martedì 19 maggio 2020

DIALOGHI D'AMORE, di don Tiziano Soldavini


DIALOGHI D'AMORE
di TIZIANO SOLDAVINI

Commento. Le 24 Ore della passione di Nostro Signore Gesù Cristo di Luisa Piccarreta.




Dialoghi d’amore, di TIZIANO SOLDAVINI
Commento. Le 24 Ore della passione di Nostro Signore Gesù Cristo di Luisa Piccarreta.


Pregare le 24 Ore della Passione di nostro Signore Gesù Cristo è volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto (cf. Gv 19,37), è dialogare con l’Amore, accompagnati dalla brezza dello Spirito che istruisce e dà luce per comprendere «la parola della croce» (1 Cor 1,18), albero della verità e della vita, rivelazione dell’amore di Gesù, Volto amante e misericordioso del Padre.
«Colui che vuole onorare veramente la passione del Signore deve guardare con gli occhi del cuore Gesù Crocifisso, in modo di riconoscere nella sua carne la propria carne» (S. Leone Magno, papa, Disc. Sulla passione del Signore, 15, 3-4-).
Queste Ore, scritte dalla serva di Dio Luisa Piccarreta, sono balsamo per l’anima che mantengono vivo il reciproco amore tra l’Amato e l’amante, sono fuoco che fonde, medicina che guarisce, preghiera di consolazione a Gesù: esse ci aiutano ad amarlo con lo stesso amore e, nell’unico respiro, ci permettono di fare spazio al Suo dolore.
Le 24 Ore della Passione sono un reciproco bacio d’amore: ogni parola, come scintilla, fa ardere nel «Fiat voluntas tua» e, abbandonati in incandescenti dialoghi d’amore che pervadono tutto l’essere, si vive una vita appassionata nel compimento della Divina Volontà.


Tiziano Soldavini, Sacerdote diocesano, specializzato in Psicologia, Comunicazione e Formazione in scienze umane. Conduttore radiofonico a Radio Mater e Radio Kolbe. Accompagnatore nel cammino di crescita umana e spirituale, animatore d’incontri di formazione, giornate e ritiri spirituali. Ha pubblicato numerosi testi tra questi ricordiamo: Il perdono guarisce. È un dono possibile, un Vangelo (2012), L’Arte della gioia. Una luce che cambia la vita (2018).

Dialoghi d’amore
TIZIANO SOLDAVINI
Commento. Le 24 Ore della passione di Nostro Signore Gesù Cristo di Luisa Piccarreta.

