I PILASTRI DELLA PRIMA COMUNITA' CRISTIANA
di fra Maurizio Erasmi
(Atti 2, 42-47)
“Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. 43 Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. 44 Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; 45 chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46 Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, 47 lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo”.
La chiesa delle origini è sempre il modello di ogni comunità cristiana, modello che bisogna tenere sempre davanti ai nostri occhi come ideale. Questo modello ha quattro fondamenti sui quali si regge la vita della comunità cristiana.
Consideriamo innanzitutto il contesto nel quale Luca colloca la prima comunità di Gerusalemme. Il contesto lo troviamo al cap 2 quando Pietro si alza nell’assemblea e, fortificato dallo Spirito Santo, fa il suo discorso che si conclude con questa affermazione fondamentale: «Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni». Il discorso di Pietro all’assemblea raggiunge, con questo versetto, il suo nucleo principale. E’ il Kerigma, il primo che risuona dalla bocca di Pietro in un contesto liturgico assembleare. Questo Kerigma o annuncio della salvezza, è costituito da tre elementi:
Storico: Gesù di Nazaret è morto sulla croce. L’annuncio della salvezza parte da questo dato inconfutabile. Il Figlio di Dio è Gesù di Nazaret, un uomo concreto, vissuto in Palestina, che a motivo della sua predicazione è stato condannato alla crocifissione. Anche Tacito nelle Annales ci riporta questo evento, dicendo che i cristiani sono i seguaci di un certo “Cristo” morto sulla croce perché si è fatto re dei giudei. Questo è il primo elemento del Kerigma perché la nostra fede non si appoggia su qualcosa, su una dottrina imparata a memoria o su una filosofia di pensiero, ma su Qualcuno e questo Qualcuno è un uomo realmente esistito che ci ha parlato di Dio e ce l’ha fatto vedere. Noi abbiamo fatto esperienza di Dio mediante l’uomo Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio.
Teologico: questo Gesù che è morto sulla croce Dio, il Padre, lo ha risuscitato. E qui c’è il movimento dell’azione di Dio. Dio è la vita, la pienezza della vita, e risvegliando il Figlio dalla morte rivela che Egli dona la vita.
Ecclesiologico: quando Pietro in assemblea dice: “e noi tutti ne siamo testimoni”, egli sta dicendo che l’ha visto crocifisso, morto e risorto e per questo lo può raccontare. Il Kerigma è il grido della fede convinta e convincente. Da qui nasce la Chiesa!
Dinanzi a questo proclamo di Pietro c’è una reazione: «All’udire tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: che cosa dobbiamo fare fratelli?» Dinanzi all’annunzio del Kerigma così esposto quella adunanza si sente provocata e si pone in un atteggiamento di ricerca: cosa dobbiamo fare?
Questa domanda lasciata lì da Luca nei libri degli Atti trova risposte concrete che toccano il fare. Quattro risposte, i quattro pilastri che reggono la vita della comunità cristiana:
Ascoltare l’insegnamento degli apostoli (la didachè)
L’unione fraterna (la koinonia)
La frazione del pane
Le preghiere (i salmi e il Padre Nostro)
1. L’insegnamento degli Apostoli: Che cosa insegnavano gli apostoli? La loro esperienza accanto al Signore Gesù. Un’esperienza che traduce gesti che sono stati visti e parole che sono state ascoltate. Quindi la didachè è il magistero di Gesù, tutto ciò che Gesù ha detto e ha fatto. Gli apostoli lo ricevono e lo trasmettono. Qui inizia la “tradizione”, il “tradere”. I discepoli annunziano, proclamano tutto quello che hanno udito e visto. Troviamo un parallelo interessante in Luca 24,13ss: i discepoli di Emmaus. Questo misterioso viandante che si accosta ai due discepoli “litigiosi”- che stavano litigando perché ognuno voleva avere ragione – e in una situazione di litigio, di dissidio, di incomprensione Gesù si accosta ma loro non lo riconoscono. E quando si accorgono che era Lui dicono: «Non ci ardeva il cuore nel petto mentre ci spiegava le Scritture?». Spiegava, cioè faceva l’esegesi di tutta la Parola a partire da quello che Lui era e aveva fatto a Gerusalemme. La Scrittura parlava di Lui, della sua Pasqua e i discepoli dovevano svegliarsi da quel torpore, da quella delusione e da quella contestazione e ricordare quello che avevano visto e udito.
2. L’unione fraterna: rappresenta lo stare insieme in un certo modo. E per essere concreti Luca ci dice in che modo i primi cristiani stavano insieme. In due modi: tenevano ogni cosa in comune a tal punto che chi teneva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti secondo il bisogno di ciascuno. Questo è il primo modo, cioè, la condivisione di quello che avevano. Il secondo modo: Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio, spezzavano il pane a casa – non in chiesa – prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la stima di tutto il popolo. Questo viene ripreso anche al cap 4, 32-35: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della resurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano e portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno». È un tratto caratteristico la condivisione di quello che si ha. Non solo. La condivisione di quello che si è. La preghiera che unisce l’uno all’altro perché preghiamo insieme e stiamo insieme sotto lo stesso Dio. La preghiera dice la nostra identità, il nostro essere. Siccome siamo tutti figli suoi, di conseguenza, noi siamo fratelli. Ed è nella preghiera, nella lode a Dio che scopriamo la fraternità, la Koinonia. Vediamo qui la praticità: fare ed essere. Quello che ho lo condivido e condivido anche quello che sono. Preghiera e azione.
