giovedì 25 luglio 2019

LA CROCE DEL SIGNORE E I SUOI SIGNIFICATI TEOLOGICI, di P. Felice Artuso



LA CROCE DEL SIGNORE E I SUOI SIGNIFICATI TEOLOGICI
di P. Felice Artuso 
        


                   
Il segno grafico della croce è antico e universale. Le civiltà primitive lo usavano per ornare gli oggetti. Adoperavano particolarmente a questo segno, per simboleggiare la fecondità, la vita, la metafisica, la magia, l’infinito e la congiunzione degli elementi contrapposti come la forza centrifuga e centripeta, lo spirito e la materia, il cielo e la terra, la verticalità e l’orizzontalità, l’alba e il tramonto, la luce e le tenebre, il bene e il male, l’amore e l’odio, il razionale e l’irrazionale, l’ordine e il disordine.
La raffigurazione della croce assume un senso di sconfitta, di condanna, di sofferenza e di morte, quando i politici introducono la crocifissione per punire i grandi delinquenti e i ribelli al loro potere. Gesù Cristo si lascia inchiodare ad una croce. Termina il suo cammino di pura obbedienza a Dio Padre per attuare il suo progetto salvifico. Con la sua risurrezione trasforma il segno della croce da strumento d’infamia, di dolore, di annullamento e di maledizione (Dt 21,23; Eb 12,2) a vessillo di vittoria, di trionfo e di gloria perenne. Gli apostoli adempiono la propria missione, concentrando il loro annuncio su questo meraviglioso evento. Attestano che Gesù, passando dalla sofferenza terrena alla gloria del cielo, distrugge gli effetti degradanti del peccato e offre a tutti la grazia necessaria per giungere alla definitiva meta della beatitudine divina. Esortano pertanto i loro uditori a credere in Gesù, crocifisso e vivente. Chiedono a tutti cristiani di confidare in lui e di sollevare gli afflitti dalle loro sofferenze. Evochiamo i maggiori significati teologici della croce del Signore.


La croce è segno d’amore

Durante la vita pubblica Gesù vive rivolto verso Gerusalemme, meta finale della sua attività. Conclude il suo libero percorso nell’obbrobrio della crocifissione e nell’umiliazione della morte. Nell’estrema sofferenza rivela in modo tangibile che Dio è comunione d’amore delle tre persone e gratuità infinita. Manifesta che Dio Trinità raggiunge l‘uomo che si è ribellato a lui. Non lo castiga, né lo priva di qualcosa. Lo distoglie bensì da ogni forma di idolatria, lo libera dal peccato, lo congiunge alla sua stessa vita e lo prepara al dono della gioia eterna. Per ottenere una piena adesione di fede agli interventi salvifici della Santissima Trinità, l’evangelista Giovanni scrive: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16); «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi» (1 Gv 3,16). L’apostolo Paolo si esprime lo stesso pensiero di Giovanni. Comunica, infatti, ai suoi lettori: «Dio dimostra il suo amore verso di noi perché mentre eravamo peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8); Cristo «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20); egli «vi ha amato ed ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,2); «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25). Avendo riflettuto su queste parole bibliche, Giovanni Paolo II trae la seguente riflessione: Gesù crocifisso rappresenta il «più profondo chinarsi della Divinità su ciò che l’uomo, soprattutto nei momenti difficili e dolorosi, chiama il suo infelice destino» . La Conferenza Episcopale Italiana aggiunge che Gesù è «la rivelazione inaudita della misericordia e tenerissima solidarietà di Dio nei confronti dell’uomo» . Gesù crocifisso, il più grande dono di Dio all’umanità, interpella adesso ogni persona e la sollecita a vivere decisamente nell’amore.
 
