Don Mario Prandi (1910-1986)
fondatore delle "Case della Carità"
Parroco
Don Mario Prandi ha percorso la strada potremmo dire “classica” per la quale è passata la maggior parte dei sacerdoti del suo tempo: un seminario dalla rigida disciplina, con insigni maestri di teologia e cultura, dottori dello spirito e scuole di santità.
Subito dopo l’ordinazione inizia la sua attività pastorale come cappellano a fianco di qualche parroco anziano, vera scuola di saggezza e di pratica pastorale.
Infine l’approdo a una piccola parrocchia di montagna ai confini della sua Diocesi di appartenenza, dove spende i restanti 48 anni della sua vita sacerdotale con vigore e forza.
E da parroco muore il 10 ottobre 1986.
Apparentemente una vita semplice e che ruota per lungo tempo attorno alla stessa comunità parrocchiale.
Di fatto un ministero che avrà una portata di carattere mondiale, diffondendo uno stile di vita pastorale, una teologia semplice e profonda ma concentrata attorno ai misteri dell’Incarnazione e della Eucaristia, segnata profondamente e accompagnata continuamente da un forte amore e devozione alla Madre del Carmelo, la Vergine Maria.
Don Mario Prandi, è chiaramente più conosciuto come fondatore delle Case della Carità, anche se lui stesso non userà mai, neanche nel testamento spirituale, questo titolo per parlare di sè riconoscendo probabilmente lo stesso dono della Casa della Carità come qualcosa di soprannaturale, come realtà che supera ogni possibilità di comprensione, e la portata dei cui frutti non è calcolabile, come mistero che si dispiega nel tempo e gradualmente viene riconosciuto, accolto ed “usato” dalla Chiesa locale e dai suoi pastori e dalle comunità parrocchiali e i suoi parroci.
Per una lettura più completa della realtà e della vita di don Mario Prandi, rimandiamo all’opera del prof.Sandro Chesi 1, scomparso nel mese di dicembre 2010.
Le origini
Don Mario Prandi nasce a Reggio Emilia città il 6 febbraio 1910, quinto di sette fratelli.
Nasce da famiglia semplice e povera: il papà sarto, socialista prampoliniano, e la mamma casalinga, donna di fede, dedita al lavoro operoso nella famiglia, alla preghiera costante e alla formazione alla fede dei propri figli specialmente attraverso i misteri del rosario.
Battezzato il 17 febbraio dello stesso anno nel Battistero della Cattedrale, cresimato in Cattedrale dal Vescovo Edoardo Brettoni all’età di 7 anni e la Prima Comunione nella sua parrocchia di S.Teresa nel 1920.
Carattere esuberante, talvolta esplosivo, é vero leader in mezzo agli altri ragazzi, vivacissimo e qualche volta artefice di scherzi e monellerie.
Mario si manifesta però anche con la stessa esuberanza e vitalità nella preghiera, nel coinvolgere amici e compagni di gioco nella preghiera del rosario, e nel servizio all’altare e a fianco del suo parroco in parrocchia e altrove, quando lo accompagnava nelle celebrazioni nelle altre chiese della città.
Respira in famiglia un clima di preghiera e di accoglienza grande.
L’ingresso in seminario (da esterno nell’ottobre del 1925 e da convittore nell’inizio dell’anno 1926) non stupisce il parroco e la madre di Mario ma il vicinato è sorpreso da questa scelta.
Mario non sembra così adatto agli occhi di tanti, vista la sua irruenza e passione.
I suoi studi, provvidenzialmente pagati da una famiglia ricca della città, inizieranno nell’Oratorio di S.Rocco in città, dove il seminario è stato per qualche tempo affiancato da luoghi di carità, da ambienti di accoglienza per poveri di ogni specie (ex carcerati e nomadi) e dall’Oratorio cittadino per i giovani.
Il seminario di S.Rocco, oltre che luogo di formazione al sacerdozio, è anche crocevia di esperienza caritativa e pastorale, ambiente accogliente e luogo di animazione vocazionale, fucina di vocazioni.
Qui Mario conosce per la prima volta don Dino Torreggiani, giovane prete, anima dell’Oratorio, che lo aveva visto come ragazzo della città e invitato al seminario. 2
Il seminario sarà il luogo della formazione filosofica e teologica, ambiente in cui crescere nella spiritualità sacerdotale, alla scuola di alcuni modelli di vita sacerdotale e su alcuni filoni di santità come i due francesi Chautard e Chevrier.
