Nel frattempo, la ricerca di una congregazione religiosa di suore, che dia continuità stabile all’opera e sia di riferimento per i parrocchiani, non porta a nessun risultato.
Una congregazione in visita alla Casa non riconosce sufficienti le condizioni materiali degli stabili e del vitto. Ma don Mario capisce che può garantire solo la Provvidenza di Dio, perché questa non dipende da lui.
Il Vescovo Edoardo Brettoni lo invita ad andare avanti con le ragazze che stanno facendo il loro servizio volontario nella casa. “Falle tu le suore!” dice il Vescovo. Don Mario si applica subito a formarle a una vita spirituale più intensa e di servizio e adorazione ai piccoli e ai poveri. A custodire il silenzio nel servizio del Signore.
Don Mario diceva: Dimostrate ai poveri l’amore. Fate loro quello che si farebbe all’altare, all’Eucaristia, quello che si farebbe mentre si legge il Vangelo. 7
Come potevamo pensare di affinare la nostra spiritualità, così piene di lavoro giorno e notte? La risposta di don Mario era semplice e perentoria: «Se pregate col vostro lavoro, se lavorate con Cristo, per Cristo, in Cristo non siete sempre in contemplazione? Il vostro non è un lavoro di assistenza ma un atto liturgico perchè nel povero seguite Cristo. Certo, dovrete pregare con la comunità, ospiti, ausiliari, collaboratori».” 8
Il continuo richiamo alla sincerità, a qualunque costo, la lealtà, la schiettezza, la semplicità completano il quadro. In vista della festa della Madonna del Monte Carmelo, patrona della parrocchia il 16 luglio del 1942, don Mario inizia a saggiare la disponibilità delle famiglie a lasciare partire da casa le loro figlie.
Non ci sono problemi per Maria di Romanoro e Carolina, ma sembrano essercene per Almina e Cecilia. Arriva un no deciso per Cecilia e molte resistenze per Almina.
Don Mario, un po’ desolato (per i rifiuti dei genitori) ritornò alla Chiesa e nella tarda serata, mentre metteva al collo e alle mani della statua della B.V. quelle catene e anelli che si usa mettere per la sua festa, gli venne detto pressappoco così: «Signora! C’è una preghiera di San Bernardo: O SS.ma Vergine… non si è mai sentito dire che alcuno sia a voi ricorso e non sia stato esaudito – bene è tanto che vi chiediamo delle suore per i nostri poveri. Ne abbiamo trovate alcune in Parrocchia e … i genitori sono contrari! Se domani non verranno le ragazze per ricevere l’abito benedetto, io sarò costretto a predicare che non è vera la preghiera di S. Bernardo. E poi dovrò pure togliervi tutti questi monili perché…». Ma un confratello prete che aveva sentito quel discorso fatto ad alta voce, pensò bene di troncarlo… come poco riverente.” 9
Il giorno dopo, in chiesa per la vestizione e i primi voti, saranno presenti Sr. Maria della Madonna del Carmine (Maria Giubbarelli di Romanoro), Sr. Gemma di S. Teresa di Gesù (Almina Ghini) e Sr. Giuseppina della Croce (Carolina Fontanini).
E’ l’inizio delle Carmelitane Minori della Carità. Sr. Lucia di S. Teresa del Bambin Gesù (Cecilia Ghini) farà i primi voti l’8 settembre 1942. Fin dall’inizio gli aiuti dei parrocchiani nella vita di casa rimangono fondamentale per prendersi cura degli ospiti, della lavanderia e della cucina.
Così vengono coinvolte le persone della parrocchia. Durante la guerra l’Ospizio diviene luogo di accoglienza e assistenza per i feriti di guerra e per i malati di ogni parte politica o popolo di provenienza.
Tra l’8 settembre 1943 e la fine della guerra il 25 aprile 1945, il territorio diviene campo di battaglia di tante formazioni, da una parte i tedeschi e i corpi d’armata legati al Fascismo e dall’altra i gruppi partigiani. L’ospedale partigiano che aveva visto l’aiuto del dottor Marconi e di altri dottori organizzati al servizio dei feriti si sposta, dalla sede delle scuole elementari di Fontanaluccia, ad una vecchia casa nel bosco, detta “Le Perdelle” e infine, verso il periodo invernale, all’Ospizio. Così la prontezza di don Mario, di Sr. Maria e delle altre tre suore e della sorella di don Mario, Maria, permettono di accogliere tante persone fino a giungere a 70-80 persone, senza contare gli ospiti della Casa della Carità, che nel frattempo si sono spostati nelle case vicine.