Spiritualitas, 23
2020, cm 17x24, pp.640
ISBN 978-88-6788-212-0


********************************************************************

Premessa "DIALOGHI D'AMORE"
di  DON TIZIANO SOLDAVINI


Pregare «Le 24 ore della Passione di nostro Signore Gesù Cristo» è volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto (cf. 19,37), l'Agnello di Dio innalzato da terra (cf. Gv. 12,32).
Solo nel distogliere lo sguardo dalle cose vane per rimanere con lo sguardo fisso in Gesù, cuore a cuore con Lui, possiamo immergerci nel mistero del troppo grande amore.
«Figlia mia, ogniqualvolta l'anima pensa alla mia Passione, si ricorda di ciò che ho sofferto o mi compatisce, si rinnova in lei l'applicazione delle mie pene, il mio sangue sorge per inondarla e le mie piaghe si mettono in via per sanarla se è piagata, o per abbellirla se è sana, e tutti i miei meriti per arricchirla. Il traffico che fa è sorprendente, è come se mettesse al banco tutto ciò che feci e soffrii, e ne riscuote il doppio». (Luisa Piccarreta, Libro di Cielo, - L.d.C. -, Vol. 13°, 21.10.1921)
Nell'esperienza intima con Gesù si cresce nell'amore fino a raggiungerne la vetta più alta: la consegna di sé che realizza la cristificazione.
Essere concorporei, consanguinei di Gesù, è avere carne nuova e sangue nuovo, fusione d'amore non paragonabile a nessun legame originato nel sangue di parentela: «Non c'è che una parentela legittima, la quale consiste nel fare la volontà di Dio. E questo è un modo di parentela migliore e più importante di quella della carne»1.
«Figlia mia, sollevati, chi fa la mia Volontà non resta mai scompagnato da Me, anzi è insieme con Me nelle opere che compio, nei miei desideri, nel mio Amore, in tutto e dovunque è insieme con Me. Anzi posso dire che siccome voglio tutto per Me, affetti, desideri, ecc., di tutte le creature, non avendoli, Io sto in attitudine intorno alle creature per farne conquista; ora, trovando in chi fa la mia Volontà il compiacimento dei miei desideri, il mio desiderio si riposa in essa, il mio Amore prende riposo nel suo amore, e così di tutto il resto”. Poi ha soggiunto: “Ti ho dato due cose grandissime, che si può dire formavano la mia stessa Vita; la mia Vita fu racchiusa in questi due punti: Volontà Divina e Amore. E questa Volontà svolse in Me la mia Vita e compì la mia Passione. Non altro voglio da te, che la mia Volontà sia la tua vita, la tua regola e che in nessuna cosa, sia piccola o grande, sfugga da Essa, e questa Volontà svolgerà in te la mia Passione, e quanto più stretta starai alla mia Volontà, tanto più sentirai in te la mia Passione. Se farai scorrere in te come vita la mia Volontà, questa ti farà scorrere in te la mia Passione, sicché te la sentirai scorrere in ogni tuo pensiero, nella tua bocca, ti sentirai inzuppata la lingua, e la tua parola uscirà calda del mio sangue ed eloquentemente parlerai delle mie pene; il tuo cuore sarà pieno delle mie pene ed in ogni sbocco che darà, a tutto il tuo essere porterà l'impronta della mia Passione, ed Io ti andrò sempre ripetendo: “Ecco la mia Vita, ecco la mia Vita”. E mi diletterò di farti delle sorprese, narrandoti or una pena e ora un'altra non ancor da te sentita o compresa. Non ne sei contenta?» (L.d.C., Vol. 11°, 20.11.1914)
