LA CROCE DEL SIGNORE E I SUOI
SIGNIFICATI TEOLOGICI
di P. Felice Artuso
Il segno grafico
della croce è antico e universale. Le civiltà primitive lo usavano per ornare
gli oggetti. Adoperavano particolarmente a questo segno, per simboleggiare la
fecondità, la vita, la metafisica, la magia, l’infinito e la congiunzione degli
elementi contrapposti come la forza centrifuga e centripeta, lo spirito e la
materia, il cielo e la terra, la verticalità e l’orizzontalità, l’alba e il
tramonto, la luce e le tenebre, il bene e il male, l’amore e l’odio, il
razionale e l’irrazionale, l’ordine e il disordine.
La raffigurazione della croce assume un senso di sconfitta, di condanna, di
sofferenza e di morte, quando i politici introducono la crocifissione per punire
i grandi delinquenti e i ribelli al loro potere. Gesù Cristo si lascia
inchiodare ad una croce. Termina il suo cammino di pura obbedienza a Dio Padre
per attuare il suo progetto salvifico. Con la sua risurrezione trasforma il
segno della croce da strumento d’infamia, di dolore, di annullamento e di
maledizione (Dt 21,23; Eb 12,2) a vessillo di vittoria, di trionfo e di gloria
perenne. Gli apostoli adempiono la propria missione, concentrando il loro
annuncio su questo meraviglioso evento. Attestano che Gesù, passando dalla
sofferenza terrena alla gloria del cielo, distrugge gli effetti degradanti del
peccato e offre a tutti la grazia necessaria per giungere alla definitiva meta
della beatitudine divina. Esortano pertanto i loro uditori a credere in Gesù,
crocifisso e vivente. Chiedono a tutti cristiani di confidare in lui e di
sollevare gli afflitti dalle loro sofferenze. Evochiamo i maggiori significati
teologici della croce del Signore.
La croce è segno d’amore
Durante la vita pubblica Gesù vive rivolto verso Gerusalemme, meta finale della
sua attività. Conclude il suo libero percorso nell’obbrobrio della crocifissione
e nell’umiliazione della morte. Nell’estrema sofferenza rivela in modo tangibile
che Dio è comunione d’amore delle tre persone e gratuità infinita. Manifesta che
Dio Trinità raggiunge l‘uomo che si è ribellato a lui. Non lo castiga, né lo
priva di qualcosa. Lo distoglie bensì da ogni forma di idolatria, lo libera dal
peccato, lo congiunge alla sua stessa vita e lo prepara al dono della gioia
eterna. Per ottenere una piena adesione di fede agli interventi salvifici della
Santissima Trinità, l’evangelista Giovanni scrive: «Dio ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16); «Da questo abbiamo conosciuto
l’amore: egli ha dato la sua vita per noi» (1 Gv 3,16). L’apostolo Paolo si
esprime lo stesso pensiero di Giovanni. Comunica, infatti, ai suoi lettori: «Dio
dimostra il suo amore verso di noi perché mentre eravamo peccatori, Cristo è
morto per noi» (Rm 5,8); Cristo «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal
2,20); egli «vi ha amato ed ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in
sacrificio di soave odore» (Ef 5,2); «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per
lei» (Ef 5,25). Avendo riflettuto su queste parole bibliche, Giovanni Paolo II
trae la seguente riflessione: Gesù crocifisso rappresenta il «più profondo
chinarsi della Divinità su ciò che l’uomo, soprattutto nei momenti difficili e
dolorosi, chiama il suo infelice destino» . La Conferenza Episcopale Italiana
aggiunge che Gesù è «la rivelazione inaudita della misericordia e tenerissima
solidarietà di Dio nei confronti dell’uomo» . Gesù crocifisso, il più grande
dono di Dio all’umanità, interpella adesso ogni persona e la sollecita a vivere
decisamente nell’amore.