Come molti altri sacerdoti del suo tempo riceve forti influssi da questa spiritualità del sacerdote inteso come “uomo spogliato, crocifisso e mangiato”; i pilastri della vita sacerdotale così vengono riconosciuti nell’Incarnazione e nella povertà di Betlemme, nell’Eucaristia e nell’offerta della propria vita in unione al Cristo, nel rendimento di grazie del Cenacolo e alla scuola della Passione e della Croce del Cristo come testimonianza da dare nella sofferenza e nel dolore.
Il Vicario generale della Diocesi, mons. Angelo Spadoni, professore di dogmatica, darà un’impronta particolare ai sacerdoti di quegli anni, con l’apporto della mistica e l’appello a una forte spiritualità interiore.
Quest’ultimo fu asceta rigoroso con se stesso e con gli altri. 3
Negli anni del seminario cresce in don Mario la vita interiore e il desiderio di diventare prete secondo un certo stile.
Così scrive nel 1929 a soli 19 anni:
I poveri e gli infelici sono le immagini più somiglianti di Gesù Cristo stesso. Io non so una cosa: come tanti cristiani, tanti sacerdoti passino davanti a un infelice, un povero e non si fermino. Uno che vedendo un povero o un disgraziato, non lo solleva, perde una grazia: è come chi vedendo passare il SS. Sacramento non si inginocchia in atto di adorazione. Si perdona molto a chi ama molto. Ma la carità non è fatta solo di denaro: bisogna avere il cuore della carità, bisogna avere la comprensione della miseria. Ah! Deve pur rendere conto a Dio quel sacerdote che non ha compreso, che non ha saputo consolare uno di questi piccoli, che lo ha cacciato come un importuno, o se ne è liberato con pochi soldi. Oh! I soldi non sono la carità! Bisogna cercarli i poveri, gli infelici. Non aspettare che vengano a bussare alla porta. Lo so che è ben noioso conversare con ignoranti, con gente lurida, con ammalati poveri: ma forse che si è sacerdoti per vivere bene? Ma perché non avere la comprensione della carità? Quando sarò prete, se (Dio) il Signore vuole, mi dedicherò in gran parte agli umili, ai poveri, ai disgraziati: essi che nulla pretendono meritano molto.” 4
Dopo i vari ministeri minori, si giunge all’ordinazione sacerdotale il 15 luglio 1934 in Cattedrale per le mani dello stesso Vescovo Edoardo Brettoni. 5
Il ministero pastorale
I primi anni Don Mario viene mandato in aiuto a parrocchie in cui il parroco è malato o bisognoso di aiuto: così si succedono in ordine Calerno (qualche mese), Castelnovo ne’ Monti (due anni) e Villa Cadé (un anno).
Il 31 ottobre 1938 fa il suo ingresso da parroco nella parrocchia di Fontanaluccia, al confine estremo della diocesi, sulle montagne dell’Alto Appennino Tosco-Emiliano, in provincia di Modena, ma diocesi di Reggio Emilia, ai confini con la Diocesi di Massa.
Fin da subito inizia il suo ministero incontrando le persone, visitando le famiglie, prendendosi a cuore la realtà, cercando di conoscerla e penetrando a fondo il vissuto e le ansie, le gioie e le speranze della sua gente, condividendole e portando segnali di speranza e vitalità.
Recupera da subito la celebrazione delle SS. Quarant’Ore (marzo 1939) che erano state abbandonate e rinvigorisce la Confraternita del SS. Sacramento e l’amore all’Eucaristia.
Inizia l’Apostolato della Preghiera (1940) in parrocchia, promosso da una zelatrice che era stata in servizio a Genova, diffondendo l’amore alla Chiesa e alle intenzioni del Santo Padre.
Recupera la Banda parrocchiale (1939) per animare le feste e accompagnare le processioni e salutare l’inizio del nuovo anno dalla Torre campanaria.
L’Azione Cattolica viene incentivata e si intensifica la sua attività, partecipando anche agli incontri diocesani, nonostante le difficoltà delle distanze.
La comunità di Fontanaluccia, composta in quegli anni da circa 1000 persone, già fiorente per le cure pastorali dei pastori precedenti, riparte con forza e vigore nel suo cammino.
Sono, però, anni difficili, segnati dal Fascismo e dalle divisioni e fazioni politiche e sociali.
Nel 1940 l’Italia entra in guerra, e inizia un tempo di estrema insicurezza e povertà.
