IL GRIDO DEL CUORE , Conversione e Preghiera oggi
del Priore
Generale o.s.a. Martin Nolan
Lettera del Priore Generale degli Agostiniani nel XVI Centenario della Conversione di S. Agostino[1]
Dio è
amore
e quelli che sono fedeli
riposano con lui nell’amore,
richiamati dal tumulto esteriore
alle gioie silenziose.
Perché andar correndo nel più
alto dei cieli,
nel più profondo della terra,
alla ricerca di Colui che è
presso di noi
se noi vogliamo restare presso
di lui?
(S. Agostino, De Trinitate
8, 7, 11)
Nessun movimento nella vita religiosa
ha alcun valore se non è allo
stesso tempo movimento verso l’interiore,
a quel “centro silenzioso” della
vostra esistenza, dove è Cristo.
Non conta di più ciò che si fa,
ma ciò che si è.
(Giovanni Paolo Il, 1 ottobre
1979,
ai religiosi d’Irlanda)
IL GRIDO DEL
CUORE
Conversione e
Preghiera oggi
INTRODUZIONE
Sant’Agostino ci
introduce alla storia della sua conversione con l’annotazione dell’inquietudine
che si agita nel cuore dell’uomo. “Sei tu che stimoli l’uomo - scrive -
a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per
te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”[2].
Nel capitolo
conclusivo delle Confessioni torna di nuovo il motivo della inquietudine, che
può essere calmata solamente da Dio, “sempre quieto in
se stesso”. “Tu solo, o Dio, sei buono e non hai cessato di fare il bene. Alcune
opere che facciamo non sono buone per tuo dono, ma non sono eterne. Eppure dopo
di esse speriamo di riposare nella tua grande santità. Tu sei il bene che non ha
bisogno di nessun altro bene, sempre quieto in te stesso, perché sei tu stesso
la tua quiete. Quale uomo può dare a un altro uomo la comprensione di questa
verità? Quale angelo a un angelo? Quale angelo a un uomo? A te si chieda, in te
si cerchi, a te si bussi. Così, così la riceveremo, la troveremo e ci sarà
aperta”[3].
Inquadrata tra
questi due capitoli, Agostino ci descrive la sua odissea spirituale. Alla fine
della sua vita, guardandosi indietro e facendo la revisione dei suoi scritti,
riguardo alle sue Confessioni ebbe a dire: “I tredici libri delle mie
Confessioni lodano il Dio giusto e buono sia per gli eventi cattivi che
per quelli buoni della mia vita e verso di lui
sollevano la mente e il cuore degli uomini. Per quanto mi riguarda è quello che
hanno procurato a me quando li scrivevo e ancora oggi quando li leggo”[4].
Le Confessioni sono
una preghiera di lode e di ringraziamento, che nasce dalla piena consapevolezza
raggiunta dall’autore di essere stato da sempre conosciuto, amato, seguito e
finalmente ricondotto da Dio alla casa del proprio cuore, dove Egli l’attendeva
con amore di Padre[5].
La conversione di
Sant’Agostino è stata ricordata con una Lettera apostolica di Giovanni Paolo II,
con solenni celebrazioni liturgiche, simposi internazionali, corsi di
rinnovamento, un convegno internazionale dei giovani a Lecceto e altre
manifestazioni. Non è però solamente la commemorazione di un evento storico
accaduto 1600 anni fa, ma un invito rivolto a tutti noi a ritrovare lo stesso
sentiero che, solo, conduce alla scoperta del Dio vivo e misericordioso, che
abita il centro più intimo del nostro essere; è un invito a rientrare in quel
mondo interiore, dove la molteplicità di tutto ciò che vediamo e sentiamo
intorno a noi può essere riportata all’unità e trovare il suo vero significato e
la sua dignità.
PARTE 1
INQUIETUDINE, AGOSTINO, L’UOMO
DI OGGI
1.
L’inquietudine dell’uomo di oggi
Una recente
relazione della Santa Sede elenca i sintomi con i quali molte persone oggi
esprimono il bisogno di Dio e l’esigenza di dare senso e significato alla
propria esistenza. La relazione, che ricapitola le risposte pervenute da tutto
il mondo sulla presenza e l’attività delle sette religiose, raggruppa i motivi
per cui queste riescono ad attirare tanta gente.
Gli uomini si
sentono sradicati e soli e sono alla ricerca di una appartenenza e del senso di
comunità. Nella situazione complessa e confusa del mondo di oggi sono in cerca
di risposte e di soluzioni alle questioni più profonde della vita. Molti non si
riconoscono più in se stessi, negli altri, nella propria cultura e nel proprio
ambiente.
Molti hanno bisogno
di uscire dall’anonimato e di costruirsi una identità, di sentirsi persone
riconosciute nel loro proprio valore e non solo un numero o un membro senza
volto tra la folla. C’è anche un bisogno spirituale molto profondo, una
motivazione ispirata a ricercare qualcosa dietro la evidenza, l’immediato, il
familiare, il controllabile, il materiale. Manca a molta gente una guida che li
possa condurre spiritualmente e confermarli nella loro ricerca.
Un mondo
interdipendente di ostilità e di conflitto, di violenza e di paura della
distruzione, con tante persone inquiete riguardo al futuro, spesso disperate,
senza aiuto e potere, sta in cerca di segni di speranza, ha bisogno di una
prospettiva di futuro per il quale valga la pena vivere e impegnarsi totalmente[6].
