sabato 3 agosto 2019

IL GRIDO DEL CUORE , Conversione e Preghiera oggi del Priore Generale o.s.a. Martin Nolan



IL GRIDO DEL CUORE , Conversione e Preghiera oggi
del Priore Generale o.s.a. Martin Nolan

Lettera del Priore Generale degli Agostiniani nel XVI Centenario della Conversione di S. Agostino[1]
 
 
Dio è amore
e quelli che sono fedeli
riposano con lui nell’amore,
richiamati dal tumulto esteriore
alle gioie silenziose.
Perché andar correndo nel più alto dei cieli,
nel più profondo della terra,
alla ricerca di Colui che è presso di noi
se noi vogliamo restare presso di lui?
(S. Agostino, De Trinitate 8, 7, 11)
 
            Nessun movimento nella vita religiosa
ha alcun valore se non è allo stesso tempo movimento verso l’interiore,
a quel “centro silenzioso” della vostra esistenza, dove è Cristo.
Non conta di più ciò che si fa, ma ciò che si è.
(Giovanni Paolo Il, 1 ottobre 1979,
ai religiosi d’Irlanda)
 
IL GRIDO DEL CUORE
Conversione e Preghiera oggi
 
INTRODUZIONE
            Sant’Agostino ci introduce alla storia della sua conversione con l’annotazione dell’inquietudine che si agita nel cuore dell’uomo. “Sei tu che stimoli l’uomo - scrive - a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”[2].
            Nel capitolo conclusivo delle Confessioni torna di nuovo il motivo della inquietudine, che può essere calmata solamente da Dio, “sempre quieto in se stesso”. “Tu solo, o Dio, sei buono e non hai cessato di fare il bene. Alcune opere che facciamo non sono buone per tuo dono, ma non sono eterne. Eppure dopo di esse speriamo di riposare nella tua grande santità. Tu sei il bene che non ha bisogno di nessun altro bene, sempre quieto in te stesso, perché sei tu stesso la tua quiete. Quale uomo può dare a un altro uomo la comprensione di questa verità? Quale angelo a un angelo? Quale angelo a un uomo? A te si chieda, in te si cerchi, a te si bussi. Così, così la riceveremo, la troveremo e ci sarà aperta”[3].
            Inquadrata tra questi due capitoli, Agostino ci descrive la sua odissea spirituale. Alla fine della sua vita, guardandosi indietro e facendo la revisione dei suoi scritti, riguardo alle sue Confessioni ebbe a dire: “I tredici libri delle mie Confessioni lodano il Dio giusto e buono sia per gli eventi cattivi che per quelli buoni della mia vita e verso di lui sollevano la mente e il cuore degli uomini. Per quanto mi riguarda è quello che hanno procurato a me quando li scrivevo e ancora oggi quando li leggo”[4].
            Le Confessioni sono una preghiera di lode e di ringraziamento, che nasce dalla piena consapevolezza raggiunta dall’autore di essere stato da sempre conosciuto, amato, seguito e finalmente ricondotto da Dio alla casa del proprio cuore, dove Egli l’attendeva con amore di Padre[5].
            La conversione di Sant’Agostino è stata ricordata con una Lettera apostolica di Giovanni Paolo II, con solenni celebrazioni liturgiche, simposi internazionali, corsi di rinnovamento, un convegno internazionale dei giovani a Lecceto e altre manifestazioni. Non è però solamente la commemorazione di un evento storico accaduto 1600 anni fa, ma un invito rivolto a tutti noi a ritrovare lo stesso sentiero che, solo, conduce alla scoperta del Dio vivo e misericordioso, che abita il centro più intimo del nostro essere; è un invito a rientrare in quel mondo interiore, dove la molteplicità di tutto ciò che vediamo e sentiamo intorno a noi può essere riportata all’unità e trovare il suo vero significato e la sua dignità.
 
