Liturgia e iconografia: l’Evangeliario e i programmi decorativi dei codici liturgici medievali
di Valerio Ascani
I codici manoscritti di maggior pregio furono, in tutto il millennio che compone l’età che noi oggi chiamiamo Medioevo, arricchiti con una veste decorativa che, nelle intenzioni dei committenti e degli artisti, doveva accompagnarne la lettura mettendo in evidenza i passaggi ritenuti più significativi e illustrando gli aspetti narrativi del testo cui si accostava, sino talora a contribuire alla decriptazione degli elementi simbolici presenti. Ciò appare evidente sin dai più antichi testi illustrati pervenuti. [1]
Nel campo del libro sacro, senza dubbio oggetto privilegiato delle cure dei responsabili della produzione manoscritta medievale, tale veste decorativa si dispiega con una ricchezza di temi, una qualità esecutiva e uno sfarzo nella scelta delle decorazioni e dei materiali stessi che fanno del corpus dei manoscritti miniati di soggetto religioso uno dei grandi tesori della civiltà europea di tutti i tempi.
Sarebbe, come è facile capire, compito velleitario e di impossibile realizzazione quello di voler anche solo brevemente analizzare in questa occasione tutte le differenti tipologie di libro sacro, così come tramandate dal Medioevo, alla ricerca di corrispondenze e differenze nello schema decorativo delle diverse classi di codici. Quello che possiamo pensare di proporci qui è semplicemente di mettere in luce alcune delle più evidenti peculiarità dell’Evangeliario, al centro dell’attenzione di questo convegno, a confronto con i libri liturgici ad esso compresenti durante l’azione liturgica nelle chiese medievali.
L’Evangeliario gode nel Medioevo, è bene notarlo subito, di una peculiare considerazione da parte dei committenti ecclesiastici che lo differenzia da tutte le altre tipologie di libri sacri e di libri liturgici e ne fa una classe ben separata sia dai libri contenenti i testi sacri in forma narrativa e continua, sia dai restanti libri di utilizzo liturgico. Ma non è solo per la proprietà di essere al contempo libro sacro e liturgico che il prestigio dell’Evangeliario si innalza nel Medioevo al di sopra di qualsiasi altro testo, quanto soprattutto per il suo valore teologico e simbolico, che ne fa il cardine della religione cristiana, supporto alla parola del Signore e alla narrazione della vita terrena di Cristo. [2] Questa tipologia di manoscritto subisce così ben presto un destino tutto particolare, di cui la preziosità della confezione e della decorazione sono prova.
Il valore unico dell’Evangeliario arriva infatti a investire l’oggetto nella sua totalità: al contrario di tutti gli altri testi medievali, che solo occasionalmente ebbero una decorazione esterna, esso infatti doveva essere immediatamente riconoscibile anche dall’esterno. [3] La sua funzione e, direi, il suo contenuto, travalicano il limite fisico delle pagine pergamenacee che lo formano per costituire con la superficie esterna dei piatti di legatura un tutt’uno, la cui coerenza con il testo è rimarcata dall’iconografia che vi si appunta.
