venerdì 2 agosto 2019

LA PREGHIERA "ALFABETO COLORATO DELLA SPERANZA", del Card. Gianfranco Ravasi



LA PREGHIERA  "ALFABETO COLORATO DELLA SPERANZA"

 


di Gianfranco Ravasi

A scandire ogni Giubileo di Israele era il suono dello jobel, il corno ritorto di montone, un suono che lacerava l'aria e idealmente correva dal colle di Sion alle valli e ai villaggi della terra promessa. Quello strumento faceva parte dell'orchestra del tempio ed era, perciò, espressione della fede orante della comunità liturgica. Certo, il Giubileo così come è descritto nel c. 25 del Levitico è per eccellenza un evento sociale e morale con la liberazione degli schiavi, il condono dei debiti e il riposo della terra. Ma è noto che i profeti hanno sempre insegnato che il rito senza la vita è magia e, perciò, l'esistenza giusta altro non è che la liturgia giunta alla sua pienezza.
Nel Giubileo cristiano, poi, il pellegrinaggio coi suoi canti e le sue celebrazioni è una componente fondamentale. È per questo che vorremmo ora parlare di preghiera, di quel respiro dell'anima che dovrebbe essere costante ma che in certi periodi - come quello che ci conduce all'anno giubilare - può essere anche più intenso e sereno. Scriveva il filosofo danese Soeren Kierkegaard: «Giustamente gli antichi dicevano che pregare è respirare. Qui si vede quanto sia sciocco voler parlare di un "perché". Perchè io respiro? Perchè altrimenti morirei. Così con la preghiera». Noi, però, considereremo l'orazione secondo un'angolatura un po' curiosa, quella delle arti figurative. Dopo tutto, per molti il Giubileo sarà anche occasione per visitare città italiane ed europee ricche di monumenti e il loro pellegrinaggio si concluderà o a Roma o a Gerusalemme o in un santuario dalla storia secolare.
Là apparirà in modo molto visibile la bellezza divenuta lode e adorazione. Quello che noi ora proponiamo è un breve e simbolico itinerario all'interno della preghiera divenuta pietra o colore. Fin dalle origini stesse della civiltà si è realizzato quello che supponeva Paolo quando evocava «gli uomini che pregano dovunque si trovano, alzando al cielo le mani pure senza ira e senza contese» (1 Timoteo 2,8). Lo stendere le mani era il gesto primordiale per raggiungere idealmente il cielo o per accarezzare il volto della statua della divinità. Le posizioni muteranno nelle varie terre e nelle epoche - si starà ritti, ci si inchinerà, ci si prosternerà o inginocchierà, si congiungeranno le mani, si incroceranno le braccia, si danzerà, si lanceranno baci (donde il verbo «adorare», in latino «portare la mano alla bocca»). Come dice una bella espressione delle Lamentazioni bibliche, «noi tutti eleviamo il nostro cuore sulle nostre mani fino al Dio che è nei cieli» (3,41).
Possiamo, allora, rimandare alla statuetta in bronzo della I metà del II millennio a.C. proveniente dalla città mesopotamica di Larsa e conservata al Louvre con l'orante che pone la sua destra sulla bocca per il bacio al suo dio. Sempre al Louvre, ecco la celebre stele di basalto nero del Codice di Hammurabi sulla cui cima quel sovrano babilonese del XVIII sec. a.C. è eretto in piedi davanti al dio solare Shamash in trono. Ancora al Louvre da un'altra città mesopotamica, Lagash, giunge un rilievo di calcare del XXIV sec. a. C. con due registri lungo i quali sfilano i cantori sacri e i musicisti con le arpe per lodare la divinità. In Egitto ci viene incontro il faraone "monoteista" Akhnaton (XIV sec. a. C.) che apre le braccia davanti al disco solare divino Aton, i cui raggi terminano in mani che toccano il faraone e tutta la realtà benedicendola e beneficandola, mentre il faraone Sethi I ad Abido è davanti al dio Sokaris per ardere incensi.