PARTE 1
INQUIETUDINE, AGOSTINO, L’UOMO DI OGGI

1. L’inquietudine dell’uomo di oggi
            Una recente relazione della Santa Sede elenca i sintomi con i quali molte persone oggi esprimono il bisogno di Dio e l’esigenza di dare senso e significato alla propria esistenza. La relazione, che ricapitola le risposte pervenute da tutto il mondo sulla presenza e l’attività delle sette religiose, raggruppa i motivi per cui queste riescono ad attirare tanta gente.
            Gli uomini si sentono sradicati e soli e sono alla ricerca di una appartenenza e del senso di comunità. Nella situazione complessa e confusa del mondo di oggi sono in cerca di risposte e di soluzioni alle questioni più profonde della vita. Molti non si riconoscono più in se stessi, negli altri, nella propria cultura e nel proprio ambiente.
            Molti hanno bisogno di uscire dall’anonimato e di costruirsi una identità, di sentirsi persone riconosciute nel loro proprio valore e non solo un numero o un membro senza volto tra la folla. C’è anche un bisogno spirituale molto profondo, una motivazione ispirata a ricercare qualcosa dietro la evidenza, l’immediato, il familiare, il controllabile, il materiale. Manca a molta gente una guida che li possa condurre spiritualmente e confermarli nella loro ricerca.
            Un mondo interdipendente di ostilità e di conflitto, di violenza e di paura della distruzione, con tante persone inquiete riguardo al futuro, spesso disperate, senza aiuto e potere, sta in cerca di segni di speranza, ha bisogno di una prospettiva di futuro per il quale valga la pena vivere e impegnarsi totalmente[6].
            La Costituzione conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo del Concilio Vaticano II aveva già descritto la condizione complessa e contraddittoria in cui si dibatte l’uomo in questi ultimi decenni del XX secolo. I mutamenti rapidi e profondi che caratterizzano il mondo di oggi sono stati provocati dall’intelligenza e dall’attività dell’uomo; però si ripercuotono sull’uomo stesso, sui suoi giudizi e sui suoi desideri individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e di agire. Gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. È proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si combattono a vicenda.
            Per tutti questi motivi, di fronte all’evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi coloro che si pongono o sentono con maggiore acutezza gli interrogativi fondamentali: Chi è l’uomo? Quale il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere nonostante i tanti progressi scientifici e tecnologici? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che cosa apporta l’uomo alla società e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita?[7]
            La persona umana sperimenta in mille modi i propri limiti e d’altra parte è cosciente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamata ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, l’uomo è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Le sue aspirazioni a una vita superiore, spiritualmente più soddisfacente e migliore, sono spesso silurate dalla sua debolezza e dal suo egoismo.
            È vero che molti, la cui vita è impregnata di materialismo pratico, sono lontani dall’avere una chiara percezione di questo dramma, oppure, oppressi dalla miseria, non hanno modo di rifletterci. Dall’altra parte ci sono gli ottimisti che sperano dai soli sforzi umani una vera e propria liberazione della umanità, e sono persuasi che il futuro regno dell’uomo sulla terra appagherà tutti i desideri del suo cuore. Altri invece disperano di scoprire un avvenire per cui valga la pena di vivere o qualche significato nella vita stessa[8].

2. Agostino alla ricerca di se stesso e di Dio
            Le Confessioni di Agostino descrivono il cammino da lui percorso nella ricerca di risposte alle domande più profonde della sua esistenza.
            Non riuscirono a colmare il vuoto che l’opprimeva nel cuore né gli studi né le ricerche, né le ambizioni né la carriera, né l’amore puramente umano né l’appartenenza alla setta dei manichei.
            Attraverso le sue affannose ricerche Agostino scoprì la vastità dei desideri del cuore umano. Non c’è niente sulla terra che possa soddisfarlo pienamente, perché l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, partecipa in qualche modo dell’infinità divina, è aperto e bisognoso di Assoluto. Sta qui la ragione della sua perenne inquietudine e delle sue interminabili ricerche; sta qui la ragione della impossibilità di colmare il vuoto esistenziale con qualche altra cosa che non sia Dio stesso; ma sta anche qui il vero onore e la vera gloria dell’uomo: “Il vero onore dell’uomo infatti consiste nell’essere l’immagine e la somiglianza di Dio, immagine che non si conserva se non andando verso Colui dal quale è impressa”[9].
            Dio ha impresso la sua immagine profondamente e per sempre nell’anima umana, così che anche se per la debolezza o per il peccato viene deformata, l’uomo conserva nel più intimo del suo essere l’orientamento verso Dio.
            Con la preghiera soprattutto Agostino si volgeva a Colui che aveva impresso nella sua anima la sua immagine; nella preghiera, con l’aiuto della grazia, si apriva a Dio sempre presente nel suo intimo, che ricolmava con la sua presenza il vuoto interiore.
            È soprattutto alla preghiera che ci invita quindi l’anno della Conversione sia come singoli che come comunità, se vogliamo essere eredi spirituali di S. Agostino.
            Per mezzo della preghiera infatti i rapporti interpersonali all’interno delle comunità vengono riportati alla fonte dell’unità e della pace; per mezzo della preghiera tutte le attività apostoliche vengono riferite consapevolmente all’Ospite divino misteriosamente presente nei nostri cuori. Per questa via la vita comunitaria e l’impegno apostolico diventano essi stessi espressioni di autentica preghiera.
            Se la nostra convivenza fraterna e il nostro servizio al popolo di Dio non nascono dal contatto vivo con questa realtà interiore, tutti i nostri sforzi risulteranno vani, anche quando ci sembrerà di ottenere buoni risultati a livello organizzativo e riscuoteremo l’approvazione degli altri. Il vuoto del cuore non si colma né si elimina con il numero accresciuto delle attività, siano pure apostoliche; né viene reso all’uomo il dovuto onore, se si trascura e si dimentica la vera fonte della sua grandezza: l’esser chiamato a vivere nell’intimità con Dio, che solo può portarlo a realizzarsi.
 
