il rifiuto della plebe"; 53."Mi
sono esaltato e quindi umiliato e confuso" 54.e ancora: "Buon per me che fui
umiliato, perché imparassi la tua legge". 55.L'ottavo grado dell'umiltà è quello
in cui il monaco non fa nulla al di fuori di ciò a cui lo sprona la regola
comune del monastero e l'esempio dei superiori e degli anziani. 56.Il nono grado
dell'umiltà è proprio del monaco che sa dominare la lingua e, osservando
fedelmente il silenzio, tace finché non è interrogato, 57.perché la Scrittura
insegna che "nelle molte parole non manca il peccato" 58.e che "l'uomo dalle
molte chiacchiere va senza direzione sulla terra". 59.Il decimo grado
dell'umiltà è quello in cui il monaco non è sempre pronto a ridere, perché sta
scritto: "Lo stolto nel ridere alza la voce". 60.L'undicesimo grado dell'umiltà
è quello nel quale il monaco, quando parla, si esprime pacatamente e seriamente,
con umiltà e gravità, e pronuncia poche parole assennate, senza alzare la voce,
61.come sta scritto: "Il saggio si riconosce per la sobrietà nel parlare". 62.Il
dodicesimo grado, infine, è quello del monaco, la cui umiltà non è puramente
interiore, ma traspare di fronte a chiunque lo osservi da tutto il suo
atteggiamento esteriore, 63.in quanto durante l'Ufficio divino, in coro, nel
monastero, nell'orto, per via, nei campi, dovunque, sia che sieda, cammini o
stia in piedi, tiene costantemente il capo chino e gli occhi bassi; 64.e,
considerandosi sempre reo per i propri peccati, si vede già dinanzi al tremendo
giudizio di Dio, 65.ripetendo continuamente in cuor suo ciò che disse, con gli
occhi fissi a terra il pubblicano del Vangelo: "Signore, io, povero peccatore,
non sono degno di alzare gli occhi al cielo". 66.E ancora con il profeta: "Mi
sono sempre curvato e umiliato". 67.Una volta ascesi tutti questi gradi
dell'umiltà, il monaco giungerà subito a quella carità, che quando è perfetta,
scaccia il timore; 68.per mezzo di essa comincerà allora a custodire senza
alcuno sforzo e quasi naturalmente, grazie all'abitudine, tutto quello che prima
osservava con una certa paura; 69.in altre parole non più per timore
dell'inferno, ma per timore di Cristo, per la stessa buona abitudine e per il
gusto della virtù. 70.Sono questi i frutti che, per opera dello Spirito Santo,
il Signore si degnerà di rendere manifesti nel suo servo, purificato ormai dai
vizi e dai peccati.
Capitolo VIII - L'Ufficio divino nella notte
1.Durante la stagione invernale, cioè dal principio di
novembre sino a Pasqua, secondo un calcolo ragionevole, la sveglia sia verso le
due del mattino, 2.in modo che il sonno si prolunghi un po' oltre la mezzanotte
e tutti si possano alzare sufficientemente riposati. 3.Il tempo che rimane dopo
l'Ufficio vigilare venga impiegato dai monaci, che ne hanno bisogno, nello
studio del salterio o delle lezioni. 4.Da Pasqua, invece, sino al suddetto
inizio di novembre, l'orario venga disposto in modo tale che, dopo un brevissimo
intervallo nel quale i fratelli possono uscire per le necessità della natura,
l'Ufficio vigiliare sia seguito immediatamente dalle Lodi, che devono essere
recitate al primo albeggiare.
Capitolo IX - I salmi dell'Ufficio notturno
1.Nel suddetto periodo invernale si dica prima di tutto per
tre volte il versetto: "Signore, apri le mie labbra e la mia bocca annunzierà la
tua lode", 2.a cui si aggiunga il salmo 3 con il Gloria; 3.dopo di questo il
salmo 94 cantato con l'antifona oppure lentamente. 4.Quindi segua l'inno e poi
sei salmi con le antifone, 5.finiti i quali e detto il versetto, l'abate dia la
benedizione e, mentre tutti stanno seduti ai rispettivi posti, i fratelli
leggano a turno dal lezionario posto sul leggio tre lezioni, intercalate da
responsori cantati. 6.Due responsori si cantino senza il Gloria, ma dopo la
terza lezione il cantore lo intoni 7.e allora tutti subito si alzino in piedi
per l'onore e la riverenza dovuti alla Santa Trinità. 8.Quanto ai libri da
leggere nell'Ufficio vigilare, siano tutti di autorità divina, sia dell'antico
che del nuovo Testamento, compresi i relativi commenti, scritti da padri di
sicura fama e genuina fede cattolica. 9.Dopo queste tre lezioni con i rispettivi
responsori, seguano gli altri sei salmi da cantare con l'Alleluia 10.e dopo
questi una lezione tratta dalle lettere di S. Paolo, da recitarsi a memoria, il
versetto, la prece litanica, cioè il Kyrie eleison, 11.e così si metta fine
all'Ufficio vigilare.
Capitolo X - L'Ufficio notturno dell'estate
1.Da Pasqua fino al principio di novembre si mantenga lo
stesso numero di salmi, che è stato prescritto sopra; 2.eccetto che, a causa
della brevità delle notti, non si leggano le lezioni dal lezionario, ma, invece
di tre, se ne reciti a memoria una sola dell'antico Testamento seguita da un
responsorio breve; 3.tutto il resto si svolga, come è già stato prescritto, cioè
nell'Ufficio vigiliare non si dicano mai meno di dodici salmi, senza contare i
salmi 3 e 94.
Capitolo XI - L'Ufficio notturno nelle Domeniche
1.Per l'Ufficio vigilare della domenica ci si alzi un po'
prima. 2.Anche in questo caso si osservi un determinato ordine, cioè, dopo aver
cantato sei salmi come abbiamo stabilito sopra ed essersi seduti tutti
ordinatamente ai propri posti, si leggano sul lezionario quattro lezioni con i
relativi responsori, secondo quanto abbiamo già detto; 3.solo al quarto
responsorio il cantore intoni il Gloria e allora tutti si alzino subito in piedi
con riverenza. 4.A queste lezioni seguano per ordine altri sei salmi con le
antifone come i precedenti e il versetto. 5.Quindi si leggano di nuovo altre
quattro lezioni con i propri responsori, secondo le norme precedenti. 6.Poi si
recitino tre cantici, tratti dai libri dei Profeti a scelta dell'abate, che si
devono cantare con l'Alleluia. 7.Detto quindi il versetto, con la benedizione
dell'abate si leggano altre quattro lezioni del nuovo Testamento nel modo gi
indicato. 8.Dopo il quarto responsorio l'abate intoni l'inno Te Deum laudamus,
9.finito il quale lo stesso abate legga la lezione dai Vangeli, mentre tutti
stanno in piedi con la massima reverenza. 10.Al termine di questa lettura tutti
rispondano Amen, poi l'abate prosegua immediatamente con l'inno Te decet laus e,
recitata la preghiera di benedizione, si incomincino le lodi. 11.Quest'ordine
dell'Ufficio vigiliare della domenica dev'essere mantenuto in ogni stagione,
tanto d'estate che d'inverno, 12.salvo il caso deprecabile in cui i monaci si
alzassero più tardi, nella quale circostanza bisognerà abbreviare le lezioni e i
responsori. 13.Si stia però bene attenti che ciò non avvenga; ma se dovesse
accadere, il responsabile di una simile negligenza ne faccia in coro degna
riparazione a Dio.
Capitolo XII - Le lodi
1.Alle Lodi della domenica, prima di tutto si dica il salmo
66 tutto di seguito, senza antifona, 2.quindi il salmo 50 con l'Alleluia, 3.poi
il 117 e il 62 4.quindi il cantico dei tre fanciulli nella fornace (il
Benedicite), i salmi di lode, una lezione dell'Apocalisse a memoria, il
responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del Vangelo (il Benedictus) e la
prece litanica con cui si finisce.
Capitolo XIII - Le lodi nei giorni feriali
1.Nei giorni feriali le Lodi si celebrino nel modo seguente:
2.si dica il salmo 66 senza antifona, recitandolo lentamente in modo che tutti
possano essere presenti per il salmo 50, che deve dirsi con l'antifona. 3.Dopo
di questi, si dicano altri due salmi secondo la consuetudine e cioè 4.al lunedì
i salmi 5 e 35, 5.al martedì il 42 e il 56, 6.al mercoledì il 63 e il 64, 7.al
giovedì l'87 e l'89, 8.al venerdì il 75 e il 91 9.e al sabato il 142 con il
cantico del Deuteronomio, diviso in due parti dal Gloria. 10.In tutti gli altri
giorni poi si dica il cantico profetico proprio di quel giorno, secondo l'uso
della Chiesa romana. 11.Quindi seguano i salmi di lode, una breve lezione
dell'Apostolo a memoria, il responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del
Vangelo, la prece litanica e così si termina. 12.Ma l'Ufficio delle Lodi e del
Vespro non si chiuda mai senza che, secondo l'uso stabilito, alla fine, tra
l'attenzione di tutti, il superiore reciti il Pater per le offese alla carità
fraterna che avvengono di solito nella vita comune, 13.in modo che i presenti
possano purificarsi da queste colpe, grazie all'impegno preso con la stessa
preghiera nella quale dicono: "Rimetti a noi, come anche noi rimettiamo".
14.Nelle altre Ore, invece, si dica ad alta voce solo l'ultima parte del Pater,
a cui tutti rispondano: "Ma liberaci dal male".
Capitolo XIV - L'Ufficio vigilare nelle feste dei Santi
1.Nelle feste dei Santi e in tutte le solennità si proceda
come abbiamo stabilito per la domenica, 2.ad eccezione dei salmi, delle antifone
e delle lezioni, che saranno proprie di quel giorno; si segua però l'ordine già
fissato.
Capitolo XV - Quando si deve dire l'alleluia
1.L'Alleluia si dica sempre dalla santa Pasqua fino a
Pentecoste, tanto nei salmi che nei responsori; 2.da Pentecoste poi sino al
principio della Quaresima lo si dica soltanto negli ultimi sei salmi
dell'Ufficio notturno. 3.Ma in tutte le domeniche che cadano fuori del tempo
quaresimale i cantici, le Lodi, Prima, Terza, Sesta e Nona si dicano con
l'Alleluia, mentre il Vespro avrà le antifone proprie. 4.I responsori, invece,
non si dicano mai con l'Alleluia, se non da Pasqua a Pentecoste.
Capitolo XVI - La celebrazione dei divini Offici durante le
ore del giorno
1."Sette volte al giorno ti ho lodato", dice il profeta.
2.Questo sacro numero di sette sarà adempiuto da noi, se assolveremo i doveri
del nostro servizio alle Lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e
Compieta, 3.perché proprio di queste ore diurne il profeta ha detto: "Sette
volte al giorno ti ho lodato". 4.Infatti nelle Vigilie notturne lo stesso
profeta dice: "Nel mezzo della notte mi alzavo per lodarti". 5.Dunque in queste
ore innalziamo lodi al nostro Creatore "per le opere della sua giustizia" e cioè
alle lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e a Compieta e di notte
alziamoci per celebrare la sua grandezza.
