lunedì 16 dicembre 2019

Gianfranco Ravasi, La donna vestita di sole




La donna vestita di sole
Gianfranco Ravasi


    La solennità dell’Assunzione di Maria dà occasione di presentare il misterioso personaggio della donna «vestita di sole» che compare al capitolo 12 dell’Apocalisse: "Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle…». L’intero capitolo è dominato anche da un altro “segno”, quello dell’enorme drago rosso con sette teste e dieci corna e alle teste sette diademi», ed è tutto intarsiato di allusioni a testi biblici.
   Avremo occasione di ritornare altre volte sull’Apocalisse, un libro di grande fascino ma vittima di molti equivoci nella sua corretta interpretazione.Ora fissiamo il nostro sguardo su quella tavola pittorica quale sembra essere la raffigurazione della donna ammantata della luce del sole come lo è Dio nel Salmo 104,2. Una tavola letteraria che è diventata infinite volte dipinto nella storia dell’arte. Di fronte all’immagine mirabile della donna fasciata di luce, sospesa sulla luna, coronata da una costellazione di dodici astri, allusione alle tribù d’Israele e agli apostoli, potremmo domandarci come si fa nel Cantico dei Cantici davanti a una figura simile: «Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, splendente come il sole?» (6,10).
  Numerose sono le risposte date nei secoli dai lettori dell’Apocalisse.
La più comune in ambito cristiano tradizionale è quella che identifica nella donna Maria che genera il Cristo. Il primo a proporla fu sant’Epifanio, vescovo di Salamina nell’isola di Cipro, ma nato nei pressi di Gaza in Palestina attorno al 315. Petrarca inizia così una sua famosa canzone alla Vergine: «Vergine bella, che di sol vestita, / coronata di stelle, al sommo Sole / piacesti sì che ‘n te sua luce ascose…». E Savonarola in un sonetto a Maria cantava: «Salve, Regina, virgo gloriosa, ne la cui fronte e! Sol soa luce prende…». E così via in centinaia e centinaia di testimonianze della letteratura cristiana, dell’arte, della liturgia e della pietà popolare d’Occidente e d’Oriente, fino appunto alla liturgia dell’Assunzione.
In realtà il pensiero di Giovanni - che, tra l’altro, più avanti ci presenterà due altre donne, simboli di altrettante città, la Prostituta Babilonia e la Sposa Gerusalemme - è probabilmente orientato in altra direzione.
Alcuni ipotizzano che si tratti di una personificazione di Gerusalemme o della Sapienza divina oppure di Eva, la prima madre, dalla quale deriva l’intera umanità a cui è promessa la salvezza (vedi Genesi 3,15). Ma è più corretto pensare che in questa donna, per l’autore dell’Apocalisse, si intreccino due figure: da un lato, l’Israele fedele, sposa di Dio (Osea 2; Isaia 54), dalla quale proviene Gesù Messia; d’altro lato, la Chiesa che lotta per mantenersi fedele a Dio che la libera del Male: al suo interno Cristo nasce continuamente attraverso la parola evangelica e l’eucaristia. È appunto per questo che essa è raffigurata come incinta e pronta a generare un figlio contro il quale si scatenerà la violenza del drago color rosso sangue.

