mercoledì 23 ottobre 2019

Introduzione ai Doni dello Spirito Santo: Carità senza Doni e Carità con i Doni, di p. Ambroise Gardeil O.D.


Introduzione ai Doni dello Spirito Santo: 
Carità senza Doni e Carità con i Doni
di p. Ambroise Gardeil O.D.


L'esistenza, in ogni anima giusta, dei Doni dello Spirito Santo, è una verità universalmente ammessa nella Chiesa cattolica. Se nessuna definizione formale attribuisce loro una essenza distinta da quella delle virtù infuse, tuttavia il linguaggio della S. Scrittura e della maggior parte dei Padri, le preghiere della liturgia, l'accordo crescente dei teologi, la voce del popolo cristiano ce li presentano come perfezioni soprannaturali speciali, superiori alle virtù infuse, eccettuate le virtù teologali.
Ma qual è dunque l'ufficio dei Doni nell'economia della nostra vita spirituale? Questione interessante in supremo grado! Dalla sua soluzione dipende forse la cognizione delle più meravigliose tra le operazioni dello Spirito Santo nelle anime nostre, l'intelligenza dei nostri più alti doveri soprannaturali come dei più urgenti, e perfino, giacché Dio non ci giustifica senza di noi, il frutto e il felice successo di queste divine operazioni.
Con la scorta di S. Tommaso e del pio teologo che pare abbia penetrato più profondamente il suo pensiero su quest'argomento, Giovanni di S. Tommaso [teologo tomista portoghese (Lisbona 1589-Fraga 1644); prese in religione il nome a Sancto Thoma per devozione al santo italiano; è stato uno dei più famosi commentatori di San Tommaso d’Aquino], noi cercheremo di renderci conto dell'ufficio dei Doni nell'anima fedele, Divideremo questo studio in due parti: 1° Quello che sarebbe la Carità senza i Doni; 2° Quello che è la Carità con i Doni.

CHE COSA SAREBBE LA CARITA' SENZA I DONI.
Vere tu es Deus absconditus, Deus Israel Salvator.
(Isaia 45,15)
In questa parola: Carità, noi troviamo concentrata tutta la nostra psicologia soprannaturale. Per la grazia santificante Iddio abita in noi e si fa ospite dell’anima nostra. Per le virtù morali infuse egli si assoggetta la nostra attività giornaliera. La virtù teologale della carità è come il punto di penetrazione per il quale Dio, già residente nell'essenza dell'anima, invade le sue potenze, il centro donde Egli dirige le operazioni delle virtù infuse. E' dal cuore che Dio comincia la divinizzazione del nostro intelletto e della nostra volontà, perché il cuore contiene in sé adunato tutto quello che si spiega nell'attività dell'uomo. Le virtù infuse non faranno altro che particolareggiare il bene che la carità ha posto nel suo cuore. La carità, punto di contatto della grazia con i comportamenti, focolare di tutta la psicologia soprannaturale, incarna, direi, tutto quanto l'ordine soprannaturale.
A prima vista, tuttavia, la carità rassomiglia a tutte le virtù infuse. E', come esse, un abito soprannaturale. L'abito, nell'ordine naturale, nasce dall’esercizio ripetuto degli atti, e le virtù naturali s'acquistano mediante lo esercizio degli atti moralmente buoni. Le virtù soprannaturali, all'opposto, sono stabilite d'un tratto nelle nostre facoltà. Dio, infinitamente potente, fa a meno dell’attività umana, la quale in ciò non può nulla, e inserisce come degli innesti divini nel tronco selvatico che gli presenta la nostra natura. La virtù infusa, sostenuta nell’essere dalla facoltà di cui essa aspira il succo, trasforma l'attività di essa. Dà alla nostra cognizione e alla nostra volontà il potere di portarsi verso un bene divino. E, siccome è proprietà dell'abito l'essere a disposizione dell'umana volontà, di modo che il suo fortunato possessore può usarne quando vuole, così farà egli della virtù infusa. Noi facciamo uso, come a volontà, della presenza di Dio in noi e della comunicazione ch'Egli ci dà della sua propria vita.