Il libro medievale per il solito non aveva copertine figurate, e anche i principali codici liturgici erano al massimo rinforzati da coperte in cuoio talora fissate su tavolette e al più decorate per incisione o impressione di uno stampo. Le poche eccezioni sembrano prendere esempio proprio dal trattamento riservato ai codici tramandanti il testo evangelico. L’Evangeliario, ove possibile, lascia rimarcare il suo ruolo fin dall’ingresso processionale in chiesa grazie appunto alla sua peculiare decorazione esterna che lo differenzia dagli altri codici, il Sacramentario, il Lezionario, l’eventuale Pontificale e ovviamente dai Corali, che pure erano visibili nell’area presbiteriale durante i riti. [4]
Il richiamo tipologico e iconografico al testo che troviamo all’esterno dell’Evangeliario e che si esplicita in ricche coperte metalliche, argentee e in lamina d’oro per lo più, decorate con soggetto costantemente cristologico, che rivestono i piatti di legatura del codice, ne ricava un blocco unitario, a tal punto in sé riconoscibile e concluso da essere fissato anche in vere e proprie cassette liturgiche. [5]
Questa sorta di lingotto di metallo prezioso istoriato, [6] che racchiudeva e al contempo ostendeva il Verbum Domini, a volte poteva includere avori o smalti di soggetto cristologico più antichi ad aumentarne il prestigio e sottolinearne il legame iconografico con la figura del Salvatore. [7] Visibile a distanza dal fedele, che poteva ammirarlo durante i riti più importanti, esso si rivela una delle più significative creazioni dell’arte medievale e ben ne rappresenta il gusto e la cultura, fino a poter essere interpretato come chiave di lettura per lo studio dell’utilizzo del testo evangelico nell’Europa medievale. [8] La veste unitaria e preziosa che univa contenitore e contenuto trasferisce all’esterno non solo il prestigio ma finanche l’identità del testo e, complice la ricorrente scelta di significative iconografie come il Cristo entro mandorla tra i simboli degli Evangelisti [9], eseguite a sbalzo o a tecnica mista con incisioni, inserimento di nielli, smalti o castoni di gemme, chiamate finanche a sostituire l’immagine teofanica, dichiara l’intenzione di conferire all’oggetto, prezioso nella sua interezza, il ruolo e il valore teologico del contenuto. [10] Il Verbum Domini si concretizza e si rende manifesto, dunque, e, trasfigurato in un blocco di metallo prezioso, saldo nelle mani del celebrante, intangibile ai fedeli, percorreva la navata della chiesa verso l’altare richiamando ogni attenzione sull’azione liturgica e al contempo garantendo una visibile presenza divina al rito comunitario.
A riprova della evidente sovrapposizione, agli occhi del fedele medievale, tra Verbum Domini udito dalla lettura di quel libro e aspetto esteriore del codice stesso possiamo chiamare la pratica devozionale compresa nell’azione liturgica del rito della pace. [11] Come ognuno sa, difatti, al momento della formula con cui si evocava la concessione della pace del Signore sui fedeli durante la liturgia eucaristica medievale, almeno nelle prime file della navata delle chiese, si usava porgere per il bacio la Pace, una tavola osculatoria per il solito rivestita in argento e decorata con iconografie trionfali di Cristo del tutto simili a quelle delle coperte di Evangeliario, che anche in quel ruolo dovevano evocare la presenza reale del Redentore tra i fedeli e rendere dunque tangibile ed emozionalmente avvertibile la presenza e l’azione di Cristo nel rito comunitario. Alcuni di questi oggetti, difatti, furono utilizzati come coperte di Evangeliario.
Per quanto riguarda la decorazione miniata all’interno del manoscritto, anche qui è da rilevare una forte differenza rispetto sia ai testi sacri decorati sia ai restanti codici liturgici. La stessa sacralità del libro in sé, oltre che del testo che esso supporta, ha per molti secoli inibito una veste decorativa eccessivamente articolata o corsiva che distogliesse l’attenzione dagli aspetti simbolici e agiografici del codice, seppure nei primi secoli del Medioevo si fosse tentata una combinazione di aspetti narrativi e più strettamente iconici. [12] Inoltre, appare chiaro che, al contrario di altre tipologie di libro sacro con funzione di studio e consultazione, e talora catechistica, come la Bibbia completa, l’Evangeliario dovette essere usato soprattutto a fini liturgici nelle mani del vescovo o del sacerdote celebrante, o in ogni caso aperto e mostrato raramente e sotto lo strettissimo controllo del clero.
Un’indicazione circa la prudenza e la circospezione nell’uso pubblico dell’Evangeliario ci viene fornita dalla interessante tipologia decorativa dalla pagina-tappeto, [13] pressoché esclusivamente presente negli Evangeliari altomedievali di area insulare. [14] Apparentemente enigmatiche nella loro profusione di inestricabili elementi a intreccio, queste complesse e singolari iconografie si rivelano estremamente significative una volta che riusciamo a comprendere come in esse quasi costantemente queste infestanti forme vegetali originanti o desinenti in elementi zoomorfi siano poste a costituire una barriera impenetrabile a difesa di un elemento simbolico centrale, la croce, [15] a fatica ravvisabile al di sotto di esse, a richiamare alla purezza necessaria per accedere alla Parola del Signore e ad allontanare mani e intenzioni altrimenti motivate. [16] Si tratta di una iconografia apotropaica, certo, che non intendeva tanto sventare possibili tentativi di furto o manomissione dei preziosi codici quanto ribadire la difficoltà dell’interpretazione del sacro testo e la necessità della mediazione di una mano consacrata e degna che guidasse la comunità nell’utilizzo e nell’esegesi del testo evangelico.