La croce è segno di vittoria sul male
Agonizzante sulla croce, Gesù dà l’impressione di perdere la battaglia contro la
potenza del maligno (Gv 12,31-32). In realtà adempie la promessa divina a
Satana, proferita dopo la prima defezione umana: «Io porrò inimicizia tra te e
la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa (discendenza o individuo) ti
schiaccerà il calcagno» (Gn 3,15). Con la risurrezione Gesù trionfa sul potere
della morte. Si mostra il vincitore d’ogni male. Garantisce che l’amore è più
forte dell’odio. Trasforma la sua croce da strumento da morte a trofeo
vittorioso su tutto quello che si oppone alla sua santità. Glorioso presso il
Padre rovescia i potenti dai troni ed innalza gli umili (Lc 1,52). Conferisce
stabilità al suo Regno divino e universale. Alla fine dei tempi «comparirà nel
cielo» con la croce, vessillo glorioso e risposta luminosa dell’amore di Dio.
Paleserà agli umani la sua misericordia, giustizia e santità. Allora quelli che
lo hanno offeso nei suoi fratelli «si batteranno il petto» (Mt 24,30).
I cristiani dei primi secoli, provenienti da ogni estrazione sociale e
culturale, riconoscono che la croce è il loro trofeo. Volendo distinguersi dai
pagani, la pongono negli oggetti personali. Rafforzati dalla presenza della
croce, sentono l’esigenza di mettere un nuovo ordine nella propria vita, di
opporsi ai sistemi oppressivi e di partecipare attivamente alle sofferenze
redentrici di Gesù Cristo (Ef 6,12). Durante le persecuzioni gioiscono fregiarsi
della croce, imitare Gesù che ascende sul Calvario e si lascia crocifiggere.
Costantino I dispone che la croce, sormontata da una corona trionfale, sia posta
sugli stendardi, sulle monete e sui sarcofaghi, perché essa brilli come segno di
vittoria su ogni potenza nemica. Nel IV secolo Rufino nella spiegazione del
credo afferma che la croce è un emblema di trionfo, perché «Cristo col suo
avvento ha sottomesso a sé i tre regni» (il regno celeste, terrestre e
infernale) . Nel VI secolo Venanzio Fortunato compone l’inno liturgico “Vexilla
regis prodeunt, fulget crucis mysterium” (procedono i vessilli del re, splende
il mistero della croce). Nello sviluppo dell’inno ricorda quindi che Gesù è
stato ingiuriato ed esalta la sua trionfale vittoria sul male.
La croce è albero di vita e vela diretta al porto
celeste
Secondo il racconto della Genesi Adamo ed Eva vivono felici nel Paradiso
terrestre. Ingannati dal demonio, mangiano il frutto della pianta proibita,
sperando di pervenire alla piena autonomia da Dio. La loro speranza svanisce
presto, perché sperimentano subito i penosi effetti della loro ribellione.
Infatti, avvertono di aver perduto la bellezza dei loro piacevoli rapporti con
Dio, con le sue creature e con se stessi. (Gn 3,17-19). I Padri Apostolici e i
Padri della Chiesa nei loro commenti al libro della Bibbia collegano sovente
l’albero dell’Eden alla croce di Gesù. Notano che il primo albero procura
all’umanità disarmonia, afflizione e morte, mentre il legno della croce dona
evita, salute e gioia perenne. Raccomandano ai cristiani di avvicinarsi a questo
nuovo albero, di cogliere i suoi salutari frutti e di nutrirsene. Vinceranno
allora le forti suggestioni maligne, incrementeranno la comunione con Dio e si
prepareranno alla visione beatificante del cielo (Ap 2,4.7; 22,2).
Se ci adegueremo all’insegnamento dei primi maestri della nostra fede, guariremo
dai nostri guasti interiori, distingueremo la verità dalla menzogna,
rafforzeremo la nostra unione con Dio, diventeremo grandi nell’amore, saremo
sempre rigogliosi «come l’albero pianto lungo corsi d’acqua» (Sal 1,3) e
produrremo molti frutti squisiti.