 

La croce è segno di vittoria sul male

Agonizzante sulla croce, Gesù dà l’impressione di perdere la battaglia contro la potenza del maligno (Gv 12,31-32). In realtà adempie la promessa divina a Satana, proferita dopo la prima defezione umana: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa (discendenza o individuo) ti schiaccerà il calcagno» (Gn 3,15). Con la risurrezione Gesù trionfa sul potere della morte. Si mostra il vincitore d’ogni male. Garantisce che l’amore è più forte dell’odio. Trasforma la sua croce da strumento da morte a trofeo vittorioso su tutto quello che si oppone alla sua santità. Glorioso presso il Padre rovescia i potenti dai troni ed innalza gli umili (Lc 1,52). Conferisce stabilità al suo Regno divino e universale. Alla fine dei tempi «comparirà nel cielo» con la croce, vessillo glorioso e risposta luminosa dell’amore di Dio. Paleserà agli umani la sua misericordia, giustizia e santità. Allora quelli che lo hanno offeso nei suoi fratelli «si batteranno il petto» (Mt 24,30).
I cristiani dei primi secoli, provenienti da ogni estrazione sociale e culturale, riconoscono che la croce è il loro trofeo. Volendo distinguersi dai pagani, la pongono negli oggetti personali. Rafforzati dalla presenza della croce, sentono l’esigenza di mettere un nuovo ordine nella propria vita, di opporsi ai sistemi oppressivi e di partecipare attivamente alle sofferenze redentrici di Gesù Cristo (Ef 6,12). Durante le persecuzioni gioiscono fregiarsi della croce, imitare Gesù che ascende sul Calvario e si lascia crocifiggere. Costantino I dispone che la croce, sormontata da una corona trionfale, sia posta sugli stendardi, sulle monete e sui sarcofaghi, perché essa brilli come segno di vittoria su ogni potenza nemica. Nel IV secolo Rufino nella spiegazione del credo afferma che la croce è un emblema di trionfo, perché «Cristo col suo avvento ha sottomesso a sé i tre regni» (il regno celeste, terrestre e infernale) . Nel VI secolo Venanzio Fortunato compone l’inno liturgico “Vexilla regis prodeunt, fulget crucis mysterium” (procedono i vessilli del re, splende il mistero della croce). Nello sviluppo dell’inno ricorda quindi che Gesù è stato ingiuriato ed esalta la sua trionfale vittoria sul male.
 
 
 
