IL VOLTO
NASCOSTO E TRASFIGURATO DI CRISTO
Atti dal V
Congresso Internazionale sul Volto di Cristo
Pontificia Università Urbaniana
Roma
20-21 OTTOBRE 2001
Il Volto Santo di Manoppello
Questo quinto Congresso internazionale
sul Volto dei Volti, Cristo si propone di incentrare le sue lezioni sul tema
Il volto nascosto a trasfigurato di Gesù.
La parte dedicata al Volto nascosto intende richiamare l'attenzione su alcuni degli innumerevoli modi nei quali la riflessione può individuare il Volto di Cristo nell'uomo; la seconda parte, invece, dedicata al Volto trasfigurato di Cristo, con esplicito riferimento all'episodio evangelico della trasfigurazione sul Tabor, si prefigge di illustrare, dal punto di vista teologico, della tradizione, del magistero della Chiesa, della liturgia, della letteratura, dell'arte figurativa, della musica a della pietà cristiana la bimillenaria contemplazione del Volto trasfigurato di Cristo.
Riconoscere Cristo nell'uomo è impulso alla fede, motivo di speranza, anima della carità soltanto se attraverso questa immagine umanizzata si risale al Volto divino della Persona di Gesù: quel Volto che fece dire ad uno dei testimoni della trasfigurazione: "Ciò che era fin da principio, ciò che non abbiamo udito, ciò che non abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che non abbiamo contemplato a ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita ... di ciò rendiamo testimonianza e questo vi annunziamo..." (1 Gv 1,1-3).
Le lezioni che saranno tenute a questo Congresso - come già avvenuto per quelle dei precedenti Congressi celebrati - saranno raccolte in un volume d'arte arricchito di una ricca galleria di mirabili illustrazioni tutte incentrate sul tema del Volto di Cristo. Card. Fiorenzo Angelini
La parte dedicata al Volto nascosto intende richiamare l'attenzione su alcuni degli innumerevoli modi nei quali la riflessione può individuare il Volto di Cristo nell'uomo; la seconda parte, invece, dedicata al Volto trasfigurato di Cristo, con esplicito riferimento all'episodio evangelico della trasfigurazione sul Tabor, si prefigge di illustrare, dal punto di vista teologico, della tradizione, del magistero della Chiesa, della liturgia, della letteratura, dell'arte figurativa, della musica a della pietà cristiana la bimillenaria contemplazione del Volto trasfigurato di Cristo.
Riconoscere Cristo nell'uomo è impulso alla fede, motivo di speranza, anima della carità soltanto se attraverso questa immagine umanizzata si risale al Volto divino della Persona di Gesù: quel Volto che fece dire ad uno dei testimoni della trasfigurazione: "Ciò che era fin da principio, ciò che non abbiamo udito, ciò che non abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che non abbiamo contemplato a ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita ... di ciò rendiamo testimonianza e questo vi annunziamo..." (1 Gv 1,1-3).
Le lezioni che saranno tenute a questo Congresso - come già avvenuto per quelle dei precedenti Congressi celebrati - saranno raccolte in un volume d'arte arricchito di una ricca galleria di mirabili illustrazioni tutte incentrate sul tema del Volto di Cristo. Card. Fiorenzo Angelini
APERTURA DEL CONGRESSO
Card. Fiorenzo Angelini
Card. Fiorenzo Angelini
Aprendo il V Congresso, il Card. Fiorenzo Angelini, ha ricordato che l'intuizione che fu all'origine della creazione dell'Istituto Internazionale di Ricerca sul Volto di Cristo fu quella di ricuperare, in un mondo massimamente visualizzato, una presentazione di Cristo incentrata sulla riflessione sul Suo Volto. Quindi ha aggiunto che il Santo Padre, sensibilissimo al potere dei mezzi di comunicazione di massa, salutò subito con grande favore questa nostra iniziativa. Lo fece inviando un messaggio indimenticabile al IV Congresso e lo ha fatto, all'inizio di quest'anno, con la Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte - che ha il suo nucleo nell'invito a "far risplendere il Volto di Cristo davanti alle generazioni del terzo millennio" (n.16). In questo impegno di "far vedere" il Volto di Cristo il Papa ha ravvisato l'eredità più vera e più feconda del grande Giubileo dell'anno Duemila.
Negli interventi del Santo Padre vanno moltiplicandosi
i richiami al Volto di Cristo. E quanto sia inesauribile questo tema lo hanno
dimostrato le molte iniziative sorte sotto l'impulso dato dall'Istituto
Internazionale di Ricerca sul Volto di Cristo. Come segnalato dalla rivista
Il Volto dei Volti, il tema del Volto di Cristo è stato oggetto di mostre,
di Convegni internazionali, nazionali e regionali; sono sempre più numerose le
riviste scientifiche e divulgative che affrontano questo argomento. Con le oltre
100 lezioni che, nell'arco di cinque anni, sono state dedicate al tema del Volto
dei Volti e con la ricca galleria iconografica riunita nei cinque volumi che
raccolgono gli Atti dei Congressi, noi abbiamo la fierezza - ha concluso il
cardinale - di offrire un contributo di grande rilevanza a quella nuova
evangelizzazione che riconduce al Volto di Gesù la presentazione del suo
messaggio.
PROLUSIONE
"CHI HA VISTO ME HA VISTO IL PADRE" (Gv 14,9).IL VOLTO
DI CRISTO NELLA SACRA SCRITTURA
Card. Joseph Ratzinger
Card. Joseph Ratzinger
L'antico desiderio dell'uomo di vedere Dio aveva assunto nell'AT la forma di "ricerca del Volto di Dio". I discepoli di Gesù sono uomini che cercano il Volto di Dio. Filippo espone questo desiderio al Signore e ne riceve una risposta sorprendente, nella quale la novità del NT, il nuovo che fa irruzione in Cristo appare concentrato come in un cristallo: Sì, si può vedere Dio. Chi vede Cristo, vede Lui. Un testo centrale dell'AT, Es 32-34, ripreso da Paolo in 2 Cor 3,4-4,6.32-34, mostra un legame tra i due Testamenti sul tema del "vedere Dio". Mosé parla "faccia a faccia con Dio", ma non può vedere Suo volto altrimenti ne morrebbe. Questo testo dell'AT introduce al NT, la cui novità non è un'idea, ma è un fatto, meglio: una persona, Gesù Cristo. A partire da lui si riorganizzano i molteplici motivi della pietà veterotestamentaria ed acquisiscono, proprio anche dopo la fine del tempio, una nuova concretezza. Da questa consapevolezza è nata la grande arte delle icone che certamente non possono pretendere di essere il punto finale della nostra ricerca del volto di Cristo.
Possiamo distinguere tre punti
nodali nella pietà cristiana, fondata sul NT, della ricerca del Volto di Cristo
e del Volto di Dio. Innanzitutto la sequela, cioè l'orientamento di tutta quanta
l'esistenza all'incontro con Gesù. In questa sequela, un posto centrale spetta
all'amore del prossimo. Noi tuttavia (secondo elemento) possiamo sempre solo
riconoscere Gesù stesso nei poveri e nei sofferenti se il suo volto diviene a
noi vicino soprattutto nel mistero dell'Eucaristia, in cui il chicco di grano
che muore diventa pane della vita. Così l'Eucaristia diviene un vedere, come era
avvenuto con i discepoli di Emmaus. Il terzo elemento è quello escatologico.