Le borgate di cui è composto il paese, sono abbastanza divise fra loro.
Alcune sono molto lontane dalla chiesa parrocchiale e sono difficili da raggiungere.
La Casa della Carità
Don Mario riconosce la presenza di tanti casi di handicap fisico o psichico nelle famiglie che non sanno come fare per gestirli nelle loro abitazioni.
Mosso a compassione e forte anche del confronto con cristiani laici dello spessore del dottore Pasquale Marconi 6, decide di avviare una sorta di piccolo Cottolengo, tabernacolo della presenza di Gesù nelle membra sofferenti dei piccoli e dei poveri a fianco della chiesa parrocchiale. Siamo all’inizio del 1941.
Organizza con l’Azione Cattolica un pranzo per i più anziani della parrocchia in canonica.
Inizia a parlare con gli organizzatori per fare qualcosa per anziani e minorati.
Don Mario non perde occasione per parlarne con i parrocchiani nelle varie assemblee delle associazioni, con i giovani, con l’Azione Cattolica, con gli adulti.
Tutti iniziano a muoversi e a comprendere che la presenza dei piccoli e dei poveri è presenza del Signore che viene incontro per essere accolto, amato, servito e adorato.
Ne parla a lungo coi preti del vicariato: per tanti è cosa azzardata iniziare un’opera tale in tempo di guerra con niente di sicuro, il parroco di Cervarolo commenta dicendo che con molta fede si potrà fare. Il parroco di Romanoro indica in una ragazza del luogo un possibile aiuto per iniziare l’opera.
Dopo averne parlato anche col Vescovo, in settembre invita Maria Giubbarelli di Romanoro a Fontanaluccia per la fine del mese per l’inaugurazione della casa che la gente già aveva iniziato a restaurare: una vecchia osteria a fianco della chiesa, di proprietà delle famiglie Becchelli e Gigli.
Leonilda Gigli, vedova Becchelli, aveva due figlie sordomute e psicolabili, ed era disposta a cedere il fabbricato se qualcuno l’avesse aiutata a prendersi cura di loro, visto che la famiglia era molto numerosa. Don Mario chiede l’aiuto di tutta la popolazione: la sabbia dal fiume é portata da adulti e bambini con secchi.
Ognuno contribuisce come può alla preparazione della Casa.
E la preghiera costruisce l’attesa. Maria Giubbarelli sale a Fontanaluccia il 26 settembre 1941 e il 28 ci sarà l’inaugurazione della prima Casa della Carità. Altre ragazze del paese si succedono per aiutare e accogliere. Il giorno dell’apertura con la Messa alla mattina nella Chiesa parrocchiale, vengono accompagnate le prime quattro ospiti della Casa le due sorelle Becchelli e due bambine handicappate.
La celebrazione, accompagnata dai canti del popolo cristiano e dalle grida di una delle due sorelle, è segnata dall’omelia di don Mario che parla di Gesù nei poveri e di questo nuovo Tabernacolo della parrocchia.
La chiesa è stracolma, la commozione è generale.
La statua di S. Lucia, viene portata nell’ingresso della Casa, che riceve il nome di “Ospizio di S. Lucia”. Dopo la benedizione dei locali e il canto del Te Deum, il prof. Pasquale Marconi richiama le opere di misericordia spirituale e il vangelo di Mt 25,31-46: “Quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Nel frattempo, la ricerca di una congregazione religiosa di suore, che dia continuità stabile all’opera e sia di riferimento per i parrocchiani, non porta a nessun risultato.
Una congregazione in visita alla Casa non riconosce sufficienti le condizioni materiali degli stabili e del vitto. Ma don Mario capisce che può garantire solo la Provvidenza di Dio, perché questa non dipende da lui.
Il Vescovo Edoardo Brettoni lo invita ad andare avanti con le ragazze che stanno facendo il loro servizio volontario nella casa. “Falle tu le suore!” dice il Vescovo. Don Mario si applica subito a formarle a una vita spirituale più intensa e di servizio e adorazione ai piccoli e ai poveri. A custodire il silenzio nel servizio del Signore.