La Costituzione
conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo del Concilio Vaticano II aveva
già descritto la condizione complessa e contraddittoria in cui si dibatte l’uomo
in questi ultimi decenni del XX secolo. I mutamenti rapidi e profondi che
caratterizzano il mondo di oggi sono stati provocati dall’intelligenza e
dall’attività dell’uomo; però si ripercuotono sull’uomo stesso, sui suoi giudizi
e sui suoi desideri individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e di
agire. Gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel
più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. È proprio
all’interno dell’uomo che molti elementi si combattono a vicenda.
Per tutti questi
motivi, di fronte all’evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più
numerosi coloro che si pongono o sentono con maggiore acutezza gli interrogativi
fondamentali: Chi è l’uomo? Quale il significato del dolore, del male, della
morte, che continuano a sussistere nonostante i tanti progressi scientifici e
tecnologici? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che cosa
apporta l’uomo alla società e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo
questa vita?[7]
La persona umana
sperimenta in mille modi i propri limiti e d’altra parte è cosciente di essere
senza confini nelle sue aspirazioni e chiamata ad una vita superiore.
Sollecitato da molte attrattive, l’uomo è costretto sempre a sceglierne qualcuna
e a rinunziare alle altre. Le sue aspirazioni a una vita superiore,
spiritualmente più soddisfacente e migliore, sono spesso silurate dalla sua
debolezza e dal suo egoismo.
È vero che molti, la
cui vita è impregnata di materialismo pratico, sono lontani dall’avere una
chiara percezione di questo dramma, oppure, oppressi dalla miseria, non hanno
modo di rifletterci. Dall’altra parte ci sono gli ottimisti che sperano dai soli
sforzi umani una vera e propria liberazione della umanità, e sono persuasi che
il futuro regno dell’uomo sulla terra appagherà tutti i desideri del suo cuore.
Altri invece disperano di scoprire un avvenire per cui valga la pena di vivere o
qualche significato nella vita stessa[8].
2.
Agostino alla ricerca di se stesso e di Dio
Le Confessioni di
Agostino descrivono il cammino da lui percorso nella ricerca di risposte alle
domande più profonde della sua esistenza.
Non riuscirono a
colmare il vuoto che l’opprimeva nel cuore né gli studi né le ricerche, né le
ambizioni né la carriera, né l’amore puramente umano né l’appartenenza alla
setta dei manichei.
Attraverso le sue
affannose ricerche Agostino scoprì la vastità dei desideri del cuore umano. Non
c’è niente sulla terra che possa soddisfarlo pienamente, perché l’uomo, fatto a
immagine e somiglianza di Dio, partecipa in qualche modo dell’infinità divina, è
aperto e bisognoso di Assoluto. Sta qui la ragione della sua perenne
inquietudine e delle sue interminabili ricerche; sta qui la ragione della
impossibilità di colmare il vuoto esistenziale con qualche altra cosa che non
sia Dio stesso; ma sta anche qui il vero onore e la vera gloria dell’uomo: “Il
vero onore dell’uomo infatti consiste nell’essere l’immagine e la somiglianza di
Dio, immagine che non si conserva se non andando verso Colui dal quale è
impressa”[9].
Dio ha impresso la
sua immagine profondamente e per sempre nell’anima umana, così che anche
se per la debolezza o per il peccato viene deformata, l’uomo conserva nel più
intimo del suo essere l’orientamento verso Dio.
Con la preghiera
soprattutto Agostino si volgeva a Colui che aveva impresso nella sua anima la
sua immagine; nella preghiera, con l’aiuto della grazia, si apriva a Dio sempre
presente nel suo intimo, che ricolmava con la sua presenza il vuoto interiore.
È soprattutto alla
preghiera che ci invita quindi l’anno della Conversione sia come singoli che
come comunità, se vogliamo essere eredi spirituali di S. Agostino.
Per mezzo della
preghiera infatti i rapporti interpersonali all’interno delle comunità vengono
riportati alla fonte dell’unità e della pace; per mezzo della preghiera tutte le
attività apostoliche vengono riferite consapevolmente all’Ospite divino
misteriosamente presente nei nostri cuori. Per questa via la vita comunitaria e
l’impegno apostolico diventano essi stessi espressioni di autentica preghiera.
Se la nostra
convivenza fraterna e il nostro servizio al popolo di Dio non nascono dal
contatto vivo con questa realtà interiore, tutti i nostri sforzi risulteranno
vani, anche quando ci sembrerà di ottenere buoni risultati a livello
organizzativo e riscuoteremo l’approvazione degli altri. Il vuoto del cuore non
si colma né si elimina con il numero accresciuto delle attività, siano pure
apostoliche; né viene reso all’uomo il dovuto onore, se si trascura e si
dimentica la vera fonte della sua grandezza: l’esser chiamato a vivere
nell’intimità con Dio, che solo può portarlo a realizzarsi.
PARTE Il
PREGHIERA: GRIDO DEL CUORE A DIO
1. S.
Agostino: cuore, fede, preghiera
Come è noto, S.
Agostino non ci ha lasciato nessun vero trattato sulla preghiera, nonostante il
profondo e lungo influsso da lui esercitato in materia su tutte le scuole di
spiritualità. La lettera 130 a Proba[10],
infatti, fu scritta come risposta ad alcuni precisi quesiti concernenti soltanto
la preghiera di domanda; i quattro discorsi sul Padre nostro, fatti ai
catecumeni, rispondono ad esigenze particolari e non pretendono esaurire
l’argomento[11].
Ciò nonostante “è
difficile trovare una sua opera in cui la preghiera sia completamente assente,
tanto gli è naturale e sentito il bisogno di dialogare con Dio e di coinvolgere
gli altri a fare altrettanto”[12].