PARTE Il
PREGHIERA: GRIDO DEL CUORE A DIO

1. S. Agostino: cuore, fede, preghiera
            Come è noto, S. Agostino non ci ha lasciato nessun vero trattato sulla preghiera, nonostante il profondo e lungo influsso da lui esercitato in materia su tutte le scuole di spiritualità. La lettera 130 a Proba[10], infatti, fu scritta come risposta ad alcuni precisi quesiti concernenti soltanto la preghiera di domanda; i quattro discorsi sul Padre nostro, fatti ai catecumeni, rispondono ad esigenze particolari e non pretendono esaurire l’argomento[11].
            Ciò nonostante “è difficile trovare una sua opera in cui la preghiera sia completamente assente, tanto gli è naturale e sentito il bisogno di dialogare con Dio e di coinvolgere gli altri a fare altrettanto”[12]. Nelle Esposizioni sui salmi[13] c’è una miniera inesauribile per chi cerca l’insegnamento di Agostino sulla preghiera; le Confessioni invece presentano in ogni pagina l’esempio vivo di Agostino in preghiera, che contempla la presenza salvifica di Dio nella sua vita, per lodarlo e ringraziarlo per tutti i benefici da lui ricevuti.
            È evidente che la preghiera non costituì mai per lui un rito imposto dall’esterno o un esercizio da eseguirsi per obbligo. Al contrario la preghiera era per lui il respiro dell’anima, l’espressione spontanea della sua fede, speranza e carità, con cui rompeva le catene e le limitazioni impostegli dal tempo e dagli impegni pastorali e si apriva a Dio, fonte di ogni libertà e di gioia interiore. Nella preghiera Agostino si sentiva veramente vivo, proteso com’era verso quella pienezza di vita, in cui ogni peso, fatica e dolore scompaiono: “Quando mi sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena dovunque. Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te. Tu sollevi chi riempi; io ora, non essendo pieno di te, sono un peso per me”[14].
            Per il Dottore della Grazia non c’è dubbio che una simile esperienza è possibile solo perché Dio stesso anticipa l’uomo con il suo amore, inseguendolo anche quando si allontana da lui. Senza la convinzione di essere già conosciuti, chiamati, amati e perdonati da Dio, non potremmo neppure iniziare il dialogo con lui e ci resterebbe precluso anche un vero dialogo con gli altri: “Non c’è nessuno che non ami; quel che si domanda è che cosa ami. Non ci esorta a non amare ma a scegliere quel che amiamo. Ma cosa potremo noi scegliere se prima non siamo stati scelti noi stessi? In effetti, se non siamo stati prima amati, non possiamo neppure amare”[15].
            La fede conduce la persona attraverso la cortina opaca dei fenomeni fino alla Realtà che sta dietro cioè al Dio, sempre presente, che ama ogni sua creatura. Ci porta al di là delle piccole conclusioni delle nostre ricerche affinché con l’aiuto della grazia possiamo lanciarci nell’abbraccio di Dio stesso.
            La preghiera si nutre di questa fede: “Per mostrarci che la fede è la sorgente della preghiera e che nessun ruscello di quest’acqua può scorrere se la sorgente è prosciugata, l’apostolo ci dice: ‘Come potremo invocare colui nel quale non abbiamo creduto?’ Così, per poter pregare abbiamo la fede e affinché la fede, che ci fa pregare, non venga meno, preghiamo. La fede fa scaturire la preghiera e la preghiera, che sgorga, chiede che la fede divenga sempre più solida”[16].
            Una preghiera siffatta non può essere un’esperienza esteriore e superficiale, fatta solo con le labbra; necessariamente sarà “un grido del cuore”: “La preghiera è un grido che si leva al Signore; ma se questo grido consiste in un rumore di voce corporale senza che il cuore di chi prega aneli intensamente a Dio, non c’è dubbio che esso è fiato sprecato”[17].
            Per Agostino, “in conformità all’uso della Scrittura,. il cuore, come è il centro della vita del corpo in quanto organo materiale, così nel senso spirituale è il centro dell’anima e dello spirito. Il cuore è il luogo più interiore dell’uomo”[18], “il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio; la cui voce risuona nell’intimità”[19].
            È qui, in questa parte più intima, che Dio si lascia incontrare dall’uomo; e inversamente, quando l’uomo si allontana dal cuore, si allontana da se stesso e da Dio che vi abita e che sta sempre in attesa del nostro ritorno: “Rientrate nel vostro cuore! Dove volete andare lontano da voi? Andando lontano vi perderete. Perché vi mettete per strade deserte? Rientrate dal vostro vagabondaggio, che vi ha portato fuori strada. Ritornate al Signore. Egli è pronto. Prima rientra nel tuo cuore, tu che sei diventato estraneo a te stesso; a forza di vagabondare fuori, non conosci te stesso, e cerchi colui che ti ha creato!”[20].
            La preghiera affiora dalle profondità del cuore per coinvolgere tutta la persona. “Uno può essere condotto in chiesa suo malgrado, lo possono portare per forza davanti all’altare e contro la sua volontà amministrargli il sacramento; ma nessuno può credere senza volerlo, perché la confessione della fede sgorga dal centro più intimo della persona”[21].
            Le preghiere che scaturiscono dalla interiorità sono il diletto dell’anima. Il cristiano si sente portato a tali preghiere non a motivo di un obbligo o di una imposizione, bensì perché sperimenta la gioia e la libertà interiore, derivanti dall’abbandono di sé all’abbraccio paterno di Dio[22].
            Sfortunatamente alcuni sono talmente sedotti dal benessere e dall’autosufficienza che non sentono grande bisogno di Dio, mentre altri, in gran numero, sono così oppressi dalla miseria che non hanno modo di rifletterci[23].
            C’è chi è coinvolto in un’attività così intensa da non aver il tempo di pensare ad altro; altri già sperimentano un certo successo, vivono in un ambiente gradevole e sono gratificati dagli amici e così finiscono per non apprezzare appieno la grandezza della loro vocazione e le inesauribili potenzialità delle loro risorse, se solo si aprissero di più al dono di Dio. Per Agostino l’esperienza dei limiti, che segnano inevitabilmente la vita presente, è condizione imprescindibile per poter anelare alla piena liberazione. Lo Spirito Santo, infatti, secondo l’espressione dell’Apostolo, “geme in noi con sospiri inesprimibili”[24], perché ci rende consapevoli dell’avvenire meraviglioso che ci attende e suscita in noi il desiderio di uscire dall’oppressione presente[25].
 