Pregare le 24 Ore della Passione è dialogare con l'Amore, accompagnati dalla brezza dello Spirito che istruisce e dà luce per comprendere «la parola della croce» (1Cor 1,18), albero della verità e della vita, rivelazione dell'amore di Gesù Volto amante e misericordioso del Padre, che, «in quel modo» (Mc 15,39), ha svelato se stesso come dono assoluto, per dare agli uomini il Suo regno, rivelazione della gloria di Dio tra gli uomini.
Queste ore sono balsamo per l'anima che mantengono vivo il reciproco amore tra l'Amato e l'amante, balsamo che rinvigorisce la piccolezza.
Sono fuoco che fonde, sciolgono il male, disperdono il veleno del peccato, liberano dai condizionamenti, sono valida medicina che guarisce ogni vuoto, malessere e mancanza di gioia, condizioni che impediscono di vivere giornate e istanti appassionati.
Nel pregare Le 24 Ore della Passione, inoltre, come figli teniamo compagnia e consoliamo Maria, la Desolata, Agnella associata a suo Figlio, l'Agnello, come madre e come partecipe della Sua Passione.
«Figlia mia, alla mia cara Mamma mai sfuggì il pensiero della mia Passione, e a forza di ripeterla si riempì tutta, tutta di Me. Così succede all'anima, a forza di ripetere ciò che Io soffrii, viene a riempirsi di Me». (L.d.C., Vol.11°, 29.3.1913)
Sono una preghiera di consolazione a Gesù innocente, solo, abbandonato, venduto, condannato, deriso, maltrattato, torturato, crocifisso, agonizzante, morto e sepolto; sono un canto d'amore di Gesù per coloro che ama di amore eterno, e fanno dire all'Amato: «Io sono per il mio diletto e la sua brama è verso di me» (Ct 7,11), ci aiutano ad amarlo con lo stesso amore e, nell'unico respiro, ci permettono di fare spazio al Suo dolore.
«Figlia mia, il mondo sta in continuo atto di rinnovare la mia Passione, e siccome la mia immensità involge tutti, dentro e fuori delle creature, così sono costretto dal loro contatto a ricevere chiodi, spine, flagelli, disprezzi, sputi e tutto il resto che soffrii nella Passione, e anche più. Ora, chi fa queste ore della mia Passione, dal contatto di queste mi sento togliere i chiodi, frantumare le spine, raddolcire le piaghe, togliere gli sputi, mi sento contraccambiare in bene il male che mi fanno gli altri, ed Io, sentendo che il loro contatto non mi fa male, ma bene, mi poggio sempre più su loro.» (L.d.C., Vol. 11°, 6.11.1914)
Dalla lettura e meditazione di queste Ore nasce una vita intima che si assimila e si dilata nell'amore, vita concreta e feconda che si estende e si consuma nell'amore senza fine.
«Figlia mia, sappi che col fare queste ore, l'anima prende i miei pensieri e li fa suoi, le mie riparazioni, le preghiere, i desideri, gli affetti, anche le più intime mie fibre e le fa sue, ed elevandosi su, tra il Cielo e la terra fa il mio stesso uffizio, e come corredentrice dice insieme con Me: “Ecce ego mitte me, [ Eccomi manda me] voglio ripararti per tutti, risponderti per tutti ed impetrare il bene a tutti.» (Idem)
Le 24 Ore della Passione sono il reciproco bacio d'amore del Crocifisso, il quale ha preso su di sé il nostro peccato e, incorporandoci in Lui, dona la salvezza a noi fratelli e figli che rispondiamo alla proposta dell'Amore e per grazia viviamo il Fiat e di Divina Volontà.
Ogni parola, come scintilla, fa ardere nel «Fiat voluntas tua» e, abbandonati in incandescenti dialoghi d'amore che pervadono tutto l'essere, si vive una vita appassionata nel compimento della Divina Volontà.
don Tiziano Soldavini