Don Mario diceva: Dimostrate ai poveri l’amore. Fate loro quello che si farebbe all’altare, all’Eucaristia, quello che si farebbe mentre si legge il Vangelo. 7
Come potevamo pensare di affinare la nostra spiritualità, così piene di lavoro giorno e notte? La risposta di don Mario era semplice e perentoria: «Se pregate col vostro lavoro, se lavorate con Cristo, per Cristo, in Cristo non siete sempre in contemplazione? Il vostro non è un lavoro di assistenza ma un atto liturgico perchè nel povero seguite Cristo. Certo, dovrete pregare con la comunità, ospiti, ausiliari, collaboratori».” 8
Il continuo richiamo alla sincerità, a qualunque costo, la lealtà, la schiettezza, la semplicità completano il quadro. In vista della festa della Madonna del Monte Carmelo, patrona della parrocchia il 16 luglio del 1942, don Mario inizia a saggiare la disponibilità delle famiglie a lasciare partire da casa le loro figlie.
Non ci sono problemi per Maria di Romanoro e Carolina, ma sembrano essercene per Almina e Cecilia. Arriva un no deciso per Cecilia e molte resistenze per Almina.
Don Mario, un po’ desolato (per i rifiuti dei genitori) ritornò alla Chiesa e nella tarda serata, mentre metteva al collo e alle mani della statua della B.V. quelle catene e anelli che si usa mettere per la sua festa, gli venne detto pressappoco così: «Signora! C’è una preghiera di San Bernardo: O SS.ma Vergine… non si è mai sentito dire che alcuno sia a voi ricorso e non sia stato esaudito – bene è tanto che vi chiediamo delle suore per i nostri poveri. Ne abbiamo trovate alcune in Parrocchia e … i genitori sono contrari! Se domani non verranno le ragazze per ricevere l’abito benedetto, io sarò costretto a predicare che non è vera la preghiera di S. Bernardo. E poi dovrò pure togliervi tutti questi monili perché…». Ma un confratello prete che aveva sentito quel discorso fatto ad alta voce, pensò bene di troncarlo… come poco riverente.” 9
Il giorno dopo, in chiesa per la vestizione e i primi voti, saranno presenti Sr. Maria della Madonna del Carmine (Maria Giubbarelli di Romanoro), Sr. Gemma di S. Teresa di Gesù (Almina Ghini) e Sr. Giuseppina della Croce (Carolina Fontanini).
E’ l’inizio delle Carmelitane Minori della Carità. Sr. Lucia di S. Teresa del Bambin Gesù (Cecilia Ghini) farà i primi voti l’8 settembre 1942. Fin dall’inizio gli aiuti dei parrocchiani nella vita di casa rimangono fondamentale per prendersi cura degli ospiti, della lavanderia e della cucina.
Così vengono coinvolte le persone della parrocchia. Durante la guerra l’Ospizio diviene luogo di accoglienza e assistenza per i feriti di guerra e per i malati di ogni parte politica o popolo di provenienza.
Tra l’8 settembre 1943 e la fine della guerra il 25 aprile 1945, il territorio diviene campo di battaglia di tante formazioni, da una parte i tedeschi e i corpi d’armata legati al Fascismo e dall’altra i gruppi partigiani. L’ospedale partigiano che aveva visto l’aiuto del dottor Marconi e di altri dottori organizzati al servizio dei feriti si sposta, dalla sede delle scuole elementari di Fontanaluccia, ad una vecchia casa nel bosco, detta “Le Perdelle” e infine, verso il periodo invernale, all’Ospizio. Così la prontezza di don Mario, di Sr. Maria e delle altre tre suore e della sorella di don Mario, Maria, permettono di accogliere tante persone fino a giungere a 70-80 persone, senza contare gli ospiti della Casa della Carità, che nel frattempo si sono spostati nelle case vicine.
Il 22 marzo 1944 don Mario, accompagnato da altre due persone, soccorre la popolazione di Cervarolo, il cui parroco e altri 23 uomini sono stati massacrati su un’aia del paese dai tedeschi.
Gli eventi hanno aperto la Casa facendone un luogo privilegiato di accoglienza e comunione fra persone molto diverse per estrazione, per provenienza e per scelte politiche. Questa rimarrà una delle caratteristiche essenziali della Casa della Carità fin dai suoi inizi: “fermento di ricostruzione comunitaria” all’interno della comunità cristiana ma, anche in senso più lato, raggiungendo anche i lontani e quelli di altre religioni.