E’ facile ora comprendere come, partendo da un simile distacco da tutte le altre tipologie di testo sacro e di codice liturgico, anche da un punto di vista strettamente iconografico e decorativo gli Evangeliari costituiscano nella storia della decorazione del libro manoscritto un caso a parte. Probabilmente, il testo evangelico era ritenuto, oltre che di intangibile sacralità, in sé sufficientemente evocativo di immagini narrative per essere illustrato con scene relative agli avvenimenti narrati. Certo, per lo meno nell’alto Medioevo, vi è sempre da notare una certa separazione tra immagini iconiche e cicli narrativi, [17] in miniatura come anche nelle pitture e opere musive monumentali, dove avvicinandosi al centro focale dello spazio architettonico dell’edificio sacro e della composizione la figurazione acquista ieraticità e le posizioni sono riservate alle figure di Cristo, di Maria e degli Apostoli. [18] Potremmo quasi pensare che, come nelle parti assiali degli edifici religiosi e a fondale degli altari, si privilegiasse qui una più rigorosa e meno interpretativa iconografia strettamente teofanica, [19] lasciando ad altre pareti lungo il percorso processionale, e in questo caso ad altre tipologie di codice liturgico, come i Sacramentari ad esempio, lo spazio necessario per una più estesa descrizione narrativa delle vicende della vita terrena di Cristo.
Di fatto, per secoli l’iconografia degli Evangeliari rimase legata alla presentazione al lettore degli auctores, isolati o al cospetto del Salvatore in gloria. [20] Ciò lascia spazio ad alcune riflessioni. Nel libro medievale, frutto di copia manuale da parte degli scribi, per lo più di rango monastico ma non immuni da errori o disinterpretazioni, un problema importante era costituito dalla preoccupazione di far percepire il testo di un codice come originale e corretto. Molti colophon a corredo di testi di codici medievali contengono infatti rassicurazioni a questo proposito. A volte si giungeva per questo ad ‘antichizzare’ i ritratti virtuali degli Evangelisti per renderli anche nel loro aspetto storicamente più credibili. [21] Ebbene, la rappresentazione a piè d’opera dell’autore, spesso raffigurato in cattedra, o, non a caso, in atto di scrivere il testo stesso, [22] a volte entro una nicchia o arcata secondo una antica tipologia comune ai sarcofagi paleocristiani, [23] serve soprattutto a due scopi. Da un lato presenta al lettore l’autore nelle sue presunte fattezze, così come oggi sulla copertina di un libro potremmo trovare la fotografia dello scrittore, e quindi ha il compito di familiarizzare il lettore con l’ideatore e con il testo che si andava a leggere. Dall’altro, l’iconografia dello scrittore insediato sul suo tronetto di saggezza e sormontato da una arcata-baldacchino, o presentato a mo’ di statua vivente entro una nicchia, ci assicura del prestigio e dell’autorevolezza dello scrittore; da qui il nome di iconografia dell’auctor, inteso anche come colui che esercita una auctoritas, scelto dagli storici della miniatura in questi casi. [24]
L’iconografia principe degli Evangeliari fu dunque quella dei suoi autori, [25] e della persona cui il testo si riferisce e che con il testo finisce per identificarsi, Cristo Salvatore, rappresentato all’inizio o alla conclusione del racconto, insediato sul trono celeste ma entro la mandorla o orbicolo che ne concretizza l’energia mobile legata alla sua natura divina: in atto, quindi, di ascendere, o meglio di essere sul punto di ritornare nel suo alone di gloria sulla terra per dare avvio al Giudizio finale. [26]
Questa iconografia prevede diverse varianti. E’ possibile che Cristo e ciascuno degli Evangelisti occupi una diversa pagine, come poc’anzi ilustrato, e in questi casi ogni evangelista apre il testo da lui scritto nella successione canonica del Tetravangelo, oppure i cinque possono convivere in una sola pagina. Queste miniature a piena pagina possono vedere la rappresentazione di Cristo e degli evangelisti in forma umana oppure, soprattutto per questi ultimi, l’accostamento o anche la sostituzione delle figure antropomorfe con i propri simboli, [27] i quattro viventi apocalittici patristicamente legati agli autori dei Vangeli. Infine, più raramente anche la figura di Cristo può essere sostituita da un animale simbolico, l’Agnus Dei, [28] facilmente identificabile per il nimbo crociato, o, molto meno comunemente, il Chrismon o cristogramma, monogramma di Gesù Cristo in lettere greche. A volte le diverse tipologie sono più liberamente compresenti, ad esempio per decorare le Tavole dei Canoni, che indicano la corrispondenza tra gli episodi narrati nei testi dei quattro evangelisti costituendo una sorta di indice dei Tetravangeli. [29]
