Montini e l’Immacolata.
«È la festa della bellezza»
«È la festa della bellezza»
Cinquant’anni fa, il 21 novembre 1964, nella ricorrenza della
Presentazione di Maria al Tempio, al termine della terza sessione del
Concilio Vaticano II, Paolo VI durante l’allocuzione conclusiva attribuì
solennemente alla Vergine Maria il titolo di «Madre della Chiesa». Per
il Papa questo titolo trovava fondamento nella divina maternità della
Vergine e nella presenza della Madonna nella storia della salvezza,
mentre il fine del culto a Maria era principalmente quello di orientare
le anime a Cristo (secondo la formula Ad Iesum per Mariam,
espressa da Paolo VI all’Angelus del 4 ottobre precedente). Ma Montini
aveva già adoperato pubblicamente questa definizione di Maria quale
«Madre della Chiesa» durante gli anni del suo episcopato milanese, fin
dall’omelia dell’8 settembre 1959, per la Natività di Maria, festa del
Duomo di Milano. «La devozione mariana di Paolo VI – spiegava il suo
segretario, monsignor Pasquale Macchi – è una delle caratteristiche che
ben si può rilevare dai suoi discorsi e dalle sue preghiere» ed era
maturata fin dagli anni giovanili, trascorsi nella casa bresciana
situata accanto al Santuario mariano delle Grazie, soprattutto per
influsso della madre Giuditta Alghisi. «Maria – aveva scritto la donna
in una lettera al inedita al marito Giorgio, nel 1911 – è stata il punto
di partenza, ora ha voluto il nostro nido all’ombra del suo Santuario;
speriamo dunque nella sua protezione per sempre e per tutti».
Negli
anni in cui fu sostituto alla Segreteria di Stato il futuro Paolo VI
diede un particolare rilievo alla festa dell’Immacolata, di cui
quest’anno ricorre il 160° anniversario di proclamazione del dogma.
Nelle note di Montini per la ricorrenza dell’8 dicembre 1938 si legge:
«Disegno celeste: - Cristo è venuto per rifare l’uomo nuovo - Maria è
questa nuova creatura. Disegno terrestre: L’ha voluta Immacolata».
Sempre da sostituto, nell’Anno Santo del 1950 Montini visse la «rara
fortuna di assistere il Santo Padre Pio XII, nella sua biblioteca, nel
momento in cui egli firmò la bolla di definizione del dogma
dell’Assunzione di Maria», provando «l’emozione singolare di assistere,
se pure ad infimo livello, a quell’atto, formidabile nella sua
semplicità, perché collegato con la rivelazione di Dio, con la gloria
della Madonna, con le cose del Cielo e la storia evangelica, con la vita
della Chiesa e con la fede delle anime». E ancora, ricordando la
solenne proclamazione di quel dogma in una «limpida e radiosa mattinata
di novembre, nella piazza San Pietro gremita di fedeli e davanti a
centinaia di vescovi giunti da tutto il mondo», Montini definì quel
momento come «l’ora più grande di quel lungo, travagliato e glorioso
pontificato; fu il giorno più bello di tutto l’Anno Santo, fu
l’avvenimento religioso più rilevante del nostro tempo».
La riflessione montiniana sulla Madonna trovò approfondimento negli
anni in cui il futuro Pontefice fu arcivescovo di Milano, e molti degli
elementi più importanti del magistero pontificio mariano di Paolo VI si
possono cogliere già nella sua predicazione milanese. Per Montini il
culto a Maria doveva essere situato nel suo autentico posto nella Chiesa
e praticato senza eccessi o negligenze, ma anche senza minimizzazioni.
Attento a scoraggiare deviazioni e illusioni, Montini metteva in guardia
da una devozione interessata o utilitaristica che avrebbe ridotto la
religione e la fede a una «istituzione di mutuo soccorso» o a una
«assicurazione contro la sfortuna». Similmente redarguiva quella pietà
mariana che tendeva a separare Maria da Dio, presentandola come più
buona e misericordiosa. Il culto alla Madonna invece avrebbe dovuto
correttamente essere inteso e praticato come «introduzione e conseguenza
del culto unico e sommo che dobbiamo a Gesù Nostro Signore».