Come la contemplazione dell'icona rinvia al di là di essa, così la celebrazione
eucaristica ha in sé questa dinamica: essa è un andare verso il Cristo che
viene, verso quel "risveglio" nel quale egli stesso ci sazierà con il suo Volto,
con il Volto del Dio trinitario.
Il Volto
Nascosto di Cristo
DALLA SINDONE ALLA FIGURA UMANA DI
GESU'
Prof. Luigi E. Mattei
Il noto scultore Prof. Luigi Mattei ha illustrato la realizzazione de Il Corpo dei corpi, statua bronzea da lui ricavata dalla trasposizione tridimensionale della figura corporea tramamdata dalla Sindone di Torino. L'opera ha impressionato ed attratto folle di visitatori, pellegrini e fedeli, dall'anno 2000 nella Santa Gerusalemme di Bologna ? la Basilica di Santo Stefano - e nel Museo della Sindone a Torino. Nel descrivere il suo lavoro, il Prof. Mattei ha rilevato che l'attuazione di un'opera scultorea, che rispetti i valori tridimensionali insiti nell'immagine dell'Uomo che fu avvolto nella Sindone, consente nuovi percorsi nell'ambito semiotico, geometrico, iconologico ed estetico. La restituzione fisica del Volto dei volti permette una più profonda visibilità dei significati, consegnando alla verità del corpo la sacralità dello spirito. L'opera plastica ottenuta sembra così aver assunto una forza propria, tendente a trasmettere un nuovo, per ora quasi impercettibile messaggio. Tale vero e proprio identikit del Cristo, ha dato risultati sorprendenti, il Corpo sembra animarsi nella vitalità e nella forza espressa. La ricostruzione tridimensionale del Corpo dell'Uomo della Sindone è parsa allo scultore la più umana, la più doverosa delle risposte al messaggio "divino" contenuto nel telo; il Corpo ottenuto permette una lettura pacata e completa, consentendo il rapporto diretto, immediato, con la figura di un uomo crocifisso che subì la flagellazione ed a cui una lancia trapassò il costato dopo la morte.
Per ottenere la fusione a cera persa sono stati
realizzati gli stampi presso la fonderia Sancisi Arte di Faenza. Così il fuoco,
che ha spesso insidiato la Sindone, accrescendone il fascino ma anche
occultandone dati eventualmente utili alla scienza, ancora una volta è diventato
protagonista, con i suoi 1200° della colata di fusione, costituendo l'elemento
che ne ha reso possibile e duraturo il recupero tridimensionale.
I SETTE PERSONAGGI DELLA TRASFIGURAZIONE
Mons. Gianfranco Ravasi
G. Ravasi esamina l'episodio della Trasfigurazione come un vero e proprio dramma nel senso originario del termine. Struttura, svolgimento, attori, scansioni temporali fanno sì che l'evento sia capace di riproporsi davanti ai nostri occhi nella sua azione e nel suo messaggio con una sua efficacia rappresentativa. I dati del testo, nella triplice redazione sinottica, vengono ricomposti secondo una trama affidata a sette personaggi che, a livelli diversi e secondo ruoli differenti, reggono l'intero dramma. I sette personaggi sono: Gesù, il protagonista. Egli domina per tutto lo svolgimento del dramma ed è subito presentato col suo nome proprio di Gesù, scandito quattro volte nella redazione di Marco (9,2.4.5.8). A lui sono destinati altri titoli solenni che vengono proposti nel prosieguo del racconto e nell'apparire dei vari attori dell'evento. Gli esegeti, infatti sono concordi nel ritenere che la finalità ultima della scena è proprio quella di svelare la persona di Cristo come signore della gloria, maestro, figlio di Dio e la sua missione di profeta e legislatore perfetto e definitivo. Dopo Gesù, abbiamo i tre spettatori, Pietro, Giacomo e Giovanni. E' un gruppo privilegiato che, a più riprese, riveste una posizione eminente così da costituire i portatori speciali della rivelazione di Cristo. Quindi abbiamo altri due personaggi e testimoni: Mosè ed Elia che rappresentano l'inizio e la fine della storia che si adempie in Gesù, giudice escatologico.
Se Mosè è per eccellenza
l'incarnazione della legge divina che egli rivela a Israele, Elia rappresenta la
profezia che da lui prende idealmente l'avvio. Siamo ormai giunti alle soglie
dell'ultimo atto del dramma della Trasfigurazione. Ora sarà dal cielo che si
affaccerà l'ultimo personaggio a suggellare l'evento, rivelandosi come l'altro
protagonista con Gesù. A sciogliere l'enigma della scena della Trasfigurazione è
una presenza-assenza, quella del Padre. Il Padre, perciò, completa il ritratto
del volto di Cristo che è certamente Signore, rabbí, maestro, culmine della
legge e della profezia ma che è soprattutto Figlio e Salvatore.
LA BELLEZZA, VIA AL VOLTO DI CRISTO
Thomas Spidlik, SJ
P. Thomas Spidlik analizza la "via della bellezza" attraverso la testimonianza delle icone. Il volto umano è oggetto principale dell'iconografia sacra, dato che l'uomo è stato creato ad immagine di Dio e, come microcosmo, rappresenta tutta la realtà: unisce il mondo visibile e invisibile, umano e divino. I veri artisti però riescono a fare un "ritratto", a presentare il volto umano così che unisce diversi momenti di vita, come, per esempio, mitezza e fermezza, dolcezza e risolutezza.
L'icona, tuttavia, è ancora di
più. Deve presentare il volto umano come trasfigurato dallo Spirito Santo. Dato
che lo Spirito è comune a tutti i santi, sulle icone diminuisce l'individualità
e sono sottolineati più i tratti comuni della vita nello Spirito. Ma non è
sempre in modo uguale. Così ad esempio le icone russe sono più vicine ai
ritratti che quelle greche. Ma devono sempre essere vere icone, divine e umane
insieme, testimoniare la vita dello Spirito nella vita umana.
L'iconografo sacro deve presentare
il volto non svuotato, ma pieno di vita dello Spirito, il quale dà senso ai
tratti umani. Per farlo l'iconografia tradizionale ha sviluppato un simbolismo
eloquente. In conformità con l'ideale monastico, l'ascesi, il sacrificio della
carne aumenta la forza dello Spirito. Perciò sulle icone l'aspetto esteriore del
volto è di solito caratterizzato con sobiretà e discrezione. La luce sulle icone
non è esterna, ma proviene dall'interno del volto e lo rende trasparente.
Tutto questo simbolismo ha i suoi
fondamenti dogmatici, sviluppati nelle numerosissime omelie dei Padri e degli
autori bizantini sulla Trasfigurazione.
La contemplazione è progressiva.
Se la luce taborica rppresenta lo scopo finale, il suo inizio è la fede.
La Trasfigurazione ci invita
quindi alla conversione della nostra visione del mondo. Ci insegna a scoprire il
suo vero senso: l'universo "trasformato" per mezzo di Cristo.
