venerdì 2 agosto 2019

Papa Giovanni Paolo II RIFLESSIONI SUL LIBRO DI TOBIA




Papa Giovanni Paolo II
RIFLESSIONI SUL LIBRO DI TOBIA

Secondo il libro di Tobia, l'indole fraterna sembra essere radicata nell'amore sponsale

Udienza Generale — 13 Giugno 1984

1. «Benedetto sei tu, Dio dei nostri padri,
e benedetto per tutte le generazioni è il tuo nome!
Ti benedicano i cieli e tutte le creature
per tutti i secoli!
Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie,
perché gli fosse di aiuto e di sostegno.
Da loro due nacque tutto il genere umano.
Tu hai detto: non è cosa buona che l'uomo resti solo;
facciamogli un aiuto simile a lui.
Ora non per lussuria io prendo questa mia parente,
ma con rettitudine d'intenzione.
Degnati di aver misericordia di me e di lei
e di farci giungere insieme alla vecchiaia.
E dissero insieme: Amen, amen!» (Tb 8,5-8).
2. Il libro di Tobia che, nella letteratura biblica dell'Antico Testamento, appartiene ad una categoria particolare (la cosiddetta «novella didattica» del genere midrashim), non presenta tratti di somiglianza con il Cantico dei cantici. Nondimeno, quando vi leggiamo la descrizione dello sposalizio del giovane Tobia con Sara, figlia di Rachele, troviamo una parola che ha attirato la nostra attenzione anche nell'analisi del Cantico. Ecco, Tobia chiama la sua sposa novella, «parente» (Tb 8,7). Così la chiama durante la preghiera che recitano insieme la prima notte dopo lo sposalizio, preghiera che è stata da noi citata all'inizio: «io prendo questa mia parente» (Tb 8,7); «sorella» (Tb 7,12), come la chiama anche suo padre Rachele, quando acconsente di darla in moglie a Tobia. Ecco le sue parole: «Essa ti viene data secondo il decreto del libro di Mosè e come dal cielo è stato stabilito che ti sia data. Prendi dunque tua cugina, d'ora in poi tu sei suo fratello e lei tua sorella. Ti viene concessa da oggi per sempre» (Tb 7,12).
3. Queste parole potrebbero semplicemente confermare la parentela tra gli sposi novelli. Infatti Rachele, che il giovane Tobia ha incontrato durante il viaggio, è fratello carnale di suo padre, anche lui di nome Tobi (Tb 5,9), dal quale a causa della schiavitù babilonica era diviso da molti anni. Rachele tuttavia, dando in moglie Sara al giovane Tobia, dice non soltanto: «prendi... tua cugina», ma anche «d'ora in poi tu sei suo fratello e lei tua sorella» (Tb 7,12). Ciò significa che tra i giovani deve formarsi, attraverso il matrimonio, anche un rapporto reciproco simile a quello che unisce la sorella al fratello. E proprio qui tornano alla mente le parole «sorella mia, sposa» (Ct 4,10), pronunciate dallo sposo del Cantico dei cantici. Queste parole del poetico contesto del Cantico suonano diversamente nel libro di Tobia; ma nonostante questa diversità sembrano indicare in entrambi i testi un particolare legame di riferimento: infatti, mediante il matrimonio l'uomo e la donna diventano fratello e sorella in modo speciale. L'indole fraterna sembra essere radicata nell'amore sponsale.
4. Nel racconto dello sposalizio di Tobia con Sara troviamo oltre l'espressione «sorella», ancora un altro rapporto che evoca un'analogia con il Cantico dei cantici.
Ricordiamo che nel duetto degli sposi, l'amore che si dichiara vicendevolmente è «forte come la morte» (Ct 8,6). Nel libro di Tobia non troviamo tale dichiarazione, come del resto non vi troviamo alcuna delle tipiche confessioni amorose che compongono il Cantico. E' detto soltanto che il giovane Tobia amò Sara «al punto da non saper più distogliere il cuore da lei» (Tb 6, 19): nient'altro che questa frase. Nel racconto dello sposalizio di Tobia con Sara siamo però di fronte ad una situazione che sembra egregiamente confermare la verità delle parole sull'amore «forte come la morte».