Nelle Esposizioni sui salmi[13]
c’è una miniera inesauribile per chi cerca l’insegnamento di Agostino sulla
preghiera; le Confessioni invece presentano in ogni pagina l’esempio vivo di
Agostino in preghiera, che contempla la presenza salvifica di Dio nella sua
vita, per lodarlo e ringraziarlo per tutti i benefici da lui ricevuti.
È evidente che la
preghiera non costituì mai per lui un rito imposto dall’esterno o un esercizio
da eseguirsi per obbligo. Al contrario la preghiera era per lui il respiro
dell’anima, l’espressione spontanea della sua fede, speranza e carità, con cui
rompeva le catene e le limitazioni impostegli dal tempo e dagli impegni
pastorali e si apriva a Dio, fonte di ogni libertà e di gioia interiore. Nella
preghiera Agostino si sentiva veramente vivo, proteso com’era verso quella
pienezza di vita, in cui ogni peso, fatica e dolore scompaiono: “Quando
mi sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena
dovunque. Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te. Tu sollevi chi riempi;
io ora, non essendo pieno di te, sono un peso per me”[14].
Per il Dottore della
Grazia non c’è dubbio che una simile esperienza è possibile solo perché Dio
stesso anticipa l’uomo con il suo amore, inseguendolo anche quando si allontana
da lui. Senza la convinzione di essere già conosciuti, chiamati, amati e
perdonati da Dio, non potremmo neppure iniziare il dialogo con lui e ci
resterebbe precluso anche un vero dialogo con gli altri: “Non c’è nessuno che
non ami; quel che si domanda è che cosa ami. Non ci esorta a non amare ma a
scegliere quel che amiamo. Ma cosa potremo noi scegliere se prima non siamo
stati scelti noi stessi? In effetti, se non siamo stati prima amati, non
possiamo neppure amare”[15].
La fede conduce la
persona attraverso la cortina opaca dei fenomeni fino alla Realtà che sta dietro
cioè al Dio, sempre presente, che ama ogni sua creatura. Ci porta al di là delle
piccole conclusioni delle nostre ricerche affinché con l’aiuto della grazia
possiamo lanciarci nell’abbraccio di Dio stesso.
La preghiera si
nutre di questa fede: “Per mostrarci che la fede è la
sorgente della preghiera e che nessun ruscello di quest’acqua può scorrere se la
sorgente è prosciugata, l’apostolo ci dice: ‘Come potremo invocare colui nel
quale non abbiamo creduto?’ Così, per poter pregare abbiamo la fede e affinché
la fede, che ci fa pregare, non venga meno, preghiamo. La fede fa scaturire la
preghiera e la preghiera, che sgorga, chiede che la fede divenga sempre più
solida”[16].
Una preghiera
siffatta non può essere un’esperienza esteriore e superficiale, fatta solo con
le labbra; necessariamente sarà “un grido del cuore”:
“La preghiera è un grido che si leva al Signore; ma se questo grido consiste in
un rumore di voce corporale senza che il cuore di chi prega aneli intensamente a
Dio, non c’è dubbio che esso è fiato sprecato”[17].
Per Agostino, “in
conformità all’uso della Scrittura,. il cuore, come è il centro della vita del
corpo in quanto organo materiale, così nel senso spirituale è il centro
dell’anima e dello spirito. Il cuore è il luogo più interiore dell’uomo”[18],
“il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio;
la cui voce risuona nell’intimità”[19].
È qui, in questa
parte più intima, che Dio si lascia incontrare dall’uomo; e inversamente, quando
l’uomo si allontana dal cuore, si allontana da se stesso e da Dio che vi abita e
che sta sempre in attesa del nostro ritorno: “Rientrate
nel vostro cuore! Dove volete andare lontano da voi? Andando lontano vi
perderete. Perché vi mettete per strade deserte? Rientrate dal vostro
vagabondaggio, che vi ha portato fuori strada. Ritornate al Signore. Egli è
pronto. Prima rientra nel tuo cuore, tu che sei diventato estraneo a te stesso;
a forza di vagabondare fuori, non conosci te stesso, e cerchi colui che ti ha
creato!”[20].
La preghiera affiora
dalle profondità del cuore per coinvolgere tutta la persona. “Uno
può essere condotto in chiesa suo malgrado, lo possono portare per forza davanti
all’altare e contro la sua volontà amministrargli il sacramento; ma nessuno può
credere senza volerlo, perché la confessione della fede sgorga dal centro più
intimo della persona”[21].
Le preghiere che
scaturiscono dalla interiorità sono il diletto dell’anima. Il cristiano si sente
portato a tali preghiere non a motivo di un obbligo o di una imposizione, bensì
perché sperimenta la gioia e la libertà interiore, derivanti dall’abbandono di
sé all’abbraccio paterno di Dio[22].
Sfortunatamente
alcuni sono talmente sedotti dal benessere e dall’autosufficienza che non
sentono grande bisogno di Dio, mentre altri, in gran numero, sono così oppressi
dalla miseria che non hanno modo di rifletterci[23].
C’è chi è coinvolto
in un’attività così intensa da non aver il tempo di pensare ad altro; altri già
sperimentano un certo successo, vivono in un ambiente gradevole e sono
gratificati dagli amici e così finiscono per non apprezzare appieno la grandezza
della loro vocazione e le inesauribili potenzialità delle loro risorse, se solo
si aprissero di più al dono di Dio. Per Agostino l’esperienza dei limiti, che
segnano inevitabilmente la vita presente, è condizione imprescindibile per poter
anelare alla piena liberazione. Lo Spirito Santo, infatti, secondo l’espressione
dell’Apostolo, “geme in noi con sospiri inesprimibili”[24],
perché ci rende consapevoli dell’avvenire meraviglioso che ci attende e
suscita in noi il desiderio di uscire dall’oppressione presente[25].
