domenica 8 dicembre 2019

PAOLO VI, Solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, 8 dicembre 1965




EPILOGO DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II
OMELIA DI SUA SANTITÀ PAOLO VI
 
Solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Piazza San Pietro - Mercoledì, 8 dicembre 1965

   
     Signori Cardinali! Venerati Fratelli!
     Rappresentanti dei Popoli! Signori della Città di Roma!
     Autorità e Cittadini d’ogni parte del mondo!
    voi, Osservatori appartenenti a tante diverse denominazioni cristiane!
    e voi, Fedeli e Figli qui presenti, e anche voi, sparsi sulla terra
    ed a Noi uniti nella fede e nella carità!


 
    Ascolterete tra poco, al termine di questa Santa Messa, la lettura di alcuni messaggi, che il Concilio ecumenico, alla conclusione dei suoi lavori, rivolge a varie categorie di persone, intendendo in quelle considerare le innumerevoli forme in cui la vita umana si esprime; e ascolterete altresì la lettura del Nostro Decreto ufficiale, col quale dichiariamo finito e chiuso il Concilio ecumenico vaticano secondo. Questo è perciò il momento - un breve momento - dei saluti. Dopo, la Nostra voce tacerà. Il Concilio è del tutto terminato; questa immensa e straordinaria riunione si scioglie.
  Il saluto perciò che Noi vi rivolgiamo acquista un particolare significato, che Ci permettiamo appena di indicare, non per distrarre dall’orazione, ma per meglio impegnare la vostra attenzione alla presente celebrazione.
    Questo saluto è, innanzi tutto, universale. Si rivolge a voi tutti, qui assistenti e partecipanti a questo sacro rito; a voi, Venerati Fratelli nell’Episcopato, a voi Persone rappresentative, a voi, Popolo di Dio; e si estende, si allarga a tutti, al mondo intero. Come potrebbe essere altrimenti, se questo Concilio si è definito ed è stato ecumenico, cioè universale? Come un suono di campane si effonde nel cielo, e arriva a tutti ed a ciascuno nel raggio di espansione delle sue onde sonore, così il Nostro saluto, in questo momento, a tutti ed a ciascuno si rivolge. A quelli che lo accolgono, ed a quelli che non lo accolgono: risuona ed urge all’orecchio d’ogni uomo. Da questo centro cattolico romano nessuno è, in via di principio, irraggiungibile; in linea di principio tutti possono e debbono essere raggiunti. Per la Chiesa cattolica nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano. Ognuno, a cui è diretto il Nostro saluto, è un chiamato, un invitato; è, in certo senso, un presente. Lo dica il cuore di chi ama: ogni amato è presente! E Noi, specialmente in questo momento, in virtù del Nostro universale mandato pastorale ed apostolico, tutti, tutti Noi amiamo! Diciamo perciò questo a voi, anime buone e fedeli, che, assenti di, persona da questo foro dei credenti e delle genti, siete qui presenti col vostro spirito, con la vostra preghiera: anche a voi pensa il Papa, e con voi celebra questo istante sublime di comunione universale.
  Diciamo questo a voi, sofferenti, quasi prigionieri della vostra infermità, e che, se a voi mancasse il conforto di questo Nostro intenzionale saluto, sentireste raddoppiare, a causa della spirituale solitudine, il vostro dolore.
   E questo diciamo specialmente a voi, Fratelli nell’Episcopato, che non per vostra colpa mancaste al Concilio e ora lasciate nelle file dei Confratelli ed ancor più nel loro cuore e nel Nostro un vuoto, che Ci fa tanto soffrire e che denuncia il torto che vincola la vostra libertà; e fosse soltanto quella che vi mancò per venire al nostro Concilio! Saluto a voi, Fratelli, tuttora ingiustamente trattenuti nel silenzio, nell’oppressione e nella privazione dei legittimi e sacri diritti, dovuti ad ogni uomo onesto, e tanto più a voi, di null’altro operatori che di bene, di pietà e di pace! La Chiesa, o Fratelli impediti e umiliati, è con voi! è con i vostri fedeli e con quanti vi sono associati nella vostra penosa condizione! e così lo sia la coscienza civile del mondo! E infine questo Nostro universale saluto rivolgiamo anche a voi, uomini che non Ci conoscete; uomini, che non Ci comprendete; uomini, che non Ci credete a voi utili, necessari, ed amici; e anche a voi, uomini, che, forse pensando di far bene, Ci avversate! Un saluto sincero, un saluto discreto, ma pieno di speranza; ed oggi, credetelo, pieno di stima e di amore.