5. Occorre qui rifarsi ad alcuni particolari che trovano spiegazione sullo sfondo dello specifico carattere del libro di Tobia. Vi leggiamo che Sara, figlia di Rachele, in precedenza era «stata data in moglie a sette uomini» (Tb 6,14), ma ciascuno di loro era morto prima di unirsi a lei. Ciò era accaduto per opera dello spirito maligno, che nel libro di Tobia porta il nome di Asmodeo. Anche il giovane Tobia aveva ragioni di temere una morte analoga. Quando chiede Sara in moglie, Rachele gliela dona, proferendo parole significative: «Il Signore del cielo vi assista questa notte, figlio mio, e vi conceda la sua misericordia e la sua pace» (Tb 7,12).
6. Così l'amore di Tobia doveva fin dal primo momento affrontare la prova della vita e della morte. Le parole sull'amore «forte come la morte», pronunciate dagli sposi del Cantico dei cantici nel trasporto dei cuori, assumono qui il carattere di una prova reale. Se l'amore si dimostra forte come la morte, ciò avviene soprattutto nel senso che Tobia (e insieme a lui Sara) vanno senza esitare verso questa prova. In seguito esse si verificano perché in tale prova della vita e della morte vince la vita, cioè durante la prova della notte nuziale, l'amore si rivela più forte della morte.
7. Questo si attua attraverso la preghiera, che abbiamo citato all'inizio del capitolo, la quale nacque dagli avvertimenti del padre della giovane sposa, ma anzitutto dalle istruzioni date dall'arcangelo Raffaele, che aveva accompagnato Tobia lungo tutto il suo viaggio sotto il nome di Azaria (questo fatto costituisce indubbiamente la singolarità del libro di Tobia, che consente di annoverare quel poema biblico in una categoria distinta). Azaria-Raffaele dà al giovane Tobia vari consigli su come liberarsi dall'azione dello spirito maligno, appunto da quell'Asmodeo che aveva provocato la morte dei sette uomini ai quali Sara in precedenza era stata data in moglie. Infine, egli stesso prende l'iniziativa in questa faccenda (cf. Tb 6,17; 8,3). Soprattutto raccomanda però a Tobia e a Sara la preghiera, così dicendo: «Poi, prima di unirti con essa, alzatevi tutti e due a pregare. Supplicate il Signore del cielo perché venga su di voi la sua grazia e la sua salvezza. Non temere: essa ti è stata destinata fin dall'eternità. Sarai tu a salvarla. Ti seguirà e penso che da lei avrai figli che saranno per te come fratelli. Non stare in pensiero» (Tb 6,18).
8. Il contenuto delle parole di Raffaele è diverso da quelle di Rachele, padre di Sara. Le parole di Rachele esprimono l'afflizione, quelle di Raffaele la promessa. Con tale promessa era più facile per entrambi affrontare la prova della vita e della morte, che li attendeva durante la notte nuziale.
Quando i genitori «erano usciti e avevano chiuso la porta della camera», Tobia si alzò dal letto e chiamò Sara alla preghiera in comune, secondo le raccomandazioni di Raffaele-Azaria: «Sorella - disse -, alzati! Preghiamo e domandiamo al Signore che ci dia grazia e salvezza» (Tb 8,4). In tal modo nacque la preghiera citata da noi all'inizio. Si può dire che in questa preghiera (che tra breve sottoporremo all'analisi) si delinea sull'orizzonte del «linguaggio del corpo» la dimensione della liturgia propria del sacramento. Tutto infatti si compie durante la notte nuziale degli sposi.