Alcuni artisti medievali mostrano l’effetto salvifico della croce, raffigurando
un albero zeppo di fronde, di foglie, di fiori e di frutti, piantato al centro
della splendida Gerusalemme celeste e circondato da animali simbolici. Decorano
solitamente l’albero della croce, inserendovi dei tondi dipinti, che ricordano
in modo sintetico la storia della nostra salvezza. Altri al posto dell’albero
raffigurano la vite, intrecciata alla croce di Gesù Cristo. In qualche rara
opera abbinano l’albero rigoglioso dell’Eden e l’albero della croce. Qualche
poeta a sua volta compone inni, antifone e preghiere, evocando l’evento
drammatico della crocifissione. Citiamo la suggestiva invocazione di Giosuè
Carducci: “Le braccia di pietà che al mondo apristi, sacro Signor, da l’albero
fatale, piegale a noi che, peccatori e tristi, teco aspiriamo al secolo
immortale”.
La letteratura ellenistica e latina ricorda spesso i pericoli, sperimentati dai
marinai, che con le loro navi a vela percorrevano le rotte del Mediterraneo. Al
sopraggiungere di una poderosa tempesta si aggrappavano all’albero maestro della
loro nave. Evitavano in questo modo il naufragio e arrivano al porto desiderato.
I Padri della Chiesa e i teologi medievali ne traggono la seguente applicazione.
I cristiani nel loro pellegrinaggio verso la gloria eterna sono minacciati da
tanti pericoli spirituali e da numerose potenze avverse. Se si stringono con
fede al solido legno della croce e se si affidano alla potente protezione del
Signore, superano ogni ostacolo, procedono sicuri e giungono alla meta finale
della loro vita. A questo proposito sant’Agostino asserisce: «Nessuno può
attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo.
Anche se uno ha gli occhi malati, può attaccarsi al legno della croce. E chi non
riesce a vedere da lontano la meta del suo cammino, non abbandoni la croce, e la
croce lo porterà» .
La croce è talamo nuziale e trono regale
Il talamo è il luogo, dove coniugi riposano, dialogano e condividono il loro
amore. Dio sceglie l’arca dell’alleanza come primo talamo, in cui dà ad Israele
un segno della sua presenza e del suo amore. Il Figlio unigenito, che vive da
sempre nel seno del Padre, quando si incarna, entra nel talamo immacolato di
Maria vergine, si fa nostro fratello e nostro compagno di viaggio. Nel periodo
della vita pubblica si presenza come sposo che rallegra i suoi discepoli e attua
le profezie del vecchio Testamento (Mc 2,19-20). Giunta l’ora del supremo
sacrifico, sale sul Calvario in obbedienza al Padre, si distende sul ruvido
talamo della croce, si lascia inchiodare ed elevare da terra. Con le braccia
aperte unisce simbolicamente a sé tutti gli uomini e offre a loro una concreta
immagine visibile del suo amore nuziale. Durante il sonno della morte riposa sia
sul legno della croce sia sulla pietra tombale. Con la risurrezione ascende
trionfante al Padre, da cui comunica all’umanità il suo alito vitale e la invita
a riposare in lui, per trovarvi dolcezza, vigore e pace (Ct 1,2).
I mistici cristiani ammirano l’icona di Cristo sposo, appeso allo scomodo talamo
della croce. Anelano vincolarsi alle sue sofferenze, ascendere interiormente e
celebrare le nozze mistiche. Consigliano talvolta le persone d’alta statura
spirituale di unirsi a Gesù crocifisso e di dimorare sempre nel suo ardente
amore. Ad esempio san Paolo della Croce, celebre contemplativo della passione
del Signore, scrive ad Agnese Grazi: «Ora siete in agonia sul letto ricchissimo
della croce; che vi resta dunque da fare se non spirare l’anima nel seno del
Padre celeste… Morta che sarete di tal mistica morte, vivrete di una nuova
vita…» .