2. Contemplazione: realizzazione e destino dell’uomo
            La contemplazione del volto di Dio nella comunione piena e nell’intimità perfetta era l’avvenire a cui Agostino aspirava personalmente. Essa però è il futuro beatificante preparato da Dio per tutta l’umanità: “Gesù Cristo Signore nostro consegnerà dunque il regno di Dio Padre e non sarà separato né lui lo Spirito Santo, quando condurrà i credenti alla contemplazione di Dio, contemplazione che è il fine di tutte le nostre buone azioni, la pace eterna, la gioia che non ci sarà tolta”[26]. “Questa contemplazione ci è promessa come fine di tutte le nostre azioni e pienezza eterna del nostro gaudio... Dopo questa gioia non si cercherà più nulla, perché non vi sarà altro da cercare; il Padre si mostrerà a noi e questo ci basterà”[27].
            Mentre il pieno godimento della contemplazione è un compimento che aspettiamo nella speranza, un’anticipazione è possibile pregustarla già fin da quaggiù: “Un’immagine di questa gioia offriva Maria quando sedeva ai piedi del Signore e intenta alla sua Parola (Le 10, 39), cioè libera da ogni attività e tutta intenta alla verità nel modo che questa vita permette, ma tanto tuttavia da prefigurare quello che si avrà in futuro per l’eternità”[28].
            Di questa intimità, che soddisfa tutti i desideri dell’uomo, Agostino scrisse in toni lirici: “Poi mi dicesti con voce forte all’orecchio interiore che non è coeterna con te neppure la creatura di cui tu sei il solo piacere; che, assorbendoti con una castità perseverantissima, non rivela in nessun luogo e in nessun tempo la sua mutevolezza; che avendo te sempre presente e tenendosi a te con tutto il suo sentire, priva di un futuro da attendere e di ricordi passati ove trasferirsi, non subisce vicende alternanti né distrazioni temporali. Oh beata, se esiste, una tale creatura, per la sua inserzione nella tua beatitudine; beata per colui, per te, che l’abita perpetuamente e la illumina. Io non trovo nulla che, a mio giudizio, si potrebbe chiamare cielo del cielo appartenente al Signore, più volentieri di questa tua dimora dedita alla contemplazione delle tue delizie, senza mai staccarsene per muovere verso altre mete; mente pura, unita nella massima concordia dal vincolo della pace con i santi spiriti cittadini della tua città, posta nei cieli sopra i nostri cieli”[29].
            Agostino avrebbe voluto passare tutti i suoi giorni immerso nello studio delle Sacre Scritture e nelle delizie della contemplazione se non fosse venuto il Cristo indigente a bussare alla porta della sua pace e a chiamarlo alla vita operosa di vescovo[30].
 
3. Preghiera e servizio all’uomo
            L’insistenza di Agostino sul mondo interiore, sull’ascolto di Dio che dal di dentro istruisce e illumina[31], sulle delizie della contemplazione, non devono indurre alla conclusione che per lui la preghiera costituisca una fuga dal mondo e dalle responsabilità verso il dramma, di cui questo mondo è teatro, dello sviluppo e della salvezza dell’uomo.
            S. Agostino ha richiamato con forza l’uomo alle realtà interiori del cuore non per offrire un pretesto alle chiusure individualistiche e una scusa al disimpegno dal dovere di partecipare attivamente al rinnovamento del mondo. Un simile malinteso della sua dottrina è precluso sia dall’esempio concreto della sua vita sia dal calore con cui sempre e ovunque nei suoi scritti ha parlato dell’amore.
            È noto il suo pensiero secondo cui l’uomo non si definisce per ciò che possiede o per ciò che conosce, quanto piuttosto per ciò che ama. “Ciascuno è ciò che ama”[32]. Questo perché l’amore, a suo dire, possiede una forza unitiva e come il fuoco fonde in un’unica realtà la persona che ama a ciò che è amato[33]. D’altra parte, l’amore è una potenza che vuole attuarsi: “Ogni amore è dotato di una forza sua propria e, quando è in un cuore innamorato, non può restarsene inoperoso: deve per forza spingere all’azione”[34].
            Alla luce di una tale concezione si comprende perché Agostino non provi alcuna esitazione nel proclamare il primato della contemplazione: è certo che nella misura in cui saremo uniti a Dio nella visione di fede e nell’amore, saremo anche vicini e uniti ai fratelli. L’amore di Dio e l’amore del prossimo necessariamente coincidono: “Tu non puoi dire: Amo il fratello, ma non amo Dio. Allo stesso modo che menti quando dici: Amo Dio, se non ami il fratello; così ti inganni, quando dici: io amo il fratello, e poi ritieni di non amare Dio. Necessariamente, amando il fratello ami l’amore stesso. L’amore infatti è Dio; e chi ama il proprio fratello, necessariamente ama Dio”[35].
            Nel Dio, che è Amore, è radicato tutto il creato, così che la scoperta di Dio è allo stesso tempo la scoperta di quell’amore che è la forza divina che tutto regge e sostiene.
            Quando dunque un uomo prega Dio in spirito e verità non si separa dal resto degli uomini e dai loro problemi, al contrario si unisce loro in maniera straordinariamente profonda, perché lo fa nel dialogo con Dio, cioè a quel livello in cui tutto e tutti trovano la loro vera identità e il loro vero compimento.
            La vita stessa di Agostino poi è testimonianza indubitabile della fecondità operosa del suo atteggiamento contemplativo. Il suo primo biografo, Possidio, così scrive: “Pur mantenendosi sempre unito e come sospeso alle realtà dello spirito, di maggior valore e trascendenza, talvolta abbassava il volo dalla contemplazione dell’eterno per attendere alle cose di quaggiù. Ma dopo averle disposte e ordinate, come si deve, per evitare la loro mordacità e molestie, ritornava a occuparsi delle realtà interiori e superiori, per pensare sulle cose divine ancora da scoprire o per dettare cose già trovate o ancora per correggere le cose già dettate e trascritte. E questo usava fare lavorando di giorno e di notte. Era come quella gloriosissima Maria, che offre un’immagine della Chiesa celeste, e di cui sta scritto che era solita sedere ai piedi del Signore per ascoltare attenta la sua parola”[36].
 