Nel libro di Tobia, eros ed ethos confermano reciprocamEnte la verità dell'amore sponsale che unisce nella buona e nella cattiva sorte

Udienza Generale — 20 Giugno 1984

1. Abbiamo detto in precedenza che il segno sacramentale del matrimonio si costituisce sulla base del «linguaggio del corpo», che l'uomo e la donna esprimono nella verità che gli è propria. Sotto tale aspetto analizziamo attualmente il libro di Tobia. Nel fare il confronto tra il libro di Tobia e il Cantico dei cantici oppure i libri dei profeti, si può giustamente porre la domanda se il testo che stiamo esaminando parli di questo «linguaggio». Tanto il Cantico ci offre tutta la ricchezza del «linguaggio del corpo», riletto con gli occhi e il cuore degli sposi, quanto il libro di Tobia è, sotto questo aspetto, estremamente parco e sobrio.
Il fatto che Tobia amò Sara «al punto da non saper più distogliere il cuore da lei» (Tb 6,19), trova la sua espressione soprattutto nella prontezza di dividere con lei la sorte e di rimanere insieme «nella buona e cattiva sorte». Non è l'eros a caratterizzare l'amore di Tobia verso Sara, ma, dal principio, questo amore viene confermato e convalidato dall'ethos: cioè dalla volontà e dalla scelta dei valori. Criterio di questi valori diviene - alla soglia stessa del matrimonio - quella prova della vita e della morte, che entrambi debbono affrontare già la prima notte. Entrambi: sebbene la vittima del demonio debba essere soltanto Tobia, nondimeno è facile immaginare quale sacrificio di cuore avrebbe dovuto subire anche Sara.
2. Quella prova di vita e di morte - come ne parla il libro di Tobia - ha anche un altro significato che ci fa comprendere l'amore e il matrimonio degli sposi novelli. Ecco - unendosi come marito e moglie - essi debbono trovarsi nella situazione in cui si combattono e si misurano reciprocamente le forze del bene e del male. Il duetto degli sposi del Cantico dei cantici sembra non percepire affatto questa dimensione della realtà. Gli sposi del Cantico vivono e si esprimono in un mondo ideale o «astratto», in cui è come se non esistesse la lotta delle forze oggettive tra il bene e il male. Forse è proprio la forza e la verità interiore dell'amore ad attenuare la lotta che si svolge nell'uomo e intorno a lui?
La pienezza di questa verità e di questa forza propria dell'amore sembra tuttavia esser diversa; e sembra tendere piuttosto là dove ci conduce l'esperienza del libro di Tobia. La verità e la forza dell'amore si manifesta nella sua capacità di porsi tra le forze del bene e del male, che combattono nell'uomo e intorno a lui, perché l'amore è fiducioso nella vittoria del bene ed è pronto a far di tutto affinché il bene vinca.
3. Di conseguenza, la verità dell'amore degli sposi del libro di Tobia non viene confermata dalle parole espresse dal linguaggio del trasporto amoroso, ma dalle scelte e dagli atti che assumono tutto il peso dell'esistenza umana nell'unione di entrambi.
Il segno del matrimonio come sacramento si attua sulla base del «linguaggio del corpo», riletto nella verità dell'amore. Nel Cantico dei cantici questa è la verità dell'amore assorbita dallo sguardo e dal cuore: verità di esperienza e di affetto amoroso. Nel libro di Tobia la penosa situazione del «limite», unita alla prova della vita e della morte, fa, in certo senso, tacere il dialogo amoroso degli sposi. Emerge, invece, un'altra dimensione dell'amore: il «linguaggio del corpo», che sembra colloquiare con le parole delle scelte e degli atti, scaturiti da tale dimensione.
