sabato 16 novembre 2024

La straordinaria visione del mondo di Vladimir Vernadsky, di Adriano Nardi


La straordinaria visione del mondo di Vladimir Vernadsky

di Adriano Nardi



“La vita non è un fenomeno accidentale esterno, situato sulla superficie della Terra, ma fa parte della struttura e del meccanismo della crosta terrestre” (Vernadsky, 1926). Quando l’ecologia era ancora poco più di un’idea filosofica, un mineralogista ucraino concepì una visione “geologica” della vita sulla Terra aprendo la strada a visioni più moderne e tuttora innovative.


Quasi 100 anni fa nasceva la geochimica

Il primo presidente, nonché fondatore, dell’Accademia Nazionale delle Scienze dell’Ucraina (Kiev, 1918) fu il mineralogista Vladimir Ivanovič Vernadskij che è stato anche uno dei padri della geochimica. Questa scienza studia la composizione chimica delle unità geologiche che costituiscono il nostro pianeta ma anche la diffusione, il comportamento e le migrazioni di questi elementi al loro interno.
Vernadsky nel corso dei suoi studi si fermò anche in Italia, a Napoli, dove collaborò con il mineralogista e vulcanologo Arcangelo Scacchi. Oggi un cratere lunare, un asteroide e un minerale sono intitolati con il suo nome. Ma Vernadsky fu anche un filosofo della natura e colui che contribuì a sviluppare la moderna concezione di biosfera.


La biosfera vista da un geochimico

La ricerca moderna tende ad essere iper specialistica e spesso manca di una visione globale. Vernadsky osservò il mondo intero con gli occhi di un mineralogista. Da ciò non nacque solamente la geochimica ma anche un modo nuovo di concepire la biologia e la società umana. In sostanza esaminò la biosfera da un punto di vista geochimico.

Il termine biosfera nasce nel 1875 quando il geologo austriaco Eduard Suess chiamò così l’insieme dei fenomeni che si manifestano subito al di sopra della litosfera. Oggi per biosfera si intende l’insieme delle zone della Terra in cui le condizioni ambientali permettono lo sviluppo della vita. Dalla parte bassa dell’atmosfera si estende a tutta l’idrosfera e alla parte superficiale della litosfera, fino a 2 km di profondità.

Vernadsky riprese il concetto formulato da Suess e lo ripropose in una chiave più rigorosamente scientifica pubblicando “La biosfera” nel 1926. L’approccio scientifico di Vernadsky prevedeva il temporaneo abbandono di ogni idea filosofica o religiosa riguardo la Terra e la vita sul nostro pianeta per basarsi sulla pura osservazione dei fatti. La lucida premessa era che il problema di codificare il fenomeno della vita avrebbe potuto anche non ammettere alcuna soluzione. Soltanto dopo questa fase sarebbe stato eventualmente possibile riformulare, in termini matematici e scientifici, alcune delle idee filosofiche e religiose fino ad allora rifiutate dal pensiero scientifico.


Il pensiero di Vernadsky, basato sull’osservazione, può essere sintetizzato in pochi punti essenziali (da “La biosfera”):

Le radiazioni cosmiche (provenienti soprattutto dal Sole) esercitano un’azione continua sulla superficie terrestre, conferendo un carattere completamente nuovo e particolare a quella porzione del pianeta che confina con lo spazio cosmico. Questa regione di confine è la biosfera.

Nella biosfera la crosta terrestre viene attivata dal flusso di energia proveniente dal Sole.

La biosfera può essere considerata come una parte della crosta terrestre fornita del potere di trasformare le radiazioni cosmiche in energia terrestre attiva: elettrica, chimica, meccanica e termica.

Da un punto di vista chimico, la radiazione cosmica esercita sulla biosfera un’azione indiretta. È la materia vivente a trasformare l’energia del Sole in energia chimica.

La materia vivente crea sulla superficie del pianeta un enorme numero di composti chimici nuovi. Gli organismi viventi sono meccanismi di trasformazione dell’energia solare.