I potenti di questo mondo bramano ascendere ad un trono, governare i loro
sudditi, aumentare il prestigio personale e ricevere tanti onori . Gesù nasce da
Maria vergine, eredita il trono di Davide ed esercita la sovranità, condividendo
le gioie e le sofferenze dei suoi fratelli. Elevato sullo scomodo trono della
croce in mezzo ad altri due condannati, prende l’ufficiale investitura degli
schiavi ribelli, conosce lo sfascio fisico e comincia a regnare spiritualmente
sull’intera creazione. Non condanna i suoi uccisori, ma li scusa e perdona.
Preparandosi al momento dlla morte, attende l’innalzamento celeste, dove potrà
comunicare con più efficacia la sua grazia ed irraggiare con più intensità la
gloria divina (Gv 12,32;19,19; Eb 1,3). Nel giorno della risurrezione il Padre
lo accoglie, lo onora e lo costituisce salvatore universale . Ora egli con il
fuoco del suo amore attrae gli uomini che credono in lui e li invita a salire
ogni giorno sul disagevole trono della croce. Quelli che accettano il suo
invito, si lasciano crocifiggere dai violenti, lottano senza interruzione contro
le forze del male, si mantengono interiormente liberi e attendono il dono della
gloria eterna.
La croce è altare e cattedra
I primitivi supponevano che gli dèi abitassero sulle alture. Sceglievano quindi
un rialzo naturale, per avvicinarsi alle divinità e affidarsi alla loro
protezione. Le società più evolute trasformano l’altura in una piattaforma di
terra, di pietre, di mattoni e di cemento. Ornano la piattaforma di marmi, di
metalli e di stoffe preziose, per renderla più adatta alle celebrazioni cultuali
e ai desideri dei devoti. Gli ebrei pensano e agiscono come gli altri popoli.
Immaginano che Dio è presente nei luoghi elevati, dove accoglie le offerte,
destinate a lui (Gn 12,7; 26,24-25). Durante l’esodo con il legno d’acacia
fabbricano due altari quadrangolari e mobili. Su un altare offrono a Dio gli
olocausti e i sacrifici di comunione. Sull’altro bruciano i profumi (Es 27,1-8;
30,1-10). Stabilitisi nella terra promessa, costruiscono il tempio di
Gerusalemme. Dentro al sacro recinto elevano due altari di pietra, nei cui lati
pongono quattro corni, simbolo della forza invincibile di Dio . Sopra gli altari
sistemano un braciere, per incenerire le loro offerte (Lv 4,7; 6,5-6; Ez
43,15.20). I pellegrini vi sostano di fronte o girano attorno, cantando i salmi
.
Il corpo di Gesù è l’altare della vera immolazione e la sorgente di grazia per
tutti (Ebr 13,10). Senza indossare un abito sacerdotale, ascende sulla croce,
completa la sua immolazione terrena ed offre al Padre il profumo della perfetta
lode (Eb 7,26-27). Risorgendo dai morti, si asside presso Dio e riceve
dall’assemblea celeste adorazione, lode e onore (Ap 8,3-5). Nelle nostre
celebrazioni eucaristiche s’immola sacramentalmente sulle nostre mense (1 Cor
10,21), ci unisce alla sua offerta sacrificale, ci costituisce altari
spirituali, accende in noi il fuoco del divino amore e ci invia a scoprirlo
presente in qualsiasi bisognoso. San Giovanni Crisostomo asserisce, infatti, in
una delle sue omelie: «Ogni volta che vedi davanti a te un fratello povero,
pensa che hai davanti a te un altare, e lungi dal disprezzarlo, veneralo e
difendilo dagli insulti degli altri. Se agirai così ti propizierai i beni che
(il Signore) ha promesso».
I docenti hanno una loro cattedra, riconosciuta dal ministero dell’istruzione.
Gesù non ha alcuna cattedra. Essendo un maestro carismatico, educa il popolo ad
ascoltare Dio e a pregarlo per avere la prontezza di percorrere le sue vie.