2. Contemplazione: realizzazione
e destino dell’uomo
La contemplazione
del volto di Dio nella comunione piena e nell’intimità perfetta era l’avvenire a
cui Agostino aspirava personalmente. Essa però è il futuro beatificante
preparato da Dio per tutta l’umanità: “Gesù Cristo Signore nostro consegnerà
dunque il regno di Dio Padre e non sarà separato né lui né lo Spirito
Santo, quando condurrà i credenti alla contemplazione di Dio, contemplazione che
è il fine di tutte le nostre buone azioni, la pace eterna, la gioia che non ci
sarà tolta”[26].
“Questa contemplazione ci è promessa come fine di tutte le nostre azioni
e pienezza eterna del nostro gaudio... Dopo questa gioia non si cercherà
più nulla, perché non vi sarà altro da cercare; il Padre si mostrerà a
noi e questo ci basterà”[27].
Mentre il pieno
godimento della contemplazione è un compimento che aspettiamo nella speranza,
un’anticipazione è possibile pregustarla già fin da quaggiù: “Un’immagine di
questa gioia offriva Maria quando sedeva ai piedi del Signore e intenta alla sua
Parola (Le 10, 39), cioè libera da ogni attività e tutta intenta alla
verità nel modo che questa vita permette, ma tanto tuttavia da prefigurare
quello che si avrà in futuro per l’eternità”[28].
Di questa intimità,
che soddisfa tutti i desideri dell’uomo, Agostino scrisse in toni lirici: “Poi
mi dicesti con voce forte all’orecchio interiore che non è coeterna con te
neppure la creatura di cui tu sei il solo piacere; che, assorbendoti con
una castità perseverantissima, non rivela in nessun luogo e in nessun tempo la
sua mutevolezza; che avendo te sempre presente e tenendosi a te con tutto
il suo sentire, priva di un futuro da attendere e di ricordi passati ove
trasferirsi, non subisce vicende alternanti né distrazioni temporali. Oh
beata, se esiste, una tale creatura, per la sua inserzione nella tua
beatitudine; beata per colui, per te, che l’abita perpetuamente e la illumina.
Io non trovo nulla che, a mio giudizio, si potrebbe chiamare cielo del cielo
appartenente al Signore, più volentieri di questa tua dimora dedita alla
contemplazione delle tue delizie, senza mai staccarsene per muovere verso altre
mete; mente pura, unita nella massima concordia dal vincolo della pace
con i santi spiriti cittadini della tua città, posta nei cieli sopra i nostri
cieli”[29].
Agostino avrebbe
voluto passare tutti i suoi giorni immerso nello studio delle Sacre Scritture e
nelle delizie della contemplazione se non fosse venuto il Cristo indigente a
bussare alla porta della sua pace e a chiamarlo alla vita operosa di vescovo[30].
3. Preghiera e servizio all’uomo
L’insistenza di
Agostino sul mondo interiore, sull’ascolto di Dio che dal di dentro istruisce e
illumina[31],
sulle delizie della contemplazione, non devono indurre alla conclusione che per
lui la preghiera costituisca una fuga dal mondo e dalle responsabilità verso il
dramma, di cui questo mondo è teatro, dello sviluppo e della salvezza dell’uomo.
S. Agostino ha
richiamato con forza l’uomo alle realtà interiori del cuore non per offrire un
pretesto alle chiusure individualistiche e una scusa al disimpegno dal dovere di
partecipare attivamente al rinnovamento del mondo. Un simile malinteso della sua
dottrina è precluso sia dall’esempio concreto della sua vita sia dal calore con
cui sempre e ovunque nei suoi scritti ha parlato dell’amore.
È noto il suo
pensiero secondo cui l’uomo non si definisce per ciò che possiede o per ciò che
conosce, quanto piuttosto per ciò che ama. “Ciascuno è ciò che ama”[32].
Questo perché l’amore, a suo dire, possiede una forza unitiva e come il fuoco
fonde in un’unica realtà la persona che ama a ciò che è amato[33].
D’altra parte, l’amore è una potenza che vuole attuarsi: “Ogni amore è
dotato di una forza sua propria e, quando è in un cuore innamorato, non può
restarsene inoperoso: deve per forza spingere all’azione”[34].
Alla luce di una
tale concezione si comprende perché Agostino non provi alcuna esitazione nel
proclamare il primato della contemplazione: è certo che nella misura in cui
saremo uniti a Dio nella visione di fede e nell’amore, saremo anche vicini e
uniti ai fratelli. L’amore di Dio e l’amore del prossimo necessariamente
coincidono: “Tu non puoi dire: Amo il fratello, ma non amo Dio. Allo stesso
modo che menti quando dici: Amo Dio, se non ami il fratello; così ti inganni,
quando dici: io amo il fratello, e poi ritieni di non amare Dio.
Necessariamente, amando il fratello ami l’amore stesso. L’amore infatti è Dio; e
chi ama il proprio fratello, necessariamente ama Dio”[35].
Nel Dio, che è
Amore, è radicato tutto il creato, così che la scoperta di Dio è allo stesso
tempo la scoperta di quell’amore che è la forza divina che tutto regge e
sostiene.