La biosfera si compone di materia inerte e materia vivente.

La materia attualmente vivente deve avere una relazione genetica con tutta la materia vivente delle epoche passate. Sulla crosta terrestre sono sempre esistite condizioni favorevoli alla vita.

La composizione chimica della crosta terrestre e della materia vivente è ancora oggi quella di sempre. La massa totale della materia vivente non è mai stata considerevolmente diversa da quella attuale.

La materia vivente può avere origine solo da una fonte già vivente.

La vita esercita un potente e continuo effetto di disturbo sulla stabilità chimica della superficie del pianeta.

Il rapporto tra la vita e il mondo minerale

In questa visione straordinaria il mondo organico diventa il più complesso dei cicli geologici, al fianco del ciclo dell’acqua o di quello litogenetico.


All’interno della biosfera la chimica della crosta può essere nettamente distinta in due categorie: la normale “materia inerte” e la “materia attivata” dalla radiazione solare. La cosa sorprendente è che la materia attiva è ciò che chiamiamo vita. La chimica della crosta terrestre si trasforma continuamente a causa di questa “attivazione”. La materia attiva produce nuova e diversa materia inerte (la vita metabolizza e muore).

La materia inerte non può produrre materia attiva ma la materia attiva può trasformare materia morta in altra materia attiva (la vita si mantiene nutrendosi di tutto). In sostanza, ciò che si propaga nel fenomeno biologico è l’attivazione di materia minerale. Pur nella sua complessità, la vita diventa, in questa visione, qualcosa di estremamente simile a un comune fenomeno geologico: un processo di alterazione mineralogica della superficie terrestre sotto l’azione degli agenti esogeni, in questo caso l’energia solare in luogo degli agenti atmosferici. Come se una metaforica scintilla solare (o divina) avesse sviluppato un incendio che si fosse propagato sull’intera superficie terrestre già agli albori della sua formazione. Un processo che, nella visione di Vernadsky, non ha necessariamente bisogno di una creazione attiva ma addirittura potrebbe superare il concetto di una vera e propria “nascita” o comparsa.

Ma il mineralogista si spinse ancora oltre, riformulando in chiave scientifica anche la concezione filosofica di una coscienza planetaria, o noosfera, del paleontologo gesuita Pierre Teilhard de Chardin (1925). Per Vernadsky, la conoscenza nasce dalla biosfera e la trasformerà a sua volta. L’azione della noosfera, nella sua visione geochimica, sarebbe divenuta evidente solo quando l’umanità avrebbe provocato reazioni nucleari in grado di trasformare gli elementi chimici. Una visione profetica, anche se l’azione inquinante della chimica industriale ci fa già osservare un disturbo dell’umanità sulla biosfera.


L’ipotesi di Gaia: il pianeta vivente

Spesso il progresso scientifico e culturale vede un salto nel momento in cui il mondo viene osservato da un diverso punto di vista. È stato il caso di Darwin con L’origine delle specie (1859) ma anche di Hutton (1785) e Lyell (1830) con il principio dell’attualismo. Quest’ultimo è uno dei fondamenti della geologia, al quale sembra ispirarsi anche Vernadsky quando sostiene che “La composizione chimica della crosta terrestre e della materia vivente è ancora oggi quella di sempre” e “La massa totale della materia vivente non è mai stata considerevolmente diversa da quella attuale”. Cambiando nettamente il punto di vista sul mondo vivente, nel 1926 Vernadsky riuscì a fondere la geologia con la biologia, aprendo la strada alla visione della Terra come un unico macro-organismo vivente nella così detta “ipotesi Gaia” di James Lovelock (1979).