IL VOLTO PROFETICO DI GESU'. DALLA
KENOSI ALLA TRASFIGURAZIONE
P. Bonifacio Honings, OCD
Premesso che nell'Antico Testamento si delinea un volto di Dio molto imperfetto, prevalentemente antropomorfico, P. Honings spiega la necessità della rivelazione anticotestamentaria di essere portata a compimento. Comunque, il Dio che si rivela nell'Antico Testamento da parte dei profeti è lo stesso Dio che Gesù rivela nel Nuovo Testamento: non si tratta di un "altro Dio", ma semplicemente di un "Dio altro". Il principio della progressività ci obbliga a leggere la Sacra Scrittura tenendo presente che la rivelazione va da uno stadio meno perfetto a uno stadio più perfetto fino a giungere con Cristo alla sua piena e definitiva perfezione.
La Bibbia rivela un passaggio
dell'immagine di un Dio violento conforme alla cultura di tutti i popoli
della stessa area geografica del popolo di Dio, all'immagine di un Dio
non-violento. Il volto profetico di Gesù rivela che l'auto-partecipazione di
Dio all'umanità e al mondo, la sua espressione riflessa e auto-attestazione
hanno raggiunto il loro punto culminante, irripetibile ed escatologico
attraverso l'unione ipostatica in lui e mediante il suo mistero pasquale. Gesù è
perciò il profeta per eccellenza; infatti, l'autocomunicazione di Dio e la sua
espressione personificata è lo stesso Gesù.
I profeti avevano annunciato che
il Salvatore sarebbe nato dalla Vergine Maria. Questo annuncio diventa realtà
quando l'angelo Gabriele viene mandato ad una vergine di nome Maria. Il Figlio
di Dio è questo bimbo che nascerà in Betlemme dove si delineano i primi tratti
del volto kenotico del Figlio dell'Altissimo. Proprio il vangelo dell'infanzia
rivela in modo sorprendente il volto della kenosis di Gesù. Il Verbo di Dio, per
mezzo del quale tutto è stato creato, diventa come uno che non è ancora capace
di parlare: diventa un infans, per rivelare il volto misericordioso del
Padre. San Luca, descrivendo la trasfigurazione del volto di Gesù nei minimi
particolari, la connette con il primo annuncio della passione. Il volto della
trasfigurazione era un anticipo, perchè l'onore e la gloria finale della vita
terrena di Gesù dovevano brillare, per sempre, sul volto del risorto. Dinanzi al
volto profetico di Gesù della kenosis e della risurrezione, tutto l'universo
dovrà piegarsi. Ecco perchè Gesù ritiene molto importante dimostare che il suo
volto di Risorto è lo stesso volto di quello kenotico.
IL VOLTO ISPIRATO DI GESÙ DAVANTI AI
SUOI GIUDICI
Avv. Oreste Biscazza Terracini
L'Avv. Oreste Terracini, di religione ebraica, affronta il tema del Volto di Gesù davanti ai suoi giudici sottolineando tre momenti: il processo, l'ispirazione e il volto.
Gesù, in realtà, ha avuto solo uno
pseudo processo. Le fonti a disposizione, infatti, nel caso della Giudea
collegabili essenzialmente a Giuseppe Flavio, prospettano, da parte di Roma, il
quadro di semplici "operazioni di polizia", non correlate ad una regolare
procedura. L'unico tribunale che in quel tempo ed in quel luogo avesse il potere
di condannare a morte, purché il reo fosse imputato di un delitto per il quale
il diritto di Roma prevedesse tale pena, era il prefetto-procuratore romano. Non
era il caso di Gesù.
Dopo aver illustrato la concreta
situazione della Giudea del tempo, lo studioso rileva, quanto alla ispirazione,
che in Gesù deve essere sottolineata la fierezza e la regalità del volto. Un
volto compreso di profonda e totale ebraicità, tanto da esprimersi con il
contorno di dodici apostoli, scelti con riferimento specifico alle dodici Tribù
di Israele. Tuttavia, più che all'aspetto fisico del Volto di Gesù che
probabilmente corrispondeva ai tratti che gli scienziati, aiutati dai moderni
metodi di indagine, hanno potuto ricostruire con una certa fedeltà, si deve
pensare alla espressione che quel volto ha assunto e mantenuto nei momenti nei
quali Gesù ha vissuto le sue tragiche e definitive esperienze. Quale fu
l'ispirazione che mosse Gesù nella convinzione di essere nel giusto, ad agire ed
a sostenere con tanto coraggio la sua sofferenza? Il volto di Gesù, nel tormento
della sua passione, non può che aver avuto l'espressione di fierezza ebraica di
chi è convinto di essere destinatario di regole di vita che esprimono una tale
santità interiore da costituire fine e principio di ogni umana possibile
moralità, per la quale anche morire diventa sofferenza da affrontare con
orgogliosa dignità. Il volto dell'ispirato, emarginato, ribelle, difensore dei
diritti degli umili e dei semplici, incarna la poesia ebraica dell'umanità
umiliata di ogni tempo dai poteri corrotti ed arroganti che poggiano
sull'ignoranza, sull'ingiustizia e sull'idolatria.
Coloro di noi - ha concluso
l'oratore - che hanno avuto in se la forza di credere , vivere e morire per i
principi di fede morale che hanno ispirato Gesù, hanno avuto sul volto la stessa
luce di Dio.
IL VOLTO DI CRISTO NEL VOLTO DEI
"FOLLI" DELLA RUSSIA CRISTIANA
Prof. Maria Pia Pagani
Nessuna nazione cristiana venera tanti santi cosiddetti "folli", come Russia. Nonostante le apparenze potessero facilmente trarre in inganno, l'anima dei santi 'folli' non era folle. Agli occhi dei devoti ortodossi essi erano i semplici di spirito che nella vita quotidiana rivelavano, nella dolorosa esperienza della malattia, della solitudine, dell'abbandono, dell'incomprensione e dello scherno, la costante presenza del Salvatore, il cui Volto si rifletteva sfumato nel volto di questi suoi testimoni sui generis. Casti e innocenti, avevano deciso di affrontare l'ardua prova della vita di stultus propter Christum conducendo un'esistenza nell'eccesso, nella provocazione, nel paradosso e nello scandalo - un ruolo assai complesso, questo, che li vide protagonisti di un'eccezionale spettacolo sacro nei monasteri, nelle corti, nelle piazze del paese. Liberi dagli istinti e dalle ambizioni terrene, essi proclamavano la beatitudine della povertà e della rassegnazione, il rifiuto del mondo del peccato e delle tentazioni. Nella loro assoluta indigenza essi volevano essere icone viventi del Volto nascosto di Cristo, trasfigurato da penitenza, stenti, insania - tutte caratteristiche che la pietà popolare considerava virtuosi segni di inequivocabile santità.
I santi 'folli' della Russia
Cristiana testimoniarono in modo autentico e sincero il loro essere 'in Cristo'
accettando con animo lieto di essere considerati degli insensati agli occhi del
mondo, consapevoli di ottenere in tal modo il dono della vera fede e della
totale libertà dello spirito. La loro demenza, infatti, era considerata uno
stato di grazia, il segno della loro eccezionale vicinanza al Regno dei Cieli.
