sabato 18 dicembre 2021

La Trinità in noi, di fr. Jean-Gabriel Pophillat, O.P.

 

LA TRINITA' IN NOI

di fr. Jean-Gabriel Pophillat, O.P.




Chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. (1 Gv 16)

Al momento del nostro battesimo, le tre Persone Divine della Santissima Trinità hanno preso come dimora la nostra anima, e noi siamo diventati templi viventi del Dio Vivente: Non sapete che siete il tempio di Dio? (1 Cor 3,16).

Grazie a questa inabitazione divina, godiamo di una immensa intimità con Dio, più intensa di quella con il proprio migliore amico (Leone XIII, Divinum Illud Munus, 9). Come possiamo spiegare questa verità, che sta al fondamento della nostra vita cristiana?

Innanzitutto, dobbiamo notare che Dio è presente in ogni creatura: Lo Spirito del Signore riempie l’universo (Sap 1,7). S. Tommaso d’Aquino ci spiega che Dio è presente in ogni creatura in tre modi: per potenza, perché ogni creatura è sottomesso al suo potere; per presenza, perché ogni cosa è scoperto ai suoi occhi; e per l’essenza, perché Dio è la causa del loro essere (S. Th. I, q. 8, a. 3). Quest’ultima — la presenza per essenza — è degna di nota. Dio è l’Essere stesso per essenza, e comunica l’essere a tutte le creature, creandole e conservandole in esistenza. Dando loro l’esistenza, Dio dona alle creature una partecipazione a ciò che lui è per l’essenza. Siccome non c’è niente di più intimo e profondo in ogni creatura che la loro stessa esistenza, possiamo dire che Dio è veramente presente in ogni creatura in modo intimo1.

Però, questa intimità di Dio con ogni creatura non è sufficiente per spiegare la presenza di Dio nei battezzati. Abbiamo visto sopra che Dio è in ogni creatura per la sua potenza: comunicando a loro l’essere, e muovendole nelle loro attività. In ogni atto di ogni creatura, la creatura è sostenuta dalla potenza di Dio.

I battezzati, però, avendo ricevuto la grazia santificante, sono capaci delle operazioni o delle attività propriamente teologali, divinizzati: queste attività superano la capacità naturale dell’uomo, e raggiungono Dio stesso (In I Sent., dist. 37, expositio textus). Per esercitare queste attività, l’uomo ha bisogno di essere sostenuto dalla potenza di Dio in modo tutto speciale: per questo, possiamo dire che Dio abita specialmente nelle anime dei santi, e che le loro anime sono riempite dalla presenza di Dio (De rationibus fidei, c. 6). Quali sono queste attività teologali? Si tratta delle due attività con cui la nostra intelligenza e la nostra volontà sono divinizzate:la conoscenza teologale della fede, e l’amore teologale della carità. Dio esercita la sua potenza dandoci le virtù teologali della fede e della carità, e muovendoci a compiere gli atti di queste virtù2.

Dio non è presente nell’anima di ogni cristiano soltanto per quanto le sue attività viene sostenuta da Lui: attraverso la fede e la carità, Dio è presente nei battezzati come il conosciuto è in chi conosce, e l’amato in chi ama (S. Th. I, q. 43, a. 3).

Cerchiamo di capire questo. Ogni volta che conosco qualcosa, questo oggetto diventa in qualche modo presente nella mia intelligenza. Se conosco un elefante, questo elefante è presente in me: evidentemente, non parliamo di una presenza fisica, ma di ciò che viene chiamato una presenza intenzionale, un verbo che rende presente una realtà in noi come intelligibile3.

Allo stesso modo, l’amore produce una certa presenza dell’amato nella volontà di chi ama. Se Romeo si innamora di Giulietta, Giulietta è in qualche modo presente in Romeo, come una certa inclinazione verso di lei, una forza vitale che spinge l’amante verso l’amata4: l’amore per Giulietta produce in Romeo una certa impressione dell’amore (cfr. S. Th. I, q. 37, a. 1).