Il 22 marzo 1944 don Mario, accompagnato da altre due persone, soccorre la popolazione di Cervarolo, il cui parroco e altri 23 uomini sono stati massacrati su un’aia del paese dai tedeschi.
Gli eventi hanno aperto la Casa facendone un luogo privilegiato di accoglienza e comunione fra persone molto diverse per estrazione, per provenienza e per scelte politiche. Questa rimarrà una delle caratteristiche essenziali della Casa della Carità fin dai suoi inizi: “fermento di ricostruzione comunitaria” all’interno della comunità cristiana ma, anche in senso più lato, raggiungendo anche i lontani e quelli di altre religioni.
Lo stile di famiglia, fra le famiglie, aperta all’ospitalità, fa via via dell’Ospizio un elemento inscindibile dalla comunità parrocchiale e dalle comunità vicine. Don Mario in una lettera scritta al Vescovo Edoardo Brettoni nel luglio 1943 riconosce nella Casa della Carità alcune motivazioni particolari:
1) bisogno di affiancare alla mia povera opera di parroco, un aiuto che riparasse in parte le mie deficienze e ottenesse un po’ di assistenza dal Buon Dio sulla parrocchia.
2) un bisogno intimo e potente di riparare le mie miserie personali con un po’ di carità che lo Spirito Santo suggerisce come mezzo per coprire una moltitudine di peccati.
3) un bisogno reale e, a mio povero giudizio, imprescindibile di sistemare alcuni poveri esseri infelici della mia parrocchia.10
Nel 1952, don Mario userà altre espressioni che diventeranno consuete, per definire le Case della Carità:
Hanno lo scopo di rappresentare per la comunità cristiana, una testimonianza di amore, un servizio di Cristo nei fratelli più bisognosi, una presenza sempre attuale molto alla mano di Cristo in mezzo a noi. E possono divenire, con l’aiuto di Dio, per le parrocchie o associazioni religiose:
1) un parafulmine spirituale delle medesime;
2) un grande lenzuolo per coprire le miserie dei singoli e delle comunità;
3) una dimostrazione palese a chiunque della Divina Provvidenza;.
4) una scuola pratica, una palestra di opere di misericordia e di fraternità cristiana per fedeli, Azione Catt., associazioni religiose, ecc;
5) convergendo su di lei la simpatia, la adesione, l’assistenza di buona parte della Comunità parrocchiale, può essere il fermento di una ricostruzione comunitaria della Carità di Cristo.
Appare subito che l’aspetto assistenziale, come viene abitualmente inteso ha una parte molto secondaria, modesta.(…) La Casa della Carità è un fermento, una cellula iniziale di un ritorno del genere umano alla sua unità nell’Amore, alla Comunità, nel senso più evangelico e positivo di questa parola. 11
Allo stesso tempo don Mario dirà:
Le Case della Carità sono il prolungamento naturale della Messa: liturgia della Parola – liturgia Eucaristica, liturgia della Carità.
A) Le “Parole Sante” sono l’elemento sensibile di cui si serve lo Spirito Santo per farci arrivare la Sua Voce, e che Egli riempie del “suo Carisma”.
B) Il Pane e il Vino sono l’elemento sensibile che Gesù ha scelto e che Egli transustanzia nel Suo Corpo e nel Suo Sangue, dato per noi – (quindi sacrificio – banchetto ecc.).
C) I “Poveri” sono l’elemento che Dio ha indicato e scelto come la “materia” della Carità – il substrato dell’Amore. 12
Le intuizioni della Casa della Carità diventano per don Mario l’idea portante del suo ministero pastorale al servizio della parrocchia: non semplicemente uno strumento di pastorale, ma l’impostazione generale di tutta la sua vita di pastore, un certo modo di intendere e vivere la comunità cristiana nel suo insieme e di avvicinare le singole realtà e persone.
Se l’Imitazione di Cristo parlava delle due mense della Parola di Dio e dell’Eucaristia, don Mario diventerà coraggioso annunciatore delle tre mense.
Nel 1946 morto il Vescovo Edoardo Brettoni, gli succede Mons. Beniamino Socche 13
Il rapporto con il nuovo Vescovo è all’insegna di una grande fiducia e stima verso don Mario. Sono tanti gli incoraggiamenti e i riconoscimenti della sua opera.
Talvolta cerca di calmarne l’entusiasmo e la carica missionaria che lo spingono a muoversi molto e a diffondere ovunque lo spirito del Vangelo con varie predicazioni anche fuori diocesi.