Tuttavia il problema della distinzione tra follia e normalità è delicato e ricco
di insidie che rendono difficile stabilire un ben delineato confine di
distinzione tra il malato mentale, l'istrione e il santo.
La nudità dei santi "folli" era
ambigua, agli occhi delle alte gerarchie ecclesiastiche ortodosse, poiché poteva
alludere sia alla purezza dei semplici che alla tentazione diabolica.
Il fatto che il patronato dei
santi "folli" e dei "giullari di Dio" della Russia Cristiana fosse affidato a
due donne - S. Anastasia e S. Parasceve -, nel cui volto, secondo l'iconografia,
si celavano i tratti del Volto di Cristo, apre una significativa riflessione su
quella che, nella tradizione cristiana, fu la imitatio Christi femminile.
Uno dei primi santi "folli" della
Russia Cristiana canonizzati dal metropolita Makarij nel sinodo del 1547 fu
Maksim, che era particolarmente venerato a Mosca, la città in cui trascorse
tutta la vita. La lezione presenta numerose altre figure di santi "folli".
FACCIAMO QUI TRE TENDE. LA TRASFIGURAZIONE, BELLEZZA CHE
SALVA IL MONDO
Mons. Bruno Forte
La Trasfigurazione è la porta della bellezza che non tramonta, entrata nella storia per essere per chiunque creda nella Parola fatta carne la bellezza che salva nel tempo e per l'eternità: "Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia" (Mt 17,4).
Un duplice dato evangelico aiuta a
comprendere in che senso la bellezza rivelata sul Tabor e constatata nello
stupore e nella gioia dall'Apostolo Pietro sia la via nuova e vivente che Cristo
è venuto ad aprirci per andare al Padre. Il primo dato consiste nel fatto che il
Pastore, che raccoglie le pecore nell'unità del Suo gregge, è presentato come il
"bel Pastore", secondo l'esatta traduzione del testo greco evangelico. L'ora
pasquale rivelerà il volto di questa bellezza nell'Uomo dei dolori che si
consegna alla morte per amore nostro.
C'è però anche un altro dato
evangelico che aiuta a riconoscere nella bellezza la via del Vangelo: la
testimonianza, via preziosa per l'annuncio del Vangelo, è inseparabile dallo
sfolgorio della bellezza negli atti del discepolo interiormente trasfigurato
dallo Spirito: dove la carità si irradia, lì s'affaccia la bellezza che salva,
lì è resa lode al Padre celeste, lì cresce l'unità dei discepoli dell'Amato,
uniti a Lui come discepoli del Suo amore crocifisso e risorto. Alcuni testi del
teologo russo Florenskij illuminano in maniera straordinaria questa lettura
dell'episodio della trasfigurazione.
È dunque la rivelazione del Tabor
che insegna a cogliere nella bellezza la via della salvezza donata dall'alto:
essa educa a cogliere nella morte del Figlio di Dio nella tenebra del Venerdì
Santo e nel Suo risorgere alla vita il frammento dove si è compiuta una volta
per sempre l'irruzione del Tutto.
Il Volto
Trasfigurato di Cristo
Dalla "VIA AMORIS" alla "VIA TRANSFIGURATIONIS"
P. Vincenzo Bertolone
Intento della lezione è ricordare le modalità per le quali l'uomo - creato ad immagine di Dio - è capax Dei e per mezzo della conoscenza dell'amore può realizzare questa metamorfosi trasfigurativa fino al punto di sentirsi "immortale, divino ed eterno". È' questa la sola dimensione che può dare un senso alla vita dell'uomo. L'uomo si eternizza e si divinizza perché tale è il sogno su di lui di Dio?Padre?Amore, rivelato in Cristo Gesù. E' fondamentale cogliere il significato del termine amore perché l'uomo naufrago nel mare della pura possibilità vive in una società senza padre, senza memoria, senza senso della storia, senza dialogo, in pieno smarrimento nonostante la sete di autenticità, di spontaneità, di vera fede e di vero "amore".
Dopo aver richiamato la
terminologia attinente all'amore nelle varie sfumature, dalla cultura
greca al mondo ebraico veterotestamentario e alla romanità cristiana, l'Autore
si chiede: è possibile "semplificare" tutto ciò e tradurre con poche, umili ed
essenziali parole, che cosa è "questo" amore divino? Mettendo al posto della
parola "carità" la persona umano?divina di Gesù, tutto coincide perfettamente.
Gesù è amore, è carità; Dio è amore, è carità. Cristo è l'icona di questo amore.
Cristo Gesù è la "fotografia", la rappresentazione storica e visibile di questo
amore. La carità?amore è Lui stesso.
Se l'agàpe è la risorsa, la via ed
il "tèlos" della Chiesa e si identifica con Cristo stesso, Gesù, facendosi carne
in noi attraverso il sacramento eucaristico, arriva a coinvolgere il nostro
amore umano e il nostro cuore di carne e a convertirlo sempre più in amore verso
i fratelli, nel cui volto ed attraverso gli occhi del nostro volto trasfigurato
in Cristo, noi vediamo il Volto di Dio.
Il Volto di Cristo è icona trasparente di mistero, tanto
in direzione della profondità di Dio, quanto in direzione antropologica.
LA BELLEZZA DEL VOLTO DI GESU' O
L'EVENTO DAL NOME "VERONICA"
Suor Blandina Schlömer
La studiosa del Volto di Manoppello descrive innanzitutto l'esperienza che, sin dall'infanzia, l'ha spinta a cercare l'immagine, non solo esteriore ma anche interiore, del Volto di Cristo, poi trovata nel Volto della Sindone, vera risposta alla sete di bellezza.
Dopo aver illustrato la parte
avuta nella propria ricerca dall'esperienza mistica delle sante donne di Hefta
Santa Matilde e Santa Gertrude - della quale cita significativi testi -, Suor
Blandina richiama i lunghi studi condotti sul Volto Santo di Manoppello, da
considerarsi la celebre "Veronica" romana che, dal 1527, non si conserva più
nella basilica vaticana. Resasi conto che le proporzioni del Volto della Sindone
e del Volto di Manoppello sono effettivamente equivalenti, ha cercato di
individuarne i lineamenti interiori che ella ravvisa nella semplicità, nella
riverenza e nell'innocenza. La sua conclusione è che, come autore della sua
creazione e utilizzando le sue regole e i suoi mezzi, Gesù ci ha lasciato, molto
prima che gli uomini intervenissero con la fotografia uno splendido capolavoro
di questa "arte", non come opera delle sue mani, bensì, per così dire, nel suo
ultimo passaggio, come ultima traccia della sua presenza reale nella nostra vita
mortale. Tutti noi, che crediamo esclusivamente come Tommaso, quando apriamo gli
occhi sui Volti della Sindone e di Manoppello, possiamo effettivamente vedere il
Signore.