Lo stile di famiglia, fra le famiglie, aperta all’ospitalità, fa via via dell’Ospizio un elemento inscindibile dalla comunità parrocchiale e dalle comunità vicine. Don Mario in una lettera scritta al Vescovo Edoardo Brettoni nel luglio 1943 riconosce nella Casa della Carità alcune motivazioni particolari:
1) bisogno di affiancare alla mia povera opera di parroco, un aiuto che riparasse in parte le mie deficienze e ottenesse un po’ di assistenza dal Buon Dio sulla parrocchia.
2) un bisogno intimo e potente di riparare le mie miserie personali con un po’ di carità che lo Spirito Santo suggerisce come mezzo per coprire una moltitudine di peccati.
3) un bisogno reale e, a mio povero giudizio, imprescindibile di sistemare alcuni poveri esseri infelici della mia parrocchia.10
Nel 1952, don Mario userà altre espressioni che diventeranno consuete, per definire le Case della Carità:
Hanno lo scopo di rappresentare per la comunità cristiana, una testimonianza di amore, un servizio di Cristo nei fratelli più bisognosi, una presenza sempre attuale molto alla mano di Cristo in mezzo a noi. E possono divenire, con l’aiuto di Dio, per le parrocchie o associazioni religiose:
1) un parafulmine spirituale delle medesime;
2) un grande lenzuolo per coprire le miserie dei singoli e delle comunità;
3) una dimostrazione palese a chiunque della Divina Provvidenza;.
4) una scuola pratica, una palestra di opere di misericordia e di fraternità cristiana per fedeli, Azione Catt., associazioni religiose, ecc;
5) convergendo su di lei la simpatia, la adesione, l’assistenza di buona parte della Comunità parrocchiale, può essere il fermento di una ricostruzione comunitaria della Carità di Cristo.
Appare subito che l’aspetto assistenziale, come viene abitualmente inteso ha una parte molto secondaria, modesta.(…) La Casa della Carità è un fermento, una cellula iniziale di un ritorno del genere umano alla sua unità nell’Amore, alla Comunità, nel senso più evangelico e positivo di questa parola. 11
Allo stesso tempo don Mario dirà:
Le Case della Carità sono il prolungamento naturale della Messa: liturgia della Parola – liturgia Eucaristica, liturgia della Carità.
A) Le “Parole Sante” sono l’elemento sensibile di cui si serve lo Spirito Santo per farci arrivare la Sua Voce, e che Egli riempie del “suo Carisma”.
B) Il Pane e il Vino sono l’elemento sensibile che Gesù ha scelto e che Egli transustanzia nel Suo Corpo e nel Suo Sangue, dato per noi – (quindi sacrificio – banchetto ecc.).
C) I “Poveri” sono l’elemento che Dio ha indicato e scelto come la “materia” della Carità – il substrato dell’Amore. 12
Le intuizioni della Casa della Carità diventano per don Mario l’idea portante del suo ministero pastorale al servizio della parrocchia: non semplicemente uno strumento di pastorale, ma l’impostazione generale di tutta la sua vita di pastore, un certo modo di intendere e vivere la comunità cristiana nel suo insieme e di avvicinare le singole realtà e persone.
Se l’Imitazione di Cristo parlava delle due mense della Parola di Dio e dell’Eucaristia, don Mario diventerà coraggioso annunciatore delle tre mense.
Nel 1946 morto il Vescovo Edoardo Brettoni, gli succede Mons. Beniamino Socche 13
Il rapporto con il nuovo Vescovo è all’insegna di una grande fiducia e stima verso don Mario. Sono tanti gli incoraggiamenti e i riconoscimenti della sua opera.
Talvolta cerca di calmarne l’entusiasmo e la carica missionaria che lo spingono a muoversi molto e a diffondere ovunque lo spirito del Vangelo con varie predicazioni anche fuori diocesi.
Con la fine della guerra, subito don Mario si fa carico anche delle condizioni del territorio e dei disagi nell’occupazione dei suoi parrocchiani. Così inizia ad animare alcune forme cooperative per garantire un lavoro e un salario a quanti possono e, quando si può, anche a quelli che da soli non riuscirebbero a trovare un impiego. 14
I lavori della cooperativa edile, fin dagli anni ’50, richiederanno spostamenti degli operai lontano da Fontanaluccia (la pianura modenese, la Maremma e la campagna attorno a Roma) e don Mario manda le suore perché accompagnino e sostengano quegli uomini attraverso la mensa e la lavanderia, ma molto più attraverso la preghiera quotidiana del rosario, recitato tutti assieme, e uno stile di vita familiare che cercherà di custodire negli operai una fedeltà alle loro famiglie e ad uno stile di vita cristiano.