----------------------------------------------
1 San Giovanni Crisostomo, Omelia, XLIV, n.1. Vangelo di S. Matteo, 1-45.



*****************************************************************

PRESENTAZIONE "DIALOGHI D'AMORE"
di ERRICO NOVI


Noi cristiani abbiamo bisogno di immagini. Custodiamo Dio nel cuore ma amiamo guardarlo. E amiamo guardare la Croce. Contemplarla, trovare in lei la Verità. Ma abbiamo un limite, che è il tempo, innanzitutto, il tempo e lo spazio della nostra vita, che sono troppo miseri.
Solo la rinuncia a ogni altro tempo, spazio, consunzione del corpo se non in Gesù, può forse condurre a vedere la Verità, almeno a vederne una parte più grande. Non tutti conoscono l’eroismo mistico di Luisa Piccarreta quale magnifico esempio di tale sacrificio. Ecco, Don Tiziano Soldavini, con i suoi “Dialoghi d’Amore”, ci conduce a conoscere l’esperienza di questa testimone straordinaria dell’Amore di Gesù, attraverso il commento di una sua opera incredibile, “Le 24 ore della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo”, del 1914. Gesù concede a Luisa la grazia di farle «morire continuamente» la sua volontà in modo che risorga in lei «la vita della Divina Volontà». Ebbene, tale grazia diventa occasione di gioia per noi.
Le pagine in cui Soldavini ci conduce alla scoperta dello scritto regalatoci 106 anni fa da Luisa sono un’occasione per illuminare l’anima. E trarre conforto dalla condivisione che Luisa ebbe del dolore di Cristo.
Si tratta di un’immersione mistica, in cui, ci ricorda don Tiziano, bisogna affidarsi a una guida, lo Spirito Santo, che aiuta a comprendere il messaggio, anzi, «la parola della Croce».
Avviene qualcosa di impensabile. Perché Tiziano Soldavini ci ricorda come la mistica unione di Luisa a Gesù arrivi a rinfrancare il Signore, a essere avvertita dal Figlio come ristoro dalle ferite della Passione.
È chiaro che un cammino straordinario come l’esperienza mistica concessa a Luisa sfugge a tutti noi, e ci precipita nello sconforto dell’inadeguatezza. Eppure quel miracolo è in realtà emblema, pare volerci suggerire Don Tiziano, di cosa può essere la nostra vita grazie a Gesù: perché se ci si convince di essere persino conforto al Divino, si ha l’impressione più nitida e geniale dell’Amore che ci lega a Lui. Non della semplice sudditanza di figli, ma dell’Amore, del pieno connubio. E passare dalla nostra consueta condizione di peccatori a quella di figli, così amati da riuscire a rinfrancare addirittura il cuore di Gesù, è impresa così straordinaria da riuscire a incoraggiarci. Da consentirci cioè di percepire la vita piena vissuta nella Divina Volontà non come un miraggio irraggiungibile, ma quale condizione che tutti noi possiamo vivere. Nella gioia e nel sorriso dell’anima.
Ecco perché l’esperienza che Don Tiziano ci propone con il suo commento a “Le 24 Ore della Passione” è in realtà alimento inestinguibile, una catena da afferrare per sottrarsi alla schiavitù della miseria. I “Dialoghi d’Amore” sono una palestra dell’anima in cui recarci per fare esercizio, e per uscirne irrobustiti nello spirito, tonificati nella speranza e nella gioia.
In un suo precedente, splendido libro, “L’arte della gioia”, Soldavini aveva immaginato a un tratto delle “palestre della gioia”. Vere e proprie scuole dove apprendere l’arte e avviarci a praticarla. Non ha perso tempo. È passato dalla teoria alla pratica. Ha messo in piedi lui una ben attrezzata palestra proprio con questo libro, con questo invito a riscoprire l’opera di Luisa Piccarreta. Come lei stessa nel 1914 scrisse al confessore che le aveva sollecitato “Le 24 Ore”, ossia Sant’Annibale Maria Di Francia, “se colui che le mediterà è peccatore, si convertirà, se è imperfetto diverrà perfetto, se è santo si farà più santo, se è tentato troverà la vittoria, se è sofferente troverà in queste Ore la forza, la medicina, il conforto; e se l’anima sua è debole e povera, troverà un cibo spirituale ed uno specchio dove si rimirerà di continuo per abbellirsi e farsi simile a Gesù nostro modello”.
Facciamone tesoro. Approfittiamo del regalo di Don Tiziano. Ci aiuta a leggere “Le 24 Ore”, si offre come guida per viaggiare nell’opera di Piccarreta. Approfittiamone perché ne usciremo rafforzati nell’anima. E capaci di aprirci inaspettatamente a una gioia di cui non ci sentivamo degni.
ERRICO NOVI
Giornalista del quotidiano Il Dubbio, giornale promosso dal Consiglio nazionale forense



------------------------------
La Redazione di ARTCUREL ringrazia l'Autore don Tiziano Soldavini (email: dontizianosoldavini@gmail.com ) del libro "Dialoghi d'amore" per aver inviato la documentazione per l'articolo.


lunedì 18 maggio 2020

LETTERA DI PAPA BENEDETTO XVI Per il centenario della nascita del Santo Papa Giovanni Paolo II (18 maggio 2020)



LETTERA DI PAPA BENEDETTO XVI
Per il centenario della nascita 
del Santo Papa Giovanni Paolo II
(18 maggio 2020)
 