In tutti questi casi, come pure sulle coperte metalliche, si ha dunque la presentazione ai fedeli degli evangelisti e la visione di Cristo in Maestà, asceso al cielo e assiso in trono, prossimo alla seconda venuta o, meno frequentemente, ancora bambino in braccio alla Vergine, [30] la cui apparizione sta dunque a ribadire il carattere di libro sacro dell’Evangeliario e a rafforzare l’idea di identificazione tra Verbum Domini storicamente incarnato e Verbum Domini rivelato e scritto, e qui raffigurato agli occhi dei credenti.
Questo rispetto sacrale per il supporto fisico del testo evangelico non ha tuttavia impedito, nel corso della lunga storia medievale, di pervenire a più articolate forme decorative. A partire già dal periodo tardo carolingio e soprattutto ottoniano, difatti, in area imperiale transalpina, iniziò a diffondersi una tipologia di codice di più facile utilizzo ai fini liturgici, l’Evangelistario o libro di Pericopi, [31] che riporta il testo non già strutturato in forma narrativa secondo ciascuno dei quattro autori in ordine canonico, come il Tetravangelo diffuso precedentemente, bensì già diviso nei brani da leggere durante la messa, disposti secondo il calendario liturgico. E’ subito evidente il vantaggio di una siffatta organizzazione del testo, come pure il fatto che in questo modo si sia dato vita a un libro liturgico derivato dal testo sacro ma solo in linea generale identificabile con esso, giacché ora non era più possibile una lettura completa del testo e quindi la stessa organicità del racconto evangelico ne veniva compromessa.
E’ probabile che proprio questa divergenza rispetto all’originaria struttura del testo abbia consentito anche un allentamento della severità con cui l’Evangeliario era stato sino a quel momento considerato dal punto di vista iconografico. Si sono così venuti strutturando cicli di miniature, anche a piena pagina, riportanti i principali episodi del ciclo della Natività e dell’infanzia del Salvatore, del ciclo della Vita pubblica e dei Miracoli di Cristo, e di quello della Passione, Morte e Resurrezione del Redentore [32] A questo è da aggiungere la forte spinta della committenza laica di rango soprattutto imperiale, all’origine di questa tipologia di manoscritti, che intendeva vedersi rappresentata a fini politici autocelebrativi fin all’interno dell’iconografia cristologica. [33] Nei decenni che precedettero la lotta per le investiture, difatti, l’autorità imperiale ribadì la teoria della derivazione divina del proprio potere politico attraverso una vera e propria strumentalizzazione dell’iconografia, arrivando a promuovere la rappresentazione del regnante in trono al centro della sua corte [34], iconografia non pertinente al testo, oppure in atto di consegnare l’opera miniata a Cristo o Maria e riceverne in cambio una benedizione o addirittura l’incoronazione, [35] o, finanche, compartecipe della dignità di sovrano celeste del Salvatore al punto di arrivare a condividerne sia gli attributi fisionomici e iconografici, sia addirittura elementi come la mandorla, [36] a suggerire un continuum tra l’azione salvifica del Cristo e l’attività politica e amministrativa terrena del sovrano. Il fenomeno iconografico di alto valore politico della cristomimesi dei sovrani terreni giunge così a investire in modo deciso anche l’iconografia dell’Evangeliario nei secoli centrali del Medioevo. Se è vero che già fin dai primi secoli committenti religiosi e più raramente laici si erano fatti rappresentare ai lati della divina Maestà, [37] mai si era giunti a una tanto palese sovrapposizione iconografica, che finisce per estromettere la figura del Salvatore e occupare il centro di una composizione con figure laterali di virtù o personificazioni di regioni sottomesse che vanno a prendere il posto degli evangelisti. [38] Di fatto a partire dagli anni della riforma gregoriana essa non sarà più considerata possibile.
