LITURGIA COME GIOCO
Certe nature gravi e serie, tutte rivolte alla
ricerca e alla contemplazione della verità, che in ogni cosa vedono il compito
morale e dovunque cercano il fine, incontrano facilmente nella liturgia una
difficoltà singolare. La liturgia appare loro facilmente come qualcosa senza
scopo, un cumulo superfluo di cose, una realtà inutilmente complicata,
artificiosa. Costoro si scandalizzano che la liturgia fissi con tanta
minuziosità ciò che si deve compiere prima e ciò che deve avvenire dopo, se a
destra o a sinistra, ad alta voce o piano. A che scopo tutto ciò? L'essenziale
nella Santa Messa, l’offerta e la consumazione del cibo divino, può essere
compiuto così semplicemente: perché tale grande spiegamento di un rituale
levitico? Le necessarie consacrazioni potrebbero essere fatte così semplicemente
con poche parole, i sacramenti essere amministrati senza complicazioni rituali:
a che pro' tutte quelle preghiere e cerimonie? La liturgia può avere per
costoro un carattere di gioco e di teatralità.
Questo problema si deve prendere sul serio.
Esso non si presenta a tutti; ma non appena affiora, costituisce sempre la
rivelazione di un temperamento spirituale inteso all'essenziale.
Esso sembra aver stretta relazione con la questione
dello scopo in assoluto. Scopo, in senso proprio, noi denominiamo quel
principio d'ordine, per cui cose ed azioni si subordinano le une alle altre, in
modo che l’una serva all’altra, l'una si presenti in funzione dell'altra. Ciò
ch'è subordinato, il mezzo, ha significato solo in quanto è in grado di servire
a ciò ch'è sopraordinato, allo scopo. Chi agisce non si indugia spiritualmente
in esso, giacché per lui costituisce solo un passaggio ad altro, via che conduce
allo scopo, dove propriamente stanno la mèta ed il riposo. Da questo punto di
vista ogni mezzo deve saperci assicurare se e in che limiti è in grado di
portarci allo scopo. Questo esame ha per intento di escludere tutto ciò che non
appartiene alla cosa, ciò che è marginale, superfluo. Domina qui il principio
economico di raggiungere il fine nel modo più perfetto possibile col minore
impiego di forza, tempo e materia. Il corrispondente stato d'animo è
caratterizzato da una certa febbrilità, da una tensione senza riguardo e da una
rigida oggettività.
Questo atteggiamento spirituale è legittimo e
necessario nella totalità della vita. Le assicura serietà e salda direzione.
Corrisponde anche alla struttura della realtà nella misura in cui ogni cosa in
certo modo cade sotto il punto di vista dello scopo. Molti dati di fatto
possono essere giustificati quasi totalmente dal punto di vista dello scopo,
come ad es. la vita economica ed i processi della tecnica; tutti poi possono
esserlo almeno in parte e per qualche riguardo. Nessun fenomeno, però, cade
esclusivamente sotto questo concetto; di molti, anzi, solo una piccola parte.
Ovvero, per dir meglio: ciò che assicura alle cose, ai processi il diritto
dell'esistenza e la giustificazione della loro peculiarità è, per talune, non
solamente, per altre, non certo in prima linea, la loro attitudine ad uno
scopo. Le foglie ed i fiori hanno uno scopo? Certamente, giacché sono organi
delle piante; ma a tale scopo essi non devono assumere proprio quella forma,
quel colore, quel profumo determinato. A che scopo pertanto la prodigalità di
forme, colori, profumi della natura? A che pro' la molteplicità della specie?