Grazie alla fede e alla carità, allora, l’uomo conosce e ama Dio, e Dio è presente nell’uomo. Non si tratta una conoscenza e amore soltanto naturale di Dio — sempre possibile e di altissimo valore — ma di una conoscenza e amore soprannaturale, divinizzata dalla grazia. Naturalmente, l’uomo può conoscere Dio in quanto è Causa Prima di ogni cosa. Però, questa conoscenza non raggiunge la realtà stessa Dio: questo avviene soltanto con la conoscenza teologale della fede. La fede e la carità ci fa raggiungere Dio in se stesso5.

Questa inabitazione di Dio nell’anima dei battezzati, trova la sua struttura nella vita intima della Santissima Trinità stessa.

Lo Spirito Santo, primo Dono dell’Altissimo6, ci dona la grazia al momento del battesimo. Questa grazia ci dà la fede, che perfeziona il nostro intelletto, facendoci conoscere Dio, la Verità Prima. Questa perfezione dell’intelligenza è attribuita al Figlio, in quanto Verbo proferito dal Padre, in cui è espressa tutta la Sapienza Divina.

Questa conoscenza che perfeziona la nostra intelligenza, non è una conoscenza asciutta, fredda. fr. Jean-Gabriel Pophillat, O.P.No, è una conoscenza che prorompe nell’amore: l’amore della carità, che ci fa amici di Dio (cfr. S. Th. I, q. 43, a. 5, ad 2). Questo amore è attribuita allo Spirito Santo, che è Amore Increato ed Eterno, l’amore del Padre e del Figlio.

Fin dall’eternità, il Verbo è generato dal Padre. Similmente, nel tempo, il Padre manda il Figlio che abita nella nostra anima: il Padre ha mandato me… (Gv 20,21). Abitando nella nostra anima, il Figlio ci manifesta il Padre comunicandoci la sua dottrina, e ci conduce al Padre.

Fin dall’eternità, lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio. Ora, lo Spirito Santo è inviato dal Padre e dal Figlio nei nostri cuori: lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome (Gv 14,17). Abitando nella nostra anima come amore, ci conduce al Figlio, facendoci conoscere più intimamente il Figlio e la sua dottrina. Pensiamo al modo in cui una persona può essere conosciuta da uno straniero, e il modo in cui viene conosciuto da un amico. La differenza è grande! Lo Spirito Santo, allora, accende nei nostri cuori l’amore di Dio, e ce lo fa conoscere non come uno straniero, ma come un amico amato.

Così, la presenza del Figlio e dello Spirito Santo nell’intimità delle nostre anime è come una continuazione delle processioni eterne nell’intimità della Trinità: il Figlio come Verbo, lo Spirito Santo come Amore7. Similmente, la conoscenza e l’amore di Dio ci rende simili a Dio, sua immagine, proprio perché la Santissima Trinità è una comunione intima di conoscenza e di amore8.

La presenza di Dio in noi, quindi, è una presenza dinamica: amore e conoscenza si nutrono a vicenda, crescano insieme, e ci spingono verso una unione sempre più profonda con Dio. Il Figlio perfeziona il nostro intelletto con la conoscenza teologale: una conoscenza che prorompe nell’amore dello Spirito Santo; amore che ci conduce al Figlio, verso una sempre più profonda conoscenza dei misteri divini, conoscenza che prorompe sempre in un amore più intenso; tutto in un cammino verso Dio Padre. Crescendo sempre in fede e carità, tutto troverà il suo compimento in cielo, quando contempleremo Dio così come Egli è: la conoscenza della fede darà luogo alla piena visione amorevole della Santissima Trinità.

Noi tutti abbiamo ricevuto i doni della fede e della carità al nostro battesimo, e con questi, Dio si è dato veramente a noi. Non dobbiamo allora onorare questo ospite divino, vivendo sempre più intimamente in comunione con Lui? La via verso l’unione non è nient’altro che quella della fede e la carità ancora una volta: una via aperta a tutti. Quando cresciamo nella vita della grazia e compiamo atti più grandi delle virtù teologali, la vita divina diventa sempre più intensa in noi9.