   Il 18 maggio si celebrerà il centenario della nascita di Papa Giovanni Paolo II nella piccola città polacca di Wadowice.
    La Polonia, divisa e occupata dai tre imperi vicini – Prussia, Russia e Austria –per oltre un secolo, riconquistò l’indipendenza dopo la prima guerra mondiale. Fu un evento che suscitò grandi speranze, ma che richiese anche grandi sforzi, visto che lo Stato che si riprendeva sentiva costantemente la pressione di entrambe le potenze – Germania e Russia. In questa situazione di oppressione, ma soprattutto di speranza, crebbe il giovane Karol Wojtyła, che purtroppo perse molto presto la madre, il fratello e infine il padre, al quale doveva la sua profonda e fervente devozione. L’attrazione particolare del giovane Karol verso la letteratura ed il teatro, lo portarono dopo la laurea allo studio di queste materie.
   “Per evitare di essere deportato in Germania per i lavori forzati, nell’autunno del 1940 iniziò a lavorare come operaio fisico nella cava associata alla fabbrica chimica Solvay” (Cfr. Giovanni Paolo II, Dono e mistero). “Nell’autunno del 1942, prese la decisione definitiva di entrare nel Seminario di Cracovia, organizzato segretamente dall’arcivescovo di Cracovia Sapieha nella sua residenza. Già da operaio iniziò a studiare teologia su vecchi libri di testo, per poter essere ordinato sacerdote il 1̊ novembre 1946” (Cfr. Ibid.). Tuttavia, imparò la teologia non solo dai libri, ma anche traendo utili insegnamenti dal contesto specifico in cui lui ed il suo Paese si trovavano. Questo sarebbe stato un tratto peculiare che avrebbe contraddistinto tutta la sua vita ed attività. Impara dai libri, ma vive anche di questioni attuali che lo tormentano. Così, per lui da giovane vescovo – dal 1958 vescovo ausiliare e dal 1964 arcivescovo di Cracovia – il Concilio Vaticano II fu la scuola di tutta la sua vita e del suo lavoro. Le importanti questioni che emersero, soprattutto quelle relative al cosiddetto Schema XIII – la successiva Costituzione Gaudium et Spes – furono le sue domande personali. Le risposte elaborate al Concilio mostrarono l’indirizzo che avrebbe dato al suo lavoro prima da vescovo e poi da Papa.
   Quando il 16 ottobre 1978 il cardinale Wojtyła fu eletto Successore di Pietro, la Chiesa si trovava in una situazione drammatica. Le deliberazioni del Concilio furono presentate in pubblico come una disputa sulla fede stessa, che sembrava così priva del suo carattere di certezza infallibile e inviolabile. Per esempio, un parroco bavarese descrisse questa situazione con le seguenti parole: “Alla fine siamo caduti in una fede sbagliata”. Questa sensazione che nulla fosse certo più, che tutto potesse essere messo in discussione, fu ulteriormente alimentata dal modo in cui fu condotta la riforma liturgica. Alla fine sembrava che anche nella liturgia tutto si potesse creare da solo. Paolo VI condusse il Concilio con vigore e decisione fino alla sua conclusione, dopo la quale affrontò problemi sempre più difficili, che alla fine misero in discussione la Chiesa stessa. I sociologi dell’epoca paragonavano la situazione della Chiesa a quella dell’Unione Sovietica sotto Gorbaciov, dove nella ricerca delle riforme necessarie l’intera potente immagine dello Stato sovietico alla fine crollò.
   Così, dinnanzi al nuovo Papa si presentò di fatto un compito assai arduo da affrontare con le sole capacità umane. Dapprincipio, però, si rivelò in Giovanni Paolo II la capacità di suscitare una rinnovata ammirazione per Cristo e per la sua Chiesa. In principio furono le parole pronunciate per l’inizio del suo pontificato, il suo grido: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!” Questo tono caratterizzò tutto il suo pontificato rendendolo un rinnovatore e liberatore della Chiesa. Questo perché il nuovo Papa proveniva da un Paese dove ale il Concilio era stato accolto in modo positivo. Il fattore decisivo non fu quello di dubitare di tutto, ma di rinnovare tutto con gioia.
   Nei 104 grandi viaggi pastorali che condussero il Pontefice in tutto il mondo, predicò il Vangelo come una notizia gioiosa, spiegando così anche il dovere di ricevere il bene e il Cristo. 
