Benedetto XVI. Per una teologia dell'arte.
di Lucio Coco
"L’arte è capace di esprimere e rendere visibile il bisogno dell’uomo di andare oltre ciò che si vede, manifesta la sete e la ricerca dell’infinito." Benedetto XVI.
1.Più volte durante il suo pontificato Benedetto XVI ha toccato il tema dell'arte. Talvolta si tratta solo di riferimenti in discorsi fatti in diverse circostanze (viaggi, domande e risposte con il clero delle diocesi, udienze), altre volte invece egli pone questo argomento al centro delle sue riflessioni in particolare nell'occasione dell'incontro con gli artisti del novembre 2009 e nei messaggi indirizzati alle istituzioni culturali della Santa Sede (Pontificio Consiglio della Cultura, Pontificie Accademie). E' lo stesso papa Ratzinger inoltre a inscrivere le coordinate dei suoi insegnamenti sull'arte ponendole in continuità con il magistero dei suoi predecessori. In questo senso la Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II (4 aprile 1999) e il testo del Messaggio che Paolo VI indirizzò agli artisti in chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, l’8 dicembre 1965, sono documenti puntualmente richiamati da Benedetto XVI nei suoi interventi e anche il fatto che la Cappella Sistina sia stata lo scenario per accogliere gli artisti nell'incontro del 21 novembre 2009 trova un'altra importante corrispondenza e punto di contatto nella messa che in quella stessa sede papa Montini aveva celebrato per gli artisti il 7 maggio 1964.
2.Nel tessere il discorso sull'arte papa Benedetto non rinuncia mai a quella che è la sua impostazione di fondo nell'affrontare i temi teologici, ovvero il rapporto tra fede e ragione. La complessità di questa dialettica è sempre tenuta ben presente dal papa teologo: “La fede deve continuamente affrontare le sfide del pensiero di questa epoca, affinché essa non sembri una sorta di leggenda irrazionale che noi manteniamo in vita, ma sia veramente una risposta alle grandi domande; affinché non sia solo abitudine ma verità – come ebbe a dire una volta Tertulliano” (Discorso 6.8.08). Fede e ragione non sono in conflitto, ma la prima, se vissuta come servizio alla verità, è capace di allargare gli orizzonti della seconda. In questo senso la ragione, il logos, non è solo un logos tecnico, il logos di una razionalità asettica e prettamente scientifica, ma è un logos creatore. E in quanto ha questo carattere più ampio “esso è un logos che è amore e quindi tale da esprimersi nella bellezza e nel bene” (ib.). Pertanto se il confronto tra fede e ragione è quello che rende accessibile la via della verità, diversamente si rischierebbe di smarrire la strada e si finirebbe nell'errore, nel senso etimologico del termine di un errare che non conosce fine e destinazione, importante secondo Benedetto XVI è cogliere anche la relazione tra arte e fede “perché la verità, scopo e meta della ragione, si esprime nella bellezza e diventa se stessa nella bellezza” (Discorso, 6.11.10).