La croce è albero di vita e vela diretta al porto celeste

Secondo il racconto della Genesi Adamo ed Eva vivono felici nel Paradiso terrestre. Ingannati dal demonio, mangiano il frutto della pianta proibita, sperando di pervenire alla piena autonomia da Dio. La loro speranza svanisce presto, perché sperimentano subito i penosi effetti della loro ribellione. Infatti, avvertono di aver perduto la bellezza dei loro piacevoli rapporti con Dio, con le sue creature e con se stessi. (Gn 3,17-19). I Padri Apostolici e i Padri della Chiesa nei loro commenti al libro della Bibbia collegano sovente l’albero dell’Eden alla croce di Gesù. Notano che il primo albero procura all’umanità disarmonia, afflizione e morte, mentre il legno della croce dona evita, salute e gioia perenne. Raccomandano ai cristiani di avvicinarsi a questo nuovo albero, di cogliere i suoi salutari frutti e di nutrirsene. Vinceranno allora le forti suggestioni maligne, incrementeranno la comunione con Dio e si prepareranno alla visione beatificante del cielo (Ap 2,4.7; 22,2).
Se ci adegueremo all’insegnamento dei primi maestri della nostra fede, guariremo dai nostri guasti interiori, distingueremo la verità dalla menzogna, rafforzeremo la nostra unione con Dio, diventeremo grandi nell’amore, saremo sempre rigogliosi «come l’albero pianto lungo corsi d’acqua» (Sal 1,3) e produrremo molti frutti squisiti.
Alcuni artisti medievali mostrano l’effetto salvifico della croce, raffigurando un albero zeppo di fronde, di foglie, di fiori e di frutti, piantato al centro della splendida Gerusalemme celeste e circondato da animali simbolici. Decorano solitamente l’albero della croce, inserendovi dei tondi dipinti, che ricordano in modo sintetico la storia della nostra salvezza. Altri al posto dell’albero raffigurano la vite, intrecciata alla croce di Gesù Cristo. In qualche rara opera abbinano l’albero rigoglioso dell’Eden e l’albero della croce. Qualche poeta a sua volta compone inni, antifone e preghiere, evocando l’evento drammatico della crocifissione. Citiamo la suggestiva invocazione di Giosuè Carducci: “Le braccia di pietà che al mondo apristi, sacro Signor, da l’albero fatale, piegale a noi che, peccatori e tristi, teco aspiriamo al secolo immortale”.
La letteratura ellenistica e latina ricorda spesso i pericoli, sperimentati dai marinai, che con le loro navi a vela percorrevano le rotte del Mediterraneo. Al sopraggiungere di una poderosa tempesta si aggrappavano all’albero maestro della loro nave. Evitavano in questo modo il naufragio e arrivano al porto desiderato. I Padri della Chiesa e i teologi medievali ne traggono la seguente applicazione. I cristiani nel loro pellegrinaggio verso la gloria eterna sono minacciati da tanti pericoli spirituali e da numerose potenze avverse. Se si stringono con fede al solido legno della croce e se si affidano alla potente protezione del Signore, superano ogni ostacolo, procedono sicuri e giungono alla meta finale della loro vita. A questo proposito sant’Agostino asserisce: «Nessuno può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. Anche se uno ha gli occhi malati, può attaccarsi al legno della croce. E chi non riesce a vedere da lontano la meta del suo cammino, non abbandoni la croce, e la croce lo porterà» .
 
 

La croce è talamo nuziale e trono regale

Il talamo è il luogo, dove coniugi riposano, dialogano e condividono il loro amore. Dio sceglie l’arca dell’alleanza come primo talamo, in cui dà ad Israele un segno della sua presenza e del suo amore. Il Figlio unigenito, che vive da sempre nel seno del Padre, quando si incarna, entra nel talamo immacolato di Maria vergine, si fa nostro fratello e nostro compagno di viaggio. Nel periodo della vita pubblica si presenza come sposo che rallegra i suoi discepoli e attua le profezie del vecchio Testamento (Mc 2,19-20). Giunta l’ora del supremo sacrifico, sale sul Calvario in obbedienza al Padre, si distende sul ruvido talamo della croce, si lascia inchiodare ed elevare da terra. Con le braccia aperte unisce simbolicamente a sé tutti gli uomini e offre a loro una concreta immagine visibile del suo amore nuziale. Durante il sonno della morte riposa sia sul legno della croce sia sulla pietra tombale. Con la risurrezione ascende trionfante al Padre, da cui comunica all’umanità il suo alito vitale e la invita a riposare in lui, per trovarvi dolcezza, vigore e pace (Ct 1,2).
I mistici cristiani ammirano l’icona di Cristo sposo, appeso allo scomodo talamo della croce. Anelano vincolarsi alle sue sofferenze, ascendere interiormente e celebrare le nozze mistiche. Consigliano talvolta le persone d’alta statura spirituale di unirsi a Gesù crocifisso e di dimorare sempre nel suo ardente amore. Ad esempio san Paolo della Croce, celebre contemplativo della passione del Signore, scrive ad Agnese Grazi: «Ora siete in agonia sul letto ricchissimo della croce; che vi resta dunque da fare se non spirare l’anima nel seno del Padre celeste… Morta che sarete di tal mistica morte, vivrete di una nuova vita…» .
I potenti di questo mondo bramano ascendere ad un trono, governare i loro sudditi, aumentare il prestigio personale e ricevere tanti onori . Gesù nasce da Maria vergine, eredita il trono di Davide ed esercita la sovranità, condividendo le gioie e le sofferenze dei suoi fratelli. Elevato sullo scomodo trono della croce in mezzo ad altri due condannati, prende l’ufficiale investitura degli schiavi ribelli, conosce lo sfascio fisico e comincia a regnare spiritualmente sull’intera creazione. Non condanna i suoi uccisori, ma li scusa e perdona. Preparandosi al momento dlla morte, attende l’innalzamento celeste, dove potrà comunicare con più efficacia la sua grazia ed irraggiare con più intensità la gloria divina (Gv 12,32;19,19; Eb 1,3). Nel giorno della risurrezione il Padre lo accoglie, lo onora e lo costituisce salvatore universale . Ora egli con il fuoco del suo amore attrae gli uomini che credono in lui e li invita a salire ogni giorno sul disagevole trono della croce. Quelli che accettano il suo invito, si lasciano crocifiggere dai violenti, lottano senza interruzione contro le forze del male, si mantengono interiormente liberi e attendono il dono della gloria eterna.
 