Ma la carità supera tutte le altre virtù in ciò che essa è l'effetto proprio dello Spirito Santo. Tutta la SS. Trinità abita nell'anima nostra per la grazia. Lo Spirito Santo, che è amore, trova la dimora appropriata nel cuore dell'uomo, e la carità effettua quest'abitazione. Ecco il senso profondo di queste parole di S. Paolo: L'amor di Dio è stato diffuso nelle anime nostre dallo Spirito Santo che ci fu dato [La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Romani 5,5)]. Lo Spirito Santo non produce l'amore di Dio in noi come un agente esterno, che diventa estraneo quando ha finito di agire, ma lo produce come una causa interna che risiede in quest'amore, perché egli ci fu dato, dice l'Apostolo. La sua attività è come quella di un'anima sempre presente a quello ch'essa fa e che la sua operazione non abbandona mai. Quando il giusto ama Dio, non agisce da solo; ma in fondo al suo cuore ha lo Spirito di Dio, ed è questo Spirito che gli fa dire, con tutta verità e con ogni efficacia, il nome dell'amor filiale: Padre mio!
Dunque il cuore dell'uomo per mezzo della carità è pienamente rettificato di fronte a Dio, nostro ultimo fine. Ma l'ordine delle cose esige che il cuore irradii in tutta la nostra attività. Difatti le virtù infuse operano tutte sotto l'influsso dell'amor divino: fede e speranza, prudenza e giustizia, fortezza e temperanza. Vale a dire, lo Spirito di Dio, anima della nostra carità, trova in queste virtù come i canali per i quali, in tutte le parti dell'uomo, intelletto, volontà, e perfino nelle stesse passioni, si espande l'amore ch'egli ispira al cuore del giusto. «Benedici il Signore, o anima mia - dice il profeta ispirato dallo Spirito Santo - o potenze dell'anima mia, benedite tutte il suo santo nome» [Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome (Salmi 102,1)].
Qui si presenta una questione la cui soluzione ci condurrà a riconoscere l'ufficio dei Doni dello Spirito Santo. In qual modo lo Spirito Santo, presente nei nostri cuori per la carità, opera sopra la nostra psicologia intima? In quest'espansione segue egli le leggi del suo essere, oppure si piega alle nostre leggi? Il suo intervento nel nostro operare è una semplice sopraelevazione della nostra attività psicologica, oppure è un'irradiazione di ciò che vorrei mi si permettesse di chiamare sua divina psicologia? Lo Spirito Santo, presente nel nostro cuore, è il sole radioso i cui raggi attraversano vittoriosamente le fitte nubi, e la cui virtù va, direttamente e per se stessa, a vivificare tutti gli esseri? Oppure, prigioniero benefico, s'avvolge, come d'una nube, delle forme proprie dell'operare umano?
E' permesso di applicare a una materia così alta i principii e le leggi che reggono l'ordine della natura? Sì certamente, Poiché nel caso presente, come in tanti altri, S. Tommaso così ha fatto. Ardimento sublime di questa mente salda fra tutte: a lui non s'affacciò mai il pensiero che l'ordine soprannaturale fosse opposto all'ordine naturale. Egli non esitò mai a trasferire nel primo i concetti del secondo, facendo subir loro soltanto le modificazioni che la perfezione del loro nuovo stato esigeva. Ecco perché dobbiamo rispondere subito che, essendo la carità e le virtù infuse realmente e propriamente virtù attive, e le virtù attive essendo essenzialmente perfezioni delle potenze attive umane, lo Spirito Santo, che risiede nella carità, opera in noi nel modo delle virtù umane, e si piega alla maniera di operare delle nostre facoltà umane.