   In 14 encicliche presentò in modo nuovo la fede della Chiesa e il suo insegnamento umano. Inevitabilmente, quindi, suscitò opposizione nelle Chiese d’Occidente piene di dubbi.
    Oggi mi sembra importante indicare il centro giusto dal quale leggere il messaggio contenuto nei diversi testi, il quale si pose all’attenzione di noi tutti nell’ora della sua morte. Papa Giovanni Paolo II è morto nelle prime ore della Festa della Divina Misericordia istituita da lui stesso. Vorrei inizialmente aggiungere qui una piccola nota personale che ci mostra qualcosa di importante per comprendere l’essenza e la condotta di questo Papa. Fin dall’inizio, Giovanni Paolo II rimase molto colpito dal messaggio della suora di Cracovia Faustina Kowalska, che aveva presentato la misericordia di Dio come il centro essenziale di tutta la fede cristiana e aveva voluto istituire la festa della Divina Misericordia. Dopo le consultazioni, il Papa previde per essa la Domenica in albis. Tuttavia, prima di prendere una decisione definitiva, chiese il parere della Congregazione per la Dottrina della Fede per valutare l’opportunità di tale scelta. Demmo una risposta negativa ritenendo che una data così importante, antica e piena di significato come la Domenica in albis non dovesse essere appesantita da nuove idee. Per il Santo Padre, accettare il nostro “no” non fu certo facile. Ma lo fece con tutta umiltà e accettò il nostro secondo “no”. Infine, formulò una proposta che pur lasciando alla Domenica in albis il suo significato storico, gli permise di introdurre la misericordia di Dio nel suo nella sua accezione originale. Ci sono stati spesso casi in cui rimasi impressionato dall’umiltà di questo grande Papa, che rinunciò alle sue idee favorite quando non c’era il consenso degli organi ufficiali, il quale – secondo l’ordine classico delle cose – si doveva chiedere.
Quando Giovanni Paolo II esalò l’ultimo respiro in questo mondo, si era già dopo i primi Vespri della Festa della Divina Misericordia. Ciò illuminò l’ora della sua morte: la luce della misericordia di Dio rifulse sulla sua morte come un messaggio di conforto. Nel suo ultimo libro, Memoria e identità, apparso quasi alla vigilia della sua morte, il Papa presentò ancora una volta brevemente il messaggio della misericordia divina. In esso egli fece notare che suor Faustina morì prima degli orrori della seconda guerra mondiale, ma aveva già diffuso la risposta del Signore a questi orrori. “Il male non riporta la vittoria definitiva! Il mistero pasquale conferma che il bene, in definitiva, è vittorioso; che la vita sconfigge la morte e sull’odio trionfa l’amore”.
Tutta la vita del Papa fu incentrata su questo proposito di accettare soggettivamente come suo il centro oggettivo della fede cristiana – l’insegnamento della salvezza – e di consentire agli altri di accettarlo. Grazie a Cristo risorto, la misericordia di Dio è per tutti. Anche se questo centro dell’esistenza cristiana ci è dato solo nella fede, esso ha anche un significato filosofico, perché – dato che la misericordia divina non è un dato di fatto – dobbiamo anche fare i conti con un mondo in cui il contrappeso finale tra il bene e il male non è riconoscibile. In definitiva, al di là di questo significato storico oggettivo, tutti devono sapere che la misericordia di Dio alla fine si rivelerà più forte della nostra debolezza. Qui dobbiamo trovare l’unità interiore del messaggio di Giovanni Paolo II e le intenzioni fondamentali di Papa Francesco: Contrariamente a quanto talvolta si dice, Giovanni Paolo II non è un rigorista della morale. Dimostrando l’importanza essenziale della misericordia divina, egli ci dà l’opportunità di accettare le esigenze morali poste all’uomo, benché non potremo mai soddisfarlo pienamente. I nostri sforzi morali vengono intrapresi sotto la luce della misericordia di Dio, che si rivela essere una forza che guarisce la nostra debolezza.