La prova della vita e della morte, come pietra di paragone, non appartiene forse anch'essa al «linguaggio del corpo»? Non è il termine «morte», per così dire, l'ultima parola di quel linguaggio, che parla dell'accidentalità dell'essere umano e della corruzione del corpo, parola alla quale debbono richiamarsi Tobia e Sara, all'inizio stesso del loro matrimonio? Quale profondità acquista in questo modo il loro amore, e il «linguaggio» del corpo» riletto nella verità di tale amore? Il corpo, infatti, nel segno sacramentale dell'unità coniugale, nella sua mascolinità e femminilità si esprime anche attraverso il mistero della vita e della morte. Si esprime attraverso questo mistero forse in modo più che mai eloquente.
4. Da tale ampio, direi «metafisico» sfondo, è opportuno passare a quella dimensione della liturgia, che è propria e definitiva per il segno del matrimonio come sacramento.
La dimensione della liturgia assume in sé il «linguaggio del corpo», riletto nella verità dei cuori umani - così come lo conosciamo dal Cantico dei cantici. Al tempo stesso però cerca di inquadrare questo «linguaggio» nella verità integrale dell'uomo, riletta nella parola del Dio vivo. Lo esprime la preghiera degli sposi novelli del libro di Tobia, che abbiamo citato all'inizio.
Nel libro di Tobia non c'è né il dialogo né il duetto degli sposi. Nella notte nuziale essi decidono soprattutto di parlare all'unisono - e questo unisono è appunto la preghiera. In quell'unisono che è la preghiera l'uomo e la donna sono uniti non soltanto attraverso la comunione dei cuori, ma anche attraverso l'unione di entrambi nell'affrontare la grande prova: la prova della vita e della morte.
5. Prima di sottoporre il testo della preghiera di Tobia e di Sara ad una analisi più particolareggiata, diciamo ancor una volta che proprio questa preghiera diviene quell'unica e sola parola, in virtù della quale gli sposi novelli vanno incontro alla prova che è ad un tempo prova del bene e del male, della sorte buona e cattiva nella dimensione di tutta la vita. Sono consapevoli che il male che li minaccia da parte del demonio può colpirli come sofferenza, come morte, distruzione della vita di uno di essi. Ma per respingere quel male che minaccia di uccidere il corpo, bisogna impedire allo spirito maligno l'accesso alle anime, liberarsi interiormente dal suo influsso.
6. In questo drammatico momento della storia di entrambi, Tobia e Sara, quando la notte nuziale era loro dovuto, come sposi novelli, parlare reciprocamente col «linguaggio del corpo», trasformano quel «linguaggio» in una voce sola. Quell'unisono è la preghiera. Questa voce, questo parlare all'unisono consente ad entrambi di varcare la «situazione del limite», lo stato di minaccia di male e di morte, aprendosi totalmente, nell'unità di due, al Dio vivo.
La preghiera di Tobia e di Sara diviene, in un certo senso, il più profondo modello della liturgia, la cui parola è parola di forza. E' parola di forza attinta alle sorgenti dell'alleanza e della grazia. E' la forza che libera dal male, e che purifica. In questa parola della liturgia si adempie il segno sacramentale del matrimonio, costruito nell'unione dell'uomo e della donna, in base al «linguaggio del corpo», riletto nella verità integrale dell'essere umano.

