Agli occhi del Padre i piccoli più “grandi” di dotti e sapienti
di Angelo Amato
1. «Io ti rendo lode, Padre»
Come si china misericordioso verso i peccatori e gli emarginati, il Padre ha particolare cura dei piccoli. Dice Gesù: «il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (Mt 18,14).
I piccoli rappresentano Gesù stesso, per cui accogliendo i piccoli si accoglie Gesù e aiutando i piccoli si aiuta Gesù: «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40); «E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42).
Per questo non bisogna disprezzarli né tanto meno scandalizzarli: «Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10; cf. anche 18,6).
In un ambiente, che certo non esaltava il valore di essere «piccoli» - di età, di sapienza, di cultura -, Gesù gioisce perché il Padre rivela il suo mistero non ai sapienti, agli intelligenti e ai grandi, ma ai piccoli:
«In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare"» (Lc 10,21-22; cf. Mt 11,25-27).
Santa Teresa di Gesù Bambino
2. La scienza dei piccoli
Una delle interpreti più straordinarie di questa scienza dei piccoli è S. Teresa di Gesù Bambino, proclamata dottore della Chiesa il 19 ottobre 1997, giornata mondiale delle missioni. Ella appartiene alla schiera di quelle anime semplici, ma particolarmente dotate dall'alto a parlare delle cose «che Dio ci ha donato..., non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali» (1Cor 2,12.13).
Teresa, infatti, nella sua trasparente semplicità, scrive che solo nel Vangelo ha trovato tutto, scoprendovi «luci nuove, significati nascosti e misteriosi». E poi aggiunge:
«Mi sembra che, se tutte le creature avessero le stesse grazie che ho io, il Buon Dio non sarebbe temuto da nessuno, ma amato fino alla follia, e che per amore e non tremando, nessuna anima acconsentirebbe mai a darGli dispiacere. Capisco però che non tutte le anime possono somigliarsi: bisogna che ce ne siano di diversi tipi allo scopo di onorare in modo speciale ognuna delle perfezioni del Buon Dio. A me Egli ha donato la sua Misericordia infinita ed è attraverso essa che contemplo e adoro le altre perfezioni Divine! Allora tutte mi appaiono raggianti d'amore perfino la Giustizia (e forse anche più di ogni altra) mi sembra rivestita d'amore».[1]
Teresa aveva una particolare scienza dell'amore misericordioso di Dio, accompagnata da una intensa esperienza personale di grazia. A 14 anni, nel Natale del 1886, ella vive l'avvenimento cruciale di una «completa conversione»: da bambina, spesso capricciosa ed egocentrica, diventa adulta, matura, autentica. Ebbe, inoltre, l'intelligenza profonda del mistero dell'Incarnazione, mediante il quale Dio si fa uomo, perché l'uomo possa diventare figlio di Dio:
«In questa notte luminosa che rischiara le delizie della Santa Trinità, Gesù, il dolce piccolo Bambino cambiò la notte della mia anima in torrenti di luce... In questa notte nella quale egli si fece debole e sofferente per amor mio, egli mi rese forte e coraggiosa, mi rivestì delle sue armi e dopo questa notte benedetta, io non fui mai vinta in nessun combattimento, ma al contrario sono passata di vittoria in vittoria e ho cominciato, per così dire, "una corsa da giganti"».[2]
Teresa fu cosciente di questa sua eccezionale dote spirituale. Citando l'inno di giubilo del Signore sulla rivelazione del Padre ai piccoli, così nota:
«Poiché ero piccola e debole, il Signore si abbassava verso di me e mi istruiva in segreto sulle cose del suo amore. Se i sapienti che hanno passato la vita nello studio fossero venuti a interrogarmi, senza dubbio sarebbero rimasti stupiti di vedere una ragazza di quattordici anni comprendere i segreti della perfezione, i segreti che tutta la loro scienza non riesce a scoprire, perché per possederli bisogna essere poveri di spirito».[3]
3. L’infanzia spirituale
La sintesi sapienziale di Teresa viene chiamata la piccola via o infanzia spirituale. Non si tratta di un comportamento puerile nel senso peggiorativo del termine, né di un metodo, che riduce e banalizza gli impegni del vangelo. Si tratta, invece, di un atteggiamento di umiltà, di abbassamento, di kenosi, che, imitando Gesù, porta a vivere in pieno il mistero pasquale.