Avvalendosi anche di richiami
anche alla Novo Millennio Ineunte, nonché ai testi evangelici, Suor Blandina è
convinta che il doppio Volto, della Sindone e della Veronica, da cui, in un
certo senso, traspare il sorriso di Dio, possano anche esserci d'aiuto a
ritrovare un nuovo accesso al cuore ed alla bellezza di Dio. Se veramente siamo
i suoi figli, anche secondo la parola dell'Apostolo "...saremo chiamati figli di
Dio, e lo siamo", così la sua bellezza sarà la nostra bellezza e sulla trama
della nostra vita sarà visibile il Volto di Gesù.
LA TRASFIGURAZIONE, ANTICIPO DELLA
RISURREZIONE
Prof. Michelina Tenace
L'esplicita novità del cristianesimo è la fede nella risurrezione. Ora, il legame tra la sua risurrezione e quella dell'uomo, il Signore Gesù stesso lo ha rivelato con la sua trasfigurazione. La Trasfigurazione rivela una pedagogia divina in favore dell'uomo. Leggendo gli episodi che precedono la scena della trasfigurazione è chiara la continuità fra annuncio della passione, condizioni per seguire Gesù, mistero della trasfigurazione come contenuto della promessa di salvezza. Che la trasfigurazione di Gesù porti un messaggio sull'uomo, i Padri e gli esegeti, lo hanno affermato a partire dell'indicazione del giorno in cui viene segnalato l'episodio: il sesto giorno dice l'evangelista Marco, riprendendo il motivo del sesto giorno della creazione.
La trasfigurazione manifesta chi è
Gesù, il Figlio di Dio. La luce splendente dei suoi vestiti è la luce che
irradia la sua umanità, trasparenza del suo corpo alla pienezza dello Spirito.
Cosa deve risplendere nel cristiano? Lo Spirito Santo come forza di amore che
tutto trasforma: la persona in relazione, le relazioni in comunione, il creato
in sacramento dell'amore e della comunione.
La pedagogia divina si cela nella
raccomandazione di non raccontare niente "se non dopo che il Figlio dell'uomo
fosse risuscitato dai morti" (Mc 9, 9). "Ed essi tennero per sé la cosa,
domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti" (Mc 9, 10).
Con la risurrezione avvenuta si
capirà il vero senso della trasfigurazione: infatti, l'esperienza della
trasfigurazione è per poter credere nella risurrezione.
SUL VOLTO DI CRISTO RIFULGE LA GLORIA
DEL PADRE
P. Giovanni Marchesi, SJ
Commentando il passo della seconda lettera ai Corinti 4,6, l'Autore osserva che al centro di questo testo autobiografico di San Paolo, sviluppato nella luce dell'esperienza vissuta sulla via di Damasco, spicca l'accento sulla conoscenza di Cristo nella quale si compendia il "tutto", come frutto del "guadagno" più importante della sua vita, ossia la scoperta di Gesù Cristo e l'incontro personale con lui. A sua volta tale conoscenza ha la sua origine nella scoperta del mistero proprio ed esclusivo di Gesù, vale a dire la sua gloriosa risurrezione dai morti: l'apice del cammino spirituale di Paolo, iniziato sulla via di Damasco, è costituito dalla "sublimità della conoscenza (gnôsis) di Cristo Gesù" (Fil 3,8) e più specificamente dal "conoscere lui, la potenza della sua risurrezione" (Fil 3,10). Nel passo della seconda Lettera ai Corinzi (4,6) si parla della stessa conoscenza non solo teorica ma pratica, anzi, si dovrebbe dire, mistica, di cui l'Apostolo si sente avvolto come di un manto: essa è appunto "la conoscenza (gnôsis) della gloria di Dio che rifulge sul volto di [Gesù] Cristo". La franchezza del "servizio" (diakonia) apostolico che Paolo rivendica per la sua persona e per tutto il suo ministero (cfr 2 Cor 3,12 - 4,6) "affonda le sue radici nella luce interiore che lo ha abbagliato a Damasco aprendogli gli occhi al mistero di Gesù".
Per Paolo, la scoperta di Dio sul
volto umano di Gesù ha costituito come una nuova nascita, una creazione nuova,
determinando in lui il passaggio "dalle tenebre alla luce", atto paragonabile
all'alba della creazione del mondo quando lo stesso Dio creatore, in forza della
sua parola efficace, fece "rifulgere la luce dalle tenebre" (cfr 2 Cor 4,6; Gn
1,3). Quanto riguarda Gesù come "Signore della gloria" può essere compendiato
nel concetto di Gesù "immagine" o icone vivente di Dio. Dire che Cristo è
"immagine di Dio" equivale ad affermarwe che egli è il "Figlio del suo Amore"
(Col 1,13): nell'identità della sua essenza divina, l'eterno Figlio del Padre
diventato "carne" si è fatto epifania visibile di Dio in quanto è irradiazione o
"espressione" della gloria di Dio, "immagine del Dio invisibile".
LA TRASFIGURAZIONE COME RIVELAZIONE
DEL MISTERO DELLA DIVINA UMANITÀ
Prof. P. Vladimir Zelinskij
Non soltanto dalla Scrittura, ma dalla nostra esperienza, per quanto essa sia debole e limitata, sappiamo che anche la fede in cui inizia la via dell'uomo a Dio e a se stesso, nasce e cresce da queste due radici: dalla Parola in cui possiamo leggere il pensiero di Dio su di noi e dal Suo sguardo in cui riconosciamo il Suo amore verso di noi. Ma nel momento in cui il Signore ha deciso di rivelare il Suo volto nel volto umano, l'aurora è spuntata e "il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce" (Mt.4, 12). Anche il vecchio Simeone con Gesù tra le braccia parla della "luce per illuminare le genti", e Giovanni il Precursore viene per "rendere testimonianza alla luce". Questa luce che Cristo ha portato ha la stessa "sostanza" della luce che illumina le genti ed ogni uomo. La Trasfigurazione, secondo l'interpretazione ortodossa, prima di tutto apre gli occhi agli apostoli, trasforma la loro anima e la loro vista, rivelando anche l'autentica natura umana. In Cristo ogni uomo, anche se immerso nelle tenebre, si avvolge della luce che non perde il suo carattere ineffabile. Avvicinando questo mistero luminoso, l'uomo diventa dimora della luce. L'intuizione della deificazione dell'uomo proviene da due fonti: l'unione sacramentale con il Signore nell'Eucaristia e l'unione mistica promessa nella Trasfigurazione. Ma si tratta della stessa unione perché la comunione al Corpo e Sangue di Cristo come "farmaco dell'immortalità" ci prepara alla comunione alla luce, alla nostra cittadinanza in quell'"ammirabile luce" , in cui "ciò che saremo non è stato ancora rivelato". La salvezza per l'Ortodossia non è tanto la giustificazione dell'uomo peccatore per la misericordia di Dio quanto la rivelazione dell'autentica natura umana, quella che fu in lui fin dal principio, del suo volto visto da Dio nel momento della creazione, della sua luce nascosta che brucia l'uomo vecchio oscurato dal peccato e lo rende puro e trasparente al suo Creatore. La santità come "cammino nella luce" o la comunione alla luce escatologica indica il Regno venuto "con potenza"" (Mc. 9,1), che è vicino (Mt.3,2), ma questa vicinanza rimane spesso nascosta o oscurata. Cristo ci ha mostrato il suo splendore perché noi potessimo mostrare la luce che ci ha illuminati "in principio"; Cristo si è trasfigurato perché noi vedessimo le cose che "Dio ha preparato per coloro che lo amano"; Cristo ha manifestato la sua gloria perché anche ogni volto umano diventasse quello del Figlio di Dio... e "perché Dio sia tutto in tutti".