Ciò che oggi chiamiamo ecologia

Si chiama ecologia la scienza che studia gli ecosistemi, ovvero le interazioni tra gli organismi e il loro ambiente. Oggi è largamente condivisa e quasi scontata una pur minima sensibilità “ecologista” ma spesso non è noto che le sue origini passano attraverso la visione del tutto fuori dagli schemi di un mineralogista del secolo scorso. Vernadsky ipotizzò anche una transizione evolutiva della Terra attraverso tre livelli: dalla geosfera alla biosfera alla noosfera, l’ambiente dominato dal pensiero umano. Se davvero vogliamo vedere nel mondo un unico organismo vivente allora, secondo l’autore dobbiamo anche concepire che l’uomo ne è l’unica possibile coscienza. Come se ogni essere umano costituisse un singolo neurone dalle cui interazioni con gli altri potrà scaturire questa coscienza planetaria. Non importa quindi essere geologi, chimici o biologi. Non conta nemmeno essere scienziati. A volte la rivoluzione può essere qualcosa di estremamente semplice, come fermarsi ad osservare il mondo da un nuovo punto di vista.




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Traduzioni italiane de LA BIOSFERA:
“La biosfera”, Vladimir Vernadsky. Traduzione di Carla Sborgi. RED edizioni, 1993.
“La biosfera e la noosfera”, Vladimir Ivanovič Vernadskij. A cura di Davide Fais. Sellerio editore, 1999.
“Dalla biosfera alla noosfera”, Vladimir Ivanovič Vernadskij. A cura di Silvano Tagliagambe. Edizioni Mimesis, 2022.


Per approfondimenti biografici sullo scienziato ucraino Vladimir Vernadsky:


venerdì 15 novembre 2024

San Vincenzo de' Paoli (1581-1660) fondatore della Congregazione della Missione


San Vincenzo de' Paoli (1581-1660)
FONDATORE DELLA CONGREGAZIONE DELLA MISSIONE





Date significative della sua vita e delle opere

1581 - Nasce il 24 aprile 1581 a Pouy (oggi Saint - Vincent - de - Paul) presso Dax, nelle Lande (sud ovest della Francia. Da Leone XIII viene proclamato patrono di tutte le opere di carità.

1617 - Le Confraternite della Carità, gruppi di laici su base parrocchiale, per assistere i poveri del luogo. All’inizio erano miste, poi furono a base femminile; le aderenti, chiamate inizialmente serve dei poveri, successivamente dame della Carità, oggi fanno parte dei Gruppi di volontariato Vincenziano (AIC).

1618 - L’assistenza spirituale e corporale ai forzati.

1625 - I Preti della Missione per evangelizzare gli abitanti delle campagne e per l’animazione spirituale e pastorale del clero.

1628 - Gli esercizi agli Ordinandi, seguiti dalle Conferenze agli ecclesiastici (Le conferenze del martedì), e dalla presa in carico dei seminari minori e maggiori.

1632 - Ritiri spirituali per i laici.

1633 - Le Figlie della Carità, per il servizio a tempo pieno dei più poveri.

1638 - L’opera dei Trovatelli.

1639 - Soccorsi alla Lorena, devastata dalla guerra.

1645 - Assistenza agli schiavi in Barberia.

1646 - Missione d'Irlanda.

1648 - Missione del Madagascar.

1650 - Soccorsi alle Regioni della Picardie e Champagne, ridotte alla fame e alla disperazione a causa della guerra.

1651 - Missione di Polonia.

1652 - Soccorsi a Parigi e dintorni.

1653 - Gli ospizi per i poveri.

1660 - Muore a Parigi il 27 settembre e il suo corpo è venerato nella cappella della Casa Madre di Parigi (95, Rue de Sèvres).