Scrive il Papa Giovanni Paolo II nella lettera apostolica per il dottorato di S. Teresa: «Mediante l'infanzia spirituale si sperimenta che tutto viene da Dio, a Lui ritorna e in Lui dimora, per la salvezza di tutti, in un mistero di amore misericordioso».[4]
Le caratteristiche sostanziali dell'infanzia spirituale sono la confidenza e l'abbandono. La confidenza è la perfezione della virtù della speranza e imita l'atteggiamento dei piccoli che hanno fiducia nei loro genitori. Teresa trasferisce la confidenza che ella aveva nella mamma prima, nel padre e nelle sorelle dopo, alla sua relazione con Dio Padre.
Scriveva poco prima di morire:
«Si potrebbe credere che è perché non ho peccato che possiedo una fiducia così grande nel buon Dio. [...] Quand'anche avessi commesso tutti i crimini possibili, io avrei sempre la stessa confidenza; sento che tutta questa moltitudine di offese sarebbe come una goccia d'acqua in un braciere ardente. In futuro dovete raccontare la storia della peccatrice convertita che è morta d'amore; le anime comprenderanno immediatamente, perché è un esempio così toccante di ciò che voglio dire».[5]
La confidenza nella misericordia e bontà di Dio Padre la porta all'abbandono più totale. Abbandono, però, che non è passività, inerzia, pigrizia, ma vertice della carità. A una novizia che era impaziente di comunicare la via dell'abbandono ai suoi parenti e amici, Teresa consiglia di fare attenzione, perché la piccola via, mal compresa, potrebbe essere presa per quietismo e illuminismo.
L'abbandono è partecipazione alla carità fervorosa e fattiva di Dio stesso. L'abbandono è il frutto della carità. Come il frutto è il risultato della vita dell'albero, così l'abbandono è il frutto della vita di carità dello spirito. È il riposo della Sposa del Cantico che dice: «Io dormo, ma il mio cuore veglia» (5,2). Teresa si abbandona tra le braccia del Padre e ivi riposa.
Il Signore non si aspetta da noi delle grandi azioni, ma solo l'abbandono e la riconoscenza. È questo il segreto della piccola via. Confidenza e abbandono, secondo la beatitudine dei poveri in spirito: poveri di tutto, ricchi solo di confidenza nel Padre.
4. Richiami esistenziali
Che cosa ci insegna autorevolmente Teresa? Fra i tanti insegnamenti, ne possiamo evidenziare tre.
Il primo riguarda la fede. Teresa ci insegna a credere veramente in Dio, nella sua provvidenza, nella sua presenza, nella sua azione di grazia. Il dubbio, la tentazione, la debolezza non la scoraggiavano, ma la rafforzavano nella fede. Il buio della notte oscura fu superato dalla forza della fede.
Il secondo insegnamento deriva dalla sua femminilità. Teresa presenta un Dio vicino all'uomo, di cui è padre con amore materno e misericordioso. È cosciente di questo e scrive che le donne amano di più il buon Dio e «durante la passione di nostro Signore hanno avuto più coraggio degli apostoli».[6] Per questo ella afferma: «Nel cuore della Chiesa, madre mia, io sarò l'Amore».[7]
Il terzo insegnamento riguarda l'importanza dell'educazione cristiana dei piccoli, dei bambini, spesso comprensori più penetranti e limpidi del mistero di Dio.
Al riguardo, così Teresa pregava il Padre celeste:
«Eterno Padre, il tuo unico Figlio, il dolce Bambino Gesù,
è mio perché me l'hai dato.
Ti offro i meriti infiniti della sua divina Infanzia
e ti chiedo, nel suo Nome,
di chiamare alle gioie del Cielo innumerevoli falangi di piccoli bambini,
che seguiranno eternamente l'Agnello Divino».[8]
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[1]Manoscritto A, 83v.
[2]Manoscritto A, 44v.
[3]Manoscritto A, 49r.
[4]Divini Amoris scientia, 19 ottobre 1997, n. 8.
[5]Ultimi colloqui, 11 luglio 1897, n. 6.
[6]Manoscritto A, 66v.
[7]Manoscritto A, 3v.
[8]Preghiere, 13.
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Fonte: www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01091999_p-08_it.html
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