 
 
La croce è altare e cattedra

I primitivi supponevano che gli dèi abitassero sulle alture. Sceglievano quindi un rialzo naturale, per avvicinarsi alle divinità e affidarsi alla loro protezione. Le società più evolute trasformano l’altura in una piattaforma di terra, di pietre, di mattoni e di cemento. Ornano la piattaforma di marmi, di metalli e di stoffe preziose, per renderla più adatta alle celebrazioni cultuali e ai desideri dei devoti. Gli ebrei pensano e agiscono come gli altri popoli. Immaginano che Dio è presente nei luoghi elevati, dove accoglie le offerte, destinate a lui (Gn 12,7; 26,24-25). Durante l’esodo con il legno d’acacia fabbricano due altari quadrangolari e mobili. Su un altare offrono a Dio gli olocausti e i sacrifici di comunione. Sull’altro bruciano i profumi (Es 27,1-8; 30,1-10). Stabilitisi nella terra promessa, costruiscono il tempio di Gerusalemme. Dentro al sacro recinto elevano due altari di pietra, nei cui lati pongono quattro corni, simbolo della forza invincibile di Dio . Sopra gli altari sistemano un braciere, per incenerire le loro offerte (Lv 4,7; 6,5-6; Ez 43,15.20). I pellegrini vi sostano di fronte o girano attorno, cantando i salmi .
Il corpo di Gesù è l’altare della vera immolazione e la sorgente di grazia per tutti (Ebr 13,10). Senza indossare un abito sacerdotale, ascende sulla croce, completa la sua immolazione terrena ed offre al Padre il profumo della perfetta lode (Eb 7,26-27). Risorgendo dai morti, si asside presso Dio e riceve dall’assemblea celeste adorazione, lode e onore (Ap 8,3-5). Nelle nostre celebrazioni eucaristiche s’immola sacramentalmente sulle nostre mense (1 Cor 10,21), ci unisce alla sua offerta sacrificale, ci costituisce altari spirituali, accende in noi il fuoco del divino amore e ci invia a scoprirlo presente in qualsiasi bisognoso. San Giovanni Crisostomo asserisce, infatti, in una delle sue omelie: «Ogni volta che vedi davanti a te un fratello povero, pensa che hai davanti a te un altare, e lungi dal disprezzarlo, veneralo e difendilo dagli insulti degli altri. Se agirai così ti propizierai i beni che (il Signore) ha promesso».
I docenti hanno una loro cattedra, riconosciuta dal ministero dell’istruzione. Gesù non ha alcuna cattedra. Essendo un maestro carismatico, educa il popolo ad ascoltare Dio e a pregarlo per avere la prontezza di percorrere le sue vie. Sulla croce trasforma lo strumento di morte in una sede, dove parla dell’amore di Dio e impartisce all’umanità una solenne lezione. Sant’Agostino, infatti, afferma: «Il legno della croce al quale erano state confitte le membra del morente, diventò la cattedra del maestro che insegna» . Seguendo l’intuizione di questo grande maestro della fede, molti commentatori del Vangelo insegnano che chi si mette ai piedi di Gesù crocifisso costata di essere amato da Dio, riconosce le proprie infedeltà, impara a servire i fratelli, migliora le qualità personali e ascende sui gradini della santità. Possiamo quindi apprezzare il pensiero che san Paolo della Croce comunica alla marchesa della Scala del Pozzo: «In questa santissima scuola s’impara la vera sapienza: qui è dove hanno imparato i santi» .
 