Il giusto, arricchito delle virtù soprannaturali, resta pertanto il vero e principale autore delle sue operazioni soprannaturali. E' veramente lui che dirige i movimenti del suo intelletto e del suo cuore; la sua ragione rimane alla testa di tutta la sua psicologia soprannaturale. Lo Spirito Santo, per mezzo delle virtù, si è diffuso nelle sue potenze, fortemente ma soavemente, come un fuoco riscalda insensibilmente il cuore, come una luce segreta rischiara senza manifestare la sorgente donde emana, come un olio scorre sulle membra, ammorbidisce le articolazioni e fortifica le giunture: «Fons vivus, ignis, charitas et spiritalis unctio». Nulla è cambiato nel funzionamento ordinario del nostro mondo intimo, sebbene tutto sia cambiato dal lato dello scopo a cui tende d'ora innanzi la nostra attività, e del vigore col quale noi vi aspiriamo. Tal è l'ufficio dello Spirito Santo, finché la sua azione si esercita mediante le virtù. Egli viene a noi come Dio, ma come «DIO NASCOSTO», secondo che si esprime la S. Scrittura.
Da ciò proviene l'oscurità della nostra fede. In questa vita, non possiamo avere l'intuizione diretta delle essenze, e, se ce n'è una che superi il nostro intelletto, è veramente l'essenza di Dio, la cui contemplazione ed amore sono il fine stesso di tutto l'ordine soprannaturale. La Rivelazione istruisce il nostro intelletto circa le verità che riguardano questa essenza, affinché, conoscendola, noi possiamo desiderarla; ma la nostra ragione riceve da cieca questa rivelazione, certificata per altro dall'udito, vale a dire dalla testimonianza di Dio che non inganna né s'inganna. Dalla fede procedono la speranza e l'amore soprannaturale, che non sono altro che il nostro cuore applicato abitualmente ad amare il bene divino rivelato dalla fede. Così la stessa carità, tutta ripiena dello Spirito Santo che l'anima, e come inclinata da questo peso, che la trascina con l'onnipotenza dell'amore che Dio ha per sé, si lascia regolare dal conoscimento oscuro della fede. Lo Spirito Santo è come prigioniero delle imperfezioni dell'amore che egli c'ispira. Tanto grande è il rispetto che la Provvidenza ha per la nostra libertà, tanto è palese il suo disegno di lasciarci, almeno nel cammino abituale della nostra vita, il merito della nostra giustificazione!
Se le virtù teologali si vedono regolate dal modo di intendere, ristretto e limitato, che è proprio dell'uomo, tanto più sarà lo stesso delle virtù morali infuse. Ora la natura ragionevole dell'uomo colloca la perfezione dei suoi costumi in un giusto mezzo, ugualmente lontano dagli estremi per eccesso e per difetto, i quali possono incontrarsi nella materia della sua attività, azioni esterne o passioni interne. L'altezza del fine soprannaturale può rialzare il livello di questo giusto mezzo, ma non potrebbe impedirgli di consistere in un adattamento delle azioni e delle passioni al fine soprannaturale, adattamento che richiede la riduzione degli eccessi possibili di queste azioni e di queste passioni umane alla giusta proporzione che le rende atte a raggiungere il loro scopo. Trovare questo giusto mezzo relativamente allo scopo divino additato dalla Fede, desiderato dalla Speranza, voluto dalla Carità, ecco l'ufficio della Prudenza infusa. Effettuare il giusto mezzo determinato dalla Prudenza infusa nel dominio delle azioni volontarie e delle passioni dell'irascibile e del concupiscibile, tale sarà l'ufficio delle virtù infuse della giustizia, della fortezza, della temperanza. Anche qui lo Spirito Santo infiltra, per così dire, lo splendore della sua azione. Tutto il nostro ordine morale pratico è regolato dalla prudenza, come l'ordine della coscienza e delle intenzioni era regolato dalla fede.
Oscurità e giusto mezzo, ecco dunque i veli umani sotto i quali si nasconde l'azione dello Spirito di Dio! Certamente quest'azione segreta è infinitamente preziosa per noi cui essa ordina al fine soprannaturale, a cui dà abitualmente i mezzi di tendere a questo fine. Ma lo Spirito Santo che s'induce ad abitare in noi, non andrà egli sino alla fine dell'opera sua? Perché, spezzando l'uniformità del regime delle virtù, non penetrerebbe da Padrone nell'anima del giusto suo servitore? Perché, senz'andare contro la fede o contro la prudenza, ma oltrepassandole, il suo Intelletto e il suo Cuore, operando secondo il modo loro proprio, non diventerebbero, almeno qualche volta, il regolatore immediato delle nostre azioni?