Capitolo XVII - Salmi delle ore del giorno
1.Abbiamo già stabilito l'ordine della salmodia per l'Ufficio
notturno e per le Lodi; adesso provvediamo per le altre Ore. 2.All'ora di Prima
si dicano tre salmi separatamente, ciascuno con il proprio Gloria 3.e l'inno
della stessa Ora segua il versetto Deus in adiutorium prima di iniziare i salmi.
4.Finiti i tre salmi, si reciti una sola lezione, il versetto, il Kyrie eleison
e le preci finali. 5.A Terza, a sesta e a Nona si celebri l'Ufficio secondo lo
stesso ordine e cioè il versetto iniziale, gli inni delle rispettive Ore, tre
salmi, la lezione, il versetto, il Kyrie eleison e le preci finali. 6.Se la
comunità fosse numerosa, si salmeggi con le antifone, altrimenti si recitino i
salmi tutti di seguito. 7.L'Ufficio del Vespro comprenda quattro salmi con le
antifone, 8.dopo i quali si reciti la lezione, quindi il responsorio, l'inno, il
versetto, il cantico del Vangelo, il Kyrie e il Pater, a cui segue il congedo.
9.Compieta, infine, consista in tre salmi di seguito, senza antifona, 10.ai
quali segua l'inno della medesima ora, una sola lezione, il versetto, il Kyrie
eleison e la benedizione con cui si conclude.
Capitolo XVIII - L'ordine dei salmi nelle ore del giorno
1.Prima di tutto si dica il versetto: "O Dio, vieni in mio
soccorso; Signore, affrettati ad aiutarmi", il Gloria e poi l'inno di ciascuna
Ora. 2.A Prima della domenica si dicano quattro strofe del salmo 118; 3.alle
altre Ore, cioè a Terza, Sesta e Nona, si dicano tre strofe per volta dello
stesso salmo. 4.A Prima del lunedì si recitino tre salmi e cioè il salmo 1, il 2
e il 6; 5.e così nei giorni successivi fino alla domenica si dicano di seguito
tre salmi fino al 19, in modo però che il 9 e il 17 si dividano in due. 6.Così
le vigilie domenicali cominceranno sempre con il salmo 20. 7.A Terza, Sesta e
Nona del lunedì si dicano le ultime nove strofe del salmo 118, tre per ciascuna
Ora. 8.Esaurito questo salmo in due giorni, cioè alla domenica e al lunedì, 9.a
Terza, Sesta e Nona del martedì si recitino rispettivamente tre salmi dal 119 al
127, cioè in tutto nove salmi. 10.Questi vengano sempre ripetuti allo stesso
modo nelle medesime Ore fino alla domenica, lasciando però invariati gli inni,
le lezioni e i versetti per tutte le Ore della settimana, 11.in modo che alla
domenica si cominci sempre dal salmo 118. 12.Il Vespro poi si celebri ogni
giorno con il canto di quattro salmi, 13.dal 109 fino al 147; 14.eccettuando
quelli che sono riservati alle altre Ore, cioè i salmi 117-127, 133 e 142,
15.tutti gli altri si dicano a Vespro. 16.E poiché vengono a mancare tre salmi,
si dividano i più lunghi del gruppo indicato, ossia il 138, il 143 e il 144.
17.Il 116, invece, che è il più breve, venga unito al 115. 18.Stabilito così
l'ordine della salmodia vespertina, tutto il resto, cioè la lezione, il
responsorio, l'inno, il versetto e il cantico, si dica come abbiamo disposto
sopra. 19.A Compieta, infine, si ripetano tutti i giorni gli stessi salmi e cioè
il 4, il 90 e il 133. 20.Una volta fissato l'ordine della salmodia di tutti i
salmi rimanenti vengano distribuiti in parti uguali nei sette Uffici notturni,
21.dividendo quelli più lunghi e assegnandone dodici per notte. 22.Ci teniamo
però ad avvertire che, se qualcuno non trovasse conveniente tale distribuzione
dei salmi, li disponga pure come meglio crede, 23.purché badi bene di fare in
modo che in tutta la settimana si reciti l'intero salterio di centocinquanta
salmi e con l'Ufficio vigiliare della domenica si ricominci sempre da capo.
24.Infatti i monaci, che in una settimana salmeggiano meno dell'intero salterio
con i cantici consueti, danno prova di grande indolenza e fiacchezza nel
servizio a cui sono consacrati, 25.dato che dei nostri padri si legge che in un
sol giorno adempivano con slancio e fervore quanto è augurabile che noi tiepidi
riusciamo a eseguire in una settimana.
Capitolo XIX - La partecipazione interiore all'Ufficio divino
1.Sappiamo per fede che Dio è presente dappertutto e che "gli
occhi del Signore guardano in ogni luogo i buoni e i cattivi", 2.ma dobbiamo
crederlo con assoluta certezza e senza la minima esitazione, quando prendiamo
parte all'Ufficio divino. 3.Perciò ricordiamoci sempre di quello che dice il
profeta: "Servite il Signore nel timore" 4.e ancora: "Lodatelo degnamente" 5.e
ancora: " Ti canterò alla presenza degli angeli". 6.Consideriamo dunque come
bisogna comportarsi alla presenza di Dio e dei suoi Angeli 7.e partecipiamo alla
salmodia in modo tale che l'intima disposizione dell'animo si armonizzi con la
nostra voce.
Capitolo XX - La riverenza nella preghiera
1.Se quando dobbiamo chiedere un favore a qualche
personaggio, osiamo farlo solo con soggezione e rispetto, 2.quanto più dobbiamo
rivolgere la nostra supplica a Dio, Signore di tutte le cose, con profonda
umiltà e sincera devozione. 3.Bisogna inoltre sapere che non saremo esauditi per
le nostre parole, ma per la purezza del cuore e la compunzione che strappa le
lacrime. 4.Perciò la preghiera dev'essere breve e pura, a meno che non venga
prolungata dall'ardore e dall'ispirazione della grazia divina. 5.Ma quella che
si fa in comune sia brevissima e quando il superiore dà il segno, si alzino
tutti insieme.
Capitolo XXI - I decani del monastero
1.Se la comunità è abbastanza numerosa, si scelgano in essa
alcuni monaci di buon esempio e di santa vita per costituirli decani; 2.essi
vigileranno premurosamente, secondo le leggi di Dio e gli ordini dell'abate sui
gruppi di dieci fratelli affidati alle loro rispettive cure. 3.Come decani
devono essere eletti quei monaci con i quali l'abate possa tranquillamente
condividere i suoi pesi 4.e in tale scelta non bisogna tener conto dell'ordine
di anzianità, ma regolarsi solo in considerazione della condotta esemplare e
della scienza delle cose di Dio. 5.Se poi fra questi decani ce ne fosse qualcuno
che, montato un po' in superbia, dovesse essere ripreso, sia rimproverato una
prima, una seconda e una terza volta e, se non vorrà correggersi, 6.venga
sostituito con un altro veramente degno. 7.La stessa cosa stabiliamo per il
priore.
Capitolo XXII - Il dormitorio dei monaci
1.Ciascun monaco dorma in un letto proprio 2.e ne riceva la
fornitura conforme alle consuetudini monastiche e secondo quanto disporrà
l'abate. 3.Se è possibile dormano tutti nello stesso locale, ma se il numero
rilevante non lo permette, riposino a dieci o venti per ambiente insieme con gli
anziani incaricati della sorveglianza. 4.Nel dormitorio rimanga sempre accesa
una lampada fino al mattino. 5.Dormano vestiti, con ai fianchi semplici cinture
o corde, senza portare coltelli appesi al lato mentre riposano, per non ferirsi
nel sonno. 6.Così i monaci siano sempre pronti e, appena dato il segnale,
alzandosi senza indugio si affrettino a prevenirsi vicendevolmente per l'Ufficio
divino, ma sempre con la massima gravità e modestia. 7.I più giovani non abbiano
i letti vicini, ma alternati con quelli dei più anziani. 8.Quando poi si alzano
per l'Ufficio divino, si esortino garbatamente a vicenda per prevenire le scuse
degli assonnati.
Capitolo XXIII - La scomunica per le colpe
1.Se qualche fratello si dimostrerà ribelle o disobbediente o
superbo o mormoratore, o assumerà un atteggiamento di ostilità e di disprezzo
nei confronti di qualche punto della santa Regola o degli ordini dei superiori,
2.questi lo rimproverino una prima e una seconda volta in segreto, secondo il
precetto del Signore. 3.Se non si migliorerà, venga ripreso pubblicamente di
fronte a tutti. 4.Ma nel caso che anche questo provvedimento si dimostri
inefficace, sia scomunicato, purché sia in grado di valutare la portata di una
tale punizione. 5.Se invece difetta di una sufficiente sensibilità, sia
sottoposto al castigo corporale.
Capitolo XXIV - La misura della scomunica
1.La scomunica e, in genere, la punizione disciplinare dev'essere
proporzionata alla gravità della colpa 2.e ciò è di competenza dell'abate.
3.Però il monaco che avrà commesso mancanze meno gravi sia escluso dalla mensa
comune. 4.Il trattamento inflitto a chi viene escluso dalla mensa è il seguente:
in coro non intoni salmo, né antifona, né reciti lezioni fino a quando non avrà
riparato alle sue mancanze; 5.mangi da solo dopo la comunità, 6.sicché se, per
esempio, i monaci pranzano all'ora di Sesta, egli mangi a Nona; se pranzano a
Nona, egli a Vespro, 7.fino a quando avrà ottenuto il perdono con una
conveniente riparazione.
Capitolo XXV - Le colpe più gravi
1.Il monaco colpevole di mancanze più gravi sia invece
sospeso oltre che dalla mensa anche dal coro. 2.Nessuno lo avvicini per fargli
compagnia o parlare di qualsiasi cosa. 3.Attenda da solo al lavoro che gli sarà
assegnato e rimanga nel lutto della penitenza, consapevole della terribile
sentenza dell'apostolo che dice: 4."Costui è stato consegnato alla morte della
carne, perché la sua anima sia salva nel giorno del Signore". 5.Prenda il suo
cibo da solo nella quantità e nell'ora che l'abate giudicherà più conveniente
per lui; 6.non sia benedetto da chi lo incontra e non si benedica neppure il
cibo che gli viene dato.
Capitolo XXVI - Rapporti dei confratelli con gli scomunicati
1.Se qualche monaco oserà avvicinare in qualche modo un
fratello scomunicato, o parlare con lui, o inviargli un messaggio, senza
l'autorizzazione dell'abate, 2.incorra nella medesima punizione.
Capitolo XXVII - La sollecitudine dell'abate per gli
scomunicati
1.L'abate deve prendersi cura dei colpevoli con la massima
sollecitudine, perché "non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i
malati". 2.Perciò deve agire come un medico sapiente, inviando in qualità di
amici fidati dei monaci anziani e prudenti 3.che quasi inavvertitamente
confortino il fratello vacillante e lo spingano a un'umile riparazione,
incoraggiandolo perché "non sia sommerso da eccessiva tristezza", 4.in altre
parole "gli usi maggiore carità", come dice l'Apostolo "e tutti preghino per
lui". 5.Bisogna che l'abate sia molto vigilante e si impegni premurosamente con
tutta l'accortezza e la diligenza di cui è capace per non perdere nessuna delle
pecorelle a lui affidate. 6.Sia pienamente cosciente di essersi assunto il
compito di curare anime inferme e non di dover esercitare il dominio sulle sane
7.e consideri con timore il severo oracolo del profeta per bocca del quale il
Signore dice: "Ciò che vedevate pingue lo prendevate; ciò invece che era debole
lo gettavate via". 8.Imiti piuttosto la misericordia del buon Pastore che,
lasciate sui monti le novantanove pecore, andò alla ricerca dell'unica che si
era smarrita 9.ed ebbe tanta compassione della sua debolezza che si degnò di
caricarsela sulle sue sacre spalle e riportarla così all'ovile.