LA TRASFIGURAZIONE DELLA MEMORIA
P. Marco Ivan Rupnik
Nella vita intellettuale e spirituale della persona la memoria ha una grande importanza. Essa è una potenza ispiratrice, è un motore che muove la vita in una creatività al divenire. Che cosa sarebbero le pagine della Scrittura se si togliesse la memoria, il memoriale, il ricordo? La memoria è sempre concreta e agisce secondo un metodo che non permette astrazioni e decolli concettualistici. Essa tiene l'uomo ancorato a un realismo sano, alla concretezza tipica della persona.
Proprio a causa della sua
complessità, del suo attaccamento al concreto e al vissuto, la memoria è esposta
ai drammi, ai traumi e a vere e proprie patologie.
Il danno radicale sulla memoria
umana è avvenuto con il peccato che l'ha attirata a sé, se ne è impossessato e,
con questo, impedisce la crescita e la maturazione della persona.
Riportando due racconti
autobiografici dello scrittore Ivan Cankar (1876-1918), P. Rubnik spiega come il
pentimento sia via di trasfigurazione della memoria. Con il pentimento, il
peccatore si ricorderà ancora del suo peccato, non più tuttavia in modo isolato,
ma insieme a Colui che l'ha salvato, che l'ha liberato dal peccato. Questa è la
vera trasfigurazione della memoria: il ricordo del peccato diventa il ricordo di
Colui che lo ha cancellato. Il peccato spinge in solitudine, il perdono mette in
comunione e riabilita per la relazione proprie dell'amore.
Le lacrime portano alla pace
perfetta che è il preludio della più alta contemplazione. Portano alla
rivelazione dei misteri celesti, alla trasformazione meravigliosa di tutto
l'essere, perché portano a far vedere Cristo.
IL VOLTO DI GESU', MEDICO-SACERDOTE
Don Luigi Verzé
La raffigurazione del Volto di Cristo veramente credibile - a giudizio di don Verzé - è quella che risulta dalla Sindone, identità di sofferenza nobilitante. C'è peraltro un Volto di Cristo inconfondibile, ed è quello dell'uomo sofferente. Da questo incontro scaturisce un volto nuovo della biomedicina mai sufficientemente esplorato: il Volto di Cristo medico-sacerdote. Gesù fu prima di tutto medico o prima di tutto sacerdote? Egli fu medico e, perciò, insieme sacerdote. La natura divina di Gesù lo portava a ricostruire l'uomo come l'aveva creato per poi ridargli la potenzialità di vivere Dio stesso in corpo, intelletto e anima sin da questa terra. Abbattere il dualismo di contrapposizione tra corpo e anima, tra esigenze correlate al benessere fisico e a quello dell'anima è missione fondamentale del Verbo fatto carne, la cui ipostasi è, oltretutto, eliminazione di ogni ombra manicheistica.
L'aver posto le mani sulla
biologia, sulla biotecnologia, sul genoma e sulle cellule staminali può indurre
a credere ad una scienza nemica, anziché alleata della fede, solo perché noi
credenti ci chiamiamo fuori, terrorizzati da un immaginario irresponsabile e
incontrollabile. Dio ci chiama, invece, a riconoscere e ad incoraggiare lo
spirito di vita dell'Uomo-Dio che sta in quelle intelligenze che hanno
sconfitto, per esempio, il 65% del cancro e stanno velocemente contestandogli il
terreno fino all'85% o stanno per vincere il virus HIV, la Sclerosi multuipla,
il morbo di Parkinson ecc. L'annuncio di Gesù: "Sono venuto perché abbiano la
vita e l'abbiano in abbondanza" non riguarda solo la vita dello spirito, ma
anche dell'intero uomo di cui il corpo è componente essenziale. E' auspicabile
una costante tensione verso il meglio in concomitanza con Dio che ha voluto il
meglio per l'uomo dandogli il Suo volto medico-sacerdotale nel Cristo.
IL VOLTO DI CRISTO RE E IL MARTIRIO
Eduardo Chávez Sánchez
L'Autore rievoca la persecuzione della Chiesa in Messico intorno agli anni Trenta e la cosiddetta guerra "cristera", cioé la resistenza anche armata che i cristiani condussero al grido di Viva Cristo Re, donde il nome di cristeros dato ai combattenti. Molti sacerdoti, religiosi, religiose e laici subirono il martirio, riconosciuto per un certo numero di essi dalla loro beatificazione ad opera di Giovanni Paolo II.
Come è noto, nel momento in cui la
guerra tra i cristiani e lo stato messicano ateo sembrò non poter avere una
soluzione, la Santa Sede, andando incontro anche alle richieste dei vescovi
locali, tentò di venire ad un compromesso richiamando i cristiani a deporre le
armi. Nel frattempo, anche se senza riuscirvi, il governo messicano aveva
cercato di dare vita ad una Chiesa cattolica nazionalista. Non tutti i cristiani
in armi accolsero l'invito a deporle, soprattutto perché le concessioni che il
governo anticlericale messicano del tempo aveva fatto a parole ai rappresentanti
della Santa Sede, non furono mantenute. Anche dopo la fine degli scontri armati,
continuò in forme più subdole una dura persecuzione contro i cattolici e,
soprattutto, contro il clero e i religiosi e nella Costituzione messicana rimase
l'articolo che non riconosce l'autonomia della Chiesa nello svolgimento della
sua azione pastorale.
La guerra cristera, a parte alcuni
eccessi peraltro spesso motivati, costituisce nei suoi particolari una pagine
gloriosa della storia della Chiesa in Messico. La lezione del p.Chávez illustra
anche quanta parte, nel venire incontro ai cristiani messicani perseguitati,
abbiano avuto l'interessamento e la viva partecipazione dell'episcopato di altri
Paesi dell'America centrale e soprattutto dei fedeli e dei vescovi degli Stati
Uniti d'America.
Il discorso del papa in occasione
della beatificazione dei martiri messicani getta le basi per una ricostruzione
veritiera di quella sanguinosa esperienza.
IL VALORE TEOLOGICO DELLA TRASFIGURAZIONE
Mons. Rino Fisichella
Per comprendere più a fondo il mistero della risurrezione di Cristo e, quindi, il suo lasciarsi vedere dai discepoli, mostrando loro l'identità tra il volto del Crocifisso e quello del Risorto, dobbiamo ritornare, in primo luogo, al racconto della trasfigurazione, nel quale troviamo l'indizio più preciso lasciato in eredità ai credenti. E' interessante notare come la teologia cattolica si sia dedicata solo recentemente allo studio della trasfigurazione. Per cogliere il nucleo del racconto della trasfigurazione occorre partire dalla sua conclusione. I tre evangelisti, anche se con piccole differenze irrilevanti, riportano le parole che giungono dalla "voce" nella nube: "Questi è il Figlio mio, ascoltatelo". Una conclusione che potrebbe sembrare paradossale: tutto il racconto sembra spingere a verificare l'elemento epifanico, mentre la conclusione tende non più al "vedere" quanto all'ascoltare. La voce che proviene dalla nube permette di percepire il senso di ciò che i discepoli vedono, mentre la trasfigurazione consente di cogliere il significato profondo di quanto la voce attesta. I discepoli devono progressivamente comprendere che la missione messianica di Cristo non va confusa con quella immaginata dai suoi contemporanei. Gesù non sarà un Messia politico, ma un servo sofferente che con la sua morte porterà la salvezza.
