Cardinale Gianfranco Ravasi
San Giovanni Evangelista
Dell’apostolo Giovanni (nome ebraico che
significa “Il Signore dona la sua grazia”) è nota nei Vangeli la
famiglia: suo padre era Zebedeo, suo fratello l’apostolo Giacomo; di
professione era pescatore, o forse membro di una società familiare di
pesca a cui probabilmente collaboravano anche altri due fratelli, gli
apostoli Simone Pietro e Andrea. La sua vocazione era appunto avvenuta
nell’ambiente di lavoro e da quel momento Giovanni era stato cooptato da
Gesù nel gruppo ristretto dei tre testimoni privilegiati comprendente
anche Pietro e Giacomo. Sono loro ad assistere in esclusiva alla risurrezione della figlia di Giairo, alla trasfigurazione, alla preghiera del Getsemani.
Cristo imporrà anche un soprannome ai due fratelli, Giovanni e Giacomo, Boanerghes, “figli del tuono”, di solito collegato al loro carattere veemente ma
forse da considerare in senso positivo, essendo il tuono nella Bibbia
simbolo della voce potente di Dio: essi, allora, avrebbero il compito di
attestare con forza e autorità la parola divina. Giovanni riappare
negli Atti degli Apostoli, spesso in connessione con Pietro, e con la
missione di evangelizzatore. Paolo lo colloca, invece, tra le “colonne”
della Chiesa madre di Gerusalemme, insieme con Pietro e Giacomo
“fratello del Signore”. In sintesi possiamo dire che Giovanni
costituisce una delle figure di più alto spicco all’interno del collegio
apostolico dei Dodici.
Una considerazione a parte merita la figura misteriosa del “discepolo che Gesù amava”:
essa entra in scena nel quarto Vangelo solo alla fine, quando sta per
compiersi l’“ora” della passione, morte e glorificazione pasquale di
Cristo. È convinzione tradizionale che sia un autoritratto dello stesso
apostolo Giovanni. C’è, però, una difficoltà: questo “discepolo amato”,
chiamato anche “l’altro discepolo” (rispetto a Pietro), stando allo
stesso racconto evangelico, “era noto al sommo sacerdote”. Come era
possibile che questo accadesse a un pescatore della Galilea, seppure
partecipe di un’azienda ittica propria? Tuttavia altri tentativi di
identificazione risultano sostanzialmente impraticabili. Per questo si è
ancora fermi alla linea tradizionale che cerca di sovrapporre il volto
di Giovanni a quello del “discepolo amato” che “aveva riposato sul petto
di Gesù”. Forse si potrebbe immaginare una puntualizzazione ulteriore
facendo riferimento alla complessa storia della redazione del quarto
Vangelo.
Soffermiamoci, allora, su questo scritto
assegnato a Giovanni e contrassegnato dal simbolo dell’aquila, sulla
base dell’attribuzione tradizionale ai quattro evangelisti dei quattro esseri viventi dell’Apocalisse. Composto di 15.416 parole greche e di 879 versetti (il terzo per
lunghezza dopo Luca e Matteo), questo Vangelo si caratterizza per un
linguaggio teologico molto raffinato, tanto da aver meritato la
definizione di “Vangelo spirituale”. Si usano, infatti, nelle sue
pagine, termini con accezioni specifiche. Così, “verità” è la
rivelazione che Cristo offre; “segni” e “opere” sono i miracoli (e il
quarto evangelista ne seleziona sette molto originali ed emblematici);
l’“ora” per eccellenza è, come si è detto, la morte e la risurrezione di
Cristo, definite anche come “esaltazione” e “glorificazione”. Fitto è
pure il vocabolario processuale usato per descrivere lo scontro tra
Cristo e il male: “testimonianza, giustizia, giudizio, Paraclito (cioè
difensore)” e così via. Termini cari a Giovanni sono anche “amore,
amare, conoscere, vita, mondo, dimorare-rimanere, luce, Io sono (titolo
divino biblico attribuito a Cristo)”. Sembra, quindi, che questa opera
sia frutto di un’elaborazione accurata, posteriore a quella degli altri
Vangeli, da collocare sullo scorcio del I secolo, forse nell’area
dell’Asia Minore, dove appunto erano fiorite comunità che si riferivano
alla predicazione dell’apostolo Giovanni.