Le cose potrebbero andare anche con maggior semplicità. L'intera natura
potrebbe essere piena di esseri, la cui riproduzione potrebbe essere ottenuta in
una maniera assai più rapida e «funzionale». La indiscriminata applicazione del
finalismo alla natura non rimane per nulla immune da contestazioni. E per
approfondire maggiormente il problema: quale scopo deve avere in genere
l'esistenza di questa o quella pianta, di questo o quell’ animale? Forse quello
di servir da nutrimento ad altri? Certo no! Se noi applichiamo soltanto il
criterio dell'esteriore funzionalità, troviamo che molte cose della natura sono
funzionari solo in parte, e nessuna è utile in tutto e per tutto. Molte cose
anzi, alla luce di questo criterio, appaiono senza scopo. In una creazione
della tecnica, sia una macchina od un ponte, tutto risponde ad uno scopo:
altrettanto in una impresa commerciale, nella burocrazia d'uno Stato; eppure
neanche per queste cose il concetto della finalità basta a risolvere tutti i
problemi relativi al loro diritto di esistere. Se, pertanto, vogliamo renderci
pieno conto della cosa, dobbiamo assumere un angolo visuale più ampio. Il
concetto di scopo pone il centro di gravità d'una cosa al di fuori ed al di là
di essa; tale concetto la considera quale tramite per un movimento che va oltre
e precisamente si dirige alla mèta. ogni cosa, pertanto, è anche - e taluna lo è
quasi del tutto - un quid a sé stante, uno scopo a sé, nella misura in
cui si può applicare ancora questo concetto in tale più ampia significazione,
cui si adatta meglio il concetto di senso. Tali cose
non hanno scopo nella stretta accezione della parola; hanno però un senso. E
questo senso è mostrato, non dal fatto ch'esse producono fuori di sé un effetto
ovvero contribuiscono alla costituzione o alla modificazione di qualcosa
d'altro, bensì il loro significato consiste nel loro essere quello che sono.
Nella rigorosa accezione dei vocaboli, esse sono senza scopo, ma piene di senso.
Scopo e senso sono i due
modi di presentarsi del fatto che una cosa esistente ha motivo e diritto al
proprio essere. Dal punto di vista dello scopo, una cosa si inserisce in un
ordine che va oltre di essa; nei riguardi del senso, essa riposa in se stessa.
Qual è ora il senso di ciò che è? D'esistere e
d'essere un riflesso del Dio infinito. E qual è il senso di ciò che vive? Di
vivere, esplicare l'intima essenza propria, di fiorire quale rivelazione
naturale del Dio vivente.
Questo non vale solo per la natura, ma anche per
vita dello spirito. La scienza ha forse uno scopo nel senso proprio della
parola? No. Il pragmatismo vuoi attribuirgliene uno: quello di incitar gli
uomini a migliorarsi moralmente. Ma questo significa misconoscere la dignità
sovrana della conoscenza. Essa non ha alcuno scopo, ha però un senso, che
riposa in se stesso: la verità.
L'attività legislativa di un parlamento ad es. ha
uno scopo; essa intende far valere nella vita statale una direttiva nettamente
determinata. La scienza del diritto invece non ne ha. mirando solo a conoscere
la verità nelle questioni giuridiche.
E così è di ogni autentica scienza, che è, in base
alla sua essenza, conoscenza della verità, servizio della verità.
Neppur l’arte ha uno scopo. Si
dovrebbe altrimenti pensare che la sua ragione d'essere sia la necessità
dell’artista di procurarsi con essa di che nutrirsi e di che vestirsi. Oppure,
come pensava l’illuminismo, che Parte sia destinata ad offrire esempi intuitivi
della verità di ragione ed a insegnare la virtù. L'opera d'arte non ha scopo,
bensì ha un senso, e precisamente quello ut sit, d'essere concretamente,
e che in essa l’essenza delle cose, la vita interiore dell’uomo artista ottenga
un'espressione sincera e pura. L'opera d'arte deve essere soltanto
splendor veritatís.
Quando la vita si sottrae al rigoroso ordine dei
fini, allora diventa un gioco di dilettanti. Muore, però, anche quando la si
vuoi costringere nella rigida armatura di una dottrina puramente utilitaria. I
due elementi si integrano reciprocamente. Lo scopo è il fine dello sforzo, dei
lavoro, dell’ordine; il senso è il contenuto dell’esistenza, della vita che
fiorisce e matura. I due poli dell'essere pertanto sono: scopo e senso, sforzo
e crescita, lavoro e produzione, ordinamento e creazione.