Di pari passo, in questi volumi possono rientrare anche brevi cicli iconografici cristologici, dapprima con poche figure a tutta pagina legate alle principali feste del calendario liturgico, [39] e successivamente a più fitte figurazioni di episodi evangelici anche a comporre una miniatura a più registri, [40] tipologie in passato presenti su altre classi di codice liturgico, come i Sacramentari, mentre, una volta apparsa legittima la rappresentazione del committente su questo genere di libri, nomi e talora immagini di ecclesiastici si affacciano sui codici liturgici, spesso in pagine dedicatorie introduttive, così come in passato a volte era stato possibile ad abati o vescovi auto raffigurarsi, [41-42] talora anche sotto le spoglie di figure simboliche anche cristologiche, come nell’ambizioso caso del Buon Pastore di età carolingia a Lucca in cui si nasconde il vescovo dedicatario. [43]
Certamente, questi libri non ebbero alcuna funzione catechistica e non nacquero per essere mostrati al pubblico, al contrario di quanto avvenne a partire dalla metà del secolo XI con la tipologia delle Bibbie illustrate di grande formato, per questo dette Atlantiche, diffuse di pari passo alla riforma gregoriana anche a scopo didattico e catechistico, [44] oltre a ribadire il rimando con la forma delle più antiche bibbie allora conservate e quindi con la tradizione apostolica romana per quanto al tempo ricostruibile. [45]
L’Evangeliario rimase sempre in sostanza un libro legato alla figura del sacerdote celebrante, ed è da ritenere che anche la decorazione dipinta del codice fosse intesa per essere mostrata solo al clero, e al massimo sottolineasse il prestigio e la pietas dei committenti agli occhi degli altri prelati, [46] al contrario del fortissimo richiamo che la ricca veste esterna doveva esercitare su chiunque prendesse parte ai riti, fino al suo progressivo abbandono a partire dal secondo quarto del Duecento, in quanto sostituito dal meno dispensioso Messale nell’azione liturgica e dalla Bibbia completa per la versione da lettura e studio, al termine di un secolo in cui si era andato avvicinando al Lezionario, al Sacramentario e talora al Salterio per programma illustrativo e contenuto iconografico. [47]
Il forte potere di attrazione dell’Evangeliario medievale doveva dunque affascinare il fedele e condurlo all’ascolto della lettura del testo sacro ma non alla diretta osservazione o, meno che mai, esegesi del Vangelo, mentre la decorazione delle pagine interne racchiudeva messaggi iconografici, di significato simbolico, [48] ma come si è detto talora anche di natura politica, [49] diretti alla classe ecclesiastica, in un doppio livello di utilizzo del libro, da lontano e da vicino, che ben riassume la divisione dei compiti nella società medievale e ribadisce la sacralità di questa tipologia di codice e il suo uso esclusivo da parte del clero. La classe ecclesiastica medievale si pone con forza come intermediaria tra la scrittura e l’ascolto della Parola del Signore, [50] in un compito di mediazione e interpretazione testimoniato anche da varianti iconografiche precocemente presenti in Evangeliari. A tutti, il Verbo doveva essere però presente e visibile nei suoi basilari elementi simbolici e figurativi così efficacemente trasfigurati nei metalli e nei colori preziosi di queste grandi opere di fede e arte di centrale rilievo nella cultura del Medioevo europeo e nella stessa storia del Cristianesimo.
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