venerdì 13 dicembre 2019

PAOLO VI , Angelus Domini, Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria SS.ma Martedì, 8 dicembre 1970

    
 
 PAOLO VI          
da Angelus Domini

Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria SS.ma Martedì,
8 dicembre 1970



    Questa festività dell’Immacolata ci deve essere molto cara, per le grandi verità religiose ed umane, che essa ci obbliga a ricordare: sulla sorte della natura umana, degradata dal peccato originale, sulla necessità della redenzione operata da Cristo, e sul prodigio unico e splendido che è toccato a Maria, quello di essere preservata, sempre per merito di Cristo, dalla contaminazione della macchia ereditaria, propria della generazione umana, e d’essere perciò immacolata, perfettissima, purissima, ottima come nessun altro, pura e candida, come una vera creatura innocente in cui si rispecchia con limpidezza di cristallo il pensiero ideatore e creatore di Dio.
    Chi è innamorato della bellezza umana e la va cercando nelle sue espressioni genuine o sofisticate, sempre deluso di trovarla pari all’idea, che essa dovrebbe realizzare, deve sostare nell’ammirazione e nel gaudio di poter salutare in Maria la bellissima, la veramente bella, la «tota pulchra», non foss’altro per la formula di bellezza completa, totale, l’unica veramente e pienamente, che in Maria si attesta realizzata.
    E cercando il segreto di questo splendore ci si accorge che esso non è soltanto estetico, ma è insieme morale e spirituale; è bellezza perché santità. La grazia è la più alta bellezza dell’anima. Questo ci consola e ci istruisce assai.
     Nel mistero dell’Immacolata ci è dato non solo il modello sublime della bellezza, ma il criterio altresì della bellezza stessa, che avevamo smarrito, e che, senza di esso, cerchiamo, talora a nostra confusione e a nostro danno, nelle espressioni o puramente estetiche e sensibili o sensuali e volgari, oggi spesso coonestate da una consueta licenza, ma non per questo non meno corrotte e corruttrici.
   Ritorniamo a Maria, all’umile e virginea figura della benedetta fra le donne; riaccendiamo la nostra pietà per l’immacolata Madre di Cristo; confortiamo il nostro proposito, auspice Maria, di onorare in ogni persona e in ogni immagine la dignità dell’anima e del corpo dell’uomo; e confidiamo in Maria, in cui veneriamo la forma primigenia dell’ideale umano, che in noi deve essere restaurato per Cristo suo Figlio. 

https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/angelus/1970/documents/hf_p-vi_ang_19701208.html

giovedì 12 dicembre 2019

Paolo VI, poeta dell’Immacolata

 

Paolo VI, poeta dell’Immacolata

di Antonio Tarallo


   Giovanni Battista Montini e l’Immacolata. Storia familiare, potremmo definirla. E l’aggettivo comprende bene due “sfere”: quella privata, di Giovanni Battista, e quella “familiare” dei Montini stessi. Il “vento mariano” è stato sempre presente nella sua casa natale, lì nel piccolo comune di Concesio, vicino Brescia. Se dovessimo pescare nella memoria personale del futuro Papa Paolo VI, troveremmo, in alcune note datate, 8 dicembre 1938 (chi le scrive è il quarantenne Sostituto alla Segreteria di Stato Vaticana) questa frase: “Disegno celeste: Cristo è venuto per rifare l’uomo nuovo – Maria è questa nuova creatura. Disegno terrestre: L’ha voluta Immacolata”.
   In fondo sarà Papa Paolo VI a dedicare proprio a Maria diversi documenti ufficiali. A partire dalle due encicliche – “Mense maio” del 1965, e “Christi Matri” del 1966 – che promuovevano la preghiera alla Vergine nei due mesi dell’anno a lei dedicati, quello di maggio e ottobre.  Abbiamo poi l’esortazione apostolica “Signum magnum” che porta la data simbolica del 13 maggio 1967, che si ricollega alla proclamazione di «Maria Madre della Chiesa». In questa, oltre all’approfondimento di tale concetto, è possibile trovare l’indicazione di Maria come modello delle virtù cristiane, alla luce del Vangelo. Con la “Recurrens mensis october”, esortazione del 7 ottobre 1969, il pontefice incoraggiava, inoltre, la preghiera a Maria, espressa soprattutto nella forma del Rosario. L’ultima e più celebre esortazione mariana, la “Marialis cultus” (2 febbraio 1974), ritenuta il documento mariano più importante di Paolo VI. Un ponte tra il passato della tradizione della venrazione mariana e le esigenze dell’Uomo moderno, contemporaneo.
   Ma veniamo, ora, alle sue parole. Quelle dedicate proprio alla festa dell’Immacolata. La cernita, come sempre, non è cosa facile. Non possiamo negarlo. Abbiamo scelto, allora, due importanti ricorrenze, per la loro importanza storica.
   La prima, riguarda l’otto dicembre del 1963. Sono le parole di un papa eletto da poco. sei mesi prima, infatti, Giovanni Battista Montini era divenuto Paolo VI.
Domenica, 8 dicembre 1963. Basilica di Santi Apostoli, in Roma.
   “Da Adamo in poi l’umanità non ha più avuto questa fortuna, salvo che in Nostro Signore Gesù Cristo e nella Madre sua Santissima. È questa nostra Sorella, questa eletta Figlia della stirpe di David, a rivelare il disegno originario di Dio sul genere umano, quando ci creò a sua immagine e somiglianza. Il ritratto, dunque, di Dio. Poterlo ammirare in Maria, finalmente ricostituito, finalmente riprodotto nella genuina e nativa bellezza e perfezione: ecco una realtà che ci incanta e rapisce, placando, si direbbe, l’accesa e inappagata nostalgia di bellezza che gli uomini portano nel cuore. Essi infatti ritengono, con moltiplicati sforzi - la vita moderna è tesa verso questo scopo - di poter raggiungere l’ideale allorché della bellezza dànno qualche forma, qualche espressione, senza però mai riuscire a portarla alle sue profonde, vere caratteristiche, che sono quelle non della forma, ma dell’essere”.

    E, nello stesso giorno, questa volta rivolgendosi ai fedeli radunati nella Basilica di Santa Maria Maggiore:

   “È felicemente abituale, continuo, il nostro omaggio alla Madonna: in quest’ora esso si illumina appieno e la sua luce pervade le nostre anime, presentandoci Maria con la sua prerogativa più bella, ideale, sublime: Immacolata sin dal primo istante, nella perfetta rispondenza della sua vita umana al pensiero divino che l’ha così voluta e creata. (…) Dobbiamo consentire alle nostre anime di inebriarsi in questa visione, sì che il nostro affetto acquisti una tenerezza ed un entusiasmo, tali da rinvigorire sempre ,più la nostra preghiera, la nostra devozione Mariana. Se poi - come è ovvio - aspiriamo a cogliere qualche particolare di questa mirabile visione della Madonna, penseremo che il Signore l’ha resa così eletta in virtù del Cristo Signor nostro. (…) La nostra devozione a Maria deve condurci a Cristo; e se davvero amiamo la Madonna, dobbiamo trovare, nel culto che a Lei tributiamo, un più intenso desiderio del Signore, un più alacre zelo nella fede e nella rispondenza a Lui. La Madonna ci conduce a Cristo. Ad Jesum per Mariam”.