Anche la vita della Chiesa universale si svolge tra
queste due direzioni.
Ecco la possente struttura degli scopi nel diritto
canonico, nella costituzione e nell'amministrazione della Chiesa. Qui tutto è
mezzo ordinato ad un unico scopo, quello di mantenere in efficienza la grande
macchina della amministrazione ecclesiastica. Decisivo qui è il criterio, se la
istituzione o l’ordinanza considerata risponda alla finalità generale, se essa
la raggiunga col minor impegno di forze e tempo. Lo spirito della praticità deve
costituire la forza determinante in questa ampia organizzazione del lavoro.
La Chiesa, però, ha pure un altro aspetto. La sua vita abbraccia un
campo in cui essa rimane libera dallo scopo nel senso proprio della parola.
Questo campo è la liturgia. Anche questa certo include
un complesso di scopi, i quali costituiscono, per così dire, l'armatura che la
sostiene; così i Sacramenti hanno il compito di comunicare determinati doni di
grazia. Ma questa comunicazione, presupposte le condizioni richieste, può anche
aver luogo in forma assai semplificata. L'amministrazione d'urgenza dei
Sacramenti offre l’esempio di una azione liturgica rigidamente limitata al mero
suo scopo.
Si può anche affermare che la liturgia, ogni
sua azione ed ogni sua preghiera, ha lo scopo di educare
religiosamente. E questo è pur vero. Però essa non ha un piano
d'educazione preordinato e voluto di proposito. Per comprendere la differenza,
si confronti il decorso di una settimana dell’anno ecclesiastico con gli
esercizi di S. Ignazio. In questi ultimi tutto è consapevolmente pesato, tutto
organizzato allo scopo di raggiungere un determinato effetto pedagogico sulla
vita spirituale; ogni esercizio, ogni preghiera, anzi le stesse ore di riposo
sono indirizzate allo scopo fondamentale di determinare la conversione della
volontà. Non così avviene nella liturgia: è già abbastanza significativo che la
liturgia non abbia posto alcuno negli esercizi. Anch'essa vuole formare, ma non
attraverso un sistema di influssi educativi calcolato appositamente in vista del
fine, bensì creando semplicemente una perfetta atmosfera religiosa in cui
l’anima si dispieghi religiosamente. Vi è una differenza simile a quella che
passa tra una palestra ginnastica, dove ogni attrezzo, ogni esercizio è
calcolato, e l'aperta campagna o la foresta. Là tutto è sviluppo consapevole
delle forze, qui tutto è vita naturale, crescita delle intime energie nella
natura e con la natura. La liturgia crea un ampio mondo esuberante di.intensa
vita spirituale e fa sì che l’anima vi si muova e vi si sviluppi. Questa
ricchezza di preghiere, pensieri, azioni; questo intero ordinamento di tempi
rimane incomprensibile, se lo si commisura all’unità lineare della funzionalità
rigorosamente oggettiva.
La liturgia non ha «scopo», o almeno non può
essere ridotta soltanto sotto l'angolo visuale della sola finalità
pratica. Essa non è un mezzo impiegato per raggiungere un
determinato effetto, bensì - almeno in una certa misura - fine a sé. Essa,
secondo le vedute della Chiesa, non è una tappa sulla via che conduce ad una
mèta che sta fuori di essa, bensì un mondo di realtà viventi che riposa in se
stesso. Questo è l'importante: se lo si trascura, ci si sforza di trovare nella
liturgia intenti pedagogici d'ogni specie, che possono in qualche modo esservi
introdotti, ma che non vi occupano però un posto essenziale.