Poiché nel giorno della creazione del mondo non bastò allo Spirito di Dio lasciarsi portare sopra le acque, esplodano dunque anche nella creazione soprannaturale i fiat trionfanti, spuntino i nuovi sette giorni, e i Doni, come un radioso arcobaleno, segnino sopra la fronte del giusto il progresso della nuova opera divina! Veni Creator Spiritus.

II
CHE COSA E' LA CARITA' CON I DONI.
Ut sit Deus omnia in omnibus.
(1 Corinzi
15, 28.)
Lo Spirito Santo, regola intima, immediata e come omogenea della nostra attività soprannaturale, ecco l'ideale che oramai si offre alle aspirazioni del giusto. Ma appena lo ha egli concepito, la sua fede stessa l'obbliga non a sopprimerne, ma a limitarne l'estensione. Se lo stesso intelletto divino diventasse il regolatore prossimo della nostra attività intima, ciò non potrebbe avvenire se non svelandoci l'essere di Dio che è il suo oggetto. Ora è a noi vietato sopra la terra di aspirare a queste chiarezze riservate alla vita futura. Senza voler parlare di ciò che avverrà in cielo, Dio, come luce intellettuale, non potrebbe quaggiù regolare immediatamente il nostro mondo morale: egli interverrà nella nostra vita mediante un influsso motore, e, se a volte l'effetto di questo intervento è l'espressione della sua vita intellettuale, nondimeno produrrà in noi questi effetti di luce sotto la forma estranea di un'attività impulsiva e pur tuttavia oscura, sotto la forma d'un istinto segreto. La fede, regola della carità, resta dunque la luce direttiva degli interventi divini, per quanto siano essi illuminatori (1).
Ma è possibile questo influsso diretto di Dio sulla nostra attività interiore? E se niente vi si oppone, esiste esso? E se esiste, a quali condizioni si verifica? Altrettante questioni che si presentano. La loro soluzione ci illuminerà sull'ufficio dei Doni nella nostra vita mistica.
1° Sembra a tutta prima che il carattere positivo della morale aristotelica, trasferita da S. Tommaso nell'ordine soprannaturale, debba interdire ogni intervento diretto di un mondo superiore. Che cosa diventerebbe il giusto mezzo nel quale consiste la moralità, se la Prudenza cedesse il suo posto alle mozioni sovrane delle sostanze separate? Non si cadrebbe forse in un mondo immaginario, simile a quello di Platone, tutto quanto sotto l'impero immediato delle Idee e delle Cause esemplari?
Ma che cosa si deve pensare, se Aristotele, avversario risoluto di Platone su questo argomento, fece egli stesso il passo? se, per spiegare senza dubbio certi uomini che si presentavano a lui come problemi, il tardo discepolo di Socrate, il precettore d'Alessandro, l'emulo di Platone, l'ammiratore di Fidia, non s'attenne ai principi ordinari e intrinseci del carattere umano? se, oltrepassando la ragione, giunse a domandare la spiegazione di questi uomini divini alla Divinità stessa? Nella sua Morale a Nicomaco, Aristotele parla di un modo di essere superiore alla natura umana, di una virtù eroica che rende l'uomo per così dire divino. Egli ripiglia questo pensiero nella Morale a Eudemo, nel capitolo della Fortuna. Vi sono degli uomini a cui tutto riesce senza che la scienza o la prudenza c'entri per nulla. Come spiegare questo fatto? «E' un chiedersi - dice Aristotele - qual è nell'anima il principio del movimento. E’ chiaro che è il principio del movimento del mondo: un dio... Il principio della ragione non è la ragione, ma qualcosa di meglio. Ma che cosa di meglio della ragione se non è il divino? Non è la virtù, la quale è lo strumento della ragione...; non è la stessa ragione, perché gli uomini di cui parlo non ne fanno uso; non è neppure l'entusiasmo. Dunque senza ragione sono essi quello che sono... Sembra che quanto più la ragione è assente, tanto maggiore azione abbia il principio che li guida: così i ciechi hanno più memoria, liberi come sono da ciò che distrae» (Etica Eudemia, VIII, 2, 1248 a-b).