     La seconda occasione si presenta, addirittura, a fine del Concilio Vaticano II. E’ sempre la Solennità dell'Immacolata, come al suo “incipit”. Piazza San Pietro Mercoledì, 8 dicembre 1965: “Il Nostro saluto perciò si fa ideale. Si fa sogno? si fa poesia? si fa iperbole convenzionale e vacua, come spesso avviene nelle nostre abituali effusioni augurali? No. Si fa ideale, ma non irreale. Un istante ancora della vostra attenzione. Quando noi uomini spingiamo i nostri pensieri, i nostri desideri verso una concezione ideale della vita, ci troviamo subito o nell’utopia, o nella caricatura retorica, o nell’illusione, o nella delusione. L’uomo conserva l’aspirazione inestinguibile verso la perfezione ideale e totale, ma non arriva da sé a raggiungerla, né forse col concetto, né tanto meno con l’esperienza e con la realtà. Lo sappiamo; è il dramma dell’uomo, del re decaduto. Ma. osservate che cosa si verifica questa mattina: mentre chiudiamo il Concilio ecumenico noi festeggiamo Maria Santissima, la Madre di Cristo, e perciò, come altra volta dicemmo, la Madre di Dio e la Madre nostra spirituale. Maria santissima, diciamo immacolata! cioè innocente, cioè stupenda, cioè perfetta; cioè la Donna, la vera Donna ideale e reale insieme; la creatura nella quale l’immagine di Dio si rispecchia con limpidezza assoluta, senza alcun turbamento, come avviene invece in ogni creatura umana. Non è forse fissando il nostro sguardo in questa Donna umile, nostra Sorella e insieme celeste nostra Madre e Regina, specchio nitido e sacro dell’infinita Bellezza, che può terminare la nostra spirituale ascensione conciliare e questo saluto finale? e che può cominciare il nostro lavoro Post-conciliare? Questa bellezza di Maria Immacolata non diventa per noi un modello ispiratore? una speranza confortatrice?”.


Antonio Tarallo 

https://www.sanfrancescopatronoditalia.it/notizie/religione/paolo-vi-poeta-dell-immacolata-44465#.XhjAr_zSLIU

mercoledì 11 dicembre 2019

Eliana Versace, Montini e l’Immacolata. «È la festa della bellezza», di




Montini e l’Immacolata.
«È la festa della bellezza»