Gli studiosi hanno cercato di
approfondire la genesi dello scritto, proponendo ricostruzioni molto
complesse. Certo è che alla base del quarto Vangelo si ha la
testimonianza dell’apostolo stesso che aveva condiviso la vita pubblica
di Gesù da un angolo di visuale privilegiato. È lui a dare il via,
attraverso le sue parole, a uno scritto che forse ebbe l’aiuto di un
redattore qualificato che compose il Vangelo sulla base di quella
testimonianza orale, ma anche con la sua esperienza, la sua preparazione
spirituale e culturale, la sua abilità letteraria. Per alcuni studiosi
potrebbe essere costui il “discepolo amato”, associato a Giovanni.
Comunque stiano le cose, è indubbio che il quarto Vangelo rivela
un’opera di formazione progressiva, tant’è vero che ci incontriamo con
due finali diversi, segno almeno di un’ulteriore “riedizione”.
L’insieme, però, del Vangelo rivela una sua compattezza e un’identità
teologica ben netta. Per questo, esso fu particolarmente amato dalla
tradizione che esaltava i grandiosi discorsi di Gesù contenuti in quelle
pagine; i miracoli, “segni” del mistero profondo di Cristo; la
grandiosa narrazione della Passione che vede la croce come il trono
della gloria del Redentore; l’indimenticabile e stupendo prologo dove si
celebra l’Incarnazione del Verbo; gli incontri di Gesù con personaggi
che rappresentano altrettanti modelli di vita, come Nicodemo o la
Samaritana; il tema reiterato dell’amore e così via.
Non per nulla un grande scrittore cristiano del III secolo, Origene, affermava: “Il
fiore di tutta la Sacra Scrittura è il Vangelo e il fiore del Vangelo è
il Vangelo trasmesso a noi da Giovanni, il cui senso profondo e riposto
nessuno potrà mai pienamente cogliere”. Proprio perché Giovanni,
l’apostolo, fu considerato alla sorgente di una tradizione ecclesiale,
pastorale e teologica, a lui vengono ricondotte anche altre opere del
Nuovo Testamento. Da un lato, ci sono le tre Lettere di Giovanni (la
prima è, in realtà, uno splendido trattato sulla fede e sull’amore,
mentre le altre due sono una sorta di brevi biglietti); d’altro lato,
ecco quel capolavoro che è l’Apocalisse, la quale però riflette
caratteristiche proprie che la rendono autonoma.
Ma attorno a Giovanni è fiorita anche
una tradizione popolare molto vivace che si è basata su testi apocrifi e
su vere e proprie leggende. Secondo queste memorie Giovanni, durante la
persecuzione di Domiziano, sarebbe stato condotto da Efeso a Roma ove, a
Porta Latina, sarebbe stato immerso in una caldaia di olio bollente, da
cui uscì illeso. Sarebbe stato allora relegato nell’isola-prigione di
Patmos nell’Egeo, ove avrebbe scritto l’Apocalisse. Da lì, trasferito a
Efeso, avrebbe convertito un filosofo e, costretto dagli orefici di
quella città – i quali producevano ex voto per la dea Artemide – a bere
una coppa di veleno, con un segno di croce l’avrebbe purificata
facendone uscire una serpe. A lui verranno attribuite risurrezioni di
morti, miracoli e discorsi e la sua figura entrerà trionfalmente nella
storia della teologia e della pietà popolare, esaltato come “vergine” e
“teologo”. Una lunga sequenza iconografica lo accompagnerà nei secoli:
mentre l’Oriente lo rappresenta anziano, calvo e barbuto, l’Occidente
medievale lo preferisce giovane e imberbe. Il suo Vangelo rimarrà,
comunque, la stella polare della sua presenza nella storia della
cristianità che lo festeggerà il 27 dicembre, in connessione col Natale
da lui esaltato nella meditazione sull’Incarnazione che affiora nelle sue pagine. Il patriarca greco-ortodosso Atenagora dichiarava: “Giovanni
è all’origine della nostra più alta spiritualità. Come lui, i
‘silenziosi’ conoscono quel misterioso scambio dei cuori, invocano la
presenza di Giovanni, e il loro cuore s’infiamma”.
Gianfranco Ravasi
https://www.ariberti.it/irc/irc-testi/ravasi-gianfranco-san-giovanni-evangelista.html
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