Con la fine della guerra, subito don Mario si fa carico anche delle condizioni del territorio e dei disagi nell’occupazione dei suoi parrocchiani. Così inizia ad animare alcune forme cooperative per garantire un lavoro e un salario a quanti possono e, quando si può, anche a quelli che da soli non riuscirebbero a trovare un impiego. 14
I lavori della cooperativa edile, fin dagli anni ’50, richiederanno spostamenti degli operai lontano da Fontanaluccia (la pianura modenese, la Maremma e la campagna attorno a Roma) e don Mario manda le suore perché accompagnino e sostengano quegli uomini attraverso la mensa e la lavanderia, ma molto più attraverso la preghiera quotidiana del rosario, recitato tutti assieme, e uno stile di vita familiare che cercherà di custodire negli operai una fedeltà alle loro famiglie e ad uno stile di vita cristiano.
Sarà sua preoccupazione accompagnare e sostenere questi servizi e questi cantieri, visitandoli e cercando anche di ottenere per essi aiuti e supporti da uomini politici e persone del luogo.
In ogni tempo cerca di trovare anche un certo spazio per diffondere lo spirito e la realtà della Casa della Carità.
La parrocchia di Fontanaluccia, già a metà degli anni ’40, può contare sulla collaborazione di un cappellano. Ciò permette a don Mario di allargare gli orizzonti del suo sacerdozio e della comunità cristiana a lui affidata.
Per don Mario è chiaro fin dall’inizio che la parrocchia e i suoi pastori devono continuare ad avere uno sguardo ampio: non ci si può chiudere in una sorta di autosufficienza. 15
Don Mario corre in tanti luoghi anche per predicazioni di missioni al popolo, settimane bibliche, predicazioni di esercizi e ritiri, missioni nelle carceri, confessioni e direzione spirituale, aiuti ai confratelli nel ministero.
Nonostante qualche resistenza e titubanza delle suore, cerca di favorire a più non posso la diffusione delle Case della Carità, riconoscendo in questo un chiaro progetto di che vuole allargare ad altre parrocchie quei frutti di grazia che ha operato a Fontanaluccia, con l’apporto e il contributo di altri parroci e altre comunità parrocchiali.
Così nascerà la Casa di S. Giovanni di Querciola (1947), la prima ad essere chiamata Casa della Carità, ad opera del parroco don Giovanni Reverberi, dei Servi della Chiesa. 16
E a seguire arriveranno altre Case. 17
Sempre più si fa chiaro come la Casa della Carità trova la sua sorgente e il suo alveo vitale nella Messa, nell’Eucaristia.
L’orizzonte missionario della Casa della Carità si rivela in maniera più misteriosa.
Un giovane di Fontanaluccia, Dario Asti, era stato studente presso i Gesuiti, e mandato da chierico in Madagascar per completare gli studi nel 1953, viene ordinato nel 1959 in Madagascar.
Le visite dei superiori ai famigliari in quel di Fontanaluccia e in seguito anche del Vescovo di Tananarive, capitale malgascia, portano presto a far conoscere la Casa della Carità anche in Madagascar.
Le varie richieste rivolte al Vescovo Socche, non ebbero però successo, se non per l’invio di un sacerdote diocesano: don Pietro Ganapini.
La Chiesa diocesana si apre così alla dimensione missionaria. 18
Don Mario viene visto come “terremoto apostolico”, senza misure donato alla diffusione del Regno, molto esigente con se stesso e con gli altri, e in particolare con le sue suore. Così nel 1963, dopo alcuni interventi per alleggerire il suo impegno e per aiutare la conduzione delle Case attraverso la nomina di un delegato vescovile, 19 il Vescovo Socche allontana don Mario dalle Case della Carità; il Vescovo stesso se ne assume la Direzione, insieme al Vicario Generale.
Don Mario rimane semplicemente parroco di Fontanaluccia: una situazione che dura due anni. La sofferenza del momento, trova però risposta in una obbedienza e disponibilità piena alle richieste del pastore della Diocesi.
Come dirà più volte don Mario: “Niente senza il Vescovo”, a conferma di una scelta che troverà poi conferme innumerevoli lungo tutta la vita.
Con la morte del Vescovo Socche, e l’ingresso in diocesi del Vescovo Gilberto Baroni, 20 don Mario viene reintegrato nelle sue funzioni, e invitato a riprendere in mano alcune situazioni vacanti: la spedizione in Madagascar, la Casa della Preghiera quale “nave ammiraglia delle Case della Carità”, l’organizzazione degli Esercizi spirituali annuali, del Noviziato e dell’accoglienza delle nuove vocazioni.