    Cinquant’anni fa, il 21 novembre 1964, nella ricorrenza della Presentazione di Maria al Tempio, al termine della terza sessione del Concilio Vaticano II, Paolo VI durante l’allocuzione conclusiva attribuì solennemente alla Vergine Maria il titolo di «Madre della Chiesa». Per il Papa questo titolo trovava fondamento nella divina maternità della Vergine e nella presenza della Madonna nella storia della salvezza, mentre il fine del culto a Maria era principalmente quello di orientare le anime a Cristo (secondo la formula Ad Iesum per Mariam, espressa da Paolo VI all’Angelus del 4 ottobre precedente). Ma Montini aveva già adoperato pubblicamente questa definizione di Maria quale «Madre della Chiesa» durante gli anni del suo episcopato milanese, fin dall’omelia dell’8 settembre 1959, per la Natività di Maria, festa del Duomo di Milano. «La devozione mariana di Paolo VI – spiegava il suo segretario, monsignor Pasquale Macchi – è una delle caratteristiche che ben si può rilevare dai suoi discorsi e dalle sue preghiere» ed era maturata fin dagli anni giovanili, trascorsi nella casa bresciana situata accanto al Santuario mariano delle Grazie, soprattutto per influsso della madre Giuditta Alghisi. «Maria – aveva scritto la donna in una lettera al inedita al marito Giorgio, nel 1911 – è stata il punto di partenza, ora ha voluto il nostro nido all’ombra del suo Santuario; speriamo dunque nella sua protezione per sempre e per tutti».
    Negli anni in cui fu sostituto alla Segreteria di Stato il futuro Paolo VI diede un particolare rilievo alla festa dell’Immacolata, di cui quest’anno ricorre il 160° anniversario di proclamazione del dogma. Nelle note di Montini per la ricorrenza dell’8 dicembre 1938 si legge: «Disegno celeste: - Cristo è venuto per rifare l’uomo nuovo - Maria è questa nuova creatura. Disegno terrestre: L’ha voluta Immacolata». Sempre da sostituto, nell’Anno Santo del 1950 Montini visse la «rara fortuna di assistere il Santo Padre Pio XII, nella sua biblioteca, nel momento in cui egli firmò la bolla di definizione del dogma dell’Assunzione di Maria», provando «l’emozione singolare di assistere, se pure ad infimo livello, a quell’atto, formidabile nella sua semplicità, perché collegato con la rivelazione di Dio, con la gloria della Madonna, con le cose del Cielo e la storia evangelica, con la vita della Chiesa e con la fede delle anime». E ancora, ricordando la solenne proclamazione di quel dogma in una «limpida e radiosa mattinata di novembre, nella piazza San Pietro gremita di fedeli e davanti a centinaia di vescovi giunti da tutto il mondo», Montini definì quel momento come «l’ora più grande di quel lungo, travagliato e glorioso pontificato; fu il giorno più bello di tutto l’Anno Santo, fu l’avvenimento religioso più rilevante del nostro tempo».
   La riflessione montiniana sulla Madonna trovò approfondimento negli anni in cui il futuro Pontefice fu arcivescovo di Milano, e molti degli elementi più importanti del magistero pontificio mariano di Paolo VI si possono cogliere già nella sua predicazione milanese. Per Montini il culto a Maria doveva essere situato nel suo autentico posto nella Chiesa e praticato senza eccessi o negligenze, ma anche senza minimizzazioni. Attento a scoraggiare deviazioni e illusioni, Montini metteva in guardia da una devozione interessata o utilitaristica che avrebbe ridotto la religione e la fede a una «istituzione di mutuo soccorso» o a una «assicurazione contro la sfortuna». Similmente redarguiva quella pietà mariana che tendeva a separare Maria da Dio, presentandola come più buona e misericordiosa. Il culto alla Madonna invece avrebbe dovuto correttamente essere inteso e praticato come «introduzione e conseguenza del culto unico e sommo che dobbiamo a Gesù Nostro Signore».
Già da assistente della Fuci, nel 1930, Montini aveva scritto: «Non potremo comprendere la Madre senza il Figlio. Isolando queste due realtà storiche e spirituali non v’è modo di dare un significato della vita della Madonna. Ogni elemento della vita della Madonna conduce e si appoggia a Cristo. Tolto Cristo nulla resta. E ciò non è una diminuzione, ma un titolo di gloria per la Madre». Da arcivescovo di Milano Montini svolse una solenne predicazione in occasione delle festività mariane dell’Annunciazione, dell’Assunta, della Natività di Maria (festa del Duomo di Milano) e dell’Immacolata Concezione, considerata quest’ultima come «la festa della bellezza», intesa come bellezza morale di Maria, che è riflesso della bellezza di Dio. La Madonna era realmente tota pulchra, in senso globale, interiore ed esteriore, spirituale e fisico. La bellezza di Maria era pertanto quella dell’Immacolata, una bellezza dovuta all’assenza totale di peccato. Per Montini, che considerava estetica ed etica inseparabili, la vera bellezza non doveva mai separarsi dalla bontà. In quegli anni l’arcivescovo svolse due pellegrinaggi a Lourdes – il primo nell’estate del 1958, in ringraziamento per la Missione straordinaria cittadina del novembre 1957, l’altro nell’ottobre del 1962, promosso dal giornale cattolico milanese L’Italia – dal quale discende Avvenire – in occasione del cinquantesimo anniversario di fondazione del quotidiano. E sempre nell’ottobre 1962  Montini si recò a Gaeta visitando la cappella dell’Immacolata, chiamata pure «Grotta d’oro», ove pare che Pio XI avesse trovato ispirazione sul dogma dell’Immacolata Concezione.
   Negli anni del suo pontificato Paolo VI dedicò alla Madonna due encicliche e tre esortazioni apostoliche. E per iniziativa di Papa Montini la preghiera mariana dell’Angelus, recitata regolarmente già da Giovanni XXIII ogni domenica a mezzogiorno, venne preceduta da un messaggio di riflessione personale rivolto ai fedeli e generalmente ispirato alla liturgia domenicale, che Paolo VI scrisse sempre di suo pugno. Le due encicliche mariane – Mense maio del 1965 e Christi Matri del 1966 – non affrontavano aspetti particolari ma promuovevano la preghiera alla Vergine nei due mesi dell’anno a lei dedicati (maggio e ottobre), soprattutto con l’intento, urgente in un momento storico molto travagliato, di invocare la pace. Invece l’esortazione apostolica Signum magnum che porta la data del 13 maggio 1967 – festività della Madonna di Fatima e 25° anniversario della consacrazione dell’umanità al Cuore Immacolato di Maria compiuta da Pio XII – si ricollega alla proclamazione di «Maria Madre della Chiesa» e la approfondisce indicando Maria come modello delle virtù cristiane, alla luce del Vangelo. Con la Recurrens mensis october, esortazione del 7 ottobre 1969, Papa Montini incoraggiava la preghiera a Maria, espressa soprattutto nella forma del Rosario, perché, come evidenziava in alcune sue meditazioni giovanili, la recita del Rosario sviluppa uno spirito filiale e di semplicità. Ed era dunque «logica» pure la ripetizione delle preghiere sui grani della corona poiché «siamo sempre all’abc della vita spirituale» e «bisogna ribadire i concetti fondamentali, come a scuola». Così intesa, la recita del Rosario non era più una preghiera semplice, ma diventava difficile se fatta con vera fede, in quanto richiede un’intensa meditazione sui principali misteri della fede.
    L’ultima e più celebre esortazione mariana, la Marialis cultus, ritenuta il documento mariano più importante di Paolo VI e pubblicata quarant’anni fa, il 2 febbraio 1974, contempla aspetti sia teologici che pastorali. Il Papa intendeva adeguare la pietà mariana, considerata come «elemento intrinseco del culto cristiano», alle esigenze degli uomini contemporanei, nel rispetto della tradizione. Nell’esempio di Maria, esaltata sommamente per la sua umiltà, avrebbero potuto perciò trovare un costante riferimento anche le donne del nostro tempo in quanto, per Paolo VI, «Maria di Nazaret, pur completamente abbandonata alla volontà del Signore, fu tutt’altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubita di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo». La Madonna dunque nella prospettiva che ci offre il documento di Paolo VI, e che si rivela ancor oggi di grande attualità, non è solo intesa come donna purissima, angelicata e verginale, ma rappresenta anche una «donna forte che conobbe povertà e sofferenza, fuga ed esilio: situazioni che non possono sfuggire all’attenzione di chi vuole assecondare con spirito evangelico le energie liberatrici dell’uomo e della società». 
 https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/montini-e-immacolata

OMELIA DI PAOLO VI, Solennità dell'Immacolata Concezione




OMELIA DI PAOLO VI
Solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Domenica, 8 dicembre 1963

 
 