Quando dunque un
uomo prega Dio in spirito e verità non si separa dal resto degli uomini e dai
loro problemi, al contrario si unisce loro in maniera straordinariamente
profonda, perché lo fa nel dialogo con Dio, cioè a quel livello in cui tutto e
tutti trovano la loro vera identità e il loro vero compimento.
La vita stessa di
Agostino poi è testimonianza indubitabile della fecondità operosa del suo
atteggiamento contemplativo. Il suo primo biografo, Possidio, così scrive: “Pur
mantenendosi sempre unito e come sospeso alle realtà dello spirito, di maggior
valore e trascendenza, talvolta abbassava il volo dalla contemplazione
dell’eterno per attendere alle cose di quaggiù. Ma dopo averle disposte e
ordinate, come si deve, per evitare la loro mordacità e molestie, ritornava a
occuparsi delle realtà interiori e superiori, per pensare sulle cose divine
ancora da scoprire o per dettare cose già trovate o ancora per correggere le
cose già dettate e trascritte. E questo usava fare lavorando di giorno e di
notte. Era come quella gloriosissima Maria, che offre un’immagine della Chiesa
celeste, e di cui sta scritto che era solita sedere ai piedi del Signore per
ascoltare attenta la sua parola”[36].
4. Spirito,
amore e preghiera
La preghiera è
inseparabilmente unita all’amore. C’è anzitutto l’amore di Dio per noi, senza il
quale ci risulterebbe assolutamente impossibile amare Lui[37].
Ma non è tutto. Dio
non ci ha dato soltanto l’esperienza del suo amore per noi, ci ha dato pure il
potere di riamarlo, donandoci lo Spirito Santo: “Ci ha
dato se stesso come oggetto da amare e ci ha dato la capacità di amarlo. Cosa ci
abbia dato al fine di poterlo amare ascoltatelo in una maniera più esplicita
dall’Apostolo Paolo, che dice: La carità di Dio è stata diffusa nei nostri
cuori. Ma come? Forse per opera nostra? No. Come allora? Attraverso l’azione
dello Spirito Santo che ci è stato dato”[38].
Di più. È lo stesso Spirito
Santo che, secondo l’espressione dell’Apostolo, “geme in noi”:
“Lo Spirito Santo spinge dunque i santi a supplicare con gemiti
ineffabili, ispirando in essi il desiderio di un bene tanto grande, ma ancora
sconosciuto, che aspettiamo con la speranza”[39].
Nel battesimo il
cristiano viene innestato nella vita di Cristo[40],
così che acquista una nuova identità nel Signore, diventando membro del suo
corpo qui sulla terra. Lo Spirito vive in lui la stessa vita di Gesù[41]
e la stessa preghiera di Gesù (Abbà, Padre) è pregata in noi dallo stesso
Spirito[42].
S. Agostino spiega
così la preghiera dello Spirito in noi: “Se dicessimo
che queste parole del salmo, che abbiamo udito e in parte cantato, sono nostre,
ci sarebbe da temere che non diciamo il vero; sono infatti più parole dello
Spirito di Dio che nostre.. È la voce dello Spirito di Dio perché noi non
potremmo dire queste parole senza la sua ispirazione, non lo è, d’altra parte,
perché Egli non conosce né miseria né debolezza, né sofferenza”[43].
Era stabilito nei
disegni di Dio che l’uomo fosse beneficiario dello Spirito. Mentre sta ancora in
pellegrinaggio, lo Spirito è la garanzia del futuro ineffabilmente bello che
l’attende[44].
Ebbene, il primo frutto dello Spirito è l’amore[45]
ed è l’amore che mette in evidenza la nostra appartenenza a Cristo[46].
L’unità per la quale
Cristo pregò nell’ultima cena come il vertice e la perfezione dell’uomo[47]
è un futuro che è già in via di realizzazione per opera dello Spirito: “Il
Padre e il Figlio, per mezzo di ciò che è loro comune - cioè lo Spirito -,
hanno voluto che noi fossimo uniti tra noi e con loro, e mediante questo dono
raccoglierci nell’unità mediante l’unico dono ch’essi hanno in comune,
per mezzo cioè dello Spirito Santo, Dio e dono di Dio. Per mezzo di
lui, infatti noi ci riconciliamo con Dio e ne godiamo”[48].
Lo Spirito Santo è
la sorgente d’acqua, promessa in dono da Gesù e che zampillerà per la vita
eterna[49]
o i fiumi d’acqua viva, che sgorgheranno dal seno del credente[50].
Alla donna
samaritana, che presso il pozzo di Giacobbe poneva a Gesù il problema sul luogo
del vero culto di Dio, Gesù rispose: “È giunto il momento in cui né su questo
monte né in Gerusalemme adorerete il Padre... ma è giunto il momento, ed
è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità;
perché il Padre cerca tali adoratori”[51].
Con queste parole Gesù chiariva una volta per sempre che il vero culto di Dio
non è legato a un luogo geografico piuttosto che a un altro, ma soltanto alla
presenza dello Spirito nel cuore del credente, che è sorgente di una nuova vita.
La preghiera quindi
non può essere considerata solamente uno sforzo mentale o vocale da
intraprendere sporadicamente durante il giorno. Essa è la voce dello Spirito
Santo in noi. È il Sì di Gesù, ispirato in noi dal suo Spirito. È
l’espressione privilegiata di ciò che siamo per fede. È la vita, in cui siamo
chiamati a rimanere sempre, senza mai stancarci[52].