Cerchiamo, allora, di crescere sempre nella nostra unione con il nostro ospite divino, vivendo sempre nella sua dolce presenza:

O miei Tre, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine Infinita, Immensità in cui mi perdo, mi consegno a voi come una preda. Seppellitevi in me, perché mi seppellisca in voi, in attesa di venire a contemplare nella vostra luce l’abisso delle vostre grandezze. Amen. (Santa Elisabetta della Trinità)


fr. Jean-Gabriel Pophillat, O.P.
Convento S. Maria sopra Minerva, Roma


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1 Gilles Emery, Présence de Dieu et union à Dieu, Paris (Parole et Silence), 2017. 64. cfr. S. Th. I, q. 8, a. 1.
2 ibid. 71.
3 cfr. Guy Mansini, “Development of the Development of Doctrine”, in Angelicum, 93 (2016). 807.
4 Jean-Pierre Torrell, Tommaso d’Aquino: Maestro Spirituale, Roma (Città Nuova), 1998. 108.
5 Gilles Emery, La Théologie Trinitaire de Saint Thomas d’Aquin, Paris (Editions du Cerf), 2004. 451.
6 cfr. L’inno Veni Creator Spiritus
7 Bernard Blankenhorn, The Mystery of Union with God: Dionysian Mysticism in Albert the Great and Thomas Aquinas, Washington D.C. (Catholic University of America Press), 2015. 251.
8 cfr. Torrell, Tommaso d’Aquino. 109.
9 Emery, La Théologie Trinitaire. 455-456.

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Fonte: https://www.dominicanes.it/predicazione/meditazioni/1652-la-trinita-in-noi.html


ADMIRABILE SIGNUM di Papa Francesco, Lettera Apostolica sul significato e il valore del presepe


ADMIRABILE SIGNUM

di Papa Francesco

Lettera Apostolica sul significato e il valore del presepe.




1. Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui.

Con questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze... È davvero un esercizio di fantasia creativa, che impiega i materiali più disparati per dare vita a piccoli capolavori di bellezza. Si impara da bambini: quando papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono questa gioiosa abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare. Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in disuso, possa essere riscoperta e rivitalizzata.

2. L’origine del presepe trova riscontro anzitutto in alcuni dettagli evangelici della nascita di Gesù a Betlemme. L’Evangelista Luca dice semplicemente che Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (2,7). Gesù viene deposto in una mangiatoia, che in latino si dice praesepium, da cui presepe.

Entrando in questo mondo, il Figlio di Dio trova posto dove gli animali vanno a mangiare. Il fieno diventa il primo giaciglio per Colui che si rivelerà come «il pane disceso dal cielo» (Gv 6,41). Una simbologia che già Sant’Agostino, insieme ad altri Padri, aveva colto quando scriveva: «Adagiato in una mangiatoia, divenne nostro cibo» (Serm. 189,4). In realtà, il presepe contiene diversi misteri della vita di Gesù e li fa sentire vicini alla nostra vita quotidiana.

Ma veniamo subito all’origine del presepe come noi lo intendiamo. Ci rechiamo con la mente a Greccio, nella Valle Reatina, dove San Francesco si fermò venendo probabilmente da Roma, dove il 29 novembre 1223 aveva ricevuto dal Papa Onorio III la conferma della sua Regola. Dopo il suo viaggio in Terra Santa, quelle grotte gli ricordavano in modo particolare il paesaggio di Betlemme. Ed è possibile che il Poverello fosse rimasto colpito, a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dai mosaici con la rappresentazione della nascita di Gesù, proprio accanto al luogo dove si conservavano, secondo un’antica tradizione, le tavole della mangiatoia.

Le Fonti Francescane raccontano nei particolari cosa avvenne a Greccio. Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello».[1] Appena l’ebbe ascoltato, il fedele amico andò subito ad approntare sul luogo designato tutto il necessario, secondo il desiderio del Santo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti.[2]

È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero.