IL MONDO ASPETTA LA VISITA DI MARIA
     Dalla Gerusalemme ebraica moderna una strada conduce a un sobborgo immerso in un panorama dolce e fresco. Il suo nome è Am Karim, che significa “sorgente della vigna”. Da una fonte un viottolo ci porta a un santuario francescano, eretto nel 1939 su vestigia di edifici precedenti bizantini e crociati. Il nome di questo santuario evoca un episodio evangelico, la Visitazione della Vergine Maria a Elisabetta (Luca 1,39-45).
Eravamo già stati in pellegrinaggio ideale a questo luogo quando abbiamo presentato una pagina bella dei Vangeli, il Magnflcat che risuona, proprio in occasione di quella visita, sulle labbra di Maria. Siamo ritornati qui a parlare ora di altre parole “belle”: è la “benedizione” che Elisabetta pronunzia vedendo apparire davanti a sé la parente di Galilea, Maria. Incinta di Giovanni Battista, essa proclama: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!» (1,42).
Ebbene, come tutti sanno, queste parole sono state intrecciate con quelle pronunziate dall’angelo Gabriele nell’annunciazione di Maria, un episodio narrato anch’esso da Luca: «Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te» (1,28). L’intreccio ha dato origine al nucleo fondamentale della più celebre preghiera mariana, l’Ave Maria. Abbiamo voluto evocarla dopo aver puntato nelle scorse settimane la nostra attenzione alla preghiera cristiana per eccellenza, il Padre nostro. La seconda parte dell’Ave Marta - che in questo mese dedicato dalla devozione popolare al Rosario ha un significato particolare - è invece attribuita al papa Celestino I, che in occasione del Concilio di Efeso (431) difese la divina maternità di Maria contro Nestorio.
La preghiera fu definitivamente fissata nella forma che noi oggi usiamo nel XVI secolo da san Pio V, e da allora ebbe infinite trascrizioni musicali: Tomas da Victoria, Schubert, Gounod, Bruckner, Liszt (ne compose sei!), Verdi (tre, delle quali la più celebre è intonata da Desdemona nell’ultimo atto dell’Otello), Kodaly, il cantante francese Georges Brassens, Claude Ballif (Chapelet, cioè “rosario”) e così via elencando. Anche un poeta ateo come Louis Aragon nella sua opera Museo Grévin faceva ripetere l’Ave Maria ai prigionieri di Auschwitz. E tutta la storia di Maria, da quell’inizio sorprendente nella sua modesta casa di Nazaret, è stata trascritta in modo “laico” e per molti versi “scandaloso” dal film Je vous salue Maria dijean-Luc Godard (1985).
Noi, invece, sostiamo davanti alla scena dell’Annunciazione, immortalata dal Beato Angelico nell’affresco del convento di S. Marco a Firenze, con le parole di san Bernardo: «L’angelo aspetta la tua risposta, Maria! Stiamo aspettando anche noi, Signora, questo tuo dono, che è dono di Dio. Rispondi presto, o Vergine! Pronunzia, Signora, la parola che terra e inferi e persino il cielo aspettano!».

RALLEGRATI, MARIA!
    Aveva un volto bellissimo, un profilo ideale per interpretare il fra Cristoforo dei Promessi sposi: ho conosciuto a Gerusalemme padre Bellarmino Bagatti, francescano e archeologo. Fu lui a isolare all’interno di una modesta casa di Nazaret del I-Il secolo un graffito che recava le lettere greche XE MAPIA, cioè “Ave Maria”, Rallegrati Maria, le parole che l’angelo Gabriele rivolge alla futura madre di Gesù nel racconto dell’annunciazione secondo Luca (1,26-38).
     Modellata sui racconti biblici degli annunzi di nascita di personaggi importanti come Sansone o il re-Emmanuele (Isaia 7,10-17), questa pagina evangelica dolce e intensa ha al centro una vera e propria professione di fede cristologica: «Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce, Io chiamerai Gesù. Sarà grande e sarà chiamato figlio dell’Altissimo. Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine… Lo Spirito Santo scenderà su di te, la potenza dell’Altissimo stenderà su te la sua ombra; colui che nascerà da te sarà santo e chiamato Figlio di Dio» (1,32-35).
Noi tutti abbiamo in mente la scena dell’annunciazione con i colori teneri ed estatici del Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze. Nell’ultimo dei suoi Canti spirituali il grande poeta tedesco Novalis (1772-1801) confessava però una sensazione che era di tutti: «In mille immagini, Maria, ti vedo / amabilmente ritratta. / Ma nessuna di esse può fissarti / come ti vede la mia anima».
     È per questo che si sono moltiplicate non solo le Annunciazioni pittoriche, ma anche quelle letterarie (ad esempio, L’annuncio a Maria di Paul Claudel, 1912) e musicali (L’Angelo a Maria di Mussorgskij e Cajkovskij, 1887).
   Il saluto dell’angelo ha generato l’Ave Maria, la preghiera mariana più popolare, ininterrottamente ripetuta nella forma che fu codificata definitivamente, così come oggi è recitata, da papa Pio V nel ‘500, preghiera musicata infinite volte.
    Una preghiera deformata in quella terribile e disperata ripresa dello scrittore americano Hemingway: «Ave, Nulla, pieno di nulla, il nulla sia con te!». Ma alla sostanza teologica che sta nel cuore di questa invocazione sono state dedicate tante riflessioni. Ne scegliamo due molto lontane tra loro, eppure entrambe suggestive.
San Bernardo nel XII secolo si rivolgeva così a Maria: «L’angelo aspetta la tua risposta, o Maria! Stiamo aspettando anche noi, Signora, questo tuo dono, che è dono di Dio. Sta nelle tue mani il prezzo del nostro riscatto. Rispondi presto, o Vergine! Pronunzia, o Signora, la parola che terra e inferi e persino il cielo aspettano!».
L’altra testimonianza è del filosofo tedesco Johann G. Fichte che nel 1786 esclamava:
«Ci sembra poco che fra tutti i milioni di donne della terra soltanto Maria fosse l’unica eletta che doveva partorire l’Uomo-Dio Gesù? Ci sembra poco l’esser madre di Colui grazie al quale l’uomo sarebbe divenuto un’immagine della divinità e l’erede di tutte le sue beatitudini?».