Sarà sua preoccupazione accompagnare e sostenere questi servizi e questi cantieri, visitandoli e cercando anche di ottenere per essi aiuti e supporti da uomini politici e persone del luogo.
In ogni tempo cerca di trovare anche un certo spazio per diffondere lo spirito e la realtà della Casa della Carità.
La parrocchia di Fontanaluccia, già a metà degli anni ’40, può contare sulla collaborazione di un cappellano. Ciò permette a don Mario di allargare gli orizzonti del suo sacerdozio e della comunità cristiana a lui affidata.
Per don Mario è chiaro fin dall’inizio che la parrocchia e i suoi pastori devono continuare ad avere uno sguardo ampio: non ci si può chiudere in una sorta di autosufficienza. 15
Don Mario corre in tanti luoghi anche per predicazioni di missioni al popolo, settimane bibliche, predicazioni di esercizi e ritiri, missioni nelle carceri, confessioni e direzione spirituale, aiuti ai confratelli nel ministero.
Nonostante qualche resistenza e titubanza delle suore, cerca di favorire a più non posso la diffusione delle Case della Carità, riconoscendo in questo un chiaro progetto di che vuole allargare ad altre parrocchie quei frutti di grazia che ha operato a Fontanaluccia, con l’apporto e il contributo di altri parroci e altre comunità parrocchiali.
Così nascerà la Casa di S. Giovanni di Querciola (1947), la prima ad essere chiamata Casa della Carità, ad opera del parroco don Giovanni Reverberi, dei Servi della Chiesa. 16
E a seguire arriveranno altre Case. 17
Sempre più si fa chiaro come la Casa della Carità trova la sua sorgente e il suo alveo vitale nella Messa, nell’Eucaristia.
L’orizzonte missionario della Casa della Carità si rivela in maniera più misteriosa.
Un giovane di Fontanaluccia, Dario Asti, era stato studente presso i Gesuiti, e mandato da chierico in Madagascar per completare gli studi nel 1953, viene ordinato nel 1959 in Madagascar.
Le visite dei superiori ai famigliari in quel di Fontanaluccia e in seguito anche del Vescovo di Tananarive, capitale malgascia, portano presto a far conoscere la Casa della Carità anche in Madagascar.
Le varie richieste rivolte al Vescovo Socche, non ebbero però successo, se non per l’invio di un sacerdote diocesano: don Pietro Ganapini.
La Chiesa diocesana si apre così alla dimensione missionaria. 18
Don Mario viene visto come “terremoto apostolico”, senza misure donato alla diffusione del Regno, molto esigente con se stesso e con gli altri, e in particolare con le sue suore. Così nel 1963, dopo alcuni interventi per alleggerire il suo impegno e per aiutare la conduzione delle Case attraverso la nomina di un delegato vescovile, 19 il Vescovo Socche allontana don Mario dalle Case della Carità; il Vescovo stesso se ne assume la Direzione, insieme al Vicario Generale.
Don Mario rimane semplicemente parroco di Fontanaluccia: una situazione che dura due anni. La sofferenza del momento, trova però risposta in una obbedienza e disponibilità piena alle richieste del pastore della Diocesi.
Come dirà più volte don Mario: “Niente senza il Vescovo”, a conferma di una scelta che troverà poi conferme innumerevoli lungo tutta la vita.
Con la morte del Vescovo Socche, e l’ingresso in diocesi del Vescovo Gilberto Baroni, 20 don Mario viene reintegrato nelle sue funzioni, e invitato a riprendere in mano alcune situazioni vacanti: la spedizione in Madagascar, la Casa della Preghiera quale “nave ammiraglia delle Case della Carità”, l’organizzazione degli Esercizi spirituali annuali, del Noviziato e dell’accoglienza delle nuove vocazioni.
Come vedi don Mario, il lavoro c’è ed è grande ed è necessario che tu, dopo un periodo di aspettativa a te concesso dalla Divina Provvidenza, riprenda subito il tuo posto di impiegato-fattorino del Signore, con il lauto stipendio di croci e lacrime in comunione con Cristo per avere parte della sua gloria. 21
La scelta missionaria della Chiesa
Nel 1967, dopo un viaggio di esplorazione del territorio e della Chiesa malgascia fatto insieme al dottore in agraria Francesco Casini, e tenendo dettagliatamente informato il Vescovo Gilberto, riguardo agli incontri e alle attese di quella Chiesa, si decide di iniziare la missione diocesana in Madagascar, non più costituita da singoli Fidei Donum, ma da una rappresentanza della Chiesa reggiana, chiamata a trovare il suo punto convergente e di scambio e di comunione nella Casa della Carità.