3. La frazione del pane, questo ritrovarsi insieme nelle case perché la casa è il luogo, è la piccola chiesa domestica. La casa, luogo della relazione, della vita insieme, diventa anche luogo della liturgia perché quello che noi viviamo lo mettiamo sull’altare perché tutto ciò che c’è nella casa venga offerto e salga gradito a Dio. La casa, il luogo dell’eucaristia, dello spezzare il pane.
4. Le preghiere, la spiritualità orazionale contraddistingue la fisionomia della prima comunità cristiana che pregava secondo i tempi della tradizione ebraica nelle tre ore prestabilite: terza, sesta e nona, perché tutta la giornata era articolata e ritmata dalla preghiera: I salmi, il salterio ai quali si aggiungeva la preghiera insegnata da Gesù: il Pater.
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Questi quattro pilastri che reggono la vita della prima comunità cristiana, cosa possono dirci a noi che viviamo in una comunità cristiana?
1. In che modo io posso ascoltare l’insegnamento degli apostoli?
L’esperienza ci dice che molte volte, per mancanza di tempo o per la molteplicità dei servizi che siamo chiamati a svolgere nell’istituto e a nome dell’istituto, ci capita di disattendere l’ascolto della didachè. La nostra vita a volte è molto frazionata e frammentata da tante cose che sono buone, belle, giuste ma .. la didachè l’ascolto?. E ascoltare la didachè significa formare il mio spirito e formare lo spirito della comunità a partire da quello che Gesù ha detto e ha fatto. Significa che io devo trovare un momento per confrontarmi con Lui, per mettermi davanti a Lui e chiederGli che cosa devo fare. E questo vale anche per la comunità, dobbiamo trovare un momento per confrontarci con Lui, per fermarci insieme davanti al Signore, per ascoltare cosa pensa Lui di noi, cosa dice Lui sul nostro lavoro, sul nostro apostolato. Confrontare, ad esempio, la mia idea di povertà, di aiuto alle forme di precarietà esistenziali con quello che è scritto nel Vangelo, con quello che ha detto Lui sui poveri, con quello che ha fatto Lui a favore dei poveri. Perché noi non siamo degli imprenditori, siamo dei consacrati. Confrontare, ad esempio, la nostra idea di giustizia perché io ho la mia idea di giustizia, la comunità ha la sua idea di giustizia, ma sappiamo qual è il pensiero del Signore sulla giustizia?. Bisogna ricuperare l’ascolto e l’incontro con la didachè a livello personale e a livello comunitario.
2. La sfida della Koinonia, l’unione fraterna.
Essere in comunione, perché noi lo siamo, perché c’è qualcuno che ci ha messo insieme per essere in comunione. Una comunione espressa a partire di ciò che sei e a partire di ciò che hai. Quello che io sono e come sono; quello che io so fare e che fa parte del mio patrimonio lo metto in comunione con te che vivi con me. Ma qui il punto di partenza, e che fa la differenza, è la FEDE in Dio. Se tu hai un problema in comunità è perché hai un problema con Dio. Se tu non vai d’accordo con qualcuno che ti sta antipatico… il problema non è quello lì che ti sta antipatico, ma il problema è che tu hai una fatica con Dio. La radice è la nostra relazione personale con Dio, perché se io credo che Dio è mio Padre e io sono figlia sua e anche l’altra è figlia di Dio, allora siamo sorelle.
Come è il mio rapporto con il Signore? Credo che veramente Dio è mio Padre e che io sono figlia sua?. Ripartiamo da qui, questa è la base della koinonia, da qui parte la fraternità: dalla paternità di Dio.
3. La frazione del pane
L’eucaristia costituisce l’elemento cardine della nostra giornata, dovrebbe essere vissuta come “il momento” di tutta la giornata perché tutto parte da lì, da quel pane spezzato. Cerchiamo quindi di essere “sveglie” per vivere bene questo momento significativo della nostra vita personale e comunitaria. È importante celebrare insieme, mettendo sull’altare le gioie e le fatiche, i momenti belli del nostro stare insieme come gratitudine a Dio per il dono della comunità. Anche l’intercessione è importante, quando la comunità è un po’ scollata, divisa, frazionata, quando ci sono i conflitti.. pregare il Signore che venga a stare in mezzo a noi, a guarirci, a illuminarci… La gratitudine dunque e l’intercessione per la vita insieme, mettere sull’altare tutta la vita comunitaria, quello che siamo e quello che facciamo. E concretizzare tutto ciò in alcuni momenti particolari con dei segni, dei gesti che rendano più concreto e più visibile il mistero che celebriamo insieme. Fare ad alta voce anche delle preghiere per le consorelle e per i momenti di particolare difficoltà che si possono vivere. La preghiera insieme GUARISCE!. Ci crediamo?
4. Nelle preghiere
Ogni versetto del Padre Nostro è un motivo per entrare nel mistero di Dio con il cuore del Figlio, ma anche nel mistero dell’uomo con il cuore da figlio. Il Padre Nostro è la preghiera più bella, più completa, più profonda perché ci parla di Dio e ci parla di noi, ci dice chi è Dio e chi siamo noi. Sarebbe interessante pensare un programma di vita comunitaria spirituale a partire dal Padre Nostro che è la preghiera di Dio e dei figli di Dio, la preghiera della Chiesa.
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Che il Signore Gesù possa confermare la nostra vocazione, che stiamo vivendo in comunità, nel nostro Istituto, a partire da questi quattro pilastri e se qualche pilastro è un po’ pericolante cerchiamo di rinforzarlo perché ognuno di essi è indispensabile perché la comunità possa reggersi e perché possa rispondere a quella vocazione che ha ricevuto dal Signore. Amen
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