Capitolo XXVIII - La procedura nei confronti degli ostinati
1.Se un monaco, già ripreso più volte per una qualsiasi
colpa, non si correggerà neppure dopo la scomunica, si ricorra a una punizione
ancor più severa e cioè al castigo corporale. 2.Ma se neppure così si emenderà o
- non sia mai! - montato in superbia pretenderà persino di difendere il suo
operato, l'abate si regoli come un medico provetto, 3.ossia, dopo aver usato i
linimenti e gli unguenti delle esortazioni, i medicamenti delle Scritture divine
e, infine, la cauterizzazione della scomunica e le piaghe delle verghe,
4.vedendo che la sua opera non serve a nulla, si affidi al rimedio più efficace
e cioè alla preghiera sua e di tutta la comunità 5.per ottenere dal Signore che
tutto può la salvezza del fratello. 6.Se, però, nemmeno questo tentativo servirà
a guarirlo, l'abate, metta mano al ferro del chirurgo, secondo quanto dice
l'apostolo: "Togliete di mezzo a voi quel malvagio" 7.e ancora: "Se l'infedele
vuole andarsene, vada pure", 8.perché una pecora infetta non debba contagiare
tutto il gregge.
Capitolo XXIX - La riammissione dei fratelli che hanno
lasciato il monastero
1.Il monaco, che, dopo aver lasciato per propria colpa il
monastero, volesse ritornarvi, prometta anzitutto di correggersi definitivamente
dalla colpa per la quale è uscito 2.e a questa condizione sia ricevuto
all'ultimo posto per provare la sua umiltà. 3.Se poi uscisse di nuovo sia
riammesso fino alla terza volta, ma sappia che in seguito gli sarà negata ogni
possibilità di ritorno.
Capitolo XXX - La correzione dei ragazzi
1.Ogni età e intelligenza dev'essere trattata in modo
adeguato. 2.Perciò i bambini e gli adolescenti e quelli che non sono in grado di
comprendere la gravità della scomunica, 3.quando commettono qualche colpa siano
puniti con gravi digiuni o repressi con castighi corporali, perché si
correggano.
Capitolo XXXI - Il cellerario del monastero
1.Come cellerario del monastero si scelga un fratello saggio,
maturo, sobrio, che non ecceda nel mangiare e non abbia un carattere superbo,
turbolento, facile alle male parole, indolente e prodigo, 2.ma sia timorato di
Dio e un vero padre per la comunità. 3.Si prenda cura di tutto e di tutti. 4.Non
faccia nulla senza il permesso dell'abate 5.ed esegua fedelmente gli ordini
ricevuti. 6.Non dia ai fratelli motivo di irritarsi e, 7.se qualcuno di loro
avanzasse pretese assurde, non lo mortifichi sprezzantemente, ma sappia
respingere la richiesta inopportuna con ragionevolezza e umiltà. 8.Custodisca
l'anima sua, ricordandosi sempre di quella sentenza dell'apostolo che dice: "Chi
avrà esercitato bene il proprio ministero, si acquisterà un grado onorevole".
9.Si interessi dei malati, dei ragazzi, degli ospiti e dei poveri con la massima
diligenza, ben sapendo che nel giorno del giudizio dovrà rendere conto di tutte
queste persone affidate alle sue cure. 10.Tratti gli oggetti e i beni del
monastero con la reverenza dovuta ai vasi sacri dell'altare 11.e non tenga nulla
in poco conto. 12.Non si lasci prendere dall'avarizia né si abbandoni alla
prodigalità, ma agisca sempre con criterio e secondo le direttive dell'abate.
13.Soprattutto sia umile e se non può concedere quanto gli è stato richiesto,
dia almeno una risposta caritatevole, 14.perché sta scritto: "Una buona parola
vale più del migliore dei doni". 15.Si interessi solo delle incombenze che gli
ha affidato l'abate, senza ingerirsi in quelle da cui lo ha escluso.
16.Distribuisca ai fratelli la porzione di vitto prestabilita senza alterigia o
ritardi, per non dare motivo di scandalo, ricordandosi di quello che toccherà,
secondo la divina promessa, a "chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli".
17.Se la comunità fosse numerosa, gli si concedano degli aiuti con la cui
collaborazione possa svolgere serenamente il compito che gli è stato assegnato.
18.Nelle ore fissate si distribuisca quanto si deve dare e si chieda quello che
si deve chiedere, 19.in modo che nella casa di Dio non ci sia alcun motivo di
turbamento o di malcontento.
Capitolo XXXII - Gli arnesi e gli oggetti del monastero
1.Per la cura di tutto quello che il monastero possiede di
arnesi, vesti o qualsiasi altro oggetto l'abate scelga dei monaci su cui possa
contare a motivo della loro vita virtuosa 2.e affidi loro i singoli oggetti nel
modo che gli sembrerà più opportuno, perché li custodiscano e li raccolgano.
3.Tenga l'inventario di tutto, in maniera che, quando i vari monaci si succedono
negli incarichi loro assegnati, egli sappia che cosa dà e che cosa riceve. 4.Se
poi qualcuno trattasse con poca pulizia o negligenza le cose del monastero,
venga debitamente rimproverato; 5.nel caso che non si corregga, sia sottoposto
alle punizioni previste dalla Regola.
Capitolo XXXIII - Il "vizio" della proprietà
1.Nel monastero questo vizio dev'essere assolutamente
stroncato fin dalle radici, 2.sicché nessuna si azzardi a dare o ricevere
qualche cosa senza il permesso dell'abate, 3.né pensi di avere nulla di proprio,
assolutamente nulla, né un libro, né un quaderno o un foglio di carta e neppure
una matita, 4.dal momento che ai monaci non è più concesso di disporre
liberamente neanche del proprio corpo e della propria volontà, 5.ma bisogna
sperare tutto il necessario dal padre del monastero e non si può tenere presso
di sé alcuna cosa che l'abate che l'abate non abbia dato o permesso. 6."Tutto
sia comune a tutti", come dice la Scrittura, e "nessuno dica o consideri propria
qualsiasi cosa". 7.Se poi si scoprisse qualcuno che si compiace in questo
pessimo vizio, bisognerà rimproverarlo una prima e una seconda volta 8.e, nel
caso che non si corregga, infliggergli il dovuto castigo.
Capitolo XXXIV - La distribuzione del necessario
1."Si distribuiva a ciascuno proporzionatamente al bisogno",
si legge nella Scrittura. 2.Con questo non intendiamo che si debbano fare
preferenze - Dio ce ne liberi! - ma che si tenga conto delle eventuali
debolezze; 3.quindi chi ha meno necessità, ringrazi Dio senza amareggiarsi,
4.mentre chi ha maggiori bisogni, si umili per la propria debolezza, invece di
montarsi la testa per le attenzioni di cui è fatto oggetto 5.e così tutti i
membri della comunità staranno in pace. 6.Soprattutto bisogna evitare che per
qualsiasi motivo faccia la sua comparsa il male della mormorazione, sia pure
attraverso una parola o un gesto. 7.E, nel caso che se ne trovi colpevole
qualcuno, sia punito con maggior rigore.
Capitolo XXXV - Il servizio della cucina
1.I fratelli si servano a vicenda e nessuno sia dispensato
dal servizio della cucina, se non per malattia o per un impegno di maggiore
importanza, 2.perché così si acquista un merito più grande e si accresce la
carità. 3.Ma i più deboli siano provveduti di un aiuto, in modo da non dover
compiere questo servizio di malumore; 4.anzi, è bene che, in generale, tutti
abbiano degli aiuti in corrispondenza alla grandezza della comunità e alle
condizioni locali. 5.In una comunità numerosa il cellerario sia dispensato dal
servizio della cucina, come anche i fratelli che, secondo quanto abbiamo già
detto, sono occupati in compiti di maggiore utilità, 6.ma tutti gli altri si
servano a vicenda con carità. 7.Al sabato il monaco che termina il suo turno
settimanale, faccia le pulizie. 8.Si lavino gli asciugatoi usati dai fratelli
per le mani e i piedi. 9.Tanto il monaco che finisce il servizio, quanto quello
che lo comincia, lavino i piedi a tutti. 10.Il primo consegni puliti e intatti
al cellerario tutti gli utensili di cui si è servito nel proprio turno. 11.A sua
volta il cellerario li affidi al fratello che entra in servizio, in modo da
sapere quello che dà e quello che riceve. 12.Un'ora prima del pranzo, ciascuno
dei monaci di turno in cucina riceva, oltre la quantità di cibo stabilita per
tutti, un po' di pane e di vino, 13.per poter poi all'ora del pranzo servire i
propri fratelli senza lamentele né grave disagio; 14.ma nei giorni festivi
aspettino fino al termine della celebrazione eucaristica. 15.Alla domenica,
subito dopo le Lodi, quelli che iniziano e quelli che terminano il servizio
della cucina si inginocchino in coro davanti a tutti, chiedendo che preghino per
loro. 16.Chi ha finito il proprio turno reciti il versetto: "Sii benedetto,
Signore Dio, che mi hai aiutato e mi hai consolato". 17.E quando lo avrà
ripetuto tre volte e avrà ricevuto la benedizione, continui il fratello che gli
succede nel servizio, dicendo: "O Dio, vieni in mio soccorso; Signore,
affrettati ad aiutarmi"; 18.anche questo versetto sarà ripetuto tre volte da
tutti, dopo di che il fratello riceverà la benedizione e inizierà il suo turno.
Capitolo XXXVI - I fratelli infermi
1.L'assistenza agli infermi deve avere la precedenza e la
superiorità su tutto, in modo che essi siano serviti veramente come Cristo in
persona, 2.il quale ha detto di sé: "Sono stato malato e mi avete visitato",
3.e: "Quello che avete fatto a uno di questi piccoli, lo avete fatto a me". 4.I
malati però riflettano, a loro volta, che sono serviti per amore di Dio e non
opprimano con eccessive pretese i fratelli che li assistono, 5.ma comunque
bisogna sopportarli con grande pazienza, poiché per mezzo loro si acquista un
merito più grande. 6.Quindi l'abate vigili con la massima attenzione perché non
siano trascurati sotto alcun riguardo. 7.Per i monaci ammalati ci sia un locale
apposito e un infermiere timorato di Dio, diligente e premuroso. 8.Si conceda
loro l'uso dei bagni, tutte le volte che ciò si renderà necessario a scopo
terapeutico; ai sani, invece, e specialmente ai più giovani venga consentito più
raramente. 9.I malati più deboli avranno anche il permesso di mangiare carne per
potersi rimettere in forze; però, appena ristabiliti, si astengano tutti dalla
carne come al solito. 10.Ma la più grande preoccupazione dell'abate deve essere
che gli infermi non siano trascurati dal cellerario e dai fratelli che li
assistono, perché tutte le negligenze commesse dai suoi discepoli ricadono su di
lui.