Ai Santi Dodici Apostoli

Il Santo Padre inizia la paterna Esortazione col chiedersi: quali i motivi della Sua presenza nella storica e monumentale Basilica? Può subito rispondere che una delle ragioni è quella di salutare affettuosamente l’Em.mo Cardinale Tappouni, Patriarca di Antiochia dei Siri, titolare della Basilica, che è legata all’Oriente con tanti vincoli a cominciare dalla memoria del Cardinale Bessarione - le cui spoglie riposano in questo tempio - Padre insigne al Concilio Ecumenici di Firenze nel secolo XV.
L’Augusto Pontefice è lieto inoltre di incontrare e salutare il Cardinale Pro Vicario di Roma, il Cardinale Arciprete della Basilica Vaticana e, con essi, tutti gli altri ecclesiastici. Uno speciale affettuoso pensiero Egli rivolge alla Famiglia Religiosa dei Frati Minori Conventuali, che officiano la Basilica, a cominciare dal Ministro Generale, a quanti gli fanno corona o hanno qui dappresso dimora, pregando e svolgendo apostolato nello spirito di S. Francesco.
Infine la benedizione augurale del Vicario di Gesù Cristo è diretta all’intero popolo romano, di cui una folta rappresentanza Egli prevedeva oggi in questa chiesa, tanto gloriosamente innestata nella topografia, nella storia, nel cuore dell’Urbe.
Ma, soprattutto, il precipuo motivo della visita - che ogni altro avvalora ed innalza - è quello di presentare omaggio alla Vergine SS.ma al termine della tradizionale fervorosa novena, la quale richiama eccezionale numero di partecipanti in preparazione alla bellissima festa di domani: l’Immacolata Concezione.
È stato infatti preciso intento di Sua Santità rendere questo, benché semplice e familiare, pubblico atto di culto alla Madre di Dio, all’indomani della seconda Sessione del Concilio, durante la quale molto si è parlato della Madonna, con desiderio generale ardente di poter esprimere quello che tutti i Padri hanno nel cuore: un grande atto filiale, cioè, un singolare, sentitissimo omaggio alla celeste Regina. Ora, quasi in acconto di quanto avverrà - e si spera nella prossima Sessione - il Papa vuole, insieme con quanti Lo circondano, riaffermare illimitata devozione e fervida speranza a Maria. Tanto più - e tutti sicuramente abbiamo nel cuore questi pensieri - che la festa sì cara ed alta della Immacolata Concezione ci presenta Maria SS.ma in una luce, una prerogativa che non finiremmo mai di meditare e contemplare. Si rimane abbagliati dall’aspetto con cui la santa Liturgia, vale a dire la dottrina, la fede nostra, ci presenta il mistero della Immacolata Concezione: una soprannaturale, sublime bellezza che ci rende avidi di raggiungere meta così eccelsa.
La natura umana si è mai espressa in una forma completamente perfetta?
Da Adamo in poi l’umanità non ha più avuto questa fortuna, salvo che in Nostro Signore Gesù Cristo e nella Madre sua Santissima. È questa nostra Sorella, questa eletta Figlia della stirpe di David, a rivelare il disegno originario di Dio sul genere umano, quando ci creò a sua immagine e somiglianza. Il ritratto, dunque, di Dio. Poterlo ammirare in Maria, finalmente ricostituito, finalmente riprodotto nella genuina e nativa bellezza e perfezione: ecco una realtà che ci incanta e rapisce, placando, si direbbe, l’accesa e inappagata nostalgia di bellezza che gli uomini portano nel cuore. Essi infatti ritengono, con moltiplicati sforzi - la vita moderna è tesa verso questo scopo - di poter raggiungere l’ideale allorché della bellezza dànno qualche forma, qualche espressione, senza però mai riuscire a portarla alle sue profonde, vere caratteristiche, che sono quelle non della forma, ma dell’essere.
Maria è perfetta nel suo essere; è immacolata nella sua intima natura, dal primo istante della sua vita. Noi staremmo perciò ad ammirare di continuo un tale prodigioso riflesso della bellezza divina, fino a sentirci, ovviamente, pur tanto dissimili, arcanamente consolati.
Dissimili, perché Maria è l’unica, la privilegiata, e nessuno potrà mai non solo eguagliarla, ma neppure avvicinarla. Consolati, nondimeno, perché Maria è la Madre nostra; perché Ella ci ripresenta ciò che abbiamo tutti in fondo al cuore: l’immagine autentica dell’umanità, l’immagine dell’umanità innocente, santa. Ce ne svela i principii, poiché Maria è in assoluto rapporto con Dio mediante la Grazia; perché il suo essere è tutto armonia, candore, semplicità; è tutto trasparenza, gentilezza, perfezione; è tutto bellezza.
Che cosa diremo, allora, alla Madonna, in questo sguardo che diamo, rapiti e consolati, al mistero di innocenza e di santità? Diremo intanto ciò che abbiamo poco fa proferito: Tota pulchra est, Maria . . .!
Finalmente l’immagine della bellezza si leva sopra l’umanità senza mentire, senza turbare. Le creature tutte la rimirano ed esclamano: Sei veramente, sei realmente la bellezza: Tota pulchra es!
In secondo luogo, dopo aver considerato questo ineffabile dono di Dio in Maria, ci convinceremo che esso non è un sogno fallace, non è un tentativo vòlto ad aumentare ancora in noi acuta nostalgia e doloroso rammarico. Ci rianima, invece; e proclama che la perfezione è possibile; che a noi pure è accordato di ricostituire, - se non certo nella medesima completezza e uguale splendore, ma con le stesse energie, che sono quelle della Grazia, dei divini carismi, dello Spirito Santo - quel pensiero che Iddio ha avuto sopra di noi creandoci, per cui anche noi possiamo ,diventare buoni, virtuosi, santi, se viviamo il mistero della Grazia, il grande mistero di Maria.
Ognuno voglia - conclude con paterno cuore l’Augusto Pontefice - prefiggersi un tale programma di vita, quasi purificando nel proprio essere ciò che di torbido e di manchevole la vita - immersa nell’esperienza del mondo - ha prodotto attraverso le contaminazioni del secolo, e divenire, così, degni tutti di essere veramente quali per vocazione desideriamo: figli devoti e fedeli della Madonna Santissima.
Alla Basilica Liberiana
Nel rivolgere amabile saluto ai Cardinali, ai Prelati e ai numerosi fedeli che Lo ascoltano, il Santo Padre esprime viva letizia perché, nel solenne momento, è a tutti possibile offrire pieno, sincero, il sentimento personale di devozione alla Santissima Vergine. È felicemente abituale, continuo, il nostro omaggio alla Madonna: in quest’ora esso si illumina appieno e la sua luce pervade le nostre anime, presentandoci Maria con la sua prerogativa più bella, ideale, sublime: Immacolata sin dal primo istante, nella perfetta rispondenza della sua vita umana al pensiero divino che l’ha così voluta e creata.
Dobbiamo consentire alle nostre anime di inebriarsi in questa visione, sì che il nostro affetto acquisti una tenerezza ed un entusiasmo, tali da rinvigorire sempre ,più la nostra preghiera, la nostra devozione Mariana.
Se poi - come è ovvio - aspiriamo a cogliere qualche particolare di questa mirabile visione della Madonna, penseremo che il Signore l’ha resa così eletta in virtù del Cristo Signor nostro. Oggi la Chiesa inizia la sua prece con le parole: «Deus, qui per Immaculatam Virginis Conceptionem dignum Filio tuo habitaculum praeparasti . . .». L’Immacolata Concezione non è che una essenziale premessa alla Maternità Divina: vale a dire il presupposto adeguato alla venuta del Cristo sulla terra. In tal modo il Figlio di Dio si riservò, nella immensa palude che è la povera umanità, una zolla innocente, un’aiuola fiorita, fragrante su cui posarsi: la Madonna SS.ma.
Tutto ciò ricorda che la nostra devozione a Maria deve condurci a Cristo; e se davvero amiamo la Madonna, dobbiamo trovare, nel culto che a Lei tributiamo, un più intenso desiderio del Signore, un più alacre zelo nella fede e nella rispondenza a Lui.
La Madonna ci conduce a Cristo. Ad Jesum per Mariam.
Non dobbiamo quindi, dinanzi a tanta Madre, limitarci a un semplice atto di contemplazione, rimanendo meravigliati e sorpresi della sua eccezionale bellezza, quasi che ciò non costituisse alcuna relazione con noi. C’è, invece: e vasta, meravigliosa!
La Madonna assurge sopra di noi, in questo fulgore di luce, innocenza, virtù, bellezza, in così ineffabile congiungimento con la vita divina, per esserci modello, essendo proposta alla nostra imitazione. Se noi ci limitassimo ad innalzare voci di giubilo e preghiere a Maria, senza volere che la nostra vita ne venisse migliorata e modificata, la nostra devozione non sarebbe completa. È, invece, una devozione che deve agire nella maniera di vivere, di pensare: deve rendere puri, buoni: deve trasfondere innocenza, e consolidare la certezza che la virtù è possibile. Finché gli uomini non avevano la Madonna, avrebbero potuto essere disperati, poiché giammai essi, da soli, sarebbero riusciti a raggiungere la virtù, a seguire il bene. La Madonna, invece, gratia piena, cioè ricca della misericordia, ricolma della azione di Dio sopra di noi, ci dimostra come anche per noi c’è speranza, anche per noi c’è possibilità, e, se vogliamo, possiamo. Il grave pessimismo che attrista la coscienza del mondo, appunto perché ha sminuito la fede e ha perduto la visione tonificante e confortante della Madonna, non deve allignare in noi. Dobbiamo sempre credere alla possibilità di essere buoni, di migliorare, di diventare immuni, anche camminando in questo mondo così inquinato dal vizio e dalla corruzione, da colpe e cadute. È possibile essere puri, virtuosi, fedeli; è possibile, in una parola, imitare la Madonna.
In tale profondo, assoluto convincimento, la devozione a Maria, mentre ci unisce a Cristo, fa sì che la Madonna resti, materna, accanto a noi. Ecco una certezza ineffabilmente ristoratrice. Essa dimostra che l’atto di venerare Maria SS.ma non è una esaltazione estranea alla nostra vita, sia di fede sia di costume, ma ci rende davvero migliori, più vicini al Redentore, a Lui più fedeli.
E così sia - conclude il Santo Padre. - E così sia, figli carissimi, per la vostra schietta gioia, per la vostra completa consolazione, per la vostra incrollabile fiducia, per la materna benedizione con cui Maria Santissima Immacolata vi accompagnerà sicuramente nella vita. 