3.L'apertura al bello corrisponde dunque a un allargamento della facoltà razionali. Essa inserisce in ciò che è solamente logico qualcosa di imprevedibile, che ne scardina la rigidità e ne esalta, come avviene nell'opera d'arte, le potenzialità. In tal modo il bello diventa un complemento necessario, se non imprescindibile, del vero. E' l'altra via che si apre nella ricerca della verità. Non solo quella della speculazione filosofica e dell'indagine teologica – la cosiddetta via veritatis – ma quella “la via della bellezza”, la via pulchritudinis, che è “uno dei possibili itinerari, forse quello più attraente ed affascinante, per comprendere e raggiungere Dio” (Messaggio, 24.11.08). Dove c'è bellezza, c'è verità. Essa è quasi una prova a posteriori dell'esistenza di una forza creatrice all'origine di tutto: “Dove nascono cose del genere, – si chiede il papa a proposito di un'arte che a lui sta molto a cuore, la musica – c’è la Verità. Senza un’intuizione che scopra il vero centro creativo del mondo, non può nascere tale bellezza” (Discorso 6.8.08). Ma ugualmente, dove c'è verità c'è bellezza. In essa infatti traspare lo splendore della luce divina, il riflesso, come la definiva sant'Agostino, della “Bellezza immutabile” (Sermo CCXLI, 2: PL 38,1134). La via della bellezza è alla base di una esperienza spirituale che consente di “cogliere il Tutto nel frammento, l’Infinito nel finito, Dio nella storia dell’umanità” (Discorso, 21.11.09). Nella misura in cui si fa espressione di questo rimando alla Trascendenza, l'arte è sempre veicolo e strumento di un percorso religioso e di elevazione a Dio ed essa si presenta come una vera e propria forma mistica che permette di “avvicinarsi al Mistero di Dio” (Catechesi, 18.11.09). Il sublime dell'arte, è affermato con chiarezza, sta proprio “nell'esprimere irresistibilmente questa presenza della verità di Dio” (Catechesi, 31.8.11).
4.Dalle implicazioni tra arte e fede e tra arte e verità derivano altre importanti osservazioni di Benedetto XVI. Il bello infatti è percezione del vero, ma il vero è anche il bene, per cui la ricerca estetica è sempre anche una ricerca etica e valoriale. Il riferimento etimologico alla lingua greca aiuta il pontefice a chiarire meglio tale relazione. In questo idioma l'aggettivo kalón significa infatti indistintamente ciò che è bello e ciò che è buono. C'è dunque un rapporto intrinseco tra bellezza e bontà, tra estetica ed etica. E' la verità stessa, che si rivela nell'opera d'arte, a formare le coscienze e ad educare alla virtù. Il valore morale dell'arte è implicito nel suo legame con il vero e con il bello. Ed è questo un dato imprescindibile a meno di non voler ridurre tale relazione a un fatto del tutto esteriore e confinarla in una forma di “estetismo”, di una ricerca cioè fine a se stessa del bello che, separata dalla verità e dalla bontà, si trasforma in un percorso “che sfocia nell'effimero, nell'apparire banale e superficiale o addirittura in una fuga verso paradisi artificiali, che mascherano e nascondono il vuoto e l'inconsistenza interiore» (Messaggio, 24.11.08). L'arte perciò ha una sua esplicita funzione etica e morale nella misura in cui essa serve alla verità, rendendola manifesta e percepibile attraverso le diverse forme per mezzo di cui si realizza e si incarna (discipline pittoriche, plastiche, musica, letteratura) e, nello stesso tempo, ha una validità teologica, in quanto il grado di bellezza e di verità che attraverso tali espressioni viene raggiunto rimanda ad un “oltre, ad un’altra bellezza, verità e bontà che soltanto in Dio hanno la loro perfezione e la loro sorgente ultima” (ib.).
5.Per Benedetto XVI l'arte si configura dunque come un percorso di elevazione morale e spirituale verso Dio ovvero, parafrasando quel san Bonaventura che ha studiato nella sua giovinezza, come un itinerarium mentis in Deum. E tutte le arti costituiscono una prova di questo slancio verso l'Eterno e l'Infinito. Cosa sono, secondo papa Ratzinger, le cattedrali gotiche se non una testimonianza di pietra “dell'anelito delle anime verso Dio” (Catechesi, 18.11.09)? E le chiese romaniche non contengono esse stesse un invito più intimo a rivolgersi a Dio nelle forme “del raccoglimento e della preghiera” (Catechesi, 31.8.11)? Quante volte, si domanda ancora papa Benedetto in maniera appassionata, i quadri, gli affreschi, le pitture “ci spingono a rivolgere il pensiero a Dio e fanno crescere in noi il desiderio di attingere alla sorgente di ogni bellezza” (Catechesi, 31.8.11)? Come si è detto, per la sua formazione e per la sua personale inclinazione un posto particolare in questo itinerario in Deum è attribuito da Benedetto XVI alla musica. Essa, forse più di altre, ha il potere di “aprire le menti e i cuori alla dimensione dello spirito e condurre le persone ad alzare lo sguardo verso l’Alto, ad aprirsi al Bene e al Bello assoluti, che hanno la sorgente ultima in Dio” (Discorso, 29.4.10). Alla musica è sempre sottesa un'esperienza ed un'elevazione spirituale che possono portare la persona a un contatto più diretto con Dio. In tal senso la musica più di altre forme artistiche si avvicina alla preghiera: “Non è un caso – dice il pontefice a riprova di questa constatazione – che spesso la musica accompagni la nostra preghiera. Essa fa risuonare i nostri sensi e il nostro animo quando, nella preghiera, incontriamo Dio” (Discorso, 11.8.12).