BIOGRAFIA di San Vincenzo de' Paoli

Terzo dei sei figli di Jean e Bertrande de Moras, Vincenzo nasce nell'aprile del 1581 a Pouy, un villaggio vicino Dax, nelle Lande della Guascogna, nel sud-ovest della Francia. Le origini contadine del ragazzo lo portarono ben presto a doversi occupare dei porci e delle vacche di famiglia, fino a quando, accortisi delle sue capacità intellettive, i genitori decisero di farlo studiare affidandolo, nel 1595, ai francescani del vicino convento di Dax. Vincenzo studiò dai francescani solo pochi mesi perché, forse su raccomandazione dei frati, si guadagnò l'insperato interesse di un protettore, il signor de Comet, avvocato di Dax e giudice di Pouy che lo accolse in casa come precettore dei suoi figli e lo convinse ad intraprendere gli studi ecclesiastici. Ricevuta la tonsura e gli ordini minori nel 1596 studiò teologia a Tolosa e nel 1600, non ancora terminati gli studi, fu ordinato sacerdote. Lo stesso anno dell'ordinazione si fece largo per ottenere, nella sua diocesi, un beneficio ecclesiastico. Con l'appoggio del signor de Comet fu nominato parroco di Tilh dal vicario generale, ma dovette rinunciarvi e dedicarsi unicamente allo studio perché la stessa nomina era già in possesso di un altro prete che gli contestò la legittimità di quel beneficio. Nel 1604 terminò gli studi acquisendo il grado di baccelliere.Il periodo dal 1605 al 1607, è il più discusso della biografia dei santo. Un periodo oscuro in cui si perdono le sue tracce. Unica documentazione da cui trarre informazioni sono due lettere scritte nel 1607 e 1608 a Monsieur de Comet, dove racconta che per riscuotere l'eredità di un testamento in suo favore si recò a Marsiglia, ma nel ritorno a Tolosa l'imbarcazione su cui viaggiava fu assalita dai corsari turchi che lo fecero prigioniero e lo vendettero come schiavo. Vincenzo racconta di essere stato venduto ad un pescatore, poi ad un medico alchimista ed infine, ad un rinnegato, un ex frate francescano con tre mogli che per opera di Vincenzo decise di tornare alla fede cattolica restituendogli la libertà in segno di riconoscenza e gratitudine. Tornato in Francia, scrisse la prima di queste due lettere chiedendo le testimoniali della sua ordinazione sacerdotale ed il certificato dei suo baccellerato in teologia da presentare al vicelegato pontificio di Avignone, Pietro Montorio. Questi, riconoscente per la conversione di quel rinnegato gli prometteva un buon beneficio. Vincenzo lo seguì a Roma da dove scrisse la seconda lettera, il 28 febbraio 1608. Ma le promesse si dileguarono nel vento. Decise allora di andare a Parigi desideroso di un beneficio, indispensabile per la sua stabilità economica. Dalla capitale francese, nel 1610, scrisse alla madre delle sue traversie e dei suoi progetti sperando ancora di potersi "ritirare onoratamente".