Già da assistente della Fuci, nel 1930, Montini aveva scritto: «Non
potremo comprendere la Madre senza il Figlio. Isolando queste due
realtà storiche e spirituali non v’è modo di dare un significato della
vita della Madonna. Ogni elemento della vita della Madonna conduce e si
appoggia a Cristo. Tolto Cristo nulla resta. E ciò non è una
diminuzione, ma un titolo di gloria per la Madre». Da arcivescovo di
Milano Montini svolse una solenne predicazione in occasione delle
festività mariane dell’Annunciazione, dell’Assunta, della Natività di
Maria (festa del Duomo di Milano) e dell’Immacolata Concezione,
considerata quest’ultima come «la festa della bellezza», intesa come
bellezza morale di Maria, che è riflesso della bellezza di Dio. La
Madonna era realmente tota pulchra, in senso globale, interiore
ed esteriore, spirituale e fisico. La bellezza di Maria era pertanto
quella dell’Immacolata, una bellezza dovuta all’assenza totale di
peccato. Per Montini, che considerava estetica ed etica inseparabili, la
vera bellezza non doveva mai separarsi dalla bontà. In quegli anni
l’arcivescovo svolse due pellegrinaggi a Lourdes – il primo nell’estate
del 1958, in ringraziamento per la Missione straordinaria cittadina del
novembre 1957, l’altro nell’ottobre del 1962, promosso dal giornale
cattolico milanese L’Italia – dal quale discende Avvenire
– in occasione del cinquantesimo anniversario di fondazione del
quotidiano. E sempre nell’ottobre 1962 Montini si recò a Gaeta
visitando la cappella dell’Immacolata, chiamata pure «Grotta d’oro», ove
pare che Pio XI avesse trovato ispirazione sul dogma dell’Immacolata
Concezione.
Negli anni del suo pontificato Paolo VI dedicò alla Madonna due
encicliche e tre esortazioni apostoliche. E per iniziativa di Papa
Montini la preghiera mariana dell’Angelus, recitata regolarmente già da
Giovanni XXIII ogni domenica a mezzogiorno, venne preceduta da un
messaggio di riflessione personale rivolto ai fedeli e generalmente
ispirato alla liturgia domenicale, che Paolo VI scrisse sempre di suo
pugno. Le due encicliche mariane – Mense maio del 1965 e Christi Matri
del 1966 – non affrontavano aspetti particolari ma promuovevano la
preghiera alla Vergine nei due mesi dell’anno a lei dedicati (maggio e
ottobre), soprattutto con l’intento, urgente in un momento storico molto
travagliato, di invocare la pace. Invece l’esortazione apostolica Signum magnum
che porta la data del 13 maggio 1967 – festività della Madonna di
Fatima e 25° anniversario della consacrazione dell’umanità al Cuore
Immacolato di Maria compiuta da Pio XII – si ricollega alla
proclamazione di «Maria Madre della Chiesa» e la approfondisce indicando
Maria come modello delle virtù cristiane, alla luce del Vangelo. Con la
Recurrens mensis october, esortazione del 7 ottobre 1969, Papa
Montini incoraggiava la preghiera a Maria, espressa soprattutto nella
forma del Rosario, perché, come evidenziava in alcune sue meditazioni
giovanili, la recita del Rosario sviluppa uno spirito filiale e di
semplicità. Ed era dunque «logica» pure la ripetizione delle preghiere
sui grani della corona poiché «siamo sempre all’abc della vita
spirituale» e «bisogna ribadire i concetti fondamentali, come a scuola».
Così intesa, la recita del Rosario non era più una preghiera semplice,
ma diventava difficile se fatta con vera fede, in quanto richiede
un’intensa meditazione sui principali misteri della fede.
L’ultima e più celebre esortazione mariana, la Marialis cultus,
ritenuta il documento mariano più importante di Paolo VI e pubblicata
quarant’anni fa, il 2 febbraio 1974, contempla aspetti sia teologici che
pastorali. Il Papa intendeva adeguare la pietà mariana, considerata
come «elemento intrinseco del culto cristiano», alle esigenze degli
uomini contemporanei, nel rispetto della tradizione. Nell’esempio di
Maria, esaltata sommamente per la sua umiltà, avrebbero potuto perciò
trovare un costante riferimento anche le donne del nostro tempo in
quanto, per Paolo VI, «Maria di Nazaret, pur completamente abbandonata
alla volontà del Signore, fu tutt’altro che donna passivamente remissiva
o di una religiosità alienante, ma donna che non dubita di proclamare
che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni
i potenti del mondo». La Madonna dunque nella prospettiva che ci offre
il documento di Paolo VI, e che si rivela ancor oggi di grande
attualità, non è solo intesa come donna purissima, angelicata e
verginale, ma rappresenta anche una «donna forte che conobbe povertà e
sofferenza, fuga ed esilio: situazioni che non possono sfuggire
all’attenzione di chi vuole assecondare con spirito evangelico le
energie liberatrici dell’uomo e della società».
https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/montini-e-immacolata
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