Come vedi don Mario, il lavoro c’è ed è grande ed è necessario che tu, dopo un periodo di aspettativa a te concesso dalla Divina Provvidenza, riprenda subito il tuo posto di impiegato-fattorino del Signore, con il lauto stipendio di croci e lacrime in comunione con Cristo per avere parte della sua gloria. 21
La scelta missionaria della Chiesa
Nel 1967, dopo un viaggio di esplorazione del territorio e della Chiesa malgascia fatto insieme al dottore in agraria Francesco Casini, e tenendo dettagliatamente informato il Vescovo Gilberto, riguardo agli incontri e alle attese di quella Chiesa, si decide di iniziare la missione diocesana in Madagascar, non più costituita da singoli Fidei Donum, ma da una rappresentanza della Chiesa reggiana, chiamata a trovare il suo punto convergente e di scambio e di comunione nella Casa della Carità.
Così, il 21 novembre 1967, parte da Reggio Emilia, un’ equipe di undici persone: tre preti diocesani (don Mario e altri due, di cui uno appartenente ai Servi della Chiesa), tre suore Carmelitane Minori della Carità, un membro laico dell’Istituto Servi della Chiesa, due infermieri e una laica, con il dottor Casini col quale d. Mario aveva fatto il viaggio esplorativo.
All’arrivo in Madagascar, all’aeroporto, l’equipe è accolta dall’Arcivescovo, da due Vicari generali, da gesuiti e sacerdoti italiani e malgasci e da alcune suore italiane.
Gli stessi giornali locali diffondono la notizia. Ciò che si sta realizzando in questo momento storico è uno scambio tra Chiese, una presenza di Chiesa come unica famiglia che si muove con unità di intenti, di desideri, di passioni e che collabora e agisce in maniera unitaria, perchè ha posto al centro il Signore nella Casa della Carità, con le tre mense della Parola di Dio, dell’Eucaristia e dei più piccoli e poveri, i tesori più preziosi della sua vita.
In parallelo, crescerà in diocesi l’animazione missionaria, che già era cominciata prima ancora della partenza del primo gruppo.
Si coinvolgeranno gruppi parrocchiali e inter-parrocchiali e persone di ogni genere e tipo, congregazioni religiose e gruppi vari. Il referente primo ed ultimo rimarrà il Vescovo, mentre il responsabile per quella missione diocesana rimarrà a lungo lo stesso don Mario.
Nel 1968, in corrispondenza con gli inizi della prima Casa della Carità in terra malgascia, si assiste anche, al Santuario Mariano di Pietravolta, a pochi chilometri da Fontanaluccia, alla nascita della Casa della Preghiera, “cuore” della Casa della Carità, che pulserà vita e forza per tutte le Case; con l’aiuto dei “polmoni”, ossia le missioni, fanno un lavoro di ossigenazione del corpo della Chiesa di tutti i tempi.
La realizzazione di una Casa della Preghiera dava forma a un desiderio che don Mario aveva a lungo meditato fin dagli inizi, anche per i preti diocesani: un luogo dove ritirarsi, riposarsi nello spirito, rinvigorirsi, ristorarsi e ritornare con una adesione più piena al Signore.
Nel 1972 inizia il ramo maschile dei consacrati al servizio della spiritualità e della vita delle Case della Carità: i Fratelli della Carità.
Promossi e richiesti dal Vescovo e con la sua benedizione, i primi due partono a distanza di un mese dalla prima professione, uno per il Madagascar e l’altro per l’India.
In India, un prete diocesano, don Artemio Zanni, parroco di Felina, aveva intravisto degli spazi di collaborazione e di aiuto a una dottoressa reggiana, Bianca Morelli, là presente dal 1959, prendendosi cura dei lebbrosi.
Don Mario, di nuovo con l’approvazione del Vescovo e l’aiuto di don Artemio, inizierà la collaborazione con le suore del PIME di Milano in un lebbrosario di Bombay, mandando fr. Romano Zanni e poi, dal 1975, due suore. Così parte anche la missione diocesana verso l’Asia, altro scambio e partecipazione alla vita di quella Chiesa locale.
Nel 1980 nasce la prima Casa della Carità in una parrocchia indiana, Versova, diocesi di Bombay.
Nel 1981 Don Mario incontra diverse volte Madre Teresa di Calcutta per valutare anche eventuali collaborazioni.
Nel 1973, insieme ad altre 28 persone, dà vita a Reggio Terzo Mondo (RTM), poi riconosciuto l’anno successivo come ONG da parte del Ministero degli Esteri per l’invio di persone in progetti di cooperazione all’estero.
Nel 1981, si apre alla “Macchiaccia”, una casa della parrocchia di Fontanaluccia, la casa di formazione dei Fratelli della Carità.