Sulla croce trasforma lo strumento di morte in una sede, dove parla dell’amore
di Dio e impartisce all’umanità una solenne lezione. Sant’Agostino, infatti,
afferma: «Il legno della croce al quale erano state confitte le membra del
morente, diventò la cattedra del maestro che insegna» . Seguendo l’intuizione di
questo grande maestro della fede, molti commentatori del Vangelo insegnano che
chi si mette ai piedi di Gesù crocifisso costata di essere amato da Dio,
riconosce le proprie infedeltà, impara a servire i fratelli, migliora le qualità
personali e ascende sui gradini della santità. Possiamo quindi apprezzare il
pensiero che san Paolo della Croce comunica alla marchesa della Scala del Pozzo:
«In questa santissima scuola s’impara la vera sapienza: qui è dove hanno
imparato i santi» .
La croce è libro e chiave
Il creato in continua espansione ed evoluzione è un libro, che racchiude la
potenza, la sovranità e la perfezione di Dio. Gesù risorto partecipa al potere
universale di Dio. Conferisce un senso finale al creato e alla storia umana.
Anticipa e porta a completezza definitiva tutto l’universo (Ef 1,9-10; Col
1,19-20). Secondo l’autore dell’Apocalisse nell’assemblea celeste egli prende da
Dio un libro, che è scritto all’interno e all’esterno, inoltre è chiuso con
sette sigilli (Ap 5,1-7). I presenti si affliggono, perché non sono capaci di
rompere i sigilli, di aprire il libro, di leggerlo e di darvi una retta
interpretazione. Solo Gesù, agnello immolato e vivo, è capace di aprire, leggere
e spiegare il contenuto del libro. Quelli che ascoltano il suo commento
capiscono il senso della loro storia, densa di eventi iniqui e distruttivi,
cagionati dai diffusori della menzogna. Riconoscono che Gesù è il redentore
definitivo, che realizza quanto è stato scritto nel libro e toglie ogni ostacolo
alla visione di Dio (Ap c 6 e c 7). Contemplando lui, maestro di vita, vittima
immacolata e glorioso per sempre, sant’Ignazio d’Antiochia confida: «Per me
l’archivio è Gesù Cristo, i miei archivi inamovibili la sua croce, la sua morte
e resurrezione e la fede che viene da lui» . Numerosi teologi e mistici
medievali ripetono che la croce è un libro, sempre aperto, che sintetizza tutto
l’annuncio biblico, evoca l’evento storico delle sofferenze di Gesù, comunica la
vita di Dio, vincola a lui, spiega il senso delle nostre afflizioni, ci fa
capire il prezzo della grazia divina, aiuta ad entrare in noi stessi e ci
perfeziona interiormente.
La croce non è ovviamente un testo fiabesco o romanzesco, ma un libro che
rimprovera le nostre infedeltà a Dio e facilita il superamento delle crisi
personali. Non ha bisogno d’ampie spiegazioni o di grandi sforzi mentali, per
comprendere il suo messaggio di liberazione e di speranza. Eruditi e analfabeti,
giusti e peccatori, se dialogano davanti Gesù in croce, progrediscono nella
conoscenza dell’amore di Dio e si propongono di migliore la propria condotta. I
primi compagni di san Francesco d’Assisi, non possedendo ancora i breviari,
pregano di fronte a un crocifisso. Meditano «di giorno e di notte il libro della
croce, guardandolo continuamente, ammaestrati dall’esempio e dalla parola del
loro padre» . Alcuni santi, schivi ai sottili ragionamenti, mettono il loro
crocifisso in un luogo visibile. Lo guardano con frequenza e nel silenzio
ricordano il legame che hanno con Gesù. Costatano che egli li stimola ad
aborrire il peccato, ad uscire dalle loro contraddizioni, a distaccarsi dalle
realtà illusorie, a vigilare sui propri difetti, ad accogliere la grazia divina,
a vivere nella difficile arte dell’amore e ad abbandonarsi nell’infinita carità
di Dio. Qualcuno arriva all’ingenua affermazione: mi basta leggere il libro
della croce. Oggi non è sufficiente guardare un crocifisso, bisogna anche
ricorrere alla lettura della Scrittura, perché essa ci istruisce sul mistero del
male morale e ci ricorda quello che Dio ha fatto per redimerci.