Il primo biografo di San Francesco, Tommaso da Celano, ricorda che quella notte, alla scena semplice e toccante s’aggiunse anche il dono di una visione meravigliosa: uno dei presenti vide giacere nella mangiatoia Gesù Bambino stesso. Da quel presepe del Natale 1223, «ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia».[3]

3. San Francesco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di evangelizzazione. Il suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità. D’altronde, il luogo stesso dove si realizzò il primo presepe esprime e suscita questi sentimenti. Greccio diventa un rifugio per l’anima che si nasconde sulla roccia per lasciarsi avvolgere nel silenzio.

Perché il presepe suscita tanto stupore e ci commuove? Anzitutto perché manifesta la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato.

Comporre il presepe nelle nostre case ci aiuta a rivivere la storia che si è vissuta a Betlemme. Naturalmente, i Vangeli rimangono sempre la fonte che permette di conoscere e meditare quell’Avvenimento; tuttavia, la sua rappresentazione nel presepe aiuta ad immaginare le scene, stimola gli affetti, invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali.

In modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi (cfr Mt 25,31-46).

4. Mi piace ora passare in rassegna i vari segni del presepe per cogliere il senso che portano in sé. In primo luogo, rappresentiamo il contesto del cielo stellato nel buio e nel silenzio della notte. Non è solo per fedeltà ai racconti evangelici che lo facciamo così, ma anche per il significato che possiede. Pensiamo a quante volte la notte circonda la nostra vita. Ebbene, anche in quei momenti, Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo. La sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza (cfr Lc 1,79).

Una parola meritano anche i paesaggi che fanno parte del presepe e che spesso rappresentano le rovine di case e palazzi antichi, che in alcuni casi sostituiscono la grotta di Betlemme e diventano l’abitazione della Santa Famiglia. Queste rovine sembra che si ispirino alla Legenda Aurea del domenicano Jacopo da Varazze (secolo XIII), dove si legge di una credenza pagana secondo cui il tempio della Pace a Roma sarebbe crollato quando una Vergine avesse partorito. Quelle rovine sono soprattutto il segno visibile dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va in rovina, che è corrotto e intristito. Questo scenario dice che Gesù è la novità in mezzo a un mondo vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il mondo al loro splendore originario.

5. Quanta emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore.

«Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15): così dicono i pastori dopo l’annuncio fatto dagli angeli. È un insegnamento molto bello che ci proviene nella semplicità della descrizione. A differenza di tanta gente intenta a fare mille altre cose, i pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione. A Dio che ci viene incontro nel Bambino Gesù, i pastori rispondono mettendosi in cammino verso di Lui, per un incontro di amore e di grato stupore. È proprio questo incontro tra Dio e i suoi figli, grazie a Gesù, a dar vita alla nostra religione, a costituire la sua singolare bellezza, che traspare in modo particolare nel presepe.

6. Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzitutto, quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno titolo, senza che nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri attorno ad essa non stonano affatto. I poveri, anzi, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi.

I poveri e i semplici nel presepe ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza. Gesù, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso. Dal presepe emerge chiaro il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte effimere di felicità. Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia. Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato.

Spesso i bambini – ma anche gli adulti! – amano aggiungere al presepe altre statuine che sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici. Eppure, questa immaginazione intende esprimere che in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù c’è spazio per tutto ciò che è umano e per ogni creatura. Dal pastore al fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai bambini che giocano…: tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con noi la sua vita divina.

7. Poco alla volta il presepe ci conduce alla grotta, dove troviamo le statuine di Maria e di Giuseppe. Maria è una mamma che contempla il suo bambino e lo mostra a quanti vengono a visitarlo. La sua statuetta fa pensare al grande mistero che ha coinvolto questa ragazza quando Dio ha bussato alla porta del suo cuore immacolato. All’annuncio dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di Dio, Maria rispose con obbedienza piena e totale. Le sue parole: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), sono per tutti noi la testimonianza di come abbandonarsi nella fede alla volontà di Dio. Con quel “sì” Maria diventava madre del Figlio di Dio senza perdere, anzi consacrando grazie a Lui la sua verginità. Vediamo in lei la Madre di Dio che non tiene il suo Figlio solo per sé, ma a tutti chiede di obbedire alla sua parola e metterla in pratica (cfr Gv 2,5).