   Questo il Nostro saluto. Ma fate attenzione quanti Ci ascoltate. Vi preghiamo di considerare come il Nostro saluto, a differenza di quanto comunemente avviene per i saluti della conversazione profana, i quali servono a mettere fine ad un rapporto di vicinanza, o di discorso, il Nostro saluto tende a rafforzare, a produrre se necessario, il rapporto spirituale, donde trae il suo senso e la sua voce. Il Nostro è un saluto non di congedo che distacca, ma di amicizia che rimane, e che, se del caso, ora vuol nascere. Anzi è proprio in questo suo pronunciamento estremo, che esso, il Nostro saluto, vorrebbe, da un lato, arrivare al cuore d’ognuno, entrarvi come un ospite cordiale e dire nel silenzio interiore dei vostri singoli spiriti la parola, consueta e ineffabile del Signore: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace, ma non come la dà il mondo» (Io. 14, 27); (Cristo ha un suo modo unico e originale di parlare nel segreto dei cuori); dall’altro, il Nostro saluto tende ad un altro e superiore rapporto, perché non è solo scambio di voci bilaterale, tra noi, gente di questa terra, ma esso chiama in causa un altro Presente, il Signore stesso, invisibile sì, ma operante nel tessuto dei rapporti umani; e lo invita, lo prega a suscitare in chi saluta e in chi è salutato dei beni nuovi, di cui primo e sommo è la carità.
   Ecco, questo è il Nostro saluto: possa esso accendere questa nuova scintilla della divina carità nei nostri cuori; una scintilla, la quale può dar fuoco ai principii, alle dottrine e ai propositi, che il Concilio ha predisposti, e che, così infiammati di carità, possono davvero operare nella Chiesa e nel mondo quel rinnovamento di pensieri, di attività, di costumi, e di forza morale e di gaudio e di speranza, ch’è stato lo scopo stesso del Concilio.
   Il Nostro saluto perciò si fa ideale. Si fa sogno? si fa poesia? si fa iperbole convenzionale e vacua, come spesso avviene nelle nostre abituali effusioni augurali? No. Si fa ideale, ma non irreale. Un istante ancora della vostra attenzione. Quando noi uomini spingiamo i nostri pensieri, i nostri desideri verso una concezione ideale della vita, ci troviamo subito o nell’utopia, o nella caricatura retorica, o nell’illusione, o nella delusione. L’uomo conserva l’aspirazione inestinguibile verso la perfezione ideale e totale, ma non arriva da sé a raggiungerla, né forse col concetto, né tanto meno con l’esperienza e con la realtà. Lo sappiamo; è il dramma dell’uomo, del re decaduto. Ma. osservate che cosa si verifica questa mattina: mentre chiudiamo il Concilio ecumenico noi festeggiamo Maria Santissima, la Madre di Cristo, e perciò, come altra volta dicemmo, la Madre di Dio e la Madre nostra spirituale. Maria santissima, diciamo immacolata! cioè innocente, cioè stupenda, cioè perfetta; cioè la Donna, la vera Donna ideale e reale insieme; la creatura nella quale l’immagine di Dio si rispecchia con limpidezza assoluta, senza alcun turbamento, come avviene invece in ogni creatura umana.
    Non è forse fissando il nostro sguardo in questa Donna umile, nostra Sorella e insieme celeste nostra Madre e Regina, specchio nitido e sacro dell’infinita Bellezza, che può terminare la nostra spirituale ascensione conciliare e questo saluto finale? e che può cominciare il nostro lavoro Post-conciliare? Questa bellezza di Maria Immacolata non diventa per noi un modello ispiratore? una speranza confortatrice?
    Noi, o Fratelli e Figli e Signori, che Ci ascoltate, Noi lo pensiamo; per Noi e per voi; ed è questo il Nostro saluto più alto e, Dio voglia, il più valido! 

 http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1965/documents/hf_p-vi_hom_19651208_epilogo-concilio-immacolata.html

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