Un cammino di conversione

In questo contesto di progetti e ambizioni, di sogni e delusioni, si inseriscono, nella vita del Santo alcuni episodi e personaggi che incisero profondamente sulla sua "conversione". Vincenzo visse, nel 1609, durante il soggiorno a Parigi, una delle umiliazioni più cocenti della sua vita -l'accusa di furto- a cui reagì, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, con grande virtù ed umiltà. In quell'occasione conobbe Pierre de Bérulle, personaggio di spicco della spiritualità francese di quel tempo che, pochi anni dopo Vincenzo scelse come suo direttore spirituale. Un ulteriore indizio dei cambiamento che Vincenzo stava vivendo: non punta più solo ed esclusivamente a mete di ascesa sociale, ma anche di ordine spirituale. La crisi spirituale che dovette affrontare tra il 1611 ed il 1616 è, anch'essa, da considerare un frutto, sebbene alquanto particolare, di un suo cambiamento spirituale. Alla corte della regina Margherita, Vincenzo incontrò un dottore in teologia tentato fortemente contro la fede a tal punto da volersi suicidare. Vincenzo lo tranquillizzò ed al contempo si offrì lui stesso a Dio chiedendo di trasferire nella sua anima le tribolazioni dei teologo.Il teologo riacquistò la fede in Dio, ma Vincenzo cadde nel turbine di una profonda crisi spirituale che durò circa quattro anni. Ne venne fuori solo quando, seguendo gli impulsi della grazia, prese la decisione di consacrare la sua vita al servizio dei poveri, per amore di Gesù Cristo. Tale crisi comunque, non interruppe il cammino di conversione sul quale il Signore aveva avviato il nostro santo. Nel 1612 il Bérulle, dovendo trovare un curato per la parrocchia di Clichy, alla periferia di Parigi propose l'incarico a Vincenzo che accettò con gran entusiasmo. Prese possesso della parrocchia il 2 maggio dello stesso anno. Predicava con entusiasmo e persuasione, visitava gli infermi, gli afflitti, i poveri. Riferendosi al periodo vissuto a Clichy, anni dopo, raccontò:Un giorno il cardinale di Retz mi domandava: "Ebbene! Signore, come state?" Gli risposi: "Monsignore, sono tanto contento da non dirsi". "Perché?" "Perché ho un popolo tanto buono, tanto obbediente a tutto quello che gli dico, che penso in me stesso che neppure il papa, né voi, monsignore, siate felici quanto me" . Anche questa sua esperienza parrocchiale dovette ben presto essere interrotta. Nel 1613 il Bérulle lo invitò a lasciare Clichy per entrare, come precettore, in una delle più illustri famiglie di Francia: i Gondi, famiglia di banchieri fiorentini che avevano fatto fortuna con Caterina de Medici. Vincenzo accettò il nuovo incarico anche se mantenne la cura della parrocchia di Clichy fino al 1626. In segno di riconoscenza per i suoi favori spirituali ed ormai certi delle sue qualità, i Gondi nominarono Vincenzo cappellano dei loro feudi. Finalmente si realizzava il suo sogno tanto ambito: una carica ecclesiastica presso la nobiltà francese che gli assicurasse una vita agiata e senza problemi. Ma Vincenzo era cambiato.