6.L'estetica di papa Ratzinger può essere estesa a tutti i soggetti che fanno arte. Egli perciò non manca di rivendicare alla Chiesa il ruolo centrale che ha avuto nella storia delle arti. L'espressione artistica è un fatto costituivo della Chiesa (cfr Discorso, 6.11.10). E se ciò è stato vero per il passato, tanto più questo legame è necessario nella contemporaneità e nella post-modernità. Il dialogo tra arte e fede deve perciò continuare anche nel presente: un'arte infatti che smarrisse il contatto con la fede, che rinunciasse a quelle radici che l'hanno fatta grande e degna di ammirazione di fronte a tutte le culture e a tutte le civiltà del mondo, sarebbe un'arte lacunosa e sarebbe impropriamente arte: “L’arte che perdesse la radice della trascendenza, – è questa la sintesi folgorante di Benedetto XVI – non andrebbe più verso Dio, sarebbe un’arte dimezzata, perderebbe la radice viva; e una fede che avesse l’arte solo nel passato, non sarebbe più fede nel presente” (Discorso, 6.11.10). Arte dunque e teologia, arte e ricerca di Dio sono queste le istanze che rendono l'espressione artistica degna di tale nome, che le danno significato nella misura in cui si mettono e ci mettono sulle tracce di un Senso capace di restituire pienezza e valore alle nostre esistenze. E proprio di questo, può dire papa Benedetto indirizzandosi direttamente agli artisti nella Cappella Sistina, dobbiamo essere grati alle arti e a chi, impegnato attivamente in esse, si fa autenticamente interprete di quella esigenza eterna dell'anima umana “di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé... verso il Mistero di cui siamo parte e da cui possiamo attingere la pienezza, la felicità, la passione dell’impegno quotidiano” (Discorso, 21.11.09).
2.Nel tessere il discorso sull'arte papa Benedetto non rinuncia mai a quella che è la sua impostazione di fondo nell'affrontare i temi teologici, ovvero il rapporto tra fede e ragione. La complessità di questa dialettica è sempre tenuta ben presente dal papa teologo: “La fede deve continuamente affrontare le sfide del pensiero di questa epoca, affinché essa non sembri una sorta di leggenda irrazionale che noi manteniamo in vita, ma sia veramente una risposta alle grandi domande; affinché non sia solo abitudine ma verità – come ebbe a dire una volta Tertulliano” (Discorso 6.8.08). Fede e ragione non sono in conflitto, ma la prima, se vissuta come servizio alla verità, è capace di allargare gli orizzonti della seconda. In questo senso la ragione, il logos, non è solo un logos tecnico, il logos di una razionalità asettica e prettamente scientifica, ma è un logos creatore. E in quanto ha questo carattere più ampio “esso è un logos che è amore e quindi tale da esprimersi nella bellezza e nel bene” (ib.). Pertanto se il confronto tra fede e ragione è quello che rende accessibile la via della verità, diversamente si rischierebbe di smarrire la strada e si finirebbe nell'errore, nel senso etimologico del termine di un errare che non conosce fine e destinazione, importante secondo Benedetto XVI è cogliere anche la relazione tra arte e fede “perché la verità, scopo e meta della ragione, si esprime nella bellezza e diventa se stessa nella bellezza” (Discorso, 6.11.10).