La liturgia non può avere «scopo» alcuno
anche per questo motivo: perché essa, presa in senso proprio, ha la sua
ragione d'essere non nell’uomo, ma in Dio. Nella liturgia
l'uomo non guarda a sé, bensì a Dio; verso di Lui è diretto lo sguardo. In essa
l'uomo non deve tanto educarsi, quanto contemplare la gloria di Dio. Il senso
della liturgia è pertanto questo: che l'anima stia dinanzi a Dio, si effonda
dinanzi a Lui, si inserisca nella Sua vita, nel mondo santo delle realtà,
verità, misteri, segni divini, e cosi si assicuri la vera e reale vita
sua propria. Ci sono due passi molto profondi nella Sacra Scrittura che avviano
alla soluzione definitiva di questo problema, per non dire che pronunziano la
parola liberatrice. L'uno sta nella visione d'Ezechiele. Questi fiammeggianti
Cherubini «andavano dritti dove il vento li spingeva..., né si voltavano
nell’andare..., andavano e venivano come la vampa della folgore.... andavano...
e stavano... e si alzavano dal suolo ... ; il fruscio delle loro ali
assomigliava al murmure di molt'acqua.... e quando si fermavano abbassavano
nuovamente le ali ... ». Come sono «senza scopo» codeste creature! Come sono
addirittura sconfortanti per uno zelatore della funzionalità raziocinata! Essi
sono «soltanto» mero movimento possente e maestoso che si dispiega come lo
spirito lo sollecita; che null'altro vuole se non esprimere l'intimo essere
dello spirito, rivelasse esteriormente l'intimo fervore e l’impetuosa forza;
ecco una viva immagine della liturgia!
E in un altro passo- parla l’Eterna Sapienza e dice:
«Io stavo presso di Lui intenta ad ordinare le cose tutte, ed ero tutta
compiacenza giorno per giorno, ricreandomi (ludens) in
sua presenza ogni momento, ricreandomi sul globo terrestre ... ». Questa
è la parola decisiva!
Il Padre eterno si compiace che la Sapienza,
il Figlio, la Pienezza assoluta d'ogni verità, dispieghi dinanzi a Lui in una
inesprimibile bellezza questo contenuto infinito senza alcuna «mira» - a che
dovrebbe Egli «mirare»? -; ma nella pienezza più definitiva del senso, in
mera e schietta gioiosità di vita: Egli «gioca» dinanzi a lui.
E questa è la vita degli esseri più elevati, degli
Angeli; essi, senza scopo, come lo Spirito li sollecita, si muovono dinanzi a
Dio in un senso misterioso, sono dinanzi a Lui un gioco ed un canto vivente.Anche
nell’ambito delle cose terrene vi sono due fenomeni che accennano alla stessa
tendenza: il gioco del bambino e la creazione dell'artista.
Nel gioco il bambino non si propone di
raggiungere nulla, non ha alcuno scopo. Non mira ad altro che ad
esplicare le sue forze giovanili, ad espandere la sua vita nella forma
disinteressata dei movimenti, delle parole, delle azioni, e con ciò a crescere.
a diventar sempre più perfettamente sé stesso. Senza scopo, ma piena di
significato profondo è questa giovane vita; e il senso non è altro che questo:
che essa si manifesti senza impedimenti nei pensieri, nelle
parole, nei movimenti, nelle azioni, si renda padrona dell’essere suo,
semplicemente esista. E giacché non mira a nulla di particolare,
giacché si dispiega così spontaneamente e senza coercizioni, appunto perciò
anche l'espressione riesce armonica, la forma limpida e suggestiva: il suo gesto
si tramuta da sé in ritmo ed immagine, in rima, melodia, canto. Questa è gioco:
espandersi disinteressato della vita che prende possesso della propria pienezza,
e ch'è piena di senso anche nella sua mera esistenza, ed è bella quando la si
lascia a sé, quando non vi vengono introdotti intenti riflessi con precettistica
mal illuminata pedagogizzante, rendendola in tal modo innaturale.
Coll'avanzare degli anni, si presentano anche le
lotte: la vita si sente agitata da conflitti ed odiosa. L'uomo si pone
dinanzi agli occhi ciò che egli vuole, ciò che egli deve, e cerca di realizzarlo
nella sua vita e nell'essere suo. Ma qui esperimenta quante forze vi
contrastino, e constata quanto di rado egli è veramente ciò che dovrebbe e
vorrebbe essere.