PARTE III
PREGARE OGGI
1. Vivere è pregare nella
spiritualità agostiniana
Agostino ci ha
tracciato un sentiero sicuro che porta alla vita piena, alla vita vera, cioè
alla comunione con Dio. È il sentiero della preghiera che S. Agostino coniuga
con la vita. La preghiera - quando è vera - si manifesta nella vita e la vita
diventa preghiera[53].
È il sentiero privilegiato, anzi unico, che conduce alla piena realizzazione
dell’uomo e della società umana.
Coloro che sono
chiamati a seguire questa via come stato di vita rinunciano a profondi valori
umani come la proprietà, la famiglia e i progetti personali nella certezza che
questa via li conduce alla loro realizzazione e a vivere la propria identità.
Per essi, per la loro stessa professione, l’invito a vivere è invito a pregare.
Venir meno a pregare è pertanto venir meno a vivere.
L’invito a preporre
la vita di preghiera ai valori umani più profondi è la chiamata ad una scelta
audace. Se però la preghiera viene meno, la scelta risulta non più audace ma
azzardata e lascia frustrata, vuota, scontenta e incompiuta la persona che la
fa.
Pregare, come amare,
non può sgorgare se non dalla libertà. La libertà si attua nell’accogliere ogni
momento, come nuovo, l’amore di Dio e nel rispondere ad esso. Come ci insegna la
Regola: la vita di preghiera non va vissuta mai come obbligo di legge ma sempre
come adesione libera alla grazia, innamorati di un ideale di bellezza spirituale[54].
Secondo le
Costituzioni “il fine dell’Ordine consiste nel
ricercare ed onorare Dio e nel lavorare al servizio del popolo di Dio insieme,
concordemente, nella fraternità e nell’amicizia spirituale”[55].
Fin dalle sue
origini infatti il nostro Ordine, richiamandosi all’esempio insigne di S.
Agostino, mirò a coniugare il servizio apostolico con l’amore per lo studio, per
la preghiera e per la contemplazione. Segni chiari di questo atteggiamento
contemplativo erano il grande rilievo dato nelle nostre comunità alla
celebrazione liturgica e alla meditazione, nonché l’attaccamento, durato per
secoli, al titolo di Eremiti, che ne ricordava le origini.
Ancora oggi, d’altra
parte, “le sorelle di vita contemplativa occupano un posto eminente
nell’Ordine”. Esse “dedicandosi soprattutto
all’orazione, alla mortificazione e allo studio, collaborano alacremente con noi
nel soccorrere le necessità della Chiesa e dell’Ordine in maniera tale che esse
esercitano in noi l’apostolato, mentre noi per opera loro diveniamo
contemplativi”[56].
La loro vita di
preghiera è un segno e un richiamo sempre vivo per tutto l’Ordine a quella
dimensione contemplativa, che è e resta una componente essenziale della
spiritualità agostiniana.
2. Preghiera e rinnovamento
L’Anno della
Conversione, che si avvia ormai al termine, ci sollecita a fare anche noi
l’itinerario che condusse S. Agostino a ritrovare se stesso e Dio. Fu certamente
un itinerario di interiorità e di ricerca, dopo gli anni dello smarrimento e
della dissipazione. Ma fu soprattutto un impegno di preghiera sempre rinnovata e
di dialogo incessante con il Dio ritrovato non lontano, ma proprio lì, nel
cuore.
A questo dialogo
interiore ci invita con insistenza S. Agostino: “Tu
solo sei vicino a chi si pone lontano da te. Dunque si volgano indietro a
cercarti: tu non abbandoni le tue creature come esse abbandonarono il loro
creatore. Se si volgono indietro da sé a cercarti, eccoti già lì, nel loro
cuore, nel cuore di chiunque ti riconosce e si getta ai tuoi piedi, piangendo
sulle tue ginocchia dopo il suo aspro cammino. Tu prontamente ne tergi le
lacrime e più singhiozzano e si confortano al pianto, perché sei tu, Signore, e
non un uomo qualunque, carne e sangue, ma tu, Signore, il loro creatore, che le
rincuori e le consoli”[57].
Lo stesso Signore
Gesù Cristo ci invita a praticare questo dialogo filiale con Dio, senza
stancarci mai[58].
Esso si attua nei momenti più solenni della liturgia sia eucaristica che delle
Ore, ma si deve estendere a ogni momento e a ogni attività della giornata.
Anche sul tema della
preghiera continua abbiamo una parola chiarificatrice di S. Agostino: “Il tuo
desiderio è la tua preghiera; se continuo è il tuo
desiderio, continua è la tua preghiera. Perché non invano ha detto l’apostolo:
pregate senza interruzione. Forse che noi senza interruzione pieghiamo le
ginocchia, prostriamo il corpo o leviamo le mani per adempiere al comando di
pregare senza interruzione? Se intendiamo il pregare in tal modo, credo che non
lo potremo fare senza interruzione. Ma c’è un’altra preghiera, interiore, che
non conosce interruzione, ed è il tuo desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se
desideri quel sabato, non smetti mai di pregare. Se non vuoi mai interrompere la
preghiera, non cessare mai di desiderare. Il tuo desiderio continuo sarà la tua
continua voce. Tacerai, se cesserai di amare”[59].
Ecco dunque la
preghiera cui siamo invitati. Una preghiera interiore, ininterrotta, che sia
espressione di amore e di desiderio in modo da coinvolgere tutta la persona e
tutta la vita.