Anno della grande svolta

Nel gennaio dei 1617, durante una visita a Folleville, fu chiamato al capezzale di un contadino dei vicino villaggio di Gannes. Lo incoraggiò a fare una confessione generale. L'esito fu insperato. Il contadino cominciò a confessare mancanze molto gravi, sempre taciute nelle precedenti confessioni. Al termine della confessione, quel pover'uomo si sentì liberato dai rimorsi che lo avevano accompagnato fino ad allora e fu invaso da una gioia incontenibile. Nei tre giorni di vita che ancora gli rimasero la grazia lo spinse a fare confessione pubblica, anche in presenza della signora Gondi di cui era vassallo, dei gravi peccati commessi nella sua vita passata. La signora Gondi rimase scossa: "Ah! Signore, che cosa è mai? Che cosa abbiamo udito? Senza dubbio avviene lo stesso della maggior parte di questa povera gente. Ah! Se quest'uomo che passava per un uomo dabbene, era in uno stato di dannazione, che sarà degli altri che vivono peggio di lui? Ah! Signor Vincenzo, quante anime si dannano!"Come rimediarvi? Il 25 gennaio, pochi giorni dopo quella confessione, nella festa della conversione di san Paolo, Vincenzo tenne una predica in cui insegnava come fare la confessione generale. Era un martedì, ma era tanta la gente accorsa che Vincenzo non poté confessare tutti. Furono chiamati in aiuto i Gesuiti di Amiens, segno che la predica aveva realmente colpito quelle anime. Per Vincenzo fu una rivelazione.Sentì che quella era la sua missione, l'opera che Dio voleva da lui: portare il Vangelo alla povera gente delle campagne. Otto anni dopo fondò la Congregazione della Missione con questo specifico carisma e considerò sempre il 25 gennaio 1617 come giorno di fondazione della Compagnia e la predica fatta in quel giorno come "la prima predica della Missione"."Con l'aumentare dei suo zelo apostolico, aumentava anche il suo disagio come precettore dei difficili figli dei signori Gondi, sempre più convinto di non essere adatto ad un tale compito. Espose i suoi sentimenti ed i suoi progetti al suo padre spirituale, il Bérulle, che gli affidò la cura pastorale della parrocchia di Chatillon les Dombes (oggi Chátillon sur Chalaronne), una cittadina nei pressi di Lione da poco passata alla Francia e che risentiva fortemente dell'influsso calvinista della vicina Ginevra. Partì immediatamente, senza nemmeno comunicare ai Gondi le sue nuove intenzioni. Era la Quaresima del 1617. Si trasferì subito nella sua parrocchia. L'esperienza fondante della Compagnia della Carità ebbe luogo in questa parrocchia, il 20 agosto 1617. Una domenica, mentre mi vestivo per dire la santa Messa, vennero a dirmi che in una casa isolata, ad un quarto di lega di distanza, tutti erano malati, senza che rimanesse una sola persona per assistere gli altri, e tutti in una miseria da non dirsi. Ne fui veramente commosso. Non mancai di raccomandarli nella predica, con affetto, e Dio, toccando il cuore di quelli che mi ascoltavano, fece sì che tutti fossero presi da compassione per quei poveri sventurati. Dopo i vespri, presi un galantuomo, un borghese della città, ed insieme ci mettemmo in cammino. Sulla via incontrammo alcune donne che ci precedevano, e un poco più in là, altre che tornavano: ve n'erano tante che l'avreste detta una processione. Proposi a tutte le buone persone che la carità aveva spinto a recarsi colà, di quotarsi, un giorno per una, per far da mangiare non soltanto per quelli ma anche per coloro che sarebbero venuti dopo,? ed è il primo luogo dove la carità fu istituita. " Il 23 dicembre 1617, cedendo all'insistenza tornò in casa Gondi, non più come precettore, ma semplicemente come cappellano dei loro possedimenti, deciso ormai a consacrarsi interamente alla salvezza della povera gente attraverso la predicazione e l'evangelizzazione. Da allora Vincenzo non tralasciò mai di inculcare la pratica della carità a tutte le persone che ricorrevano alla sua direzione spirituale e si impegnò costantemente nell'istituire le "Carità" ovunque predicava le Missioni.

Dalle dame della carità alle figlie della carità

In poco tempo, le Confraternite raggiunsero le grandi città francesi. Ad esse aderivano sempre più numerose le dame e dovunque, si aveva un riscontro sempre positivo da parte di vescovi e parroci da un lato, e di ufficiali ed autorità comunali dall'altro. Nel 1629 le Confraternite della Carità raggiunsero Parigi e nel giro di pochi anni non vi fu parrocchia nella capitale che non avesse la sua Confraternita. Le vediamo impegnarsi in molteplici direzioni: nell'opera dei trovatelli, allora considerati "figli del peccato"; nei soccorsi alla Lorena nel 1639, alla Piccardia nel 1641, alla Champagne nel 1643; presso l'opera dei prigionieri e galeotti; nell'opera dei mendicanti per cui le dame fecero costruire un grande ospedale in Parigi. Si prodigarono per il sovvenzionamento delle missioni all'estero per la propagazione della fede in terre da evangelizzare (Barberia, Madagascar, ecc). Le dame, però, erano persone con una famiglia alle spalle, con una loro vita privata e, molto spesso, con un titolo nobiliare che non permetteva loro dì dedicarsi a tempo pieno e, a volte in prima persona a queste necessità così come, invece, l'urgenza richiedeva. Vincenzo vide, sempre nella donna una possibile soluzione a tale problema. Nel 1645, scriveva all'Arcivescovo di Parigi: Poiché le Dame, che compongono questa Confraternita [della Carità] sono per la maggior parte di nobile condizione che non permette loro di adempiere alle più basse e vili faccende occorrenti nell'esercizio della Confraternita stessa come per esempio portare la pentola per la città, fare salassi, preparare e fare i clisteri, medicare le piaghe, rifare i letti e vegliare i malati che sono soli e si avvicinano alla morte, ecco che hanno preso alcune buone ragazze di campagna, a cui Iddio aveva messo in cuore di assistere i poveri malati. Ed esse adempiono tutti questi piccoli servizi dopo essere state impratichite a tale scopo da una virtuosa vedova chiamata Madamigella Le Gras [Luisa de Marillac]. Siamo alla fondazione delle Figlie della Carità (1633). Il loro stile di vita, si ispirava a quello delle comunità religiose femminili, ma il loro carisma era legato ad una concezione del tutto nuova della vita consacrata femminile". Evitò accuratamente ogni segno distintivo canonico che le potesse qualificare come religiose. Chiese che la Compagnia fosse approvata come Confraternita e non come comunità religiosa: questo avrebbe significato rinunciare al servizio dei poveri mentre lui voleva queste ragazze non più rinchiuse tra le mura di un monastero, ma nel mondo, tra la gente; non più "monache", donne sole, ma "suore", sorelle di tutti, aperte alle esigenze degli altri non solo spiritualmente, ma nella concretezza della quotidianità, compagne di viaggio dei più sciagurati, stimolo costante alla solidarietà, alla fratellanza e alla ricerca delle cose essenziali che fanno l'uno prossimo dell'altro.