 

La croce è libro e chiave

Il creato in continua espansione ed evoluzione è un libro, che racchiude la potenza, la sovranità e la perfezione di Dio. Gesù risorto partecipa al potere universale di Dio. Conferisce un senso finale al creato e alla storia umana. Anticipa e porta a completezza definitiva tutto l’universo (Ef 1,9-10; Col 1,19-20). Secondo l’autore dell’Apocalisse nell’assemblea celeste egli prende da Dio un libro, che è scritto all’interno e all’esterno, inoltre è chiuso con sette sigilli (Ap 5,1-7). I presenti si affliggono, perché non sono capaci di rompere i sigilli, di aprire il libro, di leggerlo e di darvi una retta interpretazione. Solo Gesù, agnello immolato e vivo, è capace di aprire, leggere e spiegare il contenuto del libro. Quelli che ascoltano il suo commento capiscono il senso della loro storia, densa di eventi iniqui e distruttivi, cagionati dai diffusori della menzogna. Riconoscono che Gesù è il redentore definitivo, che realizza quanto è stato scritto nel libro e toglie ogni ostacolo alla visione di Dio (Ap c 6 e c 7). Contemplando lui, maestro di vita, vittima immacolata e glorioso per sempre, sant’Ignazio d’Antiochia confida: «Per me l’archivio è Gesù Cristo, i miei archivi inamovibili la sua croce, la sua morte e resurrezione e la fede che viene da lui» . Numerosi teologi e mistici medievali ripetono che la croce è un libro, sempre aperto, che sintetizza tutto l’annuncio biblico, evoca l’evento storico delle sofferenze di Gesù, comunica la vita di Dio, vincola a lui, spiega il senso delle nostre afflizioni, ci fa capire il prezzo della grazia divina, aiuta ad entrare in noi stessi e ci perfeziona interiormente.
La croce non è ovviamente un testo fiabesco o romanzesco, ma un libro che rimprovera le nostre infedeltà a Dio e facilita il superamento delle crisi personali. Non ha bisogno d’ampie spiegazioni o di grandi sforzi mentali, per comprendere il suo messaggio di liberazione e di speranza. Eruditi e analfabeti, giusti e peccatori, se dialogano davanti Gesù in croce, progrediscono nella conoscenza dell’amore di Dio e si propongono di migliore la propria condotta. I primi compagni di san Francesco d’Assisi, non possedendo ancora i breviari, pregano di fronte a un crocifisso. Meditano «di giorno e di notte il libro della croce, guardandolo continuamente, ammaestrati dall’esempio e dalla parola del loro padre» . Alcuni santi, schivi ai sottili ragionamenti, mettono il loro crocifisso in un luogo visibile. Lo guardano con frequenza e nel silenzio ricordano il legame che hanno con Gesù. Costatano che egli li stimola ad aborrire il peccato, ad uscire dalle loro contraddizioni, a distaccarsi dalle realtà illusorie, a vigilare sui propri difetti, ad accogliere la grazia divina, a vivere nella difficile arte dell’amore e ad abbandonarsi nell’infinita carità di Dio. Qualcuno arriva all’ingenua affermazione: mi basta leggere il libro della croce. Oggi non è sufficiente guardare un crocifisso, bisogna anche ricorrere alla lettura della Scrittura, perché essa ci istruisce sul mistero del male morale e ci ricorda quello che Dio ha fatto per redimerci.
Ogni chiave apre la porta d’accesso ad un locale o consente l’uso di uno strumento di lavoro. La croce di Gesù introduce nella comprensione dell’essenza e dell’agire di Dio sull’universo (Ap 3,7). Permette di intendere rettamente i racconti della Sacra Scrittura, di conoscere tutta la storia della salvezza, di interpretare il valore sulle realtà create, di comprendere la missione della Chiesa, di compiere un giusto discernimento sugli eventi della nostra della nostra vita, di elaborare una teologia profetica, di difendere la dignità di ogni persona, di apprezzare le conquiste spirituali e di guardare alle realtà ultraterrene.
Commentando la Sacra Scrittura, i Padri della Chiesa insegnano che il peccato originale ha chiuso le porte dell’Eden e ha impedito all’uomo di entrarvi (Gn 3,23-14). Uscendo da questo mondo ed entrando con il vessillo della croce nel Paradiso, Gesù sbarra ogni impedimento al Regno celeste (Sal 107,16), spalanca l’ingresso alla conoscenza della grazia divina, indica la via d’acceso a Dio, spiega gli atti eroici di tanti cristiani e introduce nella sala del banchetto nuziale (Mt 25,1-13). Dipendendo dalla loro teologia, san Giovanni della Croce scrive: «Per entrare nelle ricchezze della divina sapienza la porta è la croce che è angusta, ma è di pochi il desiderio d’entrare in essa, mentre è di molti bramare i diletti a cui si giunge per suo mezzo» . Il Signore dirà a tutti coloro che lo hanno seguito sulla via stretta e angusta del Golgota: «Conosco le tue opere. Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere» (Ap 3,8).
 