 http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1963/documents/hf_p-vi_hom_19631208.html

martedì 10 dicembre 2019

«Torniamo amici»: Paolo VI e gli artisti




 
   La rassegna realizzata dalla Galleria d'arte sacra dei contemporanei di Milano presenta 50 lavori di autori quali Carpi, Messina, Longaretti, Consadori, Bodini e molti altri, che testimoniano il forte legame instauratosi fra Montini e il mondo dell'arte.
   «Rifacciamo la pace? Vogliamo ritornare amici?». Possiamo solo immaginare la sorpresa, l’emozione, la commozione perfino, da parte degli artisti di fronte a queste inattese parole di Paolo VI. Con urgenza e con premura, nella festa dell’Ascensione del 1964, a neppure un anno dalla sua elezione, papa Montini aveva invitato nella Cappella Sistina pittori, scultori, musicisti, poeti, scrittori. E li aveva chiamati a sé, fatto inaudito, non per una pratica ragione di committenza né per una <predica> di circostanza, e neanche per dettare loro indicazioni o linee guida, ma per un vero, cordiale, franco dialogo chiarificatore. Come accade tra persone il cui rapporto si è incrinato fino alla rottura, ma che si rendono conto che bisogna fare di tutto per recuperarlo.
  Proprio quelle parole – «Torniamo amici» – diventano oggi il titolo di una mostra realizzata dalla Galleria d’arte sacra dei contemporanei (Gasc), con il patrocinio della diocesi di Milano e dell’Associazione musei ecclesiastici italiani, che intende raccontare, da vari punti di vista, l’intensa e duratura relazione fra san Paolo VI e gli artisti. Cinquanta lavori, tra dipinti, disegni, sculture, bozzetti, grafiche, raramente esposti al pubblico o del tutto inediti, pertinenti alla Galleria milanese stessa, ma provenienti anche dai Musei Vaticani e dalla Collezione Paolo VI di Concesio, di autori che sono stati protagonisti del panorama culturale italiano della seconda metà del ventesimo secolo.
  L’interesse di Montini per l’arte, del resto, non fu occasionale né limitato nel tempo. Giovane sacerdote e brillante studente, Giovanni Battista aveva “scoperto” i saggi su arte e scolastica di Jacques Maritain (di cui rimarrà amico per tutta la vita), diffondendoli tra gli universitari della Fuci e arrivando a comporre nel 1931 un vero e proprio “Manifesto per l’arte sacra futura”.
   Ma fu proprio a Milano, nel 1955, che il neo arcivescovo ebbe l’occasione di venire in contatto e instaurare un rapporto di amicizia e di collaborazione con un gruppo di artisti attenti a coniugare i temi del sacro con i linguaggi espressivi del Novecento. E luogo di tale incontro fu appunto Villa Clerici, la nobile dimora di Niguarda dove la Compagnia di San Paolo, accanto alla Casa di redenzione sociale, aveva inaugurato una galleria dedicata all’arte sacra, ma rigorosamente “contemporanea” (ed era un’assoluta novità), attraverso il contributo di alcuni dei nomi più in vista dell’epoca. Artefice di tutto ciò era Dandolo Bellini, il cui entusiasmo e la cui competenza colpirono subito Montini, che una volta diventato papa lo chiamerà per realizzare una simile collezione anche in Vaticano.
  Di quel “cenacolo” ambrosiano facevano parte artisti come Aldo Carpi, docente all’Accademia di Brera e sopravvissuto all’orrore dei campi di sterminio nazisti; Francesco Messina e Luciano Minguzzi, tra i maggiori scultori del secondo dopoguerra; Silvio Consadori e Luigi Filocamo, pittori di primissimo piano, capaci di rielaborare con sensibilità moderna la bimillenaria tradizione cristiana; Lello Scorzelli ed Ettore Calvelli, la produzione medaglistica è ancor oggi ammirata per qualità e bellezza; Floriano Bodini, “ritrattista” per eccellenza di Paolo VI; Trento Longaretti, autentico interprete dello spirito del Concilio Vaticano II, recentemente scomparso dopo aver festeggiato il secolo… Senza dimenticare altri autori come Angelo Biancini, mosaicista di una raffinatezza pari a quella di Eros Pellini nel plasmare forme e figure; o lo stesso Enrico Manfrini, che aveva il suo studio proprio in Villa Clerici, oggi “ereditato” da Mario Rudelli.
   Artisti, tutti, di cui la rassegna milanese in corso presenta grandi opere accanto a lavori meno noti, ma legati direttamente alla sensibilità e al magistero di Paolo VI. Insieme alla gentile e accurata mano femminile di Dina Bellotti, la cui litografia con papa Montini che sorridente alza le mani ad abbracciare idealmente il mondo intero diventa immediato quanto efficace manifesto della mostra stessa.
   Dopo decenni di reciproca diffidenza, dopo dure accuse di tradimenti da entrambe le parti, dopo una lunga serie di vicendevoli incomprensioni e allontanamenti, quel giorno di 55 anni fa, tra le pareti affrescate da Michelangelo e dagli altri straordinari protagonisti del Rinascimento, san Paolo VI segnava dunque una svolta epocale nel rapporto fra la Chiesa e il mondo dell’arte contemporanea. Tornare amici, tornare alleati, chiedeva papa Montini agli artisti: «Il nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché la vostra arte è propria quella di carpire dal cielo dello Spirito i suoi tesori e rivestirli di parole, di colori, di forme, di accessibilità».