Il periodo della maturità spirituale

Con il 1633 la vita del santo ebbe una svolta. La terza. Vincenzo aveva ormai 53 anni ed era lontana l'epoca dell'ambizione. Erano gli altri, la società, che gli riconoscevano un ruolo carismatico, che avevano bisogno di lui. E lui era pronto, era libero di servire. Vincenzo collaborò alla riforma monastica. Nel 1633, per il miglioramento del clero istituì le "conferenze del martedì". Alla morte di Luigi XIII, nel 1643, quando la regina Anna d'Austria passò al potere della Francia, fu nominato membro del Consiglio di coscienza. In quest'ultimo terzo della sua vita, la storia di Vincenzo diventa un pezzo della storia della chiesa universale e della storia della Francia. Si intreccia con la storia bellica della Francia: nel 1632 l'invasione della Lorena, nel 1649 la guerra della Fronda. La Congregazione della Missione si espande sempre più (nel 1660 era composta da 426 preti e 196 fratelli coauditori): nel 1636 i missionari prendono la cura dei seminario di Parigi, si diffondono nel mondo (1642 Italia, 1645 Tunisi, 1646 Algeri e Irlanda, 1648 Madagascar, 1651 Polonia), predicano missioni popolari nelle campagne a ritmo continuo (tra il 1625 ed il 1632 circa 140 missioni, dal 1642 al 1660 solo la casa di San Lazzaro circa 700. Le Figlie della Carità venivano richieste dappertutto: scuole, ospedali, parrocchie… Le Dame della Carità non si limitarono più solo alla vista dei malati: intrapresero l'opera dei trovatelli, prestarono servizio ai feriti durante la guerra, ai galeotti, ai mendicanti… Molte furono le categorie di poveri di cui si occupò prima cui il suo impegno diretto, poi attraverso le opere che il Signore aveva, tramite lui, voluto realizzare. Nonostante un simile ritmo di vita, non era una persona tesa, indisponente, frenetica. Pur avendo il genio dell'organizzazione, quello che colpisce non è il metodo, ma lo spirito del suo lavoro. Era cosciente di fare un'opera di Dio. La coerenza interna del suo pensiero e della sua azione nasce proprio dall'unione di carità e Vangelo. Aveva scoperto di essere stato ricercato da Dio, raggiunto da Lui. Si sentiva amato e voleva amare. Il suo zelo, la sua passione per le anime era unicamente espressione del suo amore per Dio. Il 27 settembre 1660 Vincenzo muore.
La sua ultima parola fu: "Gesù". Era vestito, seduto su una sedia, vicino al fuoco... come in attesa di qualcuno.



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