 
 
La croce è segno di redenzione e d’appartenenza alla Chiesa

La croce evoca la potenza di Dio e la fragilità umana. Mostra la misericordia divina e la nostra crudeltà. Sintetizza i patimenti di Gesù e dei giusti. Collega la sconfitta mortale al dono di una nuova e migliore vita. Spiega in un certo modo il senso ultimo della nostra storia. Ci sollecita ad accogliere con entusiasmo il mistero della nostra redenzione.
Per non scordare il senso teologico, spirituale e redentivo di questo evento, la civiltà cristiana ha elaborato croci d’ogni forma e dimensione. Le ha decorate con una molteplicità di materiali pregiati: oro, argento e pietre preziose. Ha collocato le innumerevoli croci su luoghi visibili: altari, oggetti di culto, porte delle chiese, cuspidi dei campanili, cime dei monti, pareti pubbliche e private, viali residenziali, incroci stradali, stendardi di associazioni, bandiere nazionali, corone regali, sigilli personali, lapidi commemorative, immagini sacre, ex voto, stampe private, monete statali, bare funebri e tombe cimiteriali. Ha fondato confraternite che nelle processioni patronali sorreggono e fanno danzare i loro crocifissi di legno, intarsiati d’argento e ornati ai lati con metalli elaborati.
I vescovi e alcuni religiosi appendono sul petto una croce come segno d’identificazione, di giurisdizione, di consacrazione e di servizio. Parecchi fedeli laici portano sugli indumenti una croce quale segno di riconoscimento e di impegno battesimale. Episodio unico nella storia, i lituani, dissidenti alla dittatura comunista, hanno coperto una collina con fitte croci. Con questa iniziativa hanno affermato la loro identità religiosa e nazionale.
La croce più celebre è quella che Giovanni Paolo II ha affidato ai giovani di tutto il mondo nel Giubileo della Redenzione, celebrato nel 1984. Compiendo questo gesto, ha chiesto a loro di portarla ovunque e nella ricorrenza ventennale dell’assegnazione ha detto: «Continuate insieme a portare la Croce che vi affidai venti anni or sono» . Presa la croce del Pontefice, i giovani l’hanno trasferita nelle maggiori comunità cristiane dei continenti. Innalzata al centro delle grandi assemblee liturgiche, tutti hanno potuto guardarla e ricordarne il messaggio di speranza. Senza saperlo, hanno più o meno interiorizzato la preghiera di santa Veronica Giuliani: «O Dio! Se, con sentimento di cuore, noi penetrassimo un poco che cosa è croce, certo che di altro non si ragionerebbe, né altra industria si troverebbe che il vivere del tutto crocifisse» .
 