 https://www.chiesadimilano.it/news/arte-cultura/torniamo-amici-paolo-vi-e-gli-artisti-256839.html

lunedì 9 dicembre 2019

I Papi del passato e la festa dell’Immacolata

 

Laura De Luca

 I Papi del passato e la festa dell’Immacolata

   Da festa popolare a dogma teologico: la purezza di Maria, unica creatura umana nel corso della storia priva di macchia, ha variamente sollecitato nel corso dei secoli il magistero dei Papi. Una festa “che nasconde la profondità del mistero”.
   Fu Papa Pio IX l'8 dicembre 1854 con la bolla Ineffabilis Deus, a sancire come la Vergine Maria sia stata preservata dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento.
«[...] dichiariamo, affermiamo e stabiliamo che è stata rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale; pertanto, questa dottrina dev'essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli.»
   Solo quattro anni dopo, apparendo a Bernadette Soubirous e auodefinendosi Immacolata Concezione, la Madonna confermerà l'esatto significato teologico di quanto affermato dal dogma. Ma il primo atto formale di un Pontefice nei confronti dell’Immacolata risale agli anni “rivoluzionari” e in parte frivoli del Rinascimento: è il 1484 quando Papa Sisto IV introduce a Roma la festa liturgica della Concezione. Sarà poi Clemente XI, nel 1708, a rendere universale la festa dell'Immacolata, già celebrata dal popolo a Roma e in altre zone della cristianità.
   Paolo VI, nel pieno degli anni di piombo del XX secolo, l’8 dicembre di quel terribile 1974 insanguinato da vari attentati, insiste sul mistero del male a fronte del quale la presenza dell’Immacolata offre un decisivo sollievo: "L’Immacolata: questa festività della Madonna mette nei nostri animi un vivo entusiasmo, che in un certo senso nasconde la profondità del mistero; il mistero del peccato originale, la disgrazia universale ereditata dal genere umano dal padre Adamo, la quale ci ha staccati da Dio, ha prodotto un disordine funzionale nel nostro essere che nemmeno il battesimo del tutto guarisce, ha ridato alla nostra vita naturale la morte, e ha lasciato in fondo alle nostre aspirazioni inestinguibili la nostalgia d’una perfezione che non riusciamo più a raggiungere, anche da parte dei migliori fra noi, i buoni, i grandi, i sapienti e i santi perfino. Siamo infelici, siamo decaduti: mistero della devastazione dilagata sulla progenie umana. Ma oggi una grande meraviglia ci invade, una grande letizia: una creatura, una sola, ma nostra, colei che sarebbe stata la Madre di Cristo, da Cristo stesso fu in anticipo redenta e restituita alla perfezione primigenia, tipica e sublime, della creatura «piena di grazia», una donna, la «benedetta fra tutte le donne». Il suo nome è Maria". 
     Tre anni dopo la promulgazione della bolla Ineffabilis Deus, l’8 dicembre del 1857, Papa Pio IX, inaugura e benedice a Roma il monumento dell'Immacolata, che ancora oggi ammiriamo, comunemente detto “di Piazza di Spagna”: in realtà si trova nell'adiacente Piazza Mignanelli e venne interamente pagato dal re Ferdinando II delle Due Sicilie. Fu Pio XII, a iniziare la tradizione di inviare fiori a questa statua nel giorno dell'Immacolata; il suo successore, Papa Giovanni XXIII, nel 1958, uscì dal Vaticano e si recò personalmente a deporre ai piedi della Vergine un cesto di rose bianche, per poi recarsi in visita alla basilica di Santa Maria Maggiore. La consuetudine fu mantenuta poi da tutti i successori. Ma ecco le parole di Papa Giovanni l’8 dicembre 1960. All’alba di quel decennio che porterà decisivi cambiamenti di costume in Italia e in Europa, l’accento di Papa Roncalli è proprio sul modello di temperanza e di purezza che l’Immacolata propone ai fedeli, particolarmente alle donne.
 "La dottrina cattolica che riguarda l'immacolato concepimento di Maria e ne esalta gli splendori è familiare ad ogni buon cristiano: delizia ed incanto per le anime più nobili. (…) E’ nelle voci dei Padri della Chiesa, è nel sospiro ansioso di tanti cuori che intendono farle onore, rendendo il profumo della loro purezza, ardore di apostolato per la elevazione del buon costume privato e pubblico. Oh ! Venerabili Fratelli e figli diletti, che grande compito è veramente questo per noi: cooperare tutti, con la grazia di Maria Immacolata e nella luce dei suoi insegnamenti, alla purificazione del pubblico e privato costume! Sappiamo di toccare una nota triste; ma è la coscienza che Ce lo impone. Veramente l'oblio della purezza, il pervertimento del costume posto in esibizione ed in esaltazione, attraverso tante forme di seduzione e di prevaricazione, sono motivo di sgomento dell'anima sacerdotale — e pensate quanto più amaramente — dell'anima del Papa che vi parla. Ecco. Risalendo lungo il corso della Nostra lunga vita e, richiamando incontri e impressioni varie, di tempi lontani, Ci sentiamo come penetrati ancora da intima e trepida commozione al ricordo di schiere senza numero di spose e di madri, di umili donne di casa e di vergini consacrate, il cui servizio di carità e di prudenza era robustezza e nobiltà vera delle famiglie e cooperazione del ministero sacerdotale. Tutto questo loro silenzioso operare avveniva nella luce della legge divina, nella espressione delle virtù umane e cristiane, fiorite dalla dignità e purezza del costume".
  Anche nei difficili anni di Paolo VI, fitti di rivendicazioni e rivolgimenti, la purezza rappresenta ancora un modello da seguire. Sempre dall’Angelus del 8 dicembre 1974: "Oh figli; oh fratelli, delusi e disperati forse dalle indagini psicanalitiche moderne per la scoperta delle inguaribili contaminazioni delle profondità dell’essere umano, restaurate con fiducia il concetto dell’innocenza e la speranza d’una purità perfetta di questo nostro essere composito di carne e di spirito: il «caso», il miracolo, di Maria riabilita in noi l’immagine della perfezione dell’opera di Dio, quale noi siamo, e del quale un modello intatto e purissimo ci è presentato: sì, è Maria".
   Da poco Pontefice, il Papa mariano per eccellenza, Giovanni Paolo II, non esita ad assumere l’usanza romana dell’omaggio floreale, sentendosi in questo pienamente vescovo di Roma e dunque pienamente romano 8 dicembre 1979. I suoi accenti sono spontanei e filiali.
 "Veniamo oggi in questo luogo soprattutto noi Romani, abitanti di questa città, che la Provvidenza Divina ha scelto ad essere la sede di Pietro e dei suoi Successori. Veniamo numerosi da quando Pio XII iniziò questo gesto di filiale omaggio, quasi un secolo dopo che Pio IX benedisse questo monumento all’Immacolata. Veniamo tutti, anche se non siamo qui tutti presenti fisicamente; siamo però presenti con lo spirito.
  