Si è parlato tanto
nel periodo del post-concilio di rinnovamento della vita religiosa. In effetti,
tanti aspetti esteriori della nostra vita sono cambiati. Non viviamo più allo
stesso modo di prima. Ma possiamo dire con tutta sincerità che la nostra vita
sia diventata più evangelica e la nostra testimonianza cristiana più incisiva? È
convinzione di molti che non si avrà nessun vero rinnovamento personale e
comunitario, se non nascerà da un più vero e interiore dialogo con Dio.
È questo comunque il
messaggio che nell’anno della Conversione S. Agostino ci affida.
Questo dialogo
interiore, amoroso e rassicurante, è alimentato da un ascolto altrettanto
amoroso e devoto. Se in Dio abbiamo trovato la nostra identità e la nostra
consistenza, come pure la capacità di un nuovo rapporto con i fratelli, solo la
perseveranza in questo riferimento a Lui, nel suo desiderio, ci può salvare
dalla dispersione e dalla insoddisfazione.
E questo non a
scapito del dovere di rispondere al Cristo che bussa[60],
senza cioè il timore di risporcarci i piedi dopo esserceli già lavati[61],
ma trasformando la preghiera comune e quella personale dei sempre più rari tempi
liberi, in un momento di vita e di respiro, di rigenerazione delle proprie
forze.
Questa
contemplazione rivitalizzante non dobbiamo illuderci di ricercarla a scapito
delle “necessità della Chiesa”[62]
o nei tempi richiesti dal servizio che dobbiamo ai fratelli, soprattutto nei
momenti in cui li possiamo incontrare[63],
ma a scapito del nostro egoismo personale e comunitario, ritrovando più
convinzione che i momenti di preghiera rubati al nostro comodo sono veri momenti
di gioia e di vita, e dimostrando più elasticità e apertura nella distribuzione
dei tempi comuni.
Perché non succeda,
come capita spesso, che, in un ritmo di vita così convulso e faticoso come
quello di oggi, a perderci sia sempre questo dialogo amoroso con il Padre, per
altro così necessario. Gesù privilegiava i tempi “notturni”[64];
così pure Agostino[65]:
dovremmo intenderli i tempi non necessariamente richiesti dal servizio dei
fratelli, per poter gustare quanto è buono il Signore e poi tornare a guarire
quanti sono malati e hanno bisogno di un messaggio convincente[66].
Agostino utilizzava
spesso lo studio, in particolare della Scrittura, per dialogare amorosamente con
il Signore[67].
Per secoli questa è stata anche una gloriosa tradizione dell’Ordine[68].
Lo studio e la meditazione della Parola e dei segni dei tempi,
l’interiorizzazione della Parola e degli avvenimenti, riascoltati e rivisti alla
presenza di Dio nel nostro cuore, mentre ci aiutano a superare la naturale
tensione tra contemplazione e azione, offrono alla vita il giusto respiro e la
necessaria ossigenazione.
3.
Agostino e le forme attuali di preghiera
Nonostante la
secolarizzazione di massa del mondo contemporaneo, anzi forse proprio a causa di
essa, molte persone vanno oggi in cerca di una vita più interiore sia dentro che
fuori della Chiesa. Anche in seno alla comunità cristiana, infatti, nei tempi
recenti, sono sorti movimenti di preghiera carismatica, gruppi di preghiera e di
meditazione profonda. Abbiamo assistito a un notevole risveglio liturgico, per
cui anche molti laici vogliono partecipare più attivamente sia alla preghiera
delle Ore che alle liturgie della Parola e dei Sacramenti.
Molti vanno anche
fuori dei confini della Chiesa in cerca di esperienze spirituali più
approfondite presso guide orientali o si avvicinano alle diverse sette che si
propagano sempre più numerose anche in Occidente. L’adesione di alcuni cristiani
a queste sette desta giustamente preoccupazioni nei Pastori, ma costituisce
anche una sfida per tutti noi e per tutti coloro che desiderano conoscere i
bisogni dell’uomo di oggi.
Si vanno di nuovo
riscoprendo i tesori della meditazione e della contemplazione sia nei Padri che
nei mistici del medioevo. Anche psicologi del profondo, come C.G. Jung, restano
meravigliati dalla profondità toccata da personaggi come S. Agostino e il
maestro Eckhart.
Sin dalla sua epoca,
fino ad oggi, tutti i maestri di spirito e i mistici hanno attinto a piene mani
e spesso esclusivamente alla dottrina di Agostino. In lui l’uomo di oggi può
trovare una guida sicura che non solo ha sperimentato ma ha saputo anche
partecipare la sua esperienza.
All’uomo di oggi non
bastano più le forme esterne, anche se belle, della preghiera attuata negli
ultimi secoli se queste non riescono a metterlo in contatto con il Dio che vive
nella profondità dell’anima.
A S. Agostino, per
la verità, non interessano particolarmente le tecniche della preghiera, le
posizioni del corpo o i metodi psicologici, ma neppure si può affermare che li
respinga aprioristicamente. Per lui tutto quello che favorisce l’interiorità ben
venga, a patto che sia preghiera cristiana, nata più dallo Spirito Santo che dal
nostro spirito e che con l’aiuto della grazia ci porti a immedesimarci con il
Cristo, che vive in noi.
CONCLUSIONE
A coloro che, come
noi, lo hanno scelto come Padre e Maestro spirituale, S. Agostino si offre come
guida verso il mondo misterioso e affascinante della interiorità. Lì,
nell’intimo del cuore, Dio ci attende. Lì ci aspetta per sfamarci e dissetarci
con il dono di Sé, e così colmare il vuoto che è nel nostro cuore.