La preghiera del libro di Tobia colloca il «linguaggio del corpo» tra i temi essenziali della teologia del corpo

Udienza Generale — 27 Giugno 1984

1. La preghiera di Tobia e di Sara - riportata integralmente nei capitoli precedenti -, ha soprattutto il carattere di lode e di ringraziamento; e solo in seguito diviene gradatamente supplica: «Degnati di avere misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia» (Tb 8,7). Lodando il Dio dell'alleanza: «Dio dei nostri padri», gli sposi novelli parlano, in certo senso, il linguaggio di tutti gli esseri visibili e invisibili: «Ti benedicano i cieli e tutte le creature per tutti i secoli» (Tb 8,5). Su questo ampio, si può dire cosmico, sfondo, entrambi ricordano con gratitudine la creazione dell'uomo: quel «maschio e femmina li creò» (Gen 1,27) del libro della Genesi.
Nelle parole della preghiera sono presenti due tradizioni - sia quella levitica (Gen 1,27-28): la creazione dell'uomo maschio e femmina e il dono gratuito della benedizione della fecondità: «da loro nacque tutto il genere umano» (Tb 8,6); sia, in modo forse più pieno, quella jahvista. Così, dunque, si parla della creazione distinta della donna, con le parole: «gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (Gen 2,18). Tobia e Sara lo rilevano due volte nella loro preghiera: «Tu hai detto: Non è cosa buona che l'uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui». E prima ancora: «Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno» (Tb 8,6).
2. Si può dedurre che la verità espressa appunto in queste parole del libro della Genesi occupa un posto centrale nella coscienza religiosa di Tobia e di Sara, come il midollo del loro stesso «credo» coniugale, e che al medesimo tempo questa verità è loro particolarmente vicina. Per mezzo di essa si rivolgono a Dio-Jahvè non soltanto con le parole della Bibbia, ma esprimono inoltre pienamente ciò che riempie i loro cuori. Desiderano infatti divenire un nuovo anello della catena che risale agli inizi stessi dell'uomo. In quel momento in cui sposati l'uno con l'altro, come marito e moglie, debbono essere «una sola carne», s'impegnano comunemente a rileggere il «linguaggio del corpo» proprio del loro stato, nella sua sorgente divina. In tal modo, il «linguaggio del corpo» diventa linguaggio della liturgia: viene fissato il più profondamente possibile, collocato cioè nel mistero del «principio».
3. Di pari passo con questo va la necessità di una piena purificazione. Accostandosi alla sorgente divina del «linguaggio del corpo», gli sposi novelli ne sentono il bisogno e lo esprimono. Tobia dice: «Ora non per lussuria io prendo questa mia parente, ma con rettitudine d'intenzione» (Tb 8,7). In tal modo indica il momento di purificazione, cui deve essere sottoposto il «linguaggio del corpo», quando l'uomo e la donna si accingono ad esprimere in quel linguaggio il segno dell'alleanza sacramentale. In questo segno, il matrimonio deve servire a costruire la comunione reciproca delle persone, riproducendo il significato sponsale del corpo nella sua verità interiore. Le parole di Tobia: «non per lussuria» vanno rilette nel testo integrale della Bibbia e della Tradizione.
4. La preghiera di Tobia (Tb 8,5-8), che è innanzitutto preghiera di lode e di ringraziamento, poi di supplica, colloca il «linguaggio del corpo» sul terreno dei termini essenziali della teologia del corpo. E un linguaggio «oggettivizzato», pervaso non tanto dalla forza emotiva dell'esperienza, quanto dalla profondità e gravità della verità dell'esistenza stessa.
Gli sposi professano questa verità insieme, all'unisono davanti al Dio dell'alleanza: «Dio dei nostri padri». Si può dire che sotto questo aspetto il «linguaggio del corpo» diventa il linguaggio dei ministri del sacramento consapevoli che nel patto coniugale si esprime e si attua il mistero che ha la sua sorgente in Dio stesso. Il loro patto coniugale è infatti l'immagine - e il primordiale sacramento dell'alleanza di Dio con l'uomo, con il genere umano - di quell'alleanza che trae la sua origine dall'amore eterno.
Tobia e Sara terminano la loro preghiera con le parole seguenti: «Degnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia» (Tb 8,7).
Si può ammettere (in base al contesto) che essi hanno davanti agli occhi la prospettiva di perseverare nella comunione sino alla fine dei loro giorni: prospettiva che si apre dinanzi a loro con la prova della vita e della morte, già durante la prima notte nuziale. Al tempo stesso essi vedono con lo sguardo della fede la santità di questa vocazione, in cui - attraverso l'unità dei due, costruita sulla verità reciproca del «linguaggio del corpo» - debbono rispondere alla chiamata di Dio stesso, contenuta nel mistero del principio. E per questo chiedono: «Degnati di aver misericordia di me e di lei».
5. Gli sposi del Cantico dei cantici dichiarano vicendevolmente, con parole ardenti, il loro amore umano. Gli sposi novelli del libro di Tobia chiedono a Dio di saper rispondere all'amore. L'uno e l'altro trovano il loro posto in ciò che costituisce il segno sacramentale del matrimonio. L'uno e l'altro partecipano alla formazione di questo segno.
Si può dire che attraverso l'uno e l'altro il «linguaggio del corpo», riletto sia nella dimensione soggettiva della verità dei cuori umani, sia nella dimensione «oggettiva» della verità del vivere nella comunione, diviene la lingua della liturgia.
La preghiera degli sposi novelli del libro di Tobia sembra certamente confermarlo in un modo diverso dal Cantico dei cantici, e anche in modo che senza dubbio commuove più profondamente.






Fonte : www.vatican.va







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