   Durante il trapasso di Giovanni Paolo II, Piazza San Pietro era piena di persone, soprattutto di giovani, che volevano incontrare il loro Papa per l’ultima volta. Non dimenticherò mai il momento in cui l’arcivescovo Sandri annunciò la scomparsa del Papa. Soprattutto non scorderò il momento in cui la grande campana di San Pietro rivelò questa notizia. Il giorno del funerale del Santo Padre si potevano vedere moltissimi striscioni con la scritta “Santo subito”. Fu un grido che, da tutte le parti, sorse dall’incontro con Giovanni Paolo II. E non solo in Piazza San Pietro, ma in vari circoli di intellettuali si era discusso sulla possibilità di concedere a Giovanni Paolo II l’appellativo di “Magno”.
    La parola “santo” indica la sfera divina, e la parola “magno” indica la dimensione umana. Secondo i principi della Chiesa, la santità viene valutata sulla base di due criteri: le virtù eroiche e il miracolo. Questi due criteri sono strettamente collegati tra di loro. Il concetto di “virtù eroiche” non significa un successo olimpico, ma il fatto che quello che dentro e attraverso una persona è visibile non ha una fonte nell’uomo stesso, ma è ciò che rivela l’azione di Dio dentro e attraverso di lui. Non si tratta di competizione morale, ma di rinunciare alla propria grandezza. Si tratta di un uomo che permette a Dio di agire dentro di sé e quindi di rendere visibile attraverso di sé l’azione e la potenza di Dio.
   Lo stesso vale per il criterio del miracolo. Anche qui non si tratta di qualcosa di sensazionale, ma del fatto che la bontà guaritrice di Dio diventa visibile in un modo che supera le capacità umane. Un santo è un uomo aperto, penetrato da Dio. Un santo è una persona aperta a Dio, permeata da Dio. Un santo è uno che non concentra l’attenzione su se stesso, ma ci fa vedere e riconoscere Dio. Lo scopo dei processi di beatificazione e canonizzazione è proprio quello di esaminarlo secondo le norme della legge. Per quanto riguarda Giovanni Paolo II, entrambi i processi sono stati eseguiti rigorosamente secondo le regole vincolanti. Così ora egli si presenta davanti a noi come un padre che ci mostra la misericordia e la bontà di Dio.
È più difficile definire correttamente il termine “magno”. Durante i quasi duemila anni di storia del papato, l’appellativo “Magno” è stato adottato solo con riferimento a due papi: a Leone I (440-461) e a Gregorio I (590-604). La parola “magno” ha un’impronta politica presso entrambi, ma nel senso che, attraverso i successi politici, si rivela qualcosa del mistero di Dio stesso. Leone Magno, in una conversazione con il capo degli unni Attila, lo convinse a risparmiare Roma, la città degli apostoli Pietro e Paolo. Senza armi, senza potere militare o politico, riuscì a persuadere il terribile tiranno a risparmiare Roma grazie alla propria convinzione della fede. Nella lotta dello spirito contro il potere, lo spirito si dimostrò più forte.
Gregorio I non ottenne un successo altrettanto spettacolare, ma riuscì comunque a salvare più volte Roma dai Longobardi – anche lui, contrapponendo lo spirito al potere, riportò la vittoria dello spirito.
  Quando confrontiamo la storia di entrambi con quella di Giovanni Paolo II, la somiglianza è innegabile. Anche Giovanni Paolo II non aveva né forza militare né potere politico. Nel febbraio 1945, quando si parlava della futura forma dell’Europa e della Germania, qualcuno fece notare che bisognava tener conto anche dell’opinione del Papa. Stalin chiese allora: “Quante divisioni ha il Papa?” Naturalmente non ne aveva. Ma il potere della fede si rivelò una forza che, alla fine del 1989, sconvolse il sistema di potere sovietico e permise un nuovo inizio. Non c’è dubbio che la fede del Papa sia stata un elemento importante per infrangere questo potere. E anche qui possiamo certamente vedere la grandezza che si manifestò nel caso di Leone I e Gregorio I.
  La questione se in questo caso l’appellativo “magno” sarà accettato o meno deve essere lasciata aperta. È vero che in Giovanni Paolo II la potenza e la bontà di Dio è diventata visibile a tutti noi. In un momento in cui la Chiesa soffre di nuovo per l’assalto del male, egli è per noi un segno di speranza e di conforto.

Caro San Giovanni Paolo II, prega per noi!

Benedetto XVI



Post più popolari negli ultimi 30 giorni