Questa contraddizione tra ciò ch'egli potrebbe
essere e quello chè in realtà, cerca di superarla in un altro ordine di realtà,
nel mondo irreale dell'immaginazione, nell’arte. Nell’arte l’uomo cerca di
ristabilire l'unità tra ciò che vuole e ciò che ha; tra ciò che dev'essere e ciò
che è; tra l’anima ch'è dentro di noi e la natura ch'è fuori di noi; tra il
corpo e lo spirito. Tali sono le creazioni dell'arte. Non hanno dunque alcuno
scopo istruttivo, non mirano ad insegnare determinate verità o virtù. Nessun
artista si è mai proposto questo. Nell’arte l'artista non mira ad altro che a
risolvere questa tensione interiore, a dar espressione nel mondo
dell'immaginazione a quella vita superiore a cui anela e che nella realtà
raggiunge solo approssimativamente. L'artista non vuol altro se non dare una
realtà esteriore al suo essere intimo ed al suo anelito, assicurare alla verità
interiore forma concreta. Ed anche chi contempla l'opera d'arte non deve
proporsi null’altro che di soffermarsi in essa, respirarvi, muoversi
liberamente, prendere consapevolezza della parte migliore del suo essere,
anelare al compimento della propria brama intima. Non deve perciò riflettervi
sopra con mutria critica «raziocinante» o cercarvi dottrina o savi ammonimenti.
Ora la liturgia fa qualcosa di ancor più elevato. In essa viene offerta
all'uomo l'occasione di realizzare, sostenuto dalla grazia, il senso più
singolare e proprio del suo essere, d'essere quale egli dovrebbe e vorrebbe
essere in conformità alla sua vocazione divina: un «figlio di Dio». Nella
liturgia, dinanzi a Dio, egli deve «allietarsi della sua giovinezza». Questa è
certamente una cosa del tutto soprannaturale, corrispondente però, nello stesso
tempo alla natura intima dell'uomo. E poiché questa vita è più elevata di
quella a cui dà occasione ed espressione la realtà consueta, essa trae forme ed
immagini adeguate da quel dominio nel quale soltanto le può trovare, vale a dire
nell'arte. Essa parla in ritmi e melodie; si muove con gesti solenni e
misurati; si riveste di colori e paludamenti che non appartengono alla vita
consueta; si svolge in luoghi e momenti che sono stabiliti ed organizzati
secondo leggi superiori. Diventa cosi, in un senso più elevato. una vita
filiale e infantile in cui tutto è immagine, ritmo e canto.
Questo pertanto il fatto mirabile che si
offre nella liturgia: arte e realtà diventano una unica cosa nella condizione
soprannaturale del figlio e fanciullo insieme, sotto lo sguardo di Dio.
Ciò che altrimenti è dato solo nel regno dell'irreale, nell'immaginazione
artistica, vale a dire le forme dell’arte come espressione della vita umana
pienamente consapevole, qui è realtà. Le forme dell'arte diventano la
traduzione espressiva di una vita reale, sia pur soprannaturale. E anche
questa ha un elemento comune con quella del bambino e dell'artista: è libera da
ogni scopo, e perciò appunto piena del senso più profondo. Non è lavoro, ma
gioco. Fare un gioco dinanzi a Dio, non creare, ma essere un'opera d'arte,
questo costituisce il nucleo più intimo della liturgia. Di qui la sublime
combinazione di profonda serietà e di letizia divina che in essa percepiamo. E
solo chi sa prendere sul serio Parte ed il gioco può comprendere perché con
tanta severità ed accuratezza la liturgia stabilisca in una moltitudine di
prescrizioni come debbano essere le parole, i movimenti, i colori, le vesti, gli
oggetti di culto.
Hai tu veduto mai con quale serietà i
bambini stabiliscono le regole nei loro giochi, in che modo deve svolgersi il
loro girotondo, come tutti debbano tenere le mani, che significhi questo
bastoncino o quell’albero? Tutto ciò appare sciocco solo a chi
non avverte il suo significato o senso e sa vedere la giustificazione
d'un atto soltanto negli scopi che se ne possono addurre. E non hai
letto mai, oppure direttamente sperimentato, con quale spietata serietà
l'artista stia al servizio dell’arte, come egli soffra sotto «la parola» che non
si presenta adeguata all’idea, quale padrona esigente sia la forma?