4. Spirito, amore e preghiera
            La preghiera è inseparabilmente unita all’amore. C’è anzitutto l’amore di Dio per noi, senza il quale ci risulterebbe assolutamente impossibile amare Lui[37].
            Ma non è tutto. Dio non ci ha dato soltanto l’esperienza del suo amore per noi, ci ha dato pure il potere di riamarlo, donandoci lo Spirito Santo: “Ci ha dato se stesso come oggetto da amare e ci ha dato la capacità di amarlo. Cosa ci abbia dato al fine di poterlo amare ascoltatelo in una maniera più esplicita dall’Apostolo Paolo, che dice: La carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori. Ma come? Forse per opera nostra? No. Come allora? Attraverso l’azione dello Spirito Santo che ci è stato dato”[38].
            Di più. È lo stesso Spirito Santo che, secondo l’espressione dell’Apostolo, “geme in noi”: “Lo Spirito Santo spinge dunque i santi a supplicare con gemiti ineffabili, ispirando in essi il desiderio di un bene tanto grande, ma ancora sconosciuto, che aspettiamo con la speranza”[39].
            Nel battesimo il cristiano viene innestato nella vita di Cristo[40], così che acquista una nuova identità nel Signore, diventando membro del suo corpo qui sulla terra. Lo Spirito vive in lui la stessa vita di Gesù[41] e la stessa preghiera di Gesù (Abbà, Padre) è pregata in noi dallo stesso Spirito[42].
            S. Agostino spiega così la preghiera dello Spirito in noi: “Se dicessimo che queste parole del salmo, che abbiamo udito e in parte cantato, sono nostre, ci sarebbe da temere che non diciamo il vero; sono infatti più parole dello Spirito di Dio che nostre.. È la voce dello Spirito di Dio perché noi non potremmo dire queste parole senza la sua ispirazione, non lo è, d’altra parte, perché Egli non conosce né miseria né debolezza, né sofferenza”[43].
            Era stabilito nei disegni di Dio che l’uomo fosse beneficiario dello Spirito. Mentre sta ancora in pellegrinaggio, lo Spirito è la garanzia del futuro ineffabilmente bello che l’attende[44]. Ebbene, il primo frutto dello Spirito è l’amore[45] ed è l’amore che mette in evidenza la nostra appartenenza a Cristo[46].
            L’unità per la quale Cristo pregò nell’ultima cena come il vertice e la perfezione dell’uomo[47] è un futuro che è già in via di realizzazione per opera dello Spirito: “Il Padre e il Figlio, per mezzo di ciò che è loro comune - cioè lo Spirito -, hanno voluto che noi fossimo uniti tra noi e con loro, e mediante questo dono raccoglierci nell’unità mediante l’unico dono ch’essi hanno in comune, per mezzo cioè dello Spirito Santo, Dio e dono di Dio. Per mezzo di lui, infatti noi ci riconciliamo con Dio e ne godiamo”[48].
            Lo Spirito Santo è la sorgente d’acqua, promessa in dono da Gesù e che zampillerà per la vita eterna[49] o i fiumi d’acqua viva, che sgorgheranno dal seno del credente[50].
            Alla donna samaritana, che presso il pozzo di Giacobbe poneva a Gesù il problema sul luogo del vero culto di Dio, Gesù rispose: “È giunto il momento in cui né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre... ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori”[51]. Con queste parole Gesù chiariva una volta per sempre che il vero culto di Dio non è legato a un luogo geografico piuttosto che a un altro, ma soltanto alla presenza dello Spirito nel cuore del credente, che è sorgente di una nuova vita.
            La preghiera quindi non può essere considerata solamente uno sforzo mentale o vocale da intraprendere sporadicamente durante il giorno. Essa è la voce dello Spirito Santo in noi. È il di Gesù, ispirato in noi dal suo Spirito. È l’espressione privilegiata di ciò che siamo per fede. È la vita, in cui siamo chiamati a rimanere sempre, senza mai stancarci[52].
 
