domenica 5 aprile 2020

L’ingresso di Gesù a Gerusalemme, di Fabrizio Bisconti



L’ingresso di Gesù a Gerusalemme

di Fabrizio Bisconti


Codex Purpureus Rossanensis | Dettaglio tavola




Codice di Rossano Calabro. Rappresentazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme (VI secolo)

Una complessa e suggestiva scena tra IV e VI secolo

    Nella plastica funeraria prodotta nella seconda metà del iv secolo e cioè dal tempo dei Costantinidi a quello di Teodosio spunta una scena complessa, che riproduce il festoso ingresso di Cristo in Gerusalemme. La scena è costituita dalla giovane figura di Gesù, vestito di tunica e pallio, che incede verso destra sul dorso di un’asina, facendo il solenne gesto della parola.
    L’episodio, ricord
ato dai Vangeli (Matteo 21, 6-9; Marco 11, 4-11; Luca 19, 32-38; Giovanni 12, 14-16), viene tradotto in figura modellandosi sull’iconografia dell’adventus imperiale, proponendo una sorta di contrappunto figurativo, nel senso che il solenne ingresso dell’imperatore viene declinato nel festoso arrivo di Gesù, che ha le sembianze di un fanciullo imberbe, con una leziosa acconciatura a boccoli, nel mentre cavalca un’umile asina, accompagnata da un puledro che a malapena si tiene sulle zampe, secondo il racconto dell’evangelista Matteo.
  La figura del piccolo re, che incede verso la città di Gerusalemme, attorniato dagli apostoli, è accolta da un personaggio, di modulo minore, che stende un mantello davanti a Cristo, mentre una piccola folla acclama festosa.
   Se la scena appare già nel celebre sarcofago di Giunio Basso, prefetto dell’Urbe, morto nel 359, essa trova una definizione iconografica nei sarcofagi di Bethesda, un gruppo di arche marmoree prodotte nelle officine romane nell’ultimo scorcio del iv secolo. Si tratta di circa venti esemplari di raffinatissima realizzazione, ordinati da committenti di altissimo rango e di elevatissimo potenziale economico. Tutti questi sarcofagi, dispersi un po’ in tutto il mondo cristiano antico — anche se sono rimasti pressoché intatti quello dei Musei Vaticani, quello di Ischia, quello di Tarragona e quello atipico di Pretestato — propongono la stessa sequenza figurativa, con scene di tipo cristologico: su uno sfondo urbico, si snodano la guarigione dei ciechi, quelle dell’emorroissa, del paralitico, del servo del centurione, l’ingresso di Cristo in Gerusalemme.
   Quest’ultima scena, sicuramente la più complessa e la più articolata, funge da estuario semantico della sequenza evangelica e propone un interessante particolare che, a un primo sguardo, può sfuggire all’osservatore. Tra gli alberi, che contornano l’animato episodio, si intravede una piccola figura, che può essere facilmente identificata con Zaccheo, noto per la narrazione incastonata nel vangelo di Luca (19, 1-10): «Entrato in Gerico, Gesù attraversa la città. Ed ecco che un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse in quel luogo Gesù alzò lo sguardo e disse: “Zaccheo, scendi subito, poiché oggi devo fermarmi a casa tua”. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia».
  La chiamata di Zaccheo e l’ingresso di Cristo in Gerusalemme propongono, dunque, un fenomeno di contaminazione iconografica, forse per l’analogia figurativa, che si intrattiene tra coloro che tagliano i rami degli alberi per far festa al Salvatore e il piccolo pubblicano, che si arrampica sul sicomoro.
    Tornando all’animato ingresso del Cristo in Gerusalemme — come abbiamo anticipato — l’arte recupera, in un libero adattamento, le epifanie imperiali e, in particolare, quelle rappresentazioni che ritraggono l’imperatore a cavallo, accolto da una folla acclamante. Secondo questo schema, la scena viene rappresentata, più tardi, anche in pittura, come succede nel programma figurativo dell’ipogeo di Santa Maria in Stelle nei pressi di Verona, già riferibile alla prima metà del v secolo e in una scena, oramai poco giudicabile, della catacomba siracusana di Vigna Cassia, ancora della fine del iv secolo.
  L’episodio evangelico ricorre, poi, su alcuni avori del v e del vi secolo, trovando la sua manifestazione più definita in una formella della cattedra eburnea del vescovo ravennate Massimiano negli anni centrali del vi secolo.
  La scena, più o meno dettagliata, entra nel giro delle raffigurazioni miniate di alcuni celebri codici, come quello del Corpus Christi College, quello di Rabbula e quello di Rossano Calabro, preparando i cicli cristologici del Medioevo.
  Tutte queste testimonianze figurative, che si affacciano nel più antico repertorio iconografico cristiano, vogliono fissare il momento in cui Gesù è ormai giunto alla periferia di Gerusalemme, nel quartiere di Betfage, sulle pendici del monte degli Ulivi. L’ingresso trionfale nella città santa può essere letto in chiave messianica, richiamando la profezia di Zaccaria (9, 9), ma anche la festa gioiosa delle Capanne, quando si compiva il rito processionale delle fronde e si intonavano i Salmi al Signore.

di Fabrizio Bisconti

https://www.vaticannews.va/it/osservatoreromano/news/2020-04/l-ingresso-di-gesu-a-gerusalemme.html

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