La scena al Tabor, insomma, ha
sullo sfondo un insegnamento decisivo nella vita di Gesù: far comprendere ai
discepoli che la sua esistenza è fare la volontà del Padre e che la sua missione
si svolgerà come obbedienza piena e totale a Dio, fino al dono supremo di sé. E'
a partire da questi presupposti, quindi, che si comprende il passo deciso di
Gesù verso Gerusalemme, il luogo della sua sofferenza e della sua
glorificazione. Prima di salire verso la città santa e il Golgota, Gesù deve far
comprendere ai suoi discepoli che il senso di quel mistero è avvolto nella
decisione del Padre di glorificarlo a tempo debito. Con il racconto della
trasfigurazione siamo dinanzi a uno dei punti centrali del Nuovo Testamento. La
trasfigurazione dice che alla Chiesa basta la sola presenza di Gesù. Noi siamo
coloro che custodiscono il mistero della trasfigurazione, perché siamo i
credenti nella Pasqua del Risorto.
LA TRASFIGURAZIONE NEL PERCORSO ICONOGRAFICO
Prof. Bogdan Patashev
Lo schema iconografico della scena della Trasfigurazione si attiene essenzialmente al racconto evangelico di Matteo, Marco e Luca che ne situano il racconto nel periodo che precede la narrazione della passione, e che segue la professione di Pietro che Gesù è il Messia. La pericope evangelica della Trasfigurazione costituisce un'anticipazione della gloria del Cristo risorto. In termini ellenistici, l'evento è rappresentato come una vera teofania o epifania.
Nella seconda lettera di Pietro,
la Trasfigurazione è ricordata come "la grandiosa manifestazione" (2Pt 1,
16-18), durante la quale i tre apostoli hanno udito le parole del Padre celeste.
Il fenomeno è descritto in rapporto all'impressione provocata sugli apostoli.
Tutti questi particolari
definiscono lo schema iconografico della scena della Trasfigurazione, come anche
la sua posizione nei programmi iconografici nelle chiese.
Nei primi secoli la Chiesa presta
molta attenzione alla Potenza salvifica di Dio. Questo è evidente dalle immagini
e dalle raffigurazioni fatte dai primi cristiani, e rimaste fino ai nostri
giorni. La teofania di Gesù sul monte non è considerata fondamentale per la loro
fede. Loro fissano lo sguardo sui temi della Salvezza avvenuta nella persona
storica di Gesù Cristo che attua le promesse dell'Antico Testamento. Il
battesimo nel nome di Gesù, come anche la morte, sono il passaggio, la speranza
della Chiesa nella Salvezza in Cristo.
Con il riconoscimento della fede
cristiana come religione ufficiale dell'Impero, l'epifania di Gesù come Cristo e
Salvatore si collega maggiormente alla struttura teocratica dell'Impero fondato
da Costantino, in cui la sovranità universale di Cristo-Signore costituisce la
giustificazione e il modello della sovranità terrena dell'imperatore. I concetti
ideali di maestà, sovranità, potere divengono attributi assoluti della persona
di Gesù Cristo, Verbo incarnato, Re universale e Salvatore. Si fa più frequente
da parte cristiana il ricorso ad un linguaggio simbolico. In un tale contesto,
intorno all'anno 560, l'imperatore Giustiniano fa costruire la chiesa di Santa
Caterina sul Sinai, nella cui abside è raffigurata l'imponente scena della
Trasfigurazione. Nell'abside della chiesa di S. Apollinare in Classe essa è
raffigurata non come una teofania storica, ma in modo definitivo come una
visione escatologica.
In questo periodo storico, molti
temi iconografici profani o imperiali assumono tratti definitivamente cristiani.
Lo stesso accade spesso anche con la raffigurazione dei temi delle teofanie
storiche di Gesù, che perdono dei particolari per assumerne altri, divenendo
piuttosto teofanie escatologiche. L'evento storico della Trasfigurazione diventa
immagine della dimora eterna di Dio nella sua casa, la chiesa. La liturgia
assume sempre di più il senso di una teofania che perpetua l'Incarnazione del
Verbo, seguita dalla morte e la Risurrezione.
D'ora in poi, l'iconografia
bizantina avrà come scopo non la rappresentazione di Cristo, della Vergine, del
Santo o di una scena della loro vita, ma cercherà di coinvolgere lo spettatore
perché partecipi al Mistero rappresentato. Nelle miniature dei Vangeli armeni
illustrati, troviamo spesso la scena della Trasfigurazione. La scena è frutto di
un ambiente assai maturo e sensibile, sia nella riflessione teologica, sia nel
campo artistico.
Alla periferia dell'Impero, altre
raffigurazioni della scena della Trasfigurazione, che hanno caratteristiche
proprie come in Georgia, in Bulgaria e nel nord d'Italia. In Oriente, nei
territori d'influenza bizantina, i programmi iconografici vengono stabiliti dopo
la grande crisi iconoclasta. Con il ripristino del culto delle immagini, la
Chiesa s'impegna a sorvegliare la giusta interpretazione e venerazione delle
immagini sacre. Per le chiese costruite a croce greca si stabilisce un adatto
programma decorativo. La Trasfigurazione fa parte ormai del ciclo delle
rappresentazioni della vita terrestre di Gesù, seguendo la cronologia dei
Vangeli, e raramente occupa parti centrali dell'edificio ecclesiale. Si
registrano poche eccezioni dovute ad influssi di tipo sociale, o teologico. Gli
esicasti, per esempio, considerano la Trasfigurazione come l'evento principale
della vita terrestre di Gesù ed anche momento decisivo per la vita degli
Apostoli. Loro predicano che gli Apostoli hanno riconosciuto nella luce di monte
Tabor la presenza delle Energie divine, e tramite queste energie possono
conoscere Dio. A causa delle dispute teologiche sull'esicasmo e dell'attenzione
particolare sulla Luce Taborica, a partire dal sec.XIII, le rappresentazioni di
questa Luce appaiono in molte forme diverse. Lo schema iconografico della scena
non cambia molto, ma il modo di raffigurare la luce emanata da Cristo subisce
moltissime variazioni.
Dopo la caduta di Costantinopoli,
la Russia eredita l'iconografia bizantina è ne continua lo sviluppo. Con il
contesto, cambia anche l'iconografia. Si diffonde l'uso di tavole dipinte
portatili, e nei monasteri vengono create moltissime icone, che non sono oggetto
di questa rappresentazione nella loro varietà di stili, provenienza ed influssi.
La lezione del Prof. Patashev si
limita a considerare alcune raffigurazioni scelte, della scena della
Trasfigurazione, come testimonianza della fede espressa dalla Chiesa nei vari
momenti della sua storia, cercando di individuare posto e ruolo di queste
immagini nello sviluppo generale dell'iconografia cristiana.