PARTE III
PREGARE OGGI
 
1. Vivere è pregare nella spiritualità agostiniana
            Agostino ci ha tracciato un sentiero sicuro che porta alla vita piena, alla vita vera, cioè alla comunione con Dio. È il sentiero della preghiera che S. Agostino coniuga con la vita. La preghiera - quando è vera - si manifesta nella vita e la vita diventa preghiera[53]. È il sentiero privilegiato, anzi unico, che conduce alla piena realizzazione dell’uomo e della società umana.
            Coloro che sono chiamati a seguire questa via come stato di vita rinunciano a profondi valori umani come la proprietà, la famiglia e i progetti personali nella certezza che questa via li conduce alla loro realizzazione e a vivere la propria identità. Per essi, per la loro stessa professione, l’invito a vivere è invito a pregare. Venir meno a pregare è pertanto venir meno a vivere.
            L’invito a preporre la vita di preghiera ai valori umani più profondi è la chiamata ad una scelta audace. Se però la preghiera viene meno, la scelta risulta non più audace ma azzardata e lascia frustrata, vuota, scontenta e incompiuta la persona che la fa.
            Pregare, come amare, non può sgorgare se non dalla libertà. La libertà si attua nell’accogliere ogni momento, come nuovo, l’amore di Dio e nel rispondere ad esso. Come ci insegna la Regola: la vita di preghiera non va vissuta mai come obbligo di legge ma sempre come adesione libera alla grazia, innamorati di un ideale di bellezza spirituale[54].
            Secondo le Costituzioni “il fine dell’Ordine consiste nel ricercare ed onorare Dio e nel lavorare al servizio del popolo di Dio insieme, concordemente, nella fraternità e nell’amicizia spirituale”[55].
            Fin dalle sue origini infatti il nostro Ordine, richiamandosi all’esempio insigne di S. Agostino, mirò a coniugare il servizio apostolico con l’amore per lo studio, per la preghiera e per la contemplazione. Segni chiari di questo atteggiamento contemplativo erano il grande rilievo dato nelle nostre comunità alla celebrazione liturgica e alla meditazione, nonché l’attaccamento, durato per secoli, al titolo di Eremiti, che ne ricordava le origini.
            Ancora oggi, d’altra parte, “le sorelle di vita contemplativa occupano un posto eminente nell’Ordine”. Esse “dedicandosi soprattutto all’orazione, alla mortificazione e allo studio, collaborano alacremente con noi nel soccorrere le necessità della Chiesa e dell’Ordine in maniera tale che esse esercitano in noi l’apostolato, mentre noi per opera loro diveniamo contemplativi”[56].
            La loro vita di preghiera è un segno e un richiamo sempre vivo per tutto l’Ordine a quella dimensione contemplativa, che è e resta una componente essenziale della spiritualità agostiniana.
 
2. Preghiera e rinnovamento
            L’Anno della Conversione, che si avvia ormai al termine, ci sollecita a fare anche noi l’itinerario che condusse S. Agostino a ritrovare se stesso e Dio. Fu certamente un itinerario di interiorità e di ricerca, dopo gli anni dello smarrimento e della dissipazione. Ma fu soprattutto un impegno di preghiera sempre rinnovata e di dialogo incessante con il Dio ritrovato non lontano, ma proprio lì, nel cuore.
            A questo dialogo interiore ci invita con insistenza S. Agostino: “Tu solo sei vicino a chi si pone lontano da te. Dunque si volgano indietro a cercarti: tu non abbandoni le tue creature come esse abbandonarono il loro creatore. Se si volgono indietro da sé a cercarti, eccoti già lì, nel loro cuore, nel cuore di chiunque ti riconosce e si getta ai tuoi piedi, piangendo sulle tue ginocchia dopo il suo aspro cammino. Tu prontamente ne tergi le lacrime e più singhiozzano e si confortano al pianto, perché sei tu, Signore, e non un uomo qualunque, carne e sangue, ma tu, Signore, il loro creatore, che le rincuori e le consoli”[57].
            Lo stesso Signore Gesù Cristo ci invita a praticare questo dialogo filiale con Dio, senza stancarci mai[58]. Esso si attua nei momenti più solenni della liturgia sia eucaristica che delle Ore, ma si deve estendere a ogni momento e a ogni attività della giornata.
            Anche sul tema della preghiera continua abbiamo una parola chiarificatrice di S. Agostino: “Il tuo desiderio è la tua preghiera; se continuo è il tuo desiderio, continua è la tua preghiera. Perché non invano ha detto l’apostolo: pregate senza interruzione. Forse che noi senza interruzione pieghiamo le ginocchia, prostriamo il corpo o leviamo le mani per adempiere al comando di pregare senza interruzione? Se intendiamo il pregare in tal modo, credo che non lo potremo fare senza interruzione. Ma c’è un’altra preghiera, interiore, che non conosce interruzione, ed è il tuo desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato, non smetti mai di pregare. Se non vuoi mai interrompere la preghiera, non cessare mai di desiderare. Il tuo desiderio continuo sarà la tua continua voce. Tacerai, se cesserai di amare”[59].
            Ecco dunque la preghiera cui siamo invitati. Una preghiera interiore, ininterrotta, che sia espressione di amore e di desiderio in modo da coinvolgere tutta la persona e tutta la vita.
            Si è parlato tanto nel periodo del post-concilio di rinnovamento della vita religiosa. In effetti, tanti aspetti esteriori della nostra vita sono cambiati. Non viviamo più allo stesso modo di prima. Ma possiamo dire con tutta sincerità che la nostra vita sia diventata più evangelica e la nostra testimonianza cristiana più incisiva? È convinzione di molti che non si avrà nessun vero rinnovamento personale e comunitario, se non nascerà da un più vero e interiore dialogo con Dio.
            È questo comunque il messaggio che nell’anno della Conversione S. Agostino ci affida.
            Questo dialogo interiore, amoroso e rassicurante, è alimentato da un ascolto altrettanto amoroso e devoto. Se in Dio abbiamo trovato la nostra identità e la nostra consistenza, come pure la capacità di un nuovo rapporto con i fratelli, solo la perseveranza in questo riferimento a Lui, nel suo desiderio, ci può salvare dalla dispersione e dalla insoddisfazione.
            E questo non a scapito del dovere di rispondere al Cristo che bussa[60], senza cioè il timore di risporcarci i piedi dopo esserceli già lavati[61], ma trasformando la preghiera comune e quella personale dei sempre più rari tempi liberi, in un momento di vita e di respiro, di rigenerazione delle proprie forze.
            Questa contemplazione rivitalizzante non dobbiamo illuderci di ricercarla a scapito delle “necessità della Chiesa”[62] o nei tempi richiesti dal servizio che dobbiamo ai fratelli, soprattutto nei momenti in cui li possiamo incontrare[63], ma a scapito del nostro egoismo personale e comunitario, ritrovando più convinzione che i momenti di preghiera rubati al nostro comodo sono veri momenti di gioia e di vita, e dimostrando più elasticità e apertura nella distribuzione dei tempi comuni.
            Perché non succeda, come capita spesso, che, in un ritmo di vita così convulso e faticoso come quello di oggi, a perderci sia sempre questo dialogo amoroso con il Padre, per altro così necessario. Gesù privilegiava i tempi “notturni”[64]; così pure Agostino[65]: dovremmo intenderli i tempi non necessariamente richiesti dal servizio dei fratelli, per poter gustare quanto è buono il Signore e poi tornare a guarire quanti sono malati e hanno bisogno di un messaggio convincente[66].
            Agostino utilizzava spesso lo studio, in particolare della Scrittura, per dialogare amorosamente con il Signore[67]. Per secoli questa è stata anche una gloriosa tradizione dell’Ordine[68]. Lo studio e la meditazione della Parola e dei segni dei tempi, l’interiorizzazione della Parola e degli avvenimenti, riascoltati e rivisti alla presenza di Dio nel nostro cuore, mentre ci aiutano a superare la naturale tensione tra contemplazione e azione, offrono alla vita il giusto respiro e la necessaria ossigenazione.
 