Capitolo XXXVII - I vecchi e i ragazzi
1.Benché la stessa natura umana sia portata alla compassione
per queste due età, dei vecchi, cioè, e dei ragazzi, bisogna che se ne interessi
anche l'autorità della Regola. 2.Si tenga sempre conto della loro fragilità e,
per quanto riguarda i cibi, non siano affatto obbligati all'austerità della
Regola, 3.Ma, con amorevole indulgenza, si conceda loro un anticipo sulle ore
fissate per i pasti.
Capitolo XXXVIII - La lettura in refettorio
1.Alla mensa dei monaci non deve mai mancare la lettura, né è
permesso di leggere a chiunque abbia preso a caso un libro qualsiasi, ma bisogna
che ci sia un monaco incaricato della lettura, che inizi il suo compito alla
domenica. 2.Dopo la Messa e la comunione, il lettore che entra in funzione si
raccomandi nel coro alle preghiere dei fratelli, perché Dio lo tenga lontano da
ogni tentazione di vanità; 3.e tutti ripetano per tre volte il versetto:
"Signore apri le mie labbra e la mia bocca annunzierà la tua lode", che è stato
intonato dal lettore stesso, 4.il quale, dopo aver ricevuta così la benedizione,
potrà iniziare il proprio turno. 5.Nel refettorio regni un profondo silenzio, in
modo che non si senta alcun bisbiglio o voce, all'infuori di quella del lettore.
6.I fratelli si porgano a vicenda il necessario per mangiare e per bere, senza
che ci sia bisogno di chiedere nulla. 7.Se poi proprio occorresse qualche cosa,
invece che con la voce, si chieda con un leggero rumore che serva da richiamo.
8.E nessuno si permetta di fare delle domande sulla lettura o su qualsiasi altro
argomento, per non offrire occasione di parlare, 9.a meno che il superiore non
ritenga opportuno di dire poche parole di edificazione. 10.Prima di iniziare la
lettura, il monaco di turno prenda un po' di vino aromatico, sia per rispetto
alla santa Comunione, sia per evitare che il digiuno gli pesi troppo, 11.e poi
mangi con i fratelli che prestano servizio in cucina e in refettorio. 12.Però i
monaci non devono leggere e cantare tutti secondo l'ordine di anzianità, ma
questo incarico va affidato solo a coloro che sono in grado di edificare i
propri ascoltatori.
Capitolo XXXIX - La misura del cibo
1.Volendo tenere il debito conto delle necessità individuali,
riteniamo che per il pranzo quotidiano fissato - a seconda delle stagioni - dopo
Sesta o dopo Nona, siano sufficienti due pietanze cotte, 2.in modo che chi
eventualmente non fosse in condizioni di prenderne una, possa servirsi
dell'altra. 3.Dunque a tutti i fratelli devono bastare due pietanze cotte e se
ci sarà la possibilità di procurarsi della frutta o dei legumi freschi, se ne
aggiunga una terza. 4.Quanto al pane penso che basti un chilo abbondante al
giorno, sia quando c'è un solo pasto, che quando c'è pranzo e cena. 5.In quest'ultimo
caso il cellerario ne metta da parte un terzo per distribuirlo a cena. 6.Nel
caso che il lavoro quotidiano sia stato più gravoso del solito, se l'abate lo
riterrà opportuno, avrà piena facoltà di aggiungere un piccolo supplemento,
7.purché si eviti assolutamente ogni abuso e il monaco si guardi
dall'ingordigia. 8.Perché nulla è tanto sconveniente per un cristiano, quanto
gli eccessi della tavola, 9.come dice lo stesso nostro Signore: "State attenti
che il vostro cuore non sia appesantito dal troppo cibo". 10.Quanto poi ai
ragazzi più piccoli, non si serva loro la medesima porzione, ma una quantità
minore, salvaguardando in tutto la sobrietà. 11.Tutti infine si astengano
assolutamente dalla carne di quadrupedi, a eccezione dei malati molto deboli.
Capitolo XL - La misura del vino
1."Ciascuno ha da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in
un altro" 2.ed è questo il motivo per cui fissiamo la quantità del vitto altrui
con una certa perplessità. 3.Tuttavia, tenendo conto della cagionevole
costituzione dei più gracili, crediamo che a tutti possa bastare un quarto di
vino a testa. 4.Quanto ai fratelli che hanno ricevuto da Dio la forza di
astenersene completamente, sappiano che ne riceveranno una particolare
ricompensa. 5.Se però le esigenze locali o il lavoro o la calura estiva
richiedessero una maggiore quantità, sia in facoltà del superiore concederla,
badando sempre a evitare la sazietà e ancor più l'ubriachezza. 6.Per quanto si
legga che il vino non è fatto per i monaci, siccome oggi non è facile
convincerli di questo, mettiamoci almeno d'accordo sulla necessità di non bere
fino alla sazietà, ma più moderatamente, 7.perché "il vino fa apostatare i
saggi". 8.I monaci poi che risiedono in località nelle quali è impossibile
procurarsi la suddetta misura, ma se ne trova solo una quantità molto minore o
addirittura nulla, benedicano Dio e non mormorino: 9.è questo soprattutto che mi
preme di raccomandare, che si guardino dalla mormorazione.
Capitolo XLI - L'orario dei pasti
1.Dalla santa Pasqua fino a Pentecoste i fratelli pranzino
all'ora di Sesta, cioè a mezzogiorno, e cenino la sera. 2.Invece da Pentecoste
in poi, per tutta l'estate, se non sono impegnati nei lavori agricoli o sfibrati
dalla calura estiva, al mercoledì e al venerdì digiunino sino all'ora di Nona,
cioè fin dopo le 14 3.e negli altri giorni pranzino all'ora di Sesta. 4.Ma nel
caso che abbiano da lavorare nei campi o che il caldo sia eccessivo, potranno
pranzare tutti i giorni alle 12, secondo quanto stabilirà paternamente l'abate.
5.Così questi regoli e disponga tutto in modo che le anime si salvino e i monaci
possano compiere il proprio dovere senza un motivo fondato di mormorazione.
6.Dal 14 settembre fino all'inizio della Quaresima pranzino sempre all'ora di
Nona. 7.Durante la Quaresima, poi, fino a Pasqua pranzino all'ora di Vespro:
8.questo Ufficio però dev'essere celebrato a un'ora tale da non aver bisogno di
accendere il lume durante il pranzo e poter terminare mentre è ancora giorno.
9.Anzi, in ogni stagione, sia l'ora del pranzo che quella della cena devono
essere fissate in maniera che tutto si possa fare con la luce del sole.
Capitolo XLII - Il silenzio dopo compieta
1.I monaci devono custodire sempre il silenzio con amore, ma
soprattutto durante la notte. 2.Perciò in ogni periodo dell'anno, sia di digiuno
oppure no, si procederà nel modo seguente: 3.se non si digiuna, appena alzati da
cena, i monaci si riuniscano tutti insieme e uno di loro legga le Conferenze o
le Vite dei Padri o qualche altra opera di edificazione, 4.ma non i primi sette
libri della Bibbia e neppure quelli dei Re, perché ai temperamenti
impressionabili non fa bene ascoltare a quell'ora i suddetti testi
scritturistici, che però si dovranno leggere in altri momenti; 5.se invece fosse
giorno di digiuno, dopo la celebrazione dei Vespri e un breve intervallo, vadano
direttamente alla lettura di cui abbiamo parlato 6.e leggano quattro o cinque
pagine o quanto è consentito dal tempo a disposizione, 7.perché durante questo
intervallo della lettura possano radunarsi tutti, compresi quelli che fossero
eventualmente stati occupati in qualche incombenza. 8.Quando saranno tutti
riuniti, dicano insieme Compieta, all'uscita dalla quale non sia più permesso ad
alcuno di pronunciare una parola. 9.Chiunque sia colto a trasgredire questa
regola del silenzio venga severamente punito, 10.eccetto il caso in cui
sopraggiungano degli ospiti o l'abate abbia dato un ordine a un monaco; 11.ma
anche in questa eventualità bisogna procedere con la massima gravità e il debito
riserbo.
Capitolo XLIII - La puntualità nell'Ufficio divino e in
refettorio
1.All'ora dell'Ufficio divino, appena si sente il segnale,
lasciato tutto quello che si ha tra le mani, si accorra con la massima
sollecitudine, 2.ma nello stesso tempo con gravità, per non dare adito alla
leggerezza. 3.In altre parole non si anteponga nulla all'opera di Dio". 4.Se
qualcuno arriva all'Ufficio notturno dopo il Gloria del salmo 94, che proprio
per questo motivo vogliamo sia cantato molto lentamente e con pause, non occupi
il proprio posto nel coro, 5.ma si metta all'ultimo o in quella parte che
l'abate avrà destinato per questi negligenti, perché siano veduti da lui e da
tutti, 6.e vi rimanga fino a quando, al termine del l'Ufficio divino, avrà
riparato dinanzi a tutta la comunità con una penitenza. 7.Abbiamo ritenuto
opportuno far rimanere questi ritardatari all'ultimo posto o in un canto, perché
si correggano almeno per la vergogna di essere visti da tutti. 8.Se, infatti,
rimanessero fuori del coro, ci potrebbe essere qualcuno che ritorna a dormire o
si siede fuori o si mette a chiacchierare, dando così occasione al demonio; 9.è
bene invece che entrino, in modo da non perdere tutto l'Ufficio e correggersi
per l'avvenire. 10.Nelle Ore del giorno, invece, il monaco che arriva
all'Ufficio divino dopo il versetto o il Gloria del primo salmo, che segue lo
stesso versetto, si metta all'ultimo posto, secondo la norma precedente, 11.e
non si permetta di unirsi al coro dei fratelli che salmeggiano, fino a che non
avrà riparato, a meno che l'abate gliene dia il permesso con il suo perdono;
12.ma anche in questo caso il ritardatario dovrà riparare la sua mancanza.
13.Per quanto riguarda il refettorio, chi non arriva prima del versetto in modo
che tutti uniti dicano il versetto stesso, preghino e poi siedano insieme a
mensa, 14.se la mancanza è dovuta a negligenza o cattiva volontà, sia
rimproverato fino a due volte. 15.Ma se ancora non si corregge, sia escluso
dalla mensa comune 16.e mangi da solo, separato dalla comunità e senza la sua
razione di vino, fino a che non abbia riparato e si sia corretto. 17.Lo stesso
castigo sia inflitto al monaco che non si trovi presente al versetto che si
recita dopo il pranzo. 18.Nessuno poi si permetta di mangiare o di bere qualcosa
prima dell'ora stabilita. 19.Ma il monaco che non avesse accettato ciò che gli
era stato offerto dal superiore, quando desidererà quello che ha rifiutato in
precedenza o altro, non ottenga assolutamente nulla fino a che non dimostri di
essersi debitamente corretto.