Anziani e giovani, genitori e figli, sani e malati, rappresentanti dei diversi ambienti e professioni, sacerdoti e religiosi e religiose, autorità civili della città di Roma, della provincia del Lazio, tutti riteniamo come un particolare privilegio l’essere oggi qui insieme col Vescovo di Roma, accanto a questa Colonna Mariana, per circondarti, Madre, della nostra venerazione e del nostro amore.
Accoglici, così come siamo, qui accanto a te, in questo annuale incontro! Accoglici! Guarda nei nostri cuori! Accogli le nostre sollecitudini e le nostre speranze! Aiutaci, tu, piena di Grazia, a vivere nella Grazia, a perseverare nella Grazia e, se fosse necessario, a ritornare alla Grazia del Dio Vivente, che è il più grande e soprannaturale bene dell’uomo.
   Tra breve noi tutti ci allontaneremo da questo luogo. Desideriamo però ritornare alle nostre case con questa gioiosa certezza che sei con noi, Tu, Immacolata, tu da secoli prescelta per essere Madre del Redentore. Sei con noi. Sei con Roma. Sei con la Chiesa e con il mondo".
   Per Benedetto XVI il riferimento all’Immacolata getta una luce decisiva sulla complessa attuazione del Concilio. Al suo primo omaggio alla statua, si ricollega, nel nome di Maria, a quel grande evento ecclesiale che vide la sua partecipazione come consulente e si richiama al predecessore che, pur nel nome di Maria, chiuse il Concilio…
    "In questo giorno dedicato a Maria sono venuto, per la prima volta come Successore di Pietro, ai piedi della statua dell’Immacolata qui, a Piazza di Spagna, ripercorrendo idealmente il pellegrinaggio tante volte fatto dai miei Predecessori. Sento che mi accompagna la devozione e l’affetto della Chiesa che vive in questa città di Roma e nel mondo intero. Porto con me le ansie e le speranze dell’umanità di questo nostro tempo, e vengo a deporle ai piedi della celeste Madre del Redentore.In questo giorno singolare, che ricorda il 40° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II, torno con il pensiero all’8 dicembre del 1965 quando, proprio al termine dell’omelia della Celebrazione eucaristica in Piazza San Pietro, il Servo di Dio Paolo VI ebbe a rivolgere il suo pensiero alla Madonna "la Madre di Dio e la Madre nostra spirituale … la creatura nella quale l’immagine di Dio si rispecchia con limpidezza assoluta, senza alcun turbamento, come avviene invece in ogni creatura umana". Il Papa si chiedeva poi: "Non è forse fissando il nostro sguardo in questa Donna umile, nostra Sorella e insieme celeste nostra Madre e Regina, specchio nitido e sacro dell’infinita Bellezza, che può … cominciare il nostro lavoro post-conciliare? Questa bellezza di Maria Immacolata non diventa per noi un modello ispiratore? Una speranza confortatrice?". E concludeva: "Noi lo pensiamo per noi e per voi; ed è questo il Nostro saluto più alto e, Dio voglia, il più valido!" (Insegnamenti di Paolo VI, III 1965, p. 746). Paolo VI proclamò Maria "Madre della Chiesa", e a Lei affidò per il futuro la feconda applicazione delle decisioni conciliari. Tu, che abbracciando senza riserve la volontà divina, ti sei consacrata con ogni tua energia alla persona e all’opera del Figlio tuo, insegnaci a serbare nel cuore e a meditare in silenzio, come hai fatto Tu, i misteri della vita di Cristo".

 https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-12/papi-festa-immacolata.html


domenica 8 dicembre 2019

PAOLO VI, Solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, 8 dicembre 1965




EPILOGO DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II
OMELIA DI SUA SANTITÀ PAOLO VI
 
Solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Piazza San Pietro - Mercoledì, 8 dicembre 1965

   
     Signori Cardinali! Venerati Fratelli!
     Rappresentanti dei Popoli! Signori della Città di Roma!
     Autorità e Cittadini d’ogni parte del mondo!
    voi, Osservatori appartenenti a tante diverse denominazioni cristiane!
    e voi, Fedeli e Figli qui presenti, e anche voi, sparsi sulla terra
    ed a Noi uniti nella fede e nella carità!


 
    Ascolterete tra poco, al termine di questa Santa Messa, la lettura di alcuni messaggi, che il Concilio ecumenico, alla conclusione dei suoi lavori, rivolge a varie categorie di persone, intendendo in quelle considerare le innumerevoli forme in cui la vita umana si esprime; e ascolterete altresì la lettura del Nostro Decreto ufficiale, col quale dichiariamo finito e chiuso il Concilio ecumenico vaticano secondo. Questo è perciò il momento - un breve momento - dei saluti. Dopo, la Nostra voce tacerà. Il Concilio è del tutto terminato; questa immensa e straordinaria riunione si scioglie.
  Il saluto perciò che Noi vi rivolgiamo acquista un particolare significato, che Ci permettiamo appena di indicare, non per distrarre dall’orazione, ma per meglio impegnare la vostra attenzione alla presente celebrazione.
    Questo saluto è, innanzi tutto, universale. Si rivolge a voi tutti, qui assistenti e partecipanti a questo sacro rito; a voi, Venerati Fratelli nell’Episcopato, a voi Persone rappresentative, a voi, Popolo di Dio; e si estende, si allarga a tutti, al mondo intero. Come potrebbe essere altrimenti, se questo Concilio si è definito ed è stato ecumenico, cioè universale? Come un suono di campane si effonde nel cielo, e arriva a tutti ed a ciascuno nel raggio di espansione delle sue onde sonore, così il Nostro saluto, in questo momento, a tutti ed a ciascuno si rivolge. A quelli che lo accolgono, ed a quelli che non lo accolgono: risuona ed urge all’orecchio d’ogni uomo. Da questo centro cattolico romano nessuno è, in via di principio, irraggiungibile; in linea di principio tutti possono e debbono essere raggiunti. Per la Chiesa cattolica nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano. Ognuno, a cui è diretto il Nostro saluto, è un chiamato, un invitato; è, in certo senso, un presente. Lo dica il cuore di chi ama: ogni amato è presente! E Noi, specialmente in questo momento, in virtù del Nostro universale mandato pastorale ed apostolico, tutti, tutti Noi amiamo! Diciamo perciò questo a voi, anime buone e fedeli, che, assenti di, persona da questo foro dei credenti e delle genti, siete qui presenti col vostro spirito, con la vostra preghiera: anche a voi pensa il Papa, e con voi celebra questo istante sublime di comunione universale.
  Diciamo questo a voi, sofferenti, quasi prigionieri della vostra infermità, e che, se a voi mancasse il conforto di questo Nostro intenzionale saluto, sentireste raddoppiare, a causa della spirituale solitudine, il vostro dolore.
   E questo diciamo specialmente a voi, Fratelli nell’Episcopato, che non per vostra colpa mancaste al Concilio e ora lasciate nelle file dei Confratelli ed ancor più nel loro cuore e nel Nostro un vuoto, che Ci fa tanto soffrire e che denuncia il torto che vincola la vostra libertà; e fosse soltanto quella che vi mancò per venire al nostro Concilio! Saluto a voi, Fratelli, tuttora ingiustamente trattenuti nel silenzio, nell’oppressione e nella privazione dei legittimi e sacri diritti, dovuti ad ogni uomo onesto, e tanto più a voi, di null’altro operatori che di bene, di pietà e di pace! La Chiesa, o Fratelli impediti e umiliati, è con voi! è con i vostri fedeli e con quanti vi sono associati nella vostra penosa condizione! e così lo sia la coscienza civile del mondo! E infine questo Nostro universale saluto rivolgiamo anche a voi, uomini che non Ci conoscete; uomini, che non Ci comprendete; uomini, che non Ci credete a voi utili, necessari, ed amici; e anche a voi, uomini, che, forse pensando di far bene, Ci avversate! Un saluto sincero, un saluto discreto, ma pieno di speranza; ed oggi, credetelo, pieno di stima e di amore.
   Questo il Nostro saluto. Ma fate attenzione quanti Ci ascoltate. Vi preghiamo di considerare come il Nostro saluto, a differenza di quanto comunemente avviene per i saluti della conversazione profana, i quali servono a mettere fine ad un rapporto di vicinanza, o di discorso, il Nostro saluto tende a rafforzare, a produrre se necessario, il rapporto spirituale, donde trae il suo senso e la sua voce. Il Nostro è un saluto non di congedo che distacca, ma di amicizia che rimane, e che, se del caso, ora vuol nascere. Anzi è proprio in questo suo pronunciamento estremo, che esso, il Nostro saluto, vorrebbe, da un lato, arrivare al cuore d’ognuno, entrarvi come un ospite cordiale e dire nel silenzio interiore dei vostri singoli spiriti la parola, consueta e ineffabile del Signore: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace, ma non come la dà il mondo» (Io. 14, 27); (Cristo ha un suo modo unico e originale di parlare nel segreto dei cuori); dall’altro, il Nostro saluto tende ad un altro e superiore rapporto, perché non è solo scambio di voci bilaterale, tra noi, gente di questa terra, ma esso chiama in causa un altro Presente, il Signore stesso, invisibile sì, ma operante nel tessuto dei rapporti umani; e lo invita, lo prega a suscitare in chi saluta e in chi è salutato dei beni nuovi, di cui primo e sommo è la carità.
   Ecco, questo è il Nostro saluto: possa esso accendere questa nuova scintilla della divina carità nei nostri cuori; una scintilla, la quale può dar fuoco ai principii, alle dottrine e ai propositi, che il Concilio ha predisposti, e che, così infiammati di carità, possono davvero operare nella Chiesa e nel mondo quel rinnovamento di pensieri, di attività, di costumi, e di forza morale e di gaudio e di speranza, ch’è stato lo scopo stesso del Concilio.
   Il Nostro saluto perciò si fa ideale. Si fa sogno? si fa poesia? si fa iperbole convenzionale e vacua, come spesso avviene nelle nostre abituali effusioni augurali? No. Si fa ideale, ma non irreale. Un istante ancora della vostra attenzione. Quando noi uomini spingiamo i nostri pensieri, i nostri desideri verso una concezione ideale della vita, ci troviamo subito o nell’utopia, o nella caricatura retorica, o nell’illusione, o nella delusione. L’uomo conserva l’aspirazione inestinguibile verso la perfezione ideale e totale, ma non arriva da sé a raggiungerla, né forse col concetto, né tanto meno con l’esperienza e con la realtà. Lo sappiamo; è il dramma dell’uomo, del re decaduto. Ma. osservate che cosa si verifica questa mattina: mentre chiudiamo il Concilio ecumenico noi festeggiamo Maria Santissima, la Madre di Cristo, e perciò, come altra volta dicemmo, la Madre di Dio e la Madre nostra spirituale. Maria santissima, diciamo immacolata! cioè innocente, cioè stupenda, cioè perfetta; cioè la Donna, la vera Donna ideale e reale insieme; la creatura nella quale l’immagine di Dio si rispecchia con limpidezza assoluta, senza alcun turbamento, come avviene invece in ogni creatura umana.
    Non è forse fissando il nostro sguardo in questa Donna umile, nostra Sorella e insieme celeste nostra Madre e Regina, specchio nitido e sacro dell’infinita Bellezza, che può terminare la nostra spirituale ascensione conciliare e questo saluto finale? e che può cominciare il nostro lavoro Post-conciliare? Questa bellezza di Maria Immacolata non diventa per noi un modello ispiratore? una speranza confortatrice?
    Noi, o Fratelli e Figli e Signori, che Ci ascoltate, Noi lo pensiamo; per Noi e per voi; ed è questo il Nostro saluto più alto e, Dio voglia, il più valido! 

 http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1965/documents/hf_p-vi_hom_19651208_epilogo-concilio-immacolata.html

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