3. Agostino e le forme attuali di preghiera
            Nonostante la secolarizzazione di massa del mondo contemporaneo, anzi forse proprio a causa di essa, molte persone vanno oggi in cerca di una vita più interiore sia dentro che fuori della Chiesa. Anche in seno alla comunità cristiana, infatti, nei tempi recenti, sono sorti movimenti di preghiera carismatica, gruppi di preghiera e di meditazione profonda. Abbiamo assistito a un notevole risveglio liturgico, per cui anche molti laici vogliono partecipare più attivamente sia alla preghiera delle Ore che alle liturgie della Parola e dei Sacramenti.
            Molti vanno anche fuori dei confini della Chiesa in cerca di esperienze spirituali più approfondite presso guide orientali o si avvicinano alle diverse sette che si propagano sempre più numerose anche in Occidente. L’adesione di alcuni cristiani a queste sette desta giustamente preoccupazioni nei Pastori, ma costituisce anche una sfida per tutti noi e per tutti coloro che desiderano conoscere i bisogni dell’uomo di oggi.
            Si vanno di nuovo riscoprendo i tesori della meditazione e della contemplazione sia nei Padri che nei mistici del medioevo. Anche psicologi del profondo, come C.G. Jung, restano meravigliati dalla profondità toccata da personaggi come S. Agostino e il maestro Eckhart.
            Sin dalla sua epoca, fino ad oggi, tutti i maestri di spirito e i mistici hanno attinto a piene mani e spesso esclusivamente alla dottrina di Agostino. In lui l’uomo di oggi può trovare una guida sicura che non solo ha sperimentato ma ha saputo anche partecipare la sua esperienza.
            All’uomo di oggi non bastano più le forme esterne, anche se belle, della preghiera attuata negli ultimi secoli se queste non riescono a metterlo in contatto con il Dio che vive nella profondità dell’anima.
            A S. Agostino, per la verità, non interessano particolarmente le tecniche della preghiera, le posizioni del corpo o i metodi psicologici, ma neppure si può affermare che li respinga aprioristicamente. Per lui tutto quello che favorisce l’interiorità ben venga, a patto che sia preghiera cristiana, nata più dallo Spirito Santo che dal nostro spirito e che con l’aiuto della grazia ci porti a immedesimarci con il Cristo, che vive in noi.
 