3.L'apertura al bello corrisponde dunque a un allargamento della facoltà razionali. Essa inserisce in ciò che è solamente logico qualcosa di imprevedibile, che ne scardina la rigidità e ne esalta, come avviene nell'opera d'arte, le potenzialità. In tal modo il bello diventa un complemento necessario, se non imprescindibile, del vero. E' l'altra via che si apre nella ricerca della verità. Non solo quella della speculazione filosofica e dell'indagine teologica – la cosiddetta via veritatis – ma quella “la via della bellezza”, la via pulchritudinis, che è “uno dei possibili itinerari, forse quello più attraente ed affascinante, per comprendere e raggiungere Dio” (Messaggio, 24.11.08). Dove c'è bellezza, c'è verità. Essa è quasi una prova a posteriori dell'esistenza di una forza creatrice all'origine di tutto: “Dove nascono cose del genere, – si chiede il papa a proposito di un'arte che a lui sta molto a cuore, la musica – c’è la Verità. Senza un’intuizione che scopra il vero centro creativo del mondo, non può nascere tale bellezza” (Discorso 6.8.08). Ma ugualmente, dove c'è verità c'è bellezza. In essa infatti traspare lo splendore della luce divina, il riflesso, come la definiva sant'Agostino, della “Bellezza immutabile” (Sermo CCXLI, 2: PL 38,1134). La via della bellezza è alla base di una esperienza spirituale che consente di “cogliere il Tutto nel frammento, l’Infinito nel finito, Dio nella storia dell’umanità” (Discorso, 21.11.09). Nella misura in cui si fa espressione di questo rimando alla Trascendenza, l'arte è sempre veicolo e strumento di un percorso religioso e di elevazione a Dio ed essa si presenta come una vera e propria forma mistica che permette di “avvicinarsi al Mistero di Dio” (Catechesi, 18.11.09). Il sublime dell'arte, è affermato con chiarezza, sta proprio “nell'esprimere irresistibilmente questa presenza della verità di Dio” (Catechesi, 31.8.11).
4.Dalle implicazioni tra arte e fede e tra arte e verità derivano altre importanti osservazioni di Benedetto XVI. Il bello infatti è percezione del vero, ma il vero è anche il bene, per cui la ricerca estetica è sempre anche una ricerca etica e valoriale. Il riferimento etimologico alla lingua greca aiuta il pontefice a chiarire meglio tale relazione. In questo idioma l'aggettivo kalón significa infatti indistintamente ciò che è bello e ciò che è buono. C'è dunque un rapporto intrinseco tra bellezza e bontà, tra estetica ed etica. E' la verità stessa, che si rivela nell'opera d'arte, a formare le coscienze e ad educare alla virtù. Il valore morale dell'arte è implicito nel suo legame con il vero e con il bello. Ed è questo un dato imprescindibile a meno di non voler ridurre tale relazione a un fatto del tutto esteriore e confinarla in una forma di “estetismo”, di una ricerca cioè fine a se stessa del bello che, separata dalla verità e dalla bontà, si trasforma in un percorso “che sfocia nell'effimero, nell'apparire banale e superficiale o addirittura in una fuga verso paradisi artificiali, che mascherano e nascondono il vuoto e l'inconsistenza interiore» (Messaggio, 24.11.08). L'arte perciò ha una sua esplicita funzione etica e morale nella misura in cui essa serve alla verità, rendendola manifesta e percepibile attraverso le diverse forme per mezzo di cui si realizza e si incarna (discipline pittoriche, plastiche, musica, letteratura) e, nello stesso tempo, ha una validità teologica, in quanto il grado di bellezza e di verità che attraverso tali espressioni viene raggiunto rimanda ad un “oltre, ad un’altra bellezza, verità e bontà che soltanto in Dio hanno la loro perfezione e la loro sorgente ultima” (ib.).