Così, per Aristotele, una straordinaria fortuna, una virtù eroica, il genio, sono dovuti a influssi speciali e diretti della Divinità, ragione suprema di cui la ragione umana non è che una modesta partecipazione. Con ciò appunto egli supplisce all'umile grado razionale della morale del giusto mezzo; con ciò il suo sistema risponde alle difficoltà che gli avrebbero suscitato, da parte dei platonici, certi caratteri eccezionali, certe personificazioni superiori dell'umanità, venute fuori delle regole comuni. Aveva egli forse provato in sé per il primo le impressioni del Primo Intelletto? e, se ne parlò così divinamente, è forse perché aveva prima sentito i suoi divini impulsi?
Ora che cosa sono Socrate, Alessandro, Platone, Fidia, Aristotele, sotto l'aspetto del contatto con la Divinità, in confronto del Giusto riformato dalla grazia? Se volete risposte sublimi e che rischiarino come lampi le profondità tenebrose della vostra coscienza tormentata, anziché Socrate, interrogate dunque quel bambino che ha or ora fatto la prima comunione. Se un ideale glorioso vi riempie di entusiasmo, e vivete di un sogno di conquista, lasciate lì il vostro Plutarco e chiedete a quel giovane, dallo sguardo limpido e casto, il segreto delle sue eroiche vittorie. Non interrogate Platone sulla vita d'Oltre Tomba; egli sottolineerà le sue sublimi rivelazioni con un sorriso enigmatico, pieno d'ironia a suo proprio riguardo: ma andate a trovare quella donnicciola, che ha interrotto la sua dura fatica per entrare in chiesa, ed ella saprà dirvi se vi è un Cielo e che cosa vi si fa. Se vi occorrono opere d'arte, non passeranno forse avanti a Fidia quelli che modellano in un'argilla umana la rassomiglianza della faccia stessa di Dio? Se Aristotele ci appare grande per essersi elevato due volte fino alla cognizione del contatto diretto dell'anima con la Divinità, che cosa è ciò in confronto dello stato d'anima ordinario d'un S. Agostino, d'un S. Tommaso?
Infatti, per la grazia, la Divinità abita nell'anima del giusto. Se vi è un terreno preparato per l'azione diretta della Divinità, è questo certamente! Il giusto è il soggetto naturale della virtù eroica, l'uomo predestinato ai tocchi del genio, l'oggetto indicato dei favori divini. Non reca dunque meraviglia che S. Tommaso, ispirandosi al Filosofo, abbia giudicato possibile che Dio, ragione della nostra ragione, si faccia la regola immediata e l'ispiratore dell'attività soprannaturale.
2° Come si può sapere se di fatto lo Spirito Santo si sostituisce al normale regolatore della nostra vita soprannaturale? Per illuminarci noi non abbiamo che un sol mezzo: la parola di Dio. L'ordine soprannaturale è gratuito in tutti i suoi gradi, e le più alte ragioni di convenienza non valgono una semplice parola detta da Dio.
Questa parola, noi l'abbiamo nella S. Scrittura. Già abbiamo accertato la fede della Chiesa nell'esistenza dei doni speciali, distinti, superiori alle virtù infuse. La S. Scrittura ci dà il tratto caratteristico di questi doni. Sono soffi, ispirazioni, spiritus. Così sta scritto a proposito del Messia al capitolo undicesimo d'Isaia: Sopra di Lui riposerà lo spirito d'Adonai, lo spirito della Sapienza e dell'Intelletto, lo spirito del Consiglio e della Fortezza, lo spirito della Scienza e della Pietà, e lo spirito del Timore del Signore lo riempirà (2). «Questo linguaggio, che è abituale alla Scrittura, non è forse manifesto - dice S. Tommaso - e non dà forse a intendere che questi sette doni sono in noi per l'ispirazione divina