Ogni chiave apre la porta d’accesso ad un locale o consente l’uso di uno
strumento di lavoro. La croce di Gesù introduce nella comprensione dell’essenza
e dell’agire di Dio sull’universo (Ap 3,7). Permette di intendere rettamente i
racconti della Sacra Scrittura, di conoscere tutta la storia della salvezza, di
interpretare il valore sulle realtà create, di comprendere la missione della
Chiesa, di compiere un giusto discernimento sugli eventi della nostra della
nostra vita, di elaborare una teologia profetica, di difendere la dignità di
ogni persona, di apprezzare le conquiste spirituali e di guardare alle realtà
ultraterrene.
Commentando la Sacra Scrittura, i Padri della Chiesa insegnano che il peccato
originale ha chiuso le porte dell’Eden e ha impedito all’uomo di entrarvi (Gn
3,23-14). Uscendo da questo mondo ed entrando con il vessillo della croce nel
Paradiso, Gesù sbarra ogni impedimento al Regno celeste (Sal 107,16), spalanca
l’ingresso alla conoscenza della grazia divina, indica la via d’acceso a Dio,
spiega gli atti eroici di tanti cristiani e introduce nella sala del banchetto
nuziale (Mt 25,1-13). Dipendendo dalla loro teologia, san Giovanni della Croce
scrive: «Per entrare nelle ricchezze della divina sapienza la porta è la croce
che è angusta, ma è di pochi il desiderio d’entrare in essa, mentre è di molti
bramare i diletti a cui si giunge per suo mezzo» . Il Signore dirà a tutti
coloro che lo hanno seguito sulla via stretta e angusta del Golgota: «Conosco le
tue opere. Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere» (Ap 3,8).
La croce è segno di redenzione e d’appartenenza alla Chiesa
La croce evoca la potenza di Dio e la fragilità umana. Mostra la misericordia
divina e la nostra crudeltà. Sintetizza i patimenti di Gesù e dei giusti.
Collega la sconfitta mortale al dono di una nuova e migliore vita. Spiega in un
certo modo il senso ultimo della nostra storia. Ci sollecita ad accogliere con
entusiasmo il mistero della nostra redenzione.
Per non scordare il senso teologico, spirituale e redentivo di questo evento, la
civiltà cristiana ha elaborato croci d’ogni forma e dimensione. Le ha decorate
con una molteplicità di materiali pregiati: oro, argento e pietre preziose. Ha
collocato le innumerevoli croci su luoghi visibili: altari, oggetti di culto,
porte delle chiese, cuspidi dei campanili, cime dei monti, pareti pubbliche e
private, viali residenziali, incroci stradali, stendardi di associazioni,
bandiere nazionali, corone regali, sigilli personali, lapidi commemorative,
immagini sacre, ex voto, stampe private, monete statali, bare funebri e tombe
cimiteriali. Ha fondato confraternite che nelle processioni patronali sorreggono
e fanno danzare i loro crocifissi di legno, intarsiati d’argento e ornati ai
lati con metalli elaborati.
I vescovi e alcuni religiosi appendono sul petto una croce come segno
d’identificazione, di giurisdizione, di consacrazione e di servizio. Parecchi
fedeli laici portano sugli indumenti una croce quale segno di riconoscimento e
di impegno battesimale. Episodio unico nella storia, i lituani, dissidenti alla
dittatura comunista, hanno coperto una collina con fitte croci. Con questa
iniziativa hanno affermato la loro identità religiosa e nazionale.