 

L’esposizione della croce nei luoghi pubblici

Gli uomini ricorrono generalmente ai simboli per qualificare la loro fede, la loro cultura e la loro appartenenza. Dispongono di luoghi dove raccogliersi in preghiera ed espletare i loro atti di culto. I cristiani scelgono il simbolo della croce, senza o con un crocifisso, per esprimere la propria conversione, identità, libertà, dignità e speranza. Deducono dalla croce gli universali valori dell’amore, della fedeltà, del perdono, dell’uguaglianza e del rispetto reciproco. Pongono la croce al centro della loro vita, della loro attività e della loro professione di fede. Collocano questo simbolo nei locali privati e nei luoghi pubblici, per favorire l’intesa, creare collaborazione senza minare il pluralismo, condannare la credenze delle minoranze, fomentare la divisione e soffocare la libertà altrui.
Molti contemporanei ritengono che la croce sia un simbolo scandaloso, sconcertante e turbante, perché Gesù domanda a tutte persone: «Mai voi, chi dite chi io sia?» (Mc 8,29). Credendo erroneo tributare alla croce un atto di venerazione, la tolgono dalle loro abitazioni e dagli oggetti personali oppure la riducono ad un elemento di ornamento, di sfoggio e di vanità. Arrivano anche alla pessima scelta di sostituirla con dei portafortuna come i segni zodiacali, il ferro di cavallo e il quadrifoglio. I gruppi satanici in crescita, si ornano di una croce rovesciata, celebrano messe nere, disprezzano i valori cristiani, propagano l’odio, aggrediscono qualsiasi, irrompono nelle chiese e vi distruggono gli oggetti di culto. Alcuni fondamentalisti islamici, contrari alla libertà personale, pretendono di espellere la croce dai nostri luoghi pubblici. In Francia hanno imposto perfino ad un contadino di toglierla dal suo campo di grano . Gli atei e gli agnostici più radicali smaniano la rimozione della croce, la cancellazione del cristianesimo, la riduzione della libertà religiosa e la promozione della secolarizzazione in tutta la società. Inscenano scaramucce contro la presenza di una croce. In Inghilterra la British Airwais ha minacciato di licenziare una hostess, se non toglieva la catenina con la croce. Un direttore di un ospedale inglese ha imposto ad una infermiera di deporre la collanina con il crocifisso, mentre compie le sue ore di lavoro in corsia . Non ci soffermiamo sulla complessa discussione giudiziaria, inerente ai crocifissi nelle scuole statali. La Chiesa sa benissimo che dove si ritira il simbolo della croce di Gesù Cristo, scompare maggiormente il senso della presenza di Dio e svanisce l’impegno di esternare un perfetto amore. Se rifiutiamo questo assioma, si stabilisce la crescita del disamore, della corruzione, dell’arrivismo, dello sfruttamento, della vendetta e dell’infelicità. Per impedire la totale rovina dell’umanità, con messaggi chiari e mirati la Chiesa raccomanda quindi che la croce e i simboli cristiani siano conservati e esibiti anche negli edifici pubblici.
 
 



 
 
 
 


Fonte : scritti e appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista) , e-mail: feliceartuso@katamail.com  .












Nessun commento:

Posta un commento

Post più popolari negli ultimi 30 giorni