LA TRASFIGURAZIONE DI GESU' NELL'ICONOGRAFIA ORIENTALE E
OCCIDENTALE
Prof. Heinrich Pfeiffer
Nessun compito risultò così arduo, quasi non realizzabile per l'arte cristiana, come la raffigurazione del corpo trasfigurato di Gesù secondo la descrizione dei vangeli. Nell'arte paleocristiana troviamo due grandiose raffigurazioni della Trafgigurazione: le absidi della chiesa del monastero di S. Caterina sul Sinai (Oriente) e di S. Apollinare in Classe a Ravenna (Occidente). In queste due raffigurazioni - sebbene Ravenna subisca l'influsso dell'arte bizantina - si presenta tutta la differenza, circa la manifestazione della natura di Cristo, tra l'arte occidentale e quella orientale.
Dopo aver descritto
particolareggiatamente le due suddette opere, il P. Pfeiffer si è soffermato sul
Beato Angelico, che fu il primo pittore occidentale a porsi il problema della
luce che, per il tema della trasfigurazione, doveva avere un'indole per così
dire, soprannaturale. Quindi è passato alla descrizione delle due tavole della
Trasfigurazione di Giovanni Bellini che si conservano l'una nel museo Correr di
Venezia e l'altra al Museo Capodimonte di Napoli ed alla grandiosa tavola
dipinta da Raffaello e conservata nella Pinacoteca Vaticana. A giudizio del P.
Pfeiffer il modello del Volto di Cristo raffaellesco è stato quello della
Veronica Romana, oggi conservato a Manoppello. L'opera di Raffaello è divenuta
la formulazione classica del tema della Trasfigurazione mai superata nell'arte
di tutto l'occidente cristiano. La Trasfigurazione di Rubens è in stretta
dipendenza da quella dell'urbinate. Ricordati alcuni altri pittori occidentali (Alonso
Berruguete, Giovanni Battista Paggi, Giulio Cesare Procaccini) e incisori in
rame che hanno trattato il tema della Trasfigurazione, P. Pfeiffer, con
riferimento all'Oriente, ha ricordato le rappresentazioni della Trasgifurazione
nella pittura russa secondo gli schemi della scuola di Novgorod e della scuola
di Mosca.
IL VOLTO TRASFIGURATO DI GESU' IN ALCUNE ESPERIENZE
SPIRITUALI DEL NOSTRO TEMPO
P. Tito M. Sartori, OSM
Il 21 ottobre 1924 nacque a Bosaro, in provincia di Rovigo, Maria Samiolo; si spense nel capoluogo polesano il 30 gennaio 1980. Figlia illegittima, fu adottata nel 1930 da Giuseppe Bolognesi, che ne sposò la madre e a lei dette il proprio cognome. Avendo vissuto fino al 1942 nella miseria, più che nella povertà, conobbe l'umiliazione di chi pur soffrendo la fame riesce a mantenersi onesto e a conservare il senso della propria dignità.
Dai nonni apprese un profondo
spirito di orazione. L'intimità con il Signore la condusse a consacrarsi a Lui
fin dall'età di nove anni. L'alto grado di unione con Dio al quale fu chiamata,
fu preceduto da un'ascesi severa collegata, almeno in parte, sia allo stato di
povertà in cui aveva vissuto l'infanzia e l'adolescenza sia alla grande
purificazione interiore provocata dalla resistenza alla possessione demoniaca
durata circa 18 mesi.
Dal 2 aprile 1942 ebbero inizio
gli incontri mistici con il Signore. Nella prima visione estatica ricevette
l'anello di fidanzamento con cinque rubini. Negli anni 1942-1955 il Signore le
conferì la propria ricchezza: i sudori di sangue, la flagellazione,
l'incoronazione di spine, le cinque stimmate. Queste ultime furono date in
progressione. Al termine dello scambio dei beni messianici, il matrimonio
spirituale con un nuovo anello con stampigliata l'immagine dell'Ecce Homo.
Per oltre 35 anni, ogni venerdì
Cristo le apparve con il volto triste, rigato di sangue, talvolta piangente,
sempre addolorato per i grandi peccati dell'umanità e chiedendo a lei preghiere
e penitenza. All'invito divino ella rispose offrendo se stessa come vittima per
allontanare i tremendi castighi minacciati da Gesù. Avendo conosciuto
l'umiliazione della povertà, dedidò l'intera sua vita ad aiutare i poveri e gli
ammalati. Il Signore la premiò facendola partecipe dei segreti divini,
arricchendola di conoscenze straordinarie, della cui provenienza superna lei non
fece mai cenno ad alcuno. Umile e povera, ci ricorda che Dio sceglie i poveri e
gli stolti di questo mondo per confondere i forti e i sapienti.
IL MIO GESU' NELLA CANTATE DI J.S.BACH
Pellegrino M. Santucci, OSM
Padre Pellegrino M. Santucci, dei Servi di Maria, musicista compositore e Maestro Direttore della Cappella Arcivescovile di S. Maria dei Servi di Bologna, nella sua lezione riassume quanto pubblicato in due suoi importanti volumi, di recente pubblicazione, dedicati alla Cantate di Bach.
L'espressione "mein Jesus" ricorre
molto spesso in queste Cantate. Bach la usa in senso volutamente
affettivo-possessivo quasi ad indicare una sua immedesimazione con Cristo.
Illustrando un consistente numero
delle oltre 200 Cantate di J.S.Bach - delle quali descrive anche la tecnica -,
p. Santucci parla addirittura, per alcune di esse, di una "clonazione" di San
Paolo, tanto è manifesta la fedeltà alle lettere dell'apostolo dei testi delle
Cantate. Questi testi dimostrano che il Gesù di Bach è il Gesù della storia, il
Gesù della fede, della liturgia, dei sacramenti, della Chiesa. Testi che hanno
un riscontro musicale non soltanto originale, ma mai più raggiunto.
Togliere il riferimento a Cristo
dalla vita ed dall'opera di Bach significa inoltrarsi nel deserto del nulla.
Così come togliere dalle "Cantate" di Bach il "mio Gesù" e la fede di Bach in
Lui è compiere un'amputazione non soltanto gratuita, ma grottesca, soprattutto
se si tiene conto che le Cantate furono scritte per la Liturgia, anzi per
momenti specifici della Liturgia, nei tempi della Liturgia e, soprattutto, nello
spirito della Liturgia.
Anche l'amore verso il prossimo,
tanto esaltato nelle Cantate bachiane, si giustifica, nel sommo musicista,
nell'amore per Gesù. L'Autore non nasconde che, nella interpretazione di qualche
testo dell'Antico Testamento che è a base di alcune Cantate, Bach risente
dell'interpretazione protestante della Bibbia. Si tratta, tuttavia di
"eccezioni" largamente compensate dalla rigorsa cristologia sottesa alle
ineguagliabili Cantate di J.S.Bach.
Fonte : http://www.unigre.it/voltodicristo/congressi/5itacong.html
Istituto Internazionale di Ricerca sul Volto di Cristo www.santovolto.it
Nessun commento:
Posta un commento