E tutto ciò per qualcosa che non ha scopo! No,
l'arte non ha nulla a che fare con gli scopi. Qualcuno crede seriamente che
l'artista si assoggetterebbe alle mille emozioni. alla febbre ardente della
creazione, se coll'opera sua non mirasse ad altro che a dar ai lettori od agli
spettatori un insegnamento che avrebbe potuto esprimere non meno bene in un paio
di frasi trovate senza fatica, oppure in qualche esempio tratto dalla storia,
ovvero con alcune fotografie ben azzeccate? Certo no! Essere artista significa
lottare per esprimere la vita profonda, affinché, espressa che sia, essa possa
esistere. E null’altro: ma non è già molto questo? È niente di meno che una
imitazione della creatività divina, della quale si dice che abbia fatto le cose
ut sint, perché semplicemente esistano.
La stessa cosa fa la liturgia. Anch’essa ha
cercato con cura infinita, con tutta la serietà del bambino e la
coscienziosità rigorosa del vero artista, di dar espressione in mille
forme alla vita dell’anima, vita santa alimentata da Dio,
mirando a null'altro se non a che essa vi possa dimorare e vivere.
Con severissime leggi essa ha regolato il santo gioco
che l'anima svolge dinanzi a Dio. Se vogliamo attingere il nucleo intimo di
questo mistero, dobbiamo riconoscere: è lo Spirito Santo, lo Spirito del fervore
e della santa disciplina, «che ha potere sulla parola»; è esso che ha regolato
il gioco, che la eterna Saggezza dispiega dinanzi al Padre celeste nella Chiesa,
il suo regno sulla terra. «E la sua delizia», pertanto, «sta nell’essere tra i
figli degli uomini».
Può comprendere la liturgia solo chi non si
scandalizza di questo, come ha fatto innanzitutto ogni razionalismo.
Agire liturgicamente significa diventare, col sostegno della grazia, sotto la
guida della Chiesa, vivente opera d'arte dinanzi a Dio, con
nessun altro scopo se non d'essere e vivere proprio sotto lo sguardo di Dio;
significa compiere la parola del Signore e «diventare
come bambini»; rinunciando, una volta per sempre, ad essere adulti che
vogliono agire sempre con finalità determinate per decidersi a giocare, come
faceva Davide quando danzava dinanzi all'Arca dell'alleanza. Può certo avvenire
che persone troppo assennate, le quali, con la piena maturità, hanno perduto la
libertà e la freschezza dello spirito, non lo comprendano e ne facciano
argomento di scherno. Ma anche Davide dovette sopportare che Michol ridesse di
lui. Il compito, pertanto, della educazione liturgica comprende anche questo
aspetto: l’anima deve apprendere a non vedere dovunque scopi, a non essere
troppo sensibile ai motivi utilitari, troppo prudente, troppo «adulta», bensì
deve sapere anche vivere semplicemente. Essa deve apprendere a liberarsi almeno
nella preghiera dalla irrequietudine dell’attività utilitaria, imparare ad
essere prodiga di tempo per Dio; deve trovar parole e pensieri e gesti per il
santo gioco, senza domandarsi ad ogni momento: a che scopo e perché? Non voler
far sempre qualche cosa, raggiungere qualche cosa, qualcosa produrre od ottenere
di utile, bensì apprendere a fare in libertà, bellezza, santa letizia dinanzi a
Dio il gioco da Lui regolato della liturgia.
Da ultimo, anche la vita eterna non sarà che
il compimento di questo gioco. E chi non comprende questo, potrà afferrare poi
che il compimento celeste della nostra vita è «un cantico eterno di lode»? Non
finirà costui per rientrare nella categoria delle persone attive, che trovano
inutile e noiosa tale eternità?
Fonte : http://digilander.libero.it/liturgiaravenna/guardini.htm
Romano Guardini, Lo spirito della Liturgia, Morcelliana 1980 - cap V
Nessun commento:
Posta un commento