CONCLUSIONE
            A coloro che, come noi, lo hanno scelto come Padre e Maestro spirituale, S. Agostino si offre come guida verso il mondo misterioso e affascinante della interiorità. Lì, nell’intimo del cuore, Dio ci attende. Lì ci aspetta per sfamarci e dissetarci con il dono di Sé, e così colmare il vuoto che è nel nostro cuore.
            Se ci smarriamo, Egli ci aspetta ancora. Unicamente in Lui potremo ritrovare noi stessi e il significato e il valore di tutte le altre cose.
            La preghiera è il cammino privilegiato per ritornare a Dio e a noi stessi. La preghiera perciò non può essere rinviata, come un viaggio, ad altra data, in attesa di aver risolto i nostri problemi riguardanti l’organizzazione delle nostre strutture e le vocazioni.
            La preghiera si fa ora o non si fa mai. La preghiera che si fa ora, si farà sempre. Senza il contatto vivo con Dio dato dalla preghiera, non vale niente né la riorganizzazione né qualunque altra rifioritura della vita religiosa.
            Come la fede, di cui è il respiro, la preghiera è una dimensione assolutamente libera, sotto la grazia. Né obblighi né leggi la possono imporre, e ciò nonostante, senza la preghiera non si può raggiungere la vita in abbondanza[69]; la gioia piena[70], o la profonda armonia e pace[71], la libertà vera[72], l’intimità e comunione perfetta[73] nella quale l’uomo si completa. Dio ci si offre gratuitamente. Tocca a noi accogliere la grazia.
            L’anno della Conversione risvegli in ognuno l’atteggiamento di Maria Santissima, perché “avvenga di noi secondo la sua Parola”[74] e perché facciamo qualunque cosa Egli ci dirà[75]. Allora davvero l’acqua della nostra vita si cambierà nel vino inebriante della sua presenza fra noi, per allietare il mondo che è attorno a noi.
            Roma, 13 novembre 1987, conclusione dell’anno centenario della Conversione di S. Agostino e della morte di S. Monica.
Martin Nolan, osa
Priore Generale degli Agostiniani



 

[1] Testo originale italiano in ACTA O. S. A., XXXIV, 1988, 23-39.
[2] Conf. 1, 1, 1.
[3] Ib. XIII, 38, 53.
[4] Retract. II, 6, 1.
[5] Cfr. Conf. X, 18, 27.
[6] Cfr. Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: una sfida pastorale in L’Osservatore Romano Documenti, mercoledì 7 maggio 1986 pp. I-II.
[7] GS 4, 10.
[8] Ib.
[9] De Trin. XII, 11, 16.
[10] PL 33, 494-507.
[11] Sermones 56, 57, 58, 59.
[12] N. Cipriani, La pedagogia della preghiera in S. Agostino, Palermo 1984, p. 12.
[13] PL 36-37.
[14] Conf. X, 28, 39.
[15] Serm. 34, 2.
[16] Serm. 115, I, 1.
[17] En. in Ps. 118, Serm. 29, I.
[18] N. Cipriani, o. p., p. 20.
[19] GS 16.
[20] In Joa. ev. 18, 10.
[21] In Joa. ev. 26, 2.
[22] Ib.
[23] Cfr. GS 10; Epist. 130, 3, 8.
[24] Rom 8, 26.
[25] In Joa. ev. 6, 2.
[26] De Trin. I, 10, 20.
[27] Ib. 1, 8, 17.
[28] Ib. I, 10, 20.
[29] Conf. XII, 11, 12.
[30] Cfr. In Joa. ev. 57, 3-4.
[31] Ib.
[32] In Joa. ev. 2, 14.
[33] Ib.
[34] En. in Ps. 121, 1.
[35] In Joa. ep. 9, 10.
[36] Possidio, Vita Augustini, XXIV.
[37] Cfr. Serm. 34, 2.
[38] Ib.
[39] Epist. 130, 15, 28.
[40] Cfr. Rom 6, 11.
[41] Cfr. Gv 3, 33ss.
[42] Cfr. Rom 8, 15; Gal 4, 4-8.
[43] En. in Ps. 26, Il, 1.
[44] Cfr. Eph 1, 13-14; 4, 30; 2 Cor 1, 22; 5, 5.
[45] Rom 5, 5; Gal 5, 22.
[46] Cfr. Gv 13, 34.35.
[47] Cfr. Gv 17, 11; 21-23.
[48] Serm. 71, 12, 18.
[49] Gv 4, 10-14.
[50] Gv 7, 38-39.
[51] Gv 4, 21-23.
[52] Lc 18, 1.
[53] Cfr. N. Cipriani, o. c., p. 32.
[54] Regula VIII, 48.
[55] Const. 16.
[56] Ib. 45.
[57] Conf. V, 2, 2.
[58] Lc 18, 1.
[59] En. in Ps. 37, 14.
[60] In Joa. ev. 57, 4; PL 35, 1791.
[61] Ib. 1, 6.
[62] Epist. 48, 2; Epist. 243, 8.
[63] Cfr. Conf. XI, 2, 2.
[64] Mt 14, 23; Mc 1, 35; 6, 47; Lc 6, 12.
[65] Possidio, o. c., III, XXIV; cfr. L. Verheijen, Nouvelle approche de la Règle de St. Augustin, Bellefontaine 1980, pp. 258 ss.
[66] Lc 4, 16 ss.
[67] Cfr. Conf. XI, 2, 2-4.
[68] Const. 124 ss.
[69] Gv 10, 10.
[70] Gv 15, 11; 16, 24.
[71] Gv 14, 27.
[72] Gv 8, 33.36.
[73] Gv 17, 22.
[74] Lc 1, 38.
[75] Gv 2, 5.




Fonte :  www.aug.org







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