Capitolo XLIV - La riparazione degli scomunicati
1.Il monaco che per colpe gravi è stato escluso dal coro e
della mensa comune, al termine dell'Ufficio divino si prostri in silenzio
davanti alla porta del coro, 2.rimanendo lì disteso con la faccia a terra
dinanzi a tutti quelli che escono 3.e continui a fare in questo modo fino a
quando l'abate non giudichi che ha sufficientemente riparato. 4.Quando poi sarà
chiamato dall'abate, si getti ai piedi di lui e di tutti i fratelli per chiedere
le loro preghiere. 5.Allora, se l'abate vorrà, potrà essere riammesso in coro al
suo posto o a quello designato dallo stesso abate, 6.senza permettersi, però, di
recitare un salmo, una lezione o altro, a meno che l'abate glielo ordini.
7.Inoltre al termine di tutte le Ore dell'Ufficio divino, si prostri a terra lì
dove si trova 8.e faccia così la sua riparazione, finché l'abate non metterà
fine a questa penitenza. 9.Quelli, invece, che per colpe più leggere sono stati
esclusi solo dalla mensa, facciano penitenza in coro per il tempo stabilito
dall'abate 10.e la ripetano fin tanto che questi li benedica e dica: Basta!
Capitolo XLV - La riparazione per gli errori commessi in coro
1.Se un monaco commette un errore mentre recita un salmo, un
responsorio, un'antifona o una lezione e non si umilia davanti a tutti con una
penitenza, sia sottoposto a una punizione più severa, 2.perché non ha voluto
correggersi umilmente dell'errore commesso per negligenza. 3.Nel caso dei
ragazzi, invece, per una colpa di questo genere si ricorra al castigo corporale.
Capitolo XLVI - La riparazione per le altre mancanze
1.Se, mentre è impegnato in un qualsiasi lavoro in cucina, in
dispensa, nel proprio servizio, nel forno, nell'orto, in qualche attività o si
trova in un altro luogo qualunque, un monaco commette uno sbaglio, 2.rompe o
perde un oggetto o incorre comunque in una mancanza 3.e non si presenta subito
all'abate e alla comunità per riparare spontaneamente e confessare la propria
colpa, 4.sarà sottoposto a una punizione più severa, quando il fatto verrà reso
noto da altri. 5.Ma se il movente segreto del peccato fosse nascosto nell'intimo
della coscienza, lo manifesti solo all'abate o a qualche monaco anziano, 6.che
sappia curare le miserie proprie e altrui senza svelarle e renderle di pubblico
dominio.
Capitolo XLVII - Il segnale per l'Ufficio divino
1.Bisogna che l'abate si assuma personalmente il compito di
dare il segnale per l'Ufficio divino, oppure lo affidi a un monaco diligente in
modo che tutto avvenga regolarmente nelle ore fissate. 2.L'intonazione dei salmi
e delle antifone, secondo l'ordine prestabilito, spetta, dopo l'abate, ai monaci
appositamente designati. 3.E nessuno si permetta di cantare o di leggere
all'infuori di chi è capace di farlo in maniera da edificare i suoi ascoltatori;
4.inoltre questo compito dev'essere svolto con umiltà, gravità e reverenza e
solo dietro incarico dell'abate.
Capitolo XLVIII - Il lavoro quotidiano
1.L'ozio è nemico dell'anima, perciò i monaci devono
dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo
studio della parola di Dio. 2.Quindi pensiamo di regolare gli orari di queste
due attività fondamentali nel modo seguente: 3.da Pasqua fino al 14 settembre,
al mattino verso le 5 quando escono da Prima, lavorino secondo le varie
necessità fino alle 9; 4.dalle 9 fino all'ora di Sesta si dedichino allo studio
della parola di Dio. 5.Dopo l'Ufficio di Sesta e il pranzo, quando si alzano da
tavola, riposino nei rispettivi letti in assoluto silenzio e, se eventualmente
qualcuno volesse leggere per proprio conto, lo faccia in modo da non disturbare
gli altri. 6.Si celebri Nona con un po' di anticipo, verso le 14, e poi tutti
riprendano il lavoro assegnato dall'obbedienza fino all'ora di Vespro. 7.Ma se
le esigenze locali o la povertà richiedono che essi si occupino personalmente
della raccolta dei prodotti agricoli, non se ne lamentino, 8.perché i monaci
sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani come i nostri
padri e gli Apostoli. 9.Tutto però si svolga con discrezione, in considerazione
dei più deboli. 10.Dal 14 settembre, poi, fino al principio della Quaresima, si
applichino allo studio fino alle 9, 11.quando celebreranno l'ora di Terza, dopo
la quale tutti saranno impegnati nei rispettivi lavori fino a Nona, e cioè alle
14. 12.Al primo segnale di Nona, ciascuno interrompa il proprio lavoro per
essere pronto al suono del secondo segnale. 13.Dopo il pranzo si dedichino alla
lettura personale o allo studio dei salmi. 14.Durante la Quaresima leggano
dall'alba fino alle 9 inoltrate e poi lavorino in conformità agli ordini
ricevuti fino verso le 4 pomeridiane. 15.In quei giorni di Quaresima ciascuno
riceva un libro dalla biblioteca e lo legga ordinatamente da cima a fondo. 16.I
suddetti libri devono essere distribuiti all'inizio della Quaresima. 17.E per
prima cosa bisognerà incaricare uno o due monaci anziani di fare il giro del
monastero nelle ore in cui i fratelli sono occupati nello studio, 18.per vedere
se per caso ci sia qualche monaco indolente, che, invece di dedicarsi allo
studio, perda, tempo oziando e chiacchierando e quindi, oltre a essere
improduttivo per sé, distragga anche gli altri. 19.Se si trovasse - non sia mai!
- un fratello che si comporta in questo modo, sia rimproverato una prima e una
seconda volta, 20.ma se non si corregge, gli si infligga una punizione prevista
dalla Regola, in modo da incutere anche negli altri un salutare timore. 21.Non è
neppure permesso che un monaco si trovi con un altro fuori del tempo stabilito.
22.Anche alla domenica si dedichino tutti allo studio della parola di Dio, a
eccezione di quelli destinati ai vari servizi. 23.Ma se ci fosse qualcuno tanto
negligente e fannullone da non volere o poter studiare o leggere, gli si dia
qualche lavoro da fare, perché non rimanga in ozio. 24.Infine ai monaci infermi
o cagionevoli si assegni un lavoro o un'attività che non li lasci nell'inazione
e nello stesso tempo non li sfinisca per l'eccessiva fatica, spingendoli ad
andarsene, 25.poiché l'abate ha il dovere di tener conto della loro debolezza.
Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci
1.Anche se è vero che la vita del monaco deve avere sempre un
carattere quaresimale, 2.visto che questa virtù è soltanto di pochi, insistiamo
particolarmente perché almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran
fervore sulla purezza della propria vita, 3.profittando di quei santi giorni per
cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell'anno. 4.E questo si
realizza degnamente, astenendosi da ogni peccato e dedicandosi con impegno alla
preghiera accompagnata da lacrime di pentimento, allo studio della parola di
Dio, alla compunzione del cuore e al digiuno. 5.Perciò durante la Quaresima
aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per es.,
preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, 6.in modo che ognuno
di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio "con la gioia dello Spirito
Santo" qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione monastica;
7.si privi cioè di un po' di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria
inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con
l'animo fremente di gioioso desiderio. 8.Ma anche ciò che ciascuno vuole offrire
personalmente a Dio dev'essere prima sottoposto umilmente all'abate e poi
compiuto con la sua benedizione e approvazione, 9.perché tutto quello che si fa
senza il permesso dell'abate sarà considerato come presunzione e vanità, anziché
come merito. 10.Perciò si deve far tutto con l'autorizzazione dell'abate.
Capitolo L - I monaci che lavorano lontano o sono in viaggio
1.I fratelli, che lavorano molto lontano e non possono essere
presenti in coro nell'ora fissata per l'Ufficio divino, 2.se l'impossibilità in
cui si trovano è stata effettivamente accettata dall'abate, 3.recitino pure
l'Ufficio divino sul posto di lavoro, mettendosi in ginocchio per la reverenza
dovuta a Dio. 4.Così pure quelli, che sono mandati in viaggio, non lascino
passare le ore stabilite per l'Ufficio, ma lo recitino come meglio possono e non
trascurino l'adempimento del dovere inerente al loro sacro servizio.
Capitolo LI - I monaci che si recano nelle vicinanze
1.Il monaco, che viene mandato fuori per qualche commissione
e conta di tornare in monastero nella stessa giornata, non si permetta di
mangiare fuori, anche se viene pregato con insistenza da qualsiasi persona, 2.a
meno che l'abate non gliene abbia dato il permesso. 3.Se contravverrà a questa
prescrizione, sarà scomunicato.
Capitolo LII - La chiesa del monastero
1.La chiesa sia quello che dice il suo nome, quindi in essa
non si faccia né si riponga altro. 2.Alla fine dell'Ufficio divino escano tutti
in perfetto silenzio e con grande rispetto per Dio, 3.in modo che, se un monaco
volesse rimanere a pregare. privatamente, non sia impedito dall'indiscrezione
altrui. 4.Se, però, anche in un altro momento qualcuno desidera pregare per
proprio conto, entri senz'altro e preghi, non a voce alta, ma con lacrime e
intimo ardore. 5.Perciò, come abbiamo detto, chi non intende dedicarsi
all'orazione si guardi bene dal trattenersi in chiesa dopo la celebrazione del
divino Ufficio, per evitare che altri siano disturbati dalla sua presenza.
Capitolo LIII - L'accoglienza degli ospiti
1.Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti
come Cristo, poiché un giorno egli dirà: "Sono stato ospite e mi avete accolto"
2.e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri
confratelli e ai pellegrini. 3.Quindi, appena viene annunciato l'arrivo di un
ospite, il superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i
modi il loro amore; 4.per prima cosa preghino insieme e poi entrino in comunione
con lui, scambiandosi la pace. 5.Questo bacio di pace non dev'essere offerto
prima della preghiera per evitare le illusioni diaboliche. 6.Nel saluto medesimo
si dimostri già una profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in partenza,
7.adorando in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso
Cristo, che così viene accolto nella comunità. 8.Dopo questo primo ricevimento,
gli ospiti siano condotti a pregare e poi il superiore o un monaco da lui
designato si siedano insieme con loro. 9.Si legga all'ospite un passo della
sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni
che può ispirare un fraterno e rispettoso senso di umanità. 10.Se non è uno dei
giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo
digiuno per far compagnia all'ospite, 11.mentre i fratelli continuino a
digiunare come al solito. 12.L'abate versi personalmente l'acqua sulle mani
degli ospiti per la consueta lavanda; 13.lui stesso, poi, e tutta la comunità
lavino i piedi a ciascuno degli ospiti 14.e al termine di questo fraterno
servizio dicano il versetto: "Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel
mezzo del tuo Tempio". 15.Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con
tutto il riguardo e la premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve
Cristo in modo tutto particolare e, d'altra parte, l'imponenza dei ricchi incute
rispetto già di per sé. 16.La cucina dell'abate e degli ospiti sia a parte, per
evitare che i monaci siano disturbati dall'arrivo improvviso degli ospiti, che
non mancano mai in monastero. 17.Il servizio di questa cucina sia affidato
annualmente a due fratelli, che sappiano svolgerlo come si deve. 18.A costoro si
diano anche degli aiuti, se ce n'è bisogno, perché servano senza mormorare, ma,
a loro volta, quando hanno meno da fare, vadano a lavorare dove li manda
l'obbedienza. 19.E non solo in questo caso, ma nei confronti di tutti i fratelli
impegnati in qualche particolare servizio del monastero, si segua un tale
principio 20.e cioè che, se occorre, si concedano loro degli aiuti, mentre, una
volta terminato il proprio lavoro, essi devono tenersi disponibili per qualsiasi
ordine. 21.Così pure la foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia
affidata a un monaco pieno di timor di Dio: 22.in essa ci siano dei letti
forniti di tutto il necessario e la casa di Dio sia governata con saggezza da
persone sagge. 23.Nessuno, poi, a meno che ne abbia ricevuto l'incarico, prenda
contatto o si intrattenga con gli ospiti, 24.ma se qualcuno li incontra o li
vede, dopo averli salutati umilmente come abbiamo detto e aver chiesta la
benedizione, passi oltre, dichiarando di non avere il permesso di parlare con
gli ospiti.