Così, il 21 novembre 1967, parte da Reggio Emilia, un’ equipe di undici persone: tre preti diocesani (don Mario e altri due, di cui uno appartenente ai Servi della Chiesa), tre suore Carmelitane Minori della Carità, un membro laico dell’Istituto Servi della Chiesa, due infermieri e una laica, con il dottor Casini col quale d. Mario aveva fatto il viaggio esplorativo.
All’arrivo in Madagascar, all’aeroporto, l’equipe è accolta dall’Arcivescovo, da due Vicari generali, da gesuiti e sacerdoti italiani e malgasci e da alcune suore italiane.
Gli stessi giornali locali diffondono la notizia. Ciò che si sta realizzando in questo momento storico è uno scambio tra Chiese, una presenza di Chiesa come unica famiglia che si muove con unità di intenti, di desideri, di passioni e che collabora e agisce in maniera unitaria, perchè ha posto al centro il Signore nella Casa della Carità, con le tre mense della Parola di Dio, dell’Eucaristia e dei più piccoli e poveri, i tesori più preziosi della sua vita.
In parallelo, crescerà in diocesi l’animazione missionaria, che già era cominciata prima ancora della partenza del primo gruppo.
Si coinvolgeranno gruppi parrocchiali e inter-parrocchiali e persone di ogni genere e tipo, congregazioni religiose e gruppi vari. Il referente primo ed ultimo rimarrà il Vescovo, mentre il responsabile per quella missione diocesana rimarrà a lungo lo stesso don Mario.
Nel 1968, in corrispondenza con gli inizi della prima Casa della Carità in terra malgascia, si assiste anche, al Santuario Mariano di Pietravolta, a pochi chilometri da Fontanaluccia, alla nascita della Casa della Preghiera, “cuore” della Casa della Carità, che pulserà vita e forza per tutte le Case; con l’aiuto dei “polmoni”, ossia le missioni, fanno un lavoro di ossigenazione del corpo della Chiesa di tutti i tempi.
La realizzazione di una Casa della Preghiera dava forma a un desiderio che don Mario aveva a lungo meditato fin dagli inizi, anche per i preti diocesani: un luogo dove ritirarsi, riposarsi nello spirito, rinvigorirsi, ristorarsi e ritornare con una adesione più piena al Signore.
Nel 1972 inizia il ramo maschile dei consacrati al servizio della spiritualità e della vita delle Case della Carità: i Fratelli della Carità.
Promossi e richiesti dal Vescovo e con la sua benedizione, i primi due partono a distanza di un mese dalla prima professione, uno per il Madagascar e l’altro per l’India.
In India, un prete diocesano, don Artemio Zanni, parroco di Felina, aveva intravisto degli spazi di collaborazione e di aiuto a una dottoressa reggiana, Bianca Morelli, là presente dal 1959, prendendosi cura dei lebbrosi.
Don Mario, di nuovo con l’approvazione del Vescovo e l’aiuto di don Artemio, inizierà la collaborazione con le suore del PIME di Milano in un lebbrosario di Bombay, mandando fr. Romano Zanni e poi, dal 1975, due suore. Così parte anche la missione diocesana verso l’Asia, altro scambio e partecipazione alla vita di quella Chiesa locale.
Nel 1980 nasce la prima Casa della Carità in una parrocchia indiana, Versova, diocesi di Bombay.
Nel 1981 Don Mario incontra diverse volte Madre Teresa di Calcutta per valutare anche eventuali collaborazioni.
Nel 1973, insieme ad altre 28 persone, dà vita a Reggio Terzo Mondo (RTM), poi riconosciuto l’anno successivo come ONG da parte del Ministero degli Esteri per l’invio di persone in progetti di cooperazione all’estero.
Nel 1981, si apre alla “Macchiaccia”, una casa della parrocchia di Fontanaluccia, la casa di formazione dei Fratelli della Carità.
Nel 1984 si apre il noviziato delle Carmelitane Minori: dopo gli inizi in una sede provvisoria ci si sposterà poi, nelle prime settimane del 1986, nella parrocchia di S. Teresa di Reggio Emilia, dove don Mario era nato.