ANNA LA STERILE CONCEPISCE MARIA

    Nell’antico santuario di Silo la folla si sta accalcando per una festa, forse quella autunnale delle Capanne, la solennità della vendemmia. Il sacerdote-capo, Eli, controlla che tutto si svolga con compostezza.
All’improvviso nota una donna che, in disparte, prega muovendo le labbra ma senza emettere voce, come è prescritto per la preghiera pubblica. La sua reazione è dura: egli sospetta che la festa dell’uva abbia avuto qualche conseguenza e apostrofa la donna con asprezza.
Le dice: “Fino a quando rimarrai ubriaca? Liberati dal vino che hai bevuto!”.
      Ma quella donna, profondamente infelice, gli replica: “No, io sono solo una donna affranta e non ho bevuto vino né altra bevanda inebriante, ma sto solo sfogandomi davanti al Signore!”. Protagonista di questo piccolo dramma, che si svolge nell’XI secolo a.C., è Anna, un nome che in ebraico evoca il chinarsi amoroso e “grazioso” di Dio sulla sua creatura.
   A prima vista questo nome sembra essere smentito dalla storia di chi lo porta: Anna è la moglie sterile di Elkana, un uomo delle montagne centrali della Terrasanta. In Oriente la donna sterile era considerata un ramo secco e inutile ed èper questo che il dolore di Anna è così intenso, anche se suo marito non le fa pesare questa sua situazione.
   Abbiamo introdotto Anna nella nostra galleria di personaggi biblici perché la liturgia di questa domenica è dominata proprio dal tema della preghiera. E Anna è una sorta di simbolo dell’orante, tant’è vero che a lei dobbiamo anche uno splendido cantico che è citato nel capitolo 2 del secondo Libro di Samuele. Sì, perché alla fine Dio si chinerà su questa sua fedele e le donerà la grazia di un figlio, compiendo in tal modo il significato del nome “Anna”. L’inno di ringraziamento intonato dalla donna è, in realtà, un salmo autonomo di taglio regale-messianico (in finale si esalta il re e il Messia).
   Tuttavia ben s’adatta alla situazione di Anna il cui grembo sterile, simile a una tomba, è fatto germogliare di vita: “La sterile ha partorito sette volte e la ricca di figli è sfiorita. il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire” (versetti 5-6).
    Ma c’è di più. Questo cantico è stato definito il Magnifìcat dell’Antico Testamento non solo per il suo avvio che lo rende simile al ben noto inno di Maria (il mio cuore esulta nel Signore…”), ma anche perché la madre di Gesù modellerà la sua preghiera di lode proprio su questo canto antico. Si legga, perciò, subito dopo il salmo di Anna, il Magnifìcat di Maria (Luca 1,45-55).
    Forse è anche per questo che la tradizione cristiana ha attribuito alla madre di Maria il nome di Anna (che festeggeremo il prossimo 26 luglio). Il figlio della prima Anna sarà il grande profeta e sacerdote Samuele e il nome “Anna” sarà portato dalla moglie di Tobia e da una vedova di 84 anni che nel tempio di Gerusalemme accoglierà il neonato Gesù (Luca 2,36-38).
    Diverrà anche un nome maschile perché in pratica Anna è in ebraico il diminutivo di “Giovanni” e “Anania”. Così, si chiamerà Anna il sommo sacerdote coinvolto nel processo di Gesù, anche se non più in carica (Giovanni 18,12-24).

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