Capitolo LIV - La distribuzione delle lettere e dei regali
destinati ai singoli monaci
1.Senza il consenso dell'abate nessun monaco può ricevere dai
suoi parenti o da qualunque altra persona lettere, oggetti di devozione o altri
piccoli regali e neanche farne a sua volta o scambiarli con i confratelli. 2.E
anche se i parenti gli mandassero qualche dono, non si permetta di accettarlo,
senza averne prima informato l'abate. 3.Ma questi, anche nel caso che dia il suo
consenso per ricevere il dono, può sempre assegnarlo a chi vuole 4.e il monaco a
cui era destinato non deve farsi di questo un motivo di afflizione, per non dare
occasione al diavolo. 5.Se poi qualcuno si provasse a comportarsi diversamente,
sia sottoposto ai castighi dalla Regola.
Capitolo LV - Gli abiti e le calzature dei monaci
1.Bisogna dare ai monaci degli abiti adatti alle condizioni e
al clima della località in cui abitano, 2.perché nelle zone fredde si ha
maggiore necessità di coprirsi e in quelle calde di meno: 3.il giudizio al
riguardo è di competenza dell'abate. 4.Comunque riteniamo che nei climi
temperati bastino per ciascun monaco una tonaca e una cocolla, 5.quest'ultima di
lana pesante per l'inverno e leggera o lisa per l'estate; 6.inoltre lo scapolare
per il lavoro e come calzature, scarpe e calze. 7.Quanto al colore e alla
qualità di tutti questi indumenti, i monaci non devono attribuirvi eccessiva
importanza, accontentandosi di quello che si può trovare sul posto ed è più a
buon mercato. 8.L'abate però stia attento alla misura degli abiti, in modo che
non siano troppo corti, ma della taglia di chi li indossa. 9.I monaci che
ricevono gli indumenti nuovi, restituiscano i vecchi, che devono essere riposti
nel guardaroba per poi distribuirli ai poveri. 10.Infatti a ogni monaco bastano
due cocolle e due tonache per potersi cambiare la notte e per lavarle; 11.il di
più è superfluo e dev'essere eliminato. 12.Anche le calze e qualsiasi altro
oggetto usato dev'essere restituito, quando ne viene assegnato uno nuovo. 13.I
monaci, che sono mandati in viaggio, ricevano dal guardaroba gli indumenti
occorrenti, che restituiranno poi lavati al ritorno. 14.Anche le cocolle e le
tonache per il viaggio siano un po' migliori di quelle portate usualmente; gli
interessati le prendano in consegna dal guardaroba, quando partono, e le
restituiscano al ritorno. 15.Per la fornitura dei letti poi bastino un
pagliericcio, una coperta di grossa tela, un coltrone e un cuscino di paglia o
di crine. 16.I letti, però, devono essere frequentemente ispezionati dall'abate,
per vedere se non ci sia nascosta qualche piccola proprietà personale. 17.E se
si scoprisse qualcuno in possesso di un oggetto che non ha ricevuto dall'abate,
sia sottoposto a una gravissima punizione. 18.Ma, per strappare fin dalle radici
questo vizio della proprietà, l'abate distribuisca tutto il necessario 19.e
cioè: cocolla, tonaca, calze, scarpe, cintura, coltello, ago, fazzoletti e il
necessario per scrivere, in modo da togliere ogni pretesto di bisogno. 20.In
questo, però, deve sempre tener presente quanto è detto negli Atti degli
Apostoli e cioè che "Si dava a ciascuno secondo le sue necessità". 21.Quindi
prenda in considerazione le particolari esigenze dei più deboli, anziché la
malevolenza degli invidiosi. 22.Comunque, in tutte le sue decisioni si ricordi
del giudizio di Dio.
Capitolo LVI - La mensa dell'abate
1.L'abate mangi sempre in compagnia degli ospiti e dei
pellegrini. 2.Ma quando gli ospiti sono pochi, può chiamare alla sua mensa i
monaci che vuole. 3.Sarà bene tuttavia lasciare uno o due monaci anziani con la
comunità per il mantenimento della disciplina.
Capitolo LVII - I monaci che praticano un'arte o un mestiere
1.Se in monastero ci sono dei fratelli esperti in un'arte o
in un mestiere, li esercitino con la massima umiltà, purché l'abate lo permetta.
2.Ma se qualcuno di loro monta in superbia, perché gli sembra di portare qualche
utile al monastero, 3.sia tolto dal suo lavoro e non gli sia più concesso di
occuparsene, a meno che rientri in se stesso, umiliandosi, e l'abate non glielo
permetta di nuovo. 4.Se poi si deve vendere qualche prodotto del lavoro di
questi monaci, coloro, che sono stati incaricati di trattare l'affare, si
guardino bene da qualsiasi disonestà. 5.Si ricordino sempre di Anania e Safira,
per non correre il rischio che la morte, subita da quelli nel corpo, 6.colpisca
le anime loro e di tutte le persone, che hanno comunque defraudato le sostanze
del monastero. 7.Però nei prezzi dei suddetti prodotti non deve mai insinuarsi
l'avarizia, 8.ma bisogna sempre venderli un po' più a buon mercato dei secolari
9."affinché in ogni cosa sia glorificato Dio".
Capitolo LVIII - Norme per l'accettazione dei fratelli
1.Quando si presenta un aspirante alla vita monastica, non
bisogna accettarlo con troppa facilità, 2.ma, come dice l'Apostolo: "Provate gli
spiriti per vedere se vengono da Dio". 3.Quindi, se insiste per entrare e per
tre o quattro giorni dimostra di saper sopportare con pazienza i rifiuti poco
lusinghieri e tutte le altre difficoltà opposte al suo ingresso, perseverando
nella sua richiesta, 4.sia pure accolto e ospitato per qualche giorno nella
foresteria. 5.Ma poi si trasferisca nel locale destinato ai novizi, perché vi
ricevano la loro formazione, vi mangino e vi dormano. 6.Ad essi venga inoltre
preposto un monaco anziano, capace di conquistare le anime, con l'incarico di
osservarli molto attentamente. 7.In primo luogo bisogna accertarsi se il novizio
cerca veramente Dio, se ama l'Ufficio divino, l'obbedienza e persino le
inevitabili contrarietà della vita comune. 8.Gli si prospetti tutta la durezza e
l'asperità del cammino che conduce a Dio. 9.Se darà sicure prove di voler
perseverare nella sua stabilità, dopo due mesi gli si legga per intero questa
Regola 10.e gli si dica: "Ecco la legge sotto la quale vuoi militare; se ti
senti di poterla osservare, entra; altrimenti, va' pure via liberamente". 11.Se
persisterà ancora nel suo proposito, sia ricondotto nel suddetto locale dei
novizi e si metta la sua pazienza alla prova in tutti i modi possibili.
12.Passati sei mesi, gli si legga di nuovo la Regola, perché prenda coscienza
dell'impegno che sta per assumersi. 13.E se continua a perseverare, dopo altri
quattro mesi, gli si legga ancora una volta la stessa Regola. 14.Se allora, dopo
aver seriamente riflettuto, prometterà di essere fedele in tutto e di obbedire a
ogni comando, sia pure accolto nella comunità, 15.ma sappia che anche l'autorità
della Regola gli vieta da quel giorno di uscire dal monastero 16.e di sottrarsi
al giogo della disciplina monastica che, in una così prolungata deliberazione,
ha avuto la possibilità di accettare o rifiutare liberamente. 17.Al momento
dell'ammissione faccia in coro, davanti a tutta la comunità, solenne promessa di
stabilità, conversione continua e obbedienza, 18.al cospetto di Dio e di tutti i
suoi santi, in modo da essere pienamente consapevole che, se un giorno dovesse
comportarsi diversamente, sarà condannato da Colui del quale si fa giuoco. 19.Di
tale promessa stenda un documento sotto forma di domanda, rivolta ai Santi, le
cui reliquie sono conservate nella chiesa, e all'abate presente. 20.Scriva di
suo pugno il suddetto documento o, se non è capace, lo faccia scrivere da un
altro, dietro sua esplicita richiesta, e lo firmi con un segno, deponendolo poi
sull'altare con le proprie mani. 21.Una volta depositato il documento
sull'altare, il novizio intoni subito il versetto: "Accoglimi, Signore, secondo
la tua promessa e vivrò; e non deludermi nella mia speranza". 22.Tutta la
comunità ripeta per tre volte lo stesso versetto, aggiungendovi alla fine il
Gloria. 23.Poi il novizio si prostri ai piedi di ciascuno dei fratelli per
chiedergli di pregare per lui e da quel giorno sia considerato come un membro
della comunità. 24.Se possiede dei beni materiali, li distribuisca in precedenza
ai poveri o li doni al monastero con un atto ufficiale senza riservare per sé la
minima proprietà, 25.ben sapendo che da quel giorno in poi non sarà più padrone
neanche del proprio corpo. 26.Quindi, subito dopo, sia spogliato in coro delle
vesti che indossa e rivestito dell'abito monastico. 27.Ma gli indumenti di cui
si è spogliato devono essere conservati nel guardaroba, 28.in modo che, se in
seguito dovesse - Dio non voglia!- cedere alla suggestione diabolica e lasciare
il monastero, sia mandato via senza l'abito monastico. 29.Non gli si restituisca
invece la domanda che l'abate ha ritirato dall'altare, ma sia conservata in
monastero.
Capitolo LIX - I piccoli oblati
1.Se qualche persona facoltosa volesse offrire il proprio
figlio a Dio nel monastero e il ragazzo è ancora piccino, i genitori stendano la
domanda di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente 2.e l'avvolgano nella
tovaglia dell'altare insieme con l'oblazione della Messa e la mano del bimbo,
offrendolo in questo modo. 3.Per quanto riguarda poi i loro beni, o nella
domanda suddetta promettano di non dargli mai nulla, né direttamente né per
interposta persona, né in qualsiasi altro modo, e neanche di dargli mai
l'occasione di procurarsi qualche sostanza, 4.oppure, se non intendono regolarsi
secondo questa prassi e desiderano offrire qualche cosa al monastero per la
salute dell'anima loro, 5.facciano donazione dei beni che vogliono regalare al
monastero, riservandosene, se credono, l'usufrutto. 6.Così si precludano tutte
le vie, in modo da non lasciare al ragazzo alcun miraggio da cui possa esser
tratto in inganno e - Dio non voglia! - in perdizione, come ci ha insegnato
l'esperienza. 7.La stessa procedura seguano anche i meno abbienti. 8.Quanto a
coloro che non possiedono proprio nulla, facciano semplicemente la domanda e
offrano il loro figlioletto con l'oblazione della Messa, alla presenza di
testimoni.