5.Per Benedetto XVI l'arte si configura dunque come un percorso di elevazione morale e spirituale verso Dio ovvero, parafrasando quel san Bonaventura che ha studiato nella sua giovinezza, come un itinerarium mentis in Deum. E tutte le arti costituiscono una prova di questo slancio verso l'Eterno e l'Infinito. Cosa sono, secondo papa Ratzinger, le cattedrali gotiche se non una testimonianza di pietra “dell'anelito delle anime verso Dio” (Catechesi, 18.11.09)? E le chiese romaniche non contengono esse stesse un invito più intimo a rivolgersi a Dio nelle forme “del raccoglimento e della preghiera” (Catechesi, 31.8.11)? Quante volte, si domanda ancora papa Benedetto in maniera appassionata, i quadri, gli affreschi, le pitture “ci spingono a rivolgere il pensiero a Dio e fanno crescere in noi il desiderio di attingere alla sorgente di ogni bellezza” (Catechesi, 31.8.11)? Come si è detto, per la sua formazione e per la sua personale inclinazione un posto particolare in questo itinerario in Deum è attribuito da Benedetto XVI alla musica. Essa, forse più di altre, ha il potere di “aprire le menti e i cuori alla dimensione dello spirito e condurre le persone ad alzare lo sguardo verso l’Alto, ad aprirsi al Bene e al Bello assoluti, che hanno la sorgente ultima in Dio” (Discorso, 29.4.10). Alla musica è sempre sottesa un'esperienza ed un'elevazione spirituale che possono portare la persona a un contatto più diretto con Dio. In tal senso la musica più di altre forme artistiche si avvicina alla preghiera: “Non è un caso – dice il pontefice a riprova di questa constatazione – che spesso la musica accompagni la nostra preghiera. Essa fa risuonare i nostri sensi e il nostro animo quando, nella preghiera, incontriamo Dio” (Discorso, 11.8.12).
6.L'estetica di papa Ratzinger può essere estesa a tutti i soggetti che fanno arte. Egli perciò non manca di rivendicare alla Chiesa il ruolo centrale che ha avuto nella storia delle arti. L'espressione artistica è un fatto costituivo della Chiesa (cfr Discorso, 6.11.10). E se ciò è stato vero per il passato, tanto più questo legame è necessario nella contemporaneità e nella post-modernità. Il dialogo tra arte e fede deve perciò continuare anche nel presente: un'arte infatti che smarrisse il contatto con la fede, che rinunciasse a quelle radici che l'hanno fatta grande e degna di ammirazione di fronte a tutte le culture e a tutte le civiltà del mondo, sarebbe un'arte lacunosa e sarebbe impropriamente arte: “L’arte che perdesse la radice della trascendenza, – è questa la sintesi folgorante di Benedetto XVI – non andrebbe più verso Dio, sarebbe un’arte dimezzata, perderebbe la radice viva; e una fede che avesse l’arte solo nel passato, non sarebbe più fede nel presente” (Discorso, 6.11.10). Arte dunque e teologia, arte e ricerca di Dio sono queste le istanze che rendono l'espressione artistica degna di tale nome, che le danno significato nella misura in cui si mettono e ci mettono sulle tracce di un Senso capace di restituire pienezza e valore alle nostre esistenze. E proprio di questo, può dire papa Benedetto indirizzandosi direttamente agli artisti nella Cappella Sistina, dobbiamo essere grati alle arti e a chi, impegnato attivamente in esse, si fa autenticamente interprete di quella esigenza eterna dell'anima umana “di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé... verso il Mistero di cui siamo parte e da cui possiamo attingere la pienezza, la felicità, la passione dell’impegno quotidiano” (Discorso, 21.11.09).
Lucio Coco
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Fonte: www.fondazioneratzinger.va/content/fondazioneratzinger/it.html
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