Se ci smarriamo,
Egli ci aspetta ancora. Unicamente in Lui potremo ritrovare noi stessi e il
significato e il valore di tutte le altre cose.
La preghiera è il
cammino privilegiato per ritornare a Dio e a noi stessi. La preghiera perciò non
può essere rinviata, come un viaggio, ad altra data, in attesa di aver risolto i
nostri problemi riguardanti l’organizzazione delle nostre strutture e le
vocazioni.
La preghiera si fa
ora o non si fa mai. La preghiera che si fa ora, si farà sempre. Senza il
contatto vivo con Dio dato dalla preghiera, non vale niente né la
riorganizzazione né qualunque altra rifioritura della vita religiosa.
Come la fede, di cui
è il respiro, la preghiera è una dimensione assolutamente libera, sotto la
grazia. Né obblighi né leggi la possono imporre, e ciò nonostante, senza la
preghiera non si può raggiungere la vita in abbondanza[69];
la gioia piena[70],
o la profonda armonia e pace[71],
la libertà vera[72],
l’intimità e comunione perfetta[73]
nella quale l’uomo si completa. Dio ci si offre gratuitamente. Tocca a noi
accogliere la grazia.
L’anno della
Conversione risvegli in ognuno l’atteggiamento di Maria Santissima, perché
“avvenga di noi secondo la sua Parola”[74]
e perché facciamo qualunque cosa Egli ci dirà[75].
Allora davvero l’acqua della nostra vita si cambierà nel vino inebriante della
sua presenza fra noi, per allietare il mondo che è attorno a noi.
Roma, 13 novembre
1987, conclusione dell’anno centenario della Conversione di S. Agostino e
della morte di S. Monica.
Martin Nolan, osa
Priore Generale
degli Agostiniani
[1]
Testo originale italiano in ACTA O. S. A., XXXIV, 1988, 23-39.
[2]
Conf. 1, 1, 1.
[3]
Ib. XIII, 38, 53.
[4]
Retract. II, 6, 1.
[5]
Cfr. Conf. X, 18, 27.
[6]
Cfr. Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: una
sfida pastorale in L’Osservatore Romano Documenti, mercoledì 7 maggio
1986 pp. I-II.
[7]
GS 4, 10.
[8]
Ib.
[9]
De Trin. XII, 11, 16.
[10]
PL 33, 494-507.
[11]
Sermones 56, 57, 58, 59.
[12]
N. Cipriani, La pedagogia della preghiera in S. Agostino,
Palermo 1984, p. 12.
[13]
PL 36-37.
[14]
Conf. X, 28, 39.
[15]
Serm. 34, 2.
[16]
Serm. 115, I, 1.
[17]
En. in Ps. 118, Serm. 29, I.
[18]
N. Cipriani, o. p., p. 20.
[19]
GS 16.
[20]
In Joa. ev. 18, 10.
[21]
In Joa. ev. 26, 2.
[22]
Ib.
[23]
Cfr. GS 10; Epist. 130, 3, 8.
[24]
Rom 8, 26.
[25]
In Joa. ev. 6, 2.
[26]
De Trin. I, 10, 20.
[27]
Ib. 1, 8, 17.
[28]
Ib. I, 10, 20.
[29]
Conf. XII, 11, 12.
[30]
Cfr. In Joa. ev. 57, 3-4.
[31]
Ib.
[32]
In Joa. ev. 2, 14.
[33]
Ib.
[34]
En. in Ps. 121, 1.
[35]
In Joa. ep. 9, 10.
[36]
Possidio, Vita Augustini, XXIV.
[37]
Cfr. Serm. 34, 2.
[38]
Ib.
[39]
Epist. 130, 15, 28.
[40]
Cfr. Rom 6, 11.
[41]
Cfr. Gv 3, 33ss.
[42]
Cfr. Rom 8, 15; Gal 4, 4-8.
[43]
En. in Ps. 26, Il, 1.
[44]
Cfr. Eph 1, 13-14; 4, 30; 2 Cor 1, 22; 5, 5.
[45]
Rom 5, 5; Gal 5, 22.
[46]
Cfr. Gv 13, 34.35.
[47]
Cfr. Gv 17, 11; 21-23.
[48]
Serm. 71, 12, 18.
[49]
Gv 4, 10-14.
[50]
Gv 7, 38-39.
[51]
Gv 4, 21-23.
[52]
Lc 18, 1.
[53]
Cfr. N. Cipriani, o. c., p. 32.
[54]
Regula VIII, 48.
[55]
Const. 16.
[56]
Ib. 45.
[57]
Conf. V, 2, 2.
[58]
Lc 18, 1.
[59]
En. in Ps. 37, 14.
[60]
In Joa. ev. 57, 4; PL 35, 1791.
[61]
Ib. 1, 6.
[62]
Epist. 48, 2; Epist. 243, 8.
[63]
Cfr. Conf. XI, 2, 2.
[64]
Mt 14, 23; Mc 1, 35; 6, 47; Lc 6, 12.
[65]
Possidio, o. c., III, XXIV; cfr. L. Verheijen, Nouvelle approche de la
Règle de St. Augustin, Bellefontaine 1980, pp. 258 ss.
[66]
Lc 4, 16 ss.
[67]
Cfr. Conf. XI, 2, 2-4.
[68]
Const. 124 ss.
[69]
Gv 10, 10.
[70]
Gv 15, 11; 16, 24.
[71]
Gv 14, 27.
[72]
Gv 8, 33.36.
[73]
Gv 17, 22.
[74]
Lc 1, 38.
[75]
Gv 2, 5.
Fonte : www.aug.org
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