Capitolo LX - I sacerdoti aspiranti alla vita monastica
1.Se qualche sacerdote chiede di essere ammesso nel
monastero, non bisogna affrettarsi troppo ad accogliere la sua richiesta. 2.Ma
se continua a insistere in questa preghiera, sappia che dovrà osservare tutta la
disciplina della Regola, 3.senza la minima attenuazione, in modo che gli si
possa dire con la Scrittura: "Amico, che sei venuto a fare?". 4.Gli si conceda
tuttavia di prender posto dopo l'abate, di dare la benedizione e di recitare le
preci finali, purché l'abate disponga così; 5.altrimenti non pretenda
assolutamente nulla, anzi sia per tutti un esempio di umiltà, ben sapendo di
essere soggetto alla disciplina della Regola. 6.E se per caso nella comunità si
dovesse trattare dell'assegnazione delle cariche o di qualche altro affare,
7.occupi il posto che gli spetta corrispondentemente al suo ingresso in
monastero e non quello che gli è stato concesso in considerazione della sua
dignità sacerdotale. 8.Se poi qualche chierico, spinto dallo stesso desiderio,
volesse essere aggregato alla comunità, sia assegnato a un posto di un certo
riguardo, 9.ma sempre a condizione che prometta anche lui l'osservanza della
Regola e la propria stabilità.
Capitolo LXI - L'accoglienza dei monaci forestieri
1.Se un monaco forestiero, giunto di lontano, vuole abitare
nel monastero in qualità di ospite 2.e si dimostra soddisfatto delle
consuetudini locali, 3.accontentandosi con semplicità di quello che trova, senza
disturbare la comunità con le sue pretese, sia accolto per tutto il tempo che
desidera. 4.Nel caso poi che egli rilevi qualche inconveniente o dia qualche
suggerimento, l'abate si chieda se il Signore non lo abbia mandato proprio per
questo. 5.E se in seguito vorrà fissare la sua stabilità nel monastero, non si
opponga un rifiuto a questa sua richiesta, tanto più che durante la sua
permanenza si è avuto modo di studiarne il comportamento. 6.Se però, quando era
ospite si è dimostrato pieno di pretese e di difetti, non solo non dev'essere
aggregato alla comunità, 7.ma bisogna dirgli garbatamente di andarsene per
evitare che le sue miserie contagino anche gli altri. 8.Invece, se non merita di
essere allontanato, non sia accolto e incorporato nella comunità solo nel caso
che ne faccia domanda, 9.ma sia addirittura invitato a rimanere, perché gli
altri possano trarre profitto dal suo esempio 10.e perché dappertutto si serve
il medesimo Signore e si milita sotto lo stesso Re. 11.Anzi, se l'abate lo
ritiene degno, può anche assegnargli un posto un po' elevato. 12.E non solamente
un monaco, ma anche coloro che appartengono all'ordine sacerdotale o al
chiericato, l'abate può destinare a un posto superiore a quello corrispondente
al loro ingresso in monastero, se ha notato che la condotta lo merita. 13.Si
guardi però sempre dall'ammettere stabilmente nella sua comunità un monaco
proveniente da un monastero conosciuto, senza il consenso e le lettere
commendatizie del suo abate, 14.perché sta scritto: "Non fare agli altri quello
che non vuoi che sia fatto a te".
Capitolo LXII - I sacerdoti del monastero
1.Se un abate desidera che uno dei suoi monaci sia ordinato
sacerdote o diacono per il servizio della comunità scelga in essa un fratello
degno di esercitare tali funzioni. 2.Ma il monaco ordinato si guardi dalla
vanità e dalla superbia 3.e non creda di poter fare altro che quello che gli
ordina l'abate, tenendo sempre presente che d'ora in poi dovrà essere
maggiormente sottomesso alla disciplina. 4.Né col pretesto del sacerdozio
trascuri l'obbedienza alla Regola o la disciplina, ma anzi progredisca sempre
più nelle vie di Dio. 5.Conservi sempre il posto che gli spetta in
corrispondenza del suo ingresso in monastero, 6.tranne che per il ministero
dell'altare, oppure nel caso che la scelta della comunità o la volontà
dell'abate l'abbiano promosso in considerazione della sua vita esemplare.
7.Sappia però che deve osservare la disciplina prestabilita per i decani e i
superiori. 8.Se avrà la presunzione di agire diversamente, non sia più trattato
come un sacerdote, ma come un ribelle. 9.E nell'eventualità che, dopo essere
stato ammonito non si correggesse, si chiami a testimonio anche il vescovo.
10.Ma se neanche allora si emendasse e le sue colpe diventassero sempre più
evidenti, sia espulso dal monastero, 11.purché però sia stato così ostinato da
non volersi sottomettere e obbedire alla Regola.
Capitolo LXIII - L'ordine della comunità
1.Nella comunità ognuno conservi il posto che gli spetta
secondo la data del suo ingresso o l'esemplarità della sua condotta o la volontà
dell'abate. 2.Bisogna però che quest'ultimo non metta lo scompiglio nel gregge
che gli è stato affidato, prendendo delle disposizioni ingiuste come se
esercitasse un potere assoluto, 3.ma pensi sempre che dovrà rendere conto a Dio
di tutte le sue decisioni e azioni. 4.Dunque i monaci si succedano nel bacio di
pace e nella comunione, nell'intonare i salmi e nei posti in coro, secondo
l'ordine stabilito dall'abate o a essi spettante. 5.E in nessuna occasione l'età
costituisca un criterio distintivo o pregiudizievole per stabilire i posti,
6.perché Samuele e Daniele, quando erano ancora fanciulli, giudicarono gli
anziani. 7.Quindi, a eccezione di quelli che, come abbiamo già detto, l'abate
avrà promosso per ragioni superiori o degradato per motivi fondati, tutti gli
altri occupino sempre i posti determinati dalla data del rispettivo ingresso,
8.in modo che il monaco, arrivato - per esempio - in monastero alle 9, sappia di
essere più giovane di quello arrivato alle 8, quale che sia la sua età e
dignità. 9.Per quanto riguarda i ragazzi, invece, si osservi in tutto e per
tutto la relativa disciplina. 10.I più giovani, dunque, trattino con riguardo i
più anziani, che a loro volta li ricambino con amore. 11.Anche quando si
chiamano tra loro, nessuno si permetta di rivolgersi all'altro con il solo nome,
12.ma gli anziani diano ai giovani l'appellativo di "fratello" e i giovani usino
per gli anziani quello di "reverendo padre", come espressione del loro rispetto
filiale. 13.L'abate poi sia chiamato "signore" e "abate", non perché si sia
arrogato da sé un tale titolo, ma in onore e per amore di Cristo del quale
sappiamo per fede che egli fa le veci. 14.Da parte sua, però, rifletta
sull'onore che gli viene tributato e se ne dimostri degno. 15.Dovunque i
fratelli si incontrano, il più giovane chieda la benedizione al più anziano;
16.quando passa un monaco anziano, il più giovane si alzi e gli ceda il posto,
guardandosi bene dal rimettersi a sedere prima che l'anziano glielo permetta,
17.in modo che si realizzi quanto è scritto: "Prevenitevi a vicenda nel rendervi
onore". 18.I ragazzi più piccoli e i giovanetti occupino in coro e in refettorio
i posti loro spettanti secondo la Regola: 19.ma fuori di lì siano sorvegliati e
tenuti dappertutto sotto la disciplina, finché non avranno raggiunto un età più
matura.
Capitolo LXIV - L'elezione dell'abate
1.Nell'elezione dell'abate bisogna seguire il principio di
scegliere il monaco che tutta la comunità ha designato concordemente nel timore
di Dio, oppure quello prescelto con un criterio più saggio da una parte sia pur
piccola di essa. 2.Il futuro abate dev'essere scelto in base alla vita esemplare
e alla scienza soprannaturale, anche se fosse l'ultimo della comunità. 3.Se
invece, - non sia mai! - la comunità eleggesse, sia pure di comune accordo, una
persona consenziente ai suoi abusi, 4.e il vescovo della diocesi o gli abati o i
fedeli delle vicinanze ne venissero comunque a conoscenza 5.devono impedire in
tutti i modi che il complotto di quegli sciagurati abbia il sopravvento e
nominare un degno ministro della casa di Dio, 6.ben sapendo che ne riceveranno
una grande ricompensa, mentre invece sarebbero colpevoli, se non se ne
curassero. 7.Il nuovo eletto, poi, pensi sempre al carico che si è addossato e a
chi dovrà rendere conto del suo governo 8.e sia consapevole che il suo dovere è
di aiutare, piuttosto che di comandare. 9.Bisogna quindi che sia esperto nella
legge di Dio per possedere la conoscenza e la materia da cui trarre "cose nuove
e antiche", intemerato, sobrio, comprensivo 10.e faccia "trionfare la
misericordia sulla giustizia", in modo da meritare un giorno lo stesso
trattamento per sé. 11.Detesti i vizi, ma ami i suoi monaci. 12.Nelle stesse
correzioni agisca con prudenza per evitare che, volendo raschiare troppo la
ruggine, si rompa il vaso: 13.diffidi sempre della propria fragilità e si
ricordi che "non bisogna spezzare la canna già incrinata". 14.Con questo non
intendiamo che l'abate debba permettere ai difetti di allignare, ma che li
sradichi - come abbiamo già detto - con prudenza e carità, nel modo che gli
sembrerà più conveniente per ciascuno, 15.e cerchi di essere più amato che
temuto. 16.Non sia turbolento e ansioso, né esagerato e ostinato, né invidioso e
sospettoso, perché così non avrebbe mai pace; 17.negli stessi ordini sia
previdente e riflessivo e, tanto se il suo comando riguarda il campo spirituale,
quanto se si riferisce a un interesse temporale, proceda con discernimento e
moderazione, 18.tenendo presente la discrezione del santo patriarca Giacobbe,
che diceva: "Se affaticherò troppo i miei greggi, moriranno tutti in un giorno".
19.Seguendo questo e altri esempi di quella discrezione che è la madre di tutte
le virtù, disponga ogni cosa in modo da stimolare le generose aspirazioni dei
forti, senza scoraggiare i deboli. 20.E soprattutto osservi e faccia osservare
integramente la presente Regola 21.per potersi sentir dire dal Signore, al
termine della sua onesta gestione, le parole udite dal servo fedele, che a tempo
debito distribuì il frumento ai suoi compagni: 22."In verità vi dico: - dichiara
Gesù - gli diede potere su tutti i suoi beni".