I rapporti fra le Chiese locali nella persona dei Vescovi rimane la base necessaria per avviare qualunque nuova apertura di una Casa della Carità. La stessa missionarietà della Chiesa locale ha trovato la sua chiave di volta e la sua più grande provocazione nella persona dei piccoli e dei poveri.
Le collaborazioni e le intese fra il Vescovo Gilberto e don Mario, via via crescono, producendo frutti di collaborazione e di apertura alle altre Chiese e ai problemi del mondo. 22
Indubbiamente molto dello sviluppo delle Case è dovuto anche alla maggiore comprensione da parte delle Chiese locali (nella persona dei Vescovi e dei parroci) del dono stesso della Casa della Carità a fianco dell’opera del pastore per sostenere il suo apostolato e per rendere visibilmente il significato profondo della Celebrazione Eucaristica.
Così soprattutto gli interventi del Cardinal Lercaro a Bologna, oltre alle più ampie riletture della Casa della Carità da parte del Vescovo Baroni a Reggio, hanno arricchito ed evidenziato quei punti che saranno una sorta di teologia eucaristica, semplice, alla portata di tutti, ma profonda e coraggiosa, dove la carità non sarà semplicemente frutto del nutrimento spirituale alla Parola e all’Eucaristia, ma essa stessa alimento, essa stessa mensa, essa stessa nutrimento alla persona del Cristo presente nel povero che ti viene incontro.
Viene offerta una visione teologica della chiesa come comunione di persone edificate in Cristo, a partire dai più piccoli e poveri.
Chiaramente emergono qui tutte le correnti teologiche sulla liturgia e sulla Chiesa dei poveri proposte dallo stesso Cardinale Lercaro nel Concilio e successivamente dai suoi Vescovi ausiliari (Baroni, Bettazzi, Cé…) ma anticipate e profetizzate dallo stesso don Mario e poi realizzate nella Casa della Carità. 23
Congregazione Mariana delle Case della Carità. 24
Cerca di completare gli Statuti delle Carmelitane Minori della Carità e dei Fratelli della Carità; propone il “Manuale” delle Case della Carità, sorta di vocabolario e di spiegazione di quello che vuole essere la Congregazione Mariana delle Case della Carità nella Chiesa.
Cerca di dare più visibilità ai Secolari 25 e alle Famiglie 26 come congregati a pieno diritto di questo stile di animazione della Chiesa alla scuola della Carità partendo dai più piccoli e poveri e nati nelle parrocchie e inseriti profondamente nelle parrocchie come unica appartenenza vera e totale.
E gli ausiliari crescono di numero con un mandato ufficiale da parte del Vescovo nel seminare lo spirito della Casa della Carità.
Tutti chiamati ad essere parrocchiani esemplari, responsabili, partecipi della vita e della missione della Chiesa.
La vecchiaia e alcuni problemi di salute, che via via si aggiungono negli ultimi due anni di vita, minano il corpo di don Mario, ma non riescono a smorzarne lo spirito, l’entusiasmo e l’affetto per la Chiesa e per la carità. A metà agosto del 1986, viene diagnosticato un cancro.
Celebra una messa di ringraziamento al Santuario della Madonna della Ghiara, dove da alcuni anni il Vescovo Gilberto aveva chiesto di celebrare la festa della Congregazione Mariana delle Case della Carità, riconoscendola come celebrazione diocesana.
Giunge la morte il 10 ottobre 1986.
Il seme buttato in diocesi e altrove, ha fatto crescere, alla scuola dell’Eucaristia, cristiani in una disponibilità matura, con un forte senso di appartenenza alle comunità parrocchiali e diocesane, e ha posto i piccoli e i poveri al centro dell’attenzione della Comunità, non solo a Reggio Emilia, ma nelle altre parrocchie sparse per il mondo.
Questo é il continuo della storia della Chiesa che fin dall’antichità aveva riconosciuto questo patrimonio (don Mario amava definire i congregati mariani delle Case della Carità «restauratori»).
Lo stesso seme che anche oggi si sta spargendo nel mondo, grazie al ministero di questo sacerdote, parroco fino alla fine di un piccolo paese di montagna agli estremi confini della sua diocesi.
Tutto fece in quanto parroco e come proiezione del suo ministero di pastore di una comunità parrocchiale.
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Vedi anche l'articolo: Congregazione Mariana delle Case della Carità, Le Tre Mense: Eucaristia, Parola di Dio e Servizio ai fratelli bisognosi
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