Nel 1984 si apre il noviziato delle Carmelitane Minori: dopo gli inizi in una sede provvisoria ci si sposterà poi, nelle prime settimane del 1986, nella parrocchia di S. Teresa di Reggio Emilia, dove don Mario era nato.
I rapporti fra le Chiese locali nella persona dei Vescovi rimane la base necessaria per avviare qualunque nuova apertura di una Casa della Carità. La stessa missionarietà della Chiesa locale ha trovato la sua chiave di volta e la sua più grande provocazione nella persona dei piccoli e dei poveri.
Le collaborazioni e le intese fra il Vescovo Gilberto e don Mario, via via crescono, producendo frutti di collaborazione e di apertura alle altre Chiese e ai problemi del mondo. 22
Indubbiamente molto dello sviluppo delle Case è dovuto anche alla maggiore comprensione da parte delle Chiese locali (nella persona dei Vescovi e dei parroci) del dono stesso della Casa della Carità a fianco dell’opera del pastore per sostenere il suo apostolato e per rendere visibilmente il significato profondo della Celebrazione Eucaristica.
Così soprattutto gli interventi del Cardinal Lercaro a Bologna, oltre alle più ampie riletture della Casa della Carità da parte del Vescovo Baroni a Reggio, hanno arricchito ed evidenziato quei punti che saranno una sorta di teologia eucaristica, semplice, alla portata di tutti, ma profonda e coraggiosa, dove la carità non sarà semplicemente frutto del nutrimento spirituale alla Parola e all’Eucaristia, ma essa stessa alimento, essa stessa mensa, essa stessa nutrimento alla persona del Cristo presente nel povero che ti viene incontro.
Viene offerta una visione teologica della chiesa come comunione di persone edificate in Cristo, a partire dai più piccoli e poveri.
Chiaramente emergono qui tutte le correnti teologiche sulla liturgia e sulla Chiesa dei poveri proposte dallo stesso Cardinale Lercaro nel Concilio e successivamente dai suoi Vescovi ausiliari (Baroni, Bettazzi, Cé…) ma anticipate e profetizzate dallo stesso don Mario e poi realizzate nella Casa della Carità. 23
Congregazione Mariana delle Case della Carità. 24
Cerca di completare gli Statuti delle Carmelitane Minori della Carità e dei Fratelli della Carità; propone il “Manuale” delle Case della Carità, sorta di vocabolario e di spiegazione di quello che vuole essere la Congregazione Mariana delle Case della Carità nella Chiesa.
Cerca di dare più visibilità ai Secolari 25 e alle Famiglie 26 come congregati a pieno diritto di questo stile di animazione della Chiesa alla scuola della Carità partendo dai più piccoli e poveri e nati nelle parrocchie e inseriti profondamente nelle parrocchie come unica appartenenza vera e totale.
E gli ausiliari crescono di numero con un mandato ufficiale da parte del Vescovo nel seminare lo spirito della Casa della Carità.
Tutti chiamati ad essere parrocchiani esemplari, responsabili, partecipi della vita e della missione della Chiesa.
La vecchiaia e alcuni problemi di salute, che via via si aggiungono negli ultimi due anni di vita, minano il corpo di don Mario, ma non riescono a smorzarne lo spirito, l’entusiasmo e l’affetto per la Chiesa e per la carità. A metà agosto del 1986, viene diagnosticato un cancro.
Celebra una messa di ringraziamento al Santuario della Madonna della Ghiara, dove da alcuni anni il Vescovo Gilberto aveva chiesto di celebrare la festa della Congregazione Mariana delle Case della Carità, riconoscendola come celebrazione diocesana.
Giunge la morte il 10 ottobre 1986.
Il seme buttato in diocesi e altrove, ha fatto crescere, alla scuola dell’Eucaristia, cristiani in una disponibilità matura, con un forte senso di appartenenza alle comunità parrocchiali e diocesane, e ha posto i piccoli e i poveri al centro dell’attenzione della Comunità, non solo a Reggio Emilia, ma nelle altre parrocchie sparse per il mondo.
Questo é il continuo della storia della Chiesa che fin dall’antichità aveva riconosciuto questo patrimonio (don Mario amava definire i congregati mariani delle Case della Carità «restauratori»).
Lo stesso seme che anche oggi si sta spargendo nel mondo, grazie al ministero di questo sacerdote, parroco fino alla fine di un piccolo paese di montagna agli estremi confini della sua diocesi.
Tutto fece in quanto parroco e come proiezione del suo ministero di pastore di una comunità parrocchiale.
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