La croce più celebre è quella che Giovanni Paolo II ha affidato ai giovani di
tutto il mondo nel Giubileo della Redenzione, celebrato nel 1984. Compiendo
questo gesto, ha chiesto a loro di portarla ovunque e nella ricorrenza
ventennale dell’assegnazione ha detto: «Continuate insieme a portare la Croce
che vi affidai venti anni or sono» . Presa la croce del Pontefice, i giovani
l’hanno trasferita nelle maggiori comunità cristiane dei continenti. Innalzata
al centro delle grandi assemblee liturgiche, tutti hanno potuto guardarla e
ricordarne il messaggio di speranza. Senza saperlo, hanno più o meno
interiorizzato la preghiera di santa Veronica Giuliani: «O Dio! Se, con
sentimento di cuore, noi penetrassimo un poco che cosa è croce, certo che di
altro non si ragionerebbe, né altra industria si troverebbe che il vivere del
tutto crocifisse» .
L’esposizione della croce nei luoghi pubblici
Gli uomini ricorrono generalmente ai simboli per qualificare la loro fede, la
loro cultura e la loro appartenenza. Dispongono di luoghi dove raccogliersi in
preghiera ed espletare i loro atti di culto. I cristiani scelgono il simbolo
della croce, senza o con un crocifisso, per esprimere la propria conversione,
identità, libertà, dignità e speranza. Deducono dalla croce gli universali
valori dell’amore, della fedeltà, del perdono, dell’uguaglianza e del rispetto
reciproco. Pongono la croce al centro della loro vita, della loro attività e
della loro professione di fede. Collocano questo simbolo nei locali privati e
nei luoghi pubblici, per favorire l’intesa, creare collaborazione senza minare
il pluralismo, condannare la credenze delle minoranze, fomentare la divisione e
soffocare la libertà altrui.
Molti contemporanei ritengono che la croce sia un simbolo scandaloso,
sconcertante e turbante, perché Gesù domanda a tutte persone: «Mai voi, chi dite
chi io sia?» (Mc 8,29). Credendo erroneo tributare alla croce un atto di
venerazione, la tolgono dalle loro abitazioni e dagli oggetti personali oppure
la riducono ad un elemento di ornamento, di sfoggio e di vanità. Arrivano anche
alla pessima scelta di sostituirla con dei portafortuna come i segni zodiacali,
il ferro di cavallo e il quadrifoglio. I gruppi satanici in crescita, si ornano
di una croce rovesciata, celebrano messe nere, disprezzano i valori cristiani,
propagano l’odio, aggrediscono qualsiasi, irrompono nelle chiese e vi
distruggono gli oggetti di culto. Alcuni fondamentalisti islamici, contrari alla
libertà personale, pretendono di espellere la croce dai nostri luoghi pubblici.
In Francia hanno imposto perfino ad un contadino di toglierla dal suo campo di
grano . Gli atei e gli agnostici più radicali smaniano la rimozione della croce,
la cancellazione del cristianesimo, la riduzione della libertà religiosa e la
promozione della secolarizzazione in tutta la società. Inscenano scaramucce
contro la presenza di una croce. In Inghilterra la British Airwais ha minacciato
di licenziare una hostess, se non toglieva la catenina con la croce. Un
direttore di un ospedale inglese ha imposto ad una infermiera di deporre la
collanina con il crocifisso, mentre compie le sue ore di lavoro in corsia . Non
ci soffermiamo sulla complessa discussione giudiziaria, inerente ai crocifissi
nelle scuole statali. La Chiesa sa benissimo che dove si ritira il simbolo della
croce di Gesù Cristo, scompare maggiormente il senso della presenza di Dio e
svanisce l’impegno di esternare un perfetto amore. Se rifiutiamo questo assioma,
si stabilisce la crescita del disamore, della corruzione, dell’arrivismo, dello
sfruttamento, della vendetta e dell’infelicità. Per impedire la totale rovina
dell’umanità, con messaggi chiari e mirati la Chiesa raccomanda quindi che la
croce e i simboli cristiani siano conservati e esibiti anche negli edifici
pubblici.
Fonte : scritti e
appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista) , e-mail:
feliceartuso@katamail.com .
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