Accanto a Maria, in atteggiamento di proteggere il Bambino e la sua mamma, c’è San Giuseppe. In genere è raffigurato con il bastone in mano, e a volte anche mentre regge una lampada. San Giuseppe svolge un ruolo molto importante nella vita di Gesù e di Maria. Lui è il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia. Quando Dio lo avvertirà della minaccia di Erode, non esiterà a mettersi in viaggio ed emigrare in Egitto (cfr Mt 2,13-15). E una volta passato il pericolo, riporterà la famiglia a Nazareth, dove sarà il primo educatore di Gesù fanciullo e adolescente. Giuseppe portava nel cuore il grande mistero che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa, e da uomo giusto si è sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica.

8. Il cuore del presepe comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponiamo la statuina di Gesù Bambino. Dio si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le nostre braccia. Nella debolezza e nella fragilità nasconde la sua potenza che tutto crea e trasforma. Sembra impossibile, eppure è così: in Gesù Dio è stato bambino e in questa condizione ha voluto rivelare la grandezza del suo amore, che si manifesta in un sorriso e nel tendere le sue mani verso chiunque.

La nascita di un bambino suscita gioia e stupore, perché pone dinanzi al grande mistero della vita. Vedendo brillare gli occhi dei giovani sposi davanti al loro figlio appena nato, comprendiamo i sentimenti di Maria e Giuseppe che guardando il bambino Gesù percepivano la presenza di Dio nella loro vita.

«La vita infatti si manifestò» (1 Gv 1,2): così l’apostolo Giovanni riassume il mistero dell’Incarnazione. Il presepe ci fa vedere, ci fa toccare questo evento unico e straordinario che ha cambiato il corso della storia, e a partire dal quale anche si ordina la numerazione degli anni, prima e dopo la nascita di Cristo.

Il modo di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla sua gloria per farsi uomo come noi. Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini! Come sempre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente fuori dai nostri schemi. Dunque il presepe, mentre ci mostra Dio così come è entrato nel mondo, ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio; invita a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo della vita.

9. Quando si avvicina la festa dell’Epifania, si collocano nel presepe le tre statuine dei Re Magi. Osservando la stella, quei saggi e ricchi signori dell’Oriente si erano messi in cammino verso Betlemme per conoscere Gesù, e offrirgli in dono oro, incenso e mirra. Anche questi regali hanno un significato allegorico: l’oro onora la regalità di Gesù; l’incenso la sua divinità; la mirra la sua santa umanità che conoscerà la morte e la sepoltura.

Guardando questa scena nel presepe siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che ogni cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia.

I Magi insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo. Sono uomini ricchi, stranieri sapienti, assetati d’infinito, che partono per un lungo e pericoloso viaggio che li porta fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Davanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non si lasciano scandalizzare dalla povertà dell’ambiente; non esitano a mettersi in ginocchio e ad adorarlo. Davanti a Lui comprendono che Dio, come regola con sovrana sapienza il corso degli astri, così guida il corso della storia, abbassando i potenti ed esaltando gli umili. E certamente, tornati nel loro Paese, avranno raccontato questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando il viaggio del Vangelo tra le genti.

10. Davanti al presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini e con impazienza si aspettava il tempo per iniziare a costruirlo. Questi ricordi ci inducono a prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto trasmettendoci la fede; e al tempo stesso ci fanno sentire il dovere e la gioia di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperienza. Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita. Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi.

Cari fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità. Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli.

Dato a Greccio, nel Santuario del Presepe, 1° dicembre 2019, settimo del pontificato.

FRANCESCO


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[1] Tommaso da Celano, Vita Prima, 84: Fonti francescane (FF), n. 468.
[2] Cf. ibid., 85: FF, n. 469.
[3] Ibid., 86: FF, n. 470.

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Fonte: https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/papa-francesco-lettera-ap_20191201_admirabile-signum.html

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