La lista potrebbe essere lunghissima. Anche, nel cristianesimo, a partire dalle catacombe, la figura dell'orante si presenta già nel III secolo con le braccia levate in alto, come accade nell'affresco del Cimitero dei Giordani a Roma. Talora le braccia si allargano per ripetere il gesto di Cristo in croce e la figura dell'orante è il martire o l'anima del cristiano defunto già nella gloria della liturgia celeste o in attesa del giudizio finale o ancora mentre intercede per i vivi che lo stanno commemorando. Altre volte sono alcuni soggetti biblici emblematici: Noè che invoca il Dio della giustizia e della pace stando nella sua arca, oppure i tre giovani ebrei che cantano inni nella fornace ardente (Daniele 3) o lo stesso Daniele nella fossa dei leoni (c.6).
È, certo, la Bibbia il «grande codice» a cui si attinge per elaborare i grandi modelli della preghiera anche perché - come affermava Chagall - essa è «l'alfabeto colorato della speranza in cui hanno intinto per secoli il loro pennello i pittori». Si pensi soltanto alla serie enorme di ritratti di Davide. Orante o musicista in onore del Signore, posti in apertura ai Salteri miniati o ai Libri d'Ore. Ma c'è anche il Mosè orante descritto dal c. 17 dell'Esodo che nella scultura romanica dell'XI-XII sec. assume la posizione del Cristo crocifisso «colui che ci salva dall'ira ventura», una tipologia che appare anche in alcune Bibbie miniate come quelle di Farfa e di S. Isidoro di León. Né poteva mancare in decine e decine di forme, popolari o di alto livello artistico, l'orazione di Gesù nel Getsemani, che si trasforma nella figura dell'orante perfetto. Ma anche Maria nella tipologia delle icone russe è presentata come l'Inamie per eccellenza, cioè l'orante che si rivolge a suo Figlio e al Padre.
La preghiera è, però, l'atto caratteristico del singolo fedele o della comunità ed è di questo tema che spesso l'arte è stata testimone. Anche in questo caso c'è solo l'imbarazzo nella scelta. Il pensiero corre spontaneamente al grande Piero della Francesca con due sue tele straordinarie. Da un lato, la Pala di Brera a Milano ove Federico di Montefeltro in armatura è posto in ginocchio davanti alla Vergine che regge nelle braccia il Bambino addormentato (forse un'allusione al figlio nato morto dello stesso Federico). D'altro lato, la Madonna della Misericordia della Pinacoteca Comunale di Sansepolcro, eseguita tra il 1445 e il 1448, per la locale Confraternita della Misericordia: Maria solenne e statuaria presenza dal volto colmo di intensa e sovrana bellezza, avvolge col suo immenso manto quattro oranti maschi e quattro donne distribuiti ai suoi lati, inginocchiati e con gli occhi supplici a lei rivolti.
Già Masaccio nella sua Trinitas in cruce di S. Maria Novella a Firenze aveva evocato i due committenti inginocchiati in preghiera. Ma saranno sempre molte lo raffigurazioni della preghiera, soprattutto mariana. Citiamo due opere di grande suggestione. La prima, di poco antecedente a Piero della Francesca è la cosiddetta Madonna del Cancelliere Rolin del Louvre, opera di van Eyck. Il personaggio, con un profilo molto caratterizzato, è rappresentato in ginocchio davanti alla Vergine, mentre una finestra si apre su un delizioso paesaggio. L'altra tela è la Madonna di Ca' Pesaro del Tiziano, conservata nella chiesa dei Frari di Venezia, L'intera famiglia Pesaro prega alla base del trono di Maria, che ha alle spalle una colonna e un fondale architettonico veneziano, in uno spazio luminoso e profondo.
Alcuni hanno ipotizzato che il termine Giubileo, più che dall'ebraico jobel a cui sopra abbiamo fatto riferimento, sia da connettere col verbo tardo-latino jubilare che indicava il «gridare» (col suono onomatopeico «iu», simile a un «evviva»). Comunque sia, il Giubileo dovrebbe essere un tempo di gioia e di fede, di canto e dì lode, di liturgia e di preghiera. Una preghiera non solo santa e sincera ma anche bella, come ci testimonia l'arte (la musica è, al riguardo, un altro capitolo che pure verrà affrontato su queste pagine). Il salmo 47, infatti, ci invita nella nostra lode a Dio a «cantare inni con arte».





Fonte :  www.vatican.va








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