Capitolo LXV - Il priore del monastero
1.Accade spesso che la nomina del priore dia origine a gravi
scandali, 2.perché alcuni, gonfiati da un maligno spirito di superbia e convinti
di essere altrettanti abati, si attribuiscono indebitamente un potere assoluto,
fomentando litigi, creando divisioni nelle comunità, 3.specialmente in quei
monasteri nei quali il priore viene nominato dallo stesso vescovo o dagli stessi
abati a cui spetta l'elezione dell'abate. 4.E' facile rendersi conto
dell'assurdità di una simile procedura, con cui si dà motivo al priore di
insuperbirsi fin dal primo momento della sua nomina, 5.perché la considerazione
di questo stato di cose può insinuare in lui l'idea di non essere più soggetto
all'autorità dell'abate. 6."Tu pure - dirà a se stesso - sei stato nominato da
quelli che hanno eletto l'abate". 7.Di qui nascono invidie, liti, maldicenze,
rivalità, divisioni e disordini di ogni genere, 8.per cui, mentre l'abate e il
priore sono in disaccordo, le loro anime vengono necessariamente a trovarsi in
pericolo a motivo di questo contrasto 9.e i loro sudditi, parteggiando per l'uno
o per l'altro, vanno in perdizione. 10.La responsabilità di questa perniciosa
situazione ricade principalmente sugli autori di tanto disordine. 11.Quindi, per
la tutela della pace e della carità ci è sembrato necessario far dipendere
l'ordinamento del monastero unicamente dalla volontà del suo abate. 12.E, se è
possibile, tutte le attività del monastero siano regolate - come abbiamo già
stabilito in precedenza - per mezzo di decani, secondo quanto disporrà l'abate,
13.in modo che, ripartendo l'autorità fra varie persone, non si dia motivo a uno
solo di insuperbirsi. 14.Ma se le condizioni locali lo esigono o la comunità lo
chiede umilmente e con ragioni fondate e l'abate lo giudica opportuno, 15.nomini
egli stesso priore quel monaco che avrà scelto con il consiglio di fratelli
timorati di Dio. 16.Il priore, da parte sua, esegua con reverenza gli ordini del
suo abate e non faccia nulla contro la volontà o le disposizioni di lui,
17.perché quanto più è stato elevato al di sopra degli altri, tanto maggior
impegno deve dimostrare nell'osservanza delle prescrizioni della Regola. 18.Se
poi questo priore si rivelerà pieno di difetti o, lusingato dalla vanità,
monterà in superbia o darà prova manifesta di disprezzare la santa Regola, sia
ammonito a voce per quattro volte, 19.ma, nel caso che non si corregga, si
prenda nei suoi confronti il provvedimento disciplinare previsto dalla Regola.
20.Se neppure così si ravvederà, sia deposto dalla carica di priore e sostituito
da un altro che ne sia degno. 21.E se in seguito non intenderà starsene quieto e
sottomesso in comunità, sia addirittura espulso dal monastero. 22.Ma l'abate, da
parte sua, si ricordi sempre che un giorno dovrà rendere conto a Dio di tutte le
sue decisioni, per evitare che la fiamma dell'invidia e della gelosia gli divori
l'anima.
Capitolo LXVI - I portinai del monastero
1.Alla porta del monastero sia destinato un monaco anziano e
assennato, che sappia ricevere e riportare le commissioni e sia abbastanza
maturo da non disperdersi, andando in giro a destra e a sinistra. 2.Questo
portinaio deve avere la sua residenza presso la porta, in modo che le persone
che arrivano trovino sempre un monaco pronto a rispondere. 3.Quindi, appena
qualcuno bussa o un povero chiede la carità, risponda: "Deo gratias!" Oppure: "Benedicite!"
4.e con tutta la delicatezza che ispira il timor di Dio venga incontro alle
richieste del nuovo arrivato, dimostrando una grande premura e un'ardente
carità. 5.Lo stesso portinaio, se ha bisogno di aiuto, sia coadiuvato da un
fratello più giovane. 6.Il monastero, poi, dev'essere possibilmente organizzato
in modo che al suo interno si trovi tutto l'occorrente, ossia l'acqua, il
mulino, l'orto e i vari laboratori, 7.per togliere ai monaci ogni necessità di
girellare fuori, il che non giova affatto alle loro anime. 8.Infine vogliamo che
questa Regola sia letta spesso in comunità, perché nessuno possa giustificarsi
con il pretesto dell'ignoranza.
Capitolo LXVII - I monaci mandati in viaggio
1.I monaci, che sono mandati in viaggio, si raccomandino alle
preghiere di tutti i confratelli e dell'abate; 2.e nell'orazione conclusiva
dell'Ufficio divino si ricordino sempre tutti gli assenti. 3.Quelli, poi, che
rientrano, nel giorno stesso del loro ritorno si prostrino in coro al termine di
tutte le Ore canoniche, 4.implorando dalla comunità una preghiera per riparare
le mancanze eventualmente commesse durante il viaggio, guardando o ascoltando
qualcosa di male o perdendosi in chiacchiere. 5.E nessuno si permetta di
riferire ad altri quello che ha visto o udito fuori del monastero, perché questo
sarebbe veramente rovinoso. 6.Se poi qualcuno si provasse a farlo, sia
sottoposto al castigo previsto dalla Regola. 7.Allo stesso modo sia punito chi
osasse oltrepassare i confini del monastero o andare in qualunque luogo o fare
qualsiasi cosa, sia pur minima, senza il consenso dell'abate.
Capitolo LVIII - Le obbedienze impossibili
1.Anche se a un monaco viene imposta un'obbedienza molto
gravosa, o addirittura impossibile a eseguirsi, il comando del superiore dev'essere
accolto da lui con assoluta sottomissione e soprannaturale obbedienza. 2.Ma se
proprio si accorgesse che si tratta di un carico, il cui peso è decisamente
superiore alle sue forze, esponga al superiore i motivi della sua impossibilità
con molta calma e senso di opportunità, 3.senza assumere un atteggiamento
arrogante, riluttante o contestatore. 4.Se poi, dopo questa schietta e umile
dichiarazione, l'abate restasse fermo nella sua convinzione, insistendo nel
comando, il monaco sia pur certo che per lui è bene così 5.e obbedisca per amore
di Dio, confidando nel Suo aiuto.
Capitolo LXIX - Divieto di arrogarsi le difese dei
confratelli
1.Bisogna evitare in tutti i modi che per qualsiasi motivo un
monaco si provi a difendere un altro o ad assumerne in certo modo la protezione,
2.anche se ci fosse tra loro un qualsiasi vincolo di parentela. 3.I monaci si
guardino assolutamente da un simile abuso, che può costituire una
pericolosissima occasione di disordini o di scandali. 4.Se qualcuno trasgredisse
queste norme, sia punito con la massima severità.
Capitolo LXX - Divieto di arrogarsi la riprensione dei
confratelli
1.Nel monastero si deve sopprimere decisamente ogni occasione
di arbitri e di soprusi; 2.perciò dichiariamo che non è permesso ad alcuno di
infliggere la scomunica o un castigo corporale a un confratello, senza
l'autorizzazione dell'abate. 3.I colpevoli di tale trasgressione siano
rimproverati alla presenza dell'intera comunità, affinché anche gli altri ne
abbiano timore. 4.I ragazzi, però, rimangano fino a quindici anni sotto la
disciplina e l'oculata vigilanza di tutti, 5.ma sempre con grande moderazione e
buon senso. 6.Chi poi si arrogasse una qualsiasi autorità sugli adulti, senza il
comando dell'abate, o si inquietasse irragionevolmente con i ragazzi, sia
sottoposto alla punizione prevista dalla Regola, 7.perché sta scritto: "Non fare
agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te".
Capitolo LXXI - L'obbedienza fraterna
1.La virtù dell'obbedienza non dev'essere solo esercitata da
tutti nei confronti dell'abate, ma bisogna anche che i fratelli si obbediscano
tra loro, 2.nella piena consapevolezza che è proprio per questa via
dell'obbedienza che andranno a Dio. 3.Dunque, dopo aver dato l'assoluta
precedenza al comando dell'abate o dei superiori da lui designati, a cui non
permettiamo che si preferiscano ordini privati, 4.per il resto i più giovani
obbediscano ai confratelli più anziani con la massima carità e premura. 5.Se
qualcuno dà prova di un carattere litigioso sia debitamente corretto. 6.Se poi
un monaco viene comunque rimproverato dall'abate o da qualsiasi anziano per un
qualunque motivo 7.o si accorge semplicemente che un anziano è sdegnato o anche
leggermente alterato nei suoi riguardi, 8.si inginocchi subito dinanzi a lui,
senza la minima esitazione, e rimanga così per riparare, finché la benedizione
dell'altro non sani quel lieve dissenso. 9.Se qualcuno si rifiutasse
altezzosamente di farlo, sia sottoposto a un castigo corporale e, se si ostina
in questo atteggiamento di ribellione, sia scacciato dal monastero.
Capitolo LXXII - Il buon zelo dei monaci
1.Come c'è un cattivo zelo, pieno di amarezza, che separa da
Dio e porta all'inferno, 2.così ce n'è uno buono, che allontana dal peccato e
conduce a Dio e alla vita eterna. 3.Ed è proprio in quest'ultimo che i monaci
devono esercitarsi con la più ardente carità 4.e cioè: si prevengano l'un
l'altro nel rendersi onore; 5.sopportino con grandissima pazienza le rispettive
miserie fisiche e morali; 6.gareggino nell'obbedirsi scambievolmente; 7.nessuno
cerchi il proprio vantaggio, ma piuttosto ciò che giudica utile per gli altri;
8.si portino a vicenda un amore fraterno e scevro da ogni egoismo; 9.temano
filialmente Dio; 10.amino il loro abate con sincera e umile carità; 11.non
antepongano assolutamente nulla a Cristo, 12.che ci conduca tutti insieme alla
vita eterna.
Capitolo LXXIII - La modesta portata di questa regola
1.Abbiamo abbozzato questa Regola con l'intenzione che,
mediante la sua osservanza nei nostri monasteri, riusciamo almeno a dar prova di
possedere una certa rettitudine di costumi e di essere ai primordi della vita
monastica. 2.Del resto, chi aspira alla pienezza di quella vita dispone degli
insegnamenti dei santi Padri, il cui adempimento conduce all'apice della
perfezione. 3.C'è infatti una pagina, anzi una parola, dell'antico o del nuovo
Testamento, che non costituisca una norma esattissima per la vita umana?. 4.O
esiste un'opera dei padri della Chiesa che non mostri chiaramente la via più
rapida e diretta per raggiungere l'unione con il nostro Creatore? 5.E le
Conferenze, le Istituzioni e le Vite dei Padri, come anche la Regola del nostro
santo padre Basilio, 6.che altro sono per i monaci fervorosi e obbedienti se non
mezzi per praticare la virtù? 7.Ma per noi, svogliati, inosservanti e
negligenti, ciò è motivo di vergogna e di confusione. 8.Chiunque tu sia, dunque,
che con sollecitudine e ardore ti dirigi verso la patria celeste, metti in
pratica con l'aiuto di Cristo questa modestissima Regola, abbozzata come una
semplice introduzione, 9.e con la grazia di Dio giungerai finalmente a quelle
più alte cime di scienza e di virtù, di cui abbiamo parlato sopra. Amen.
Fine della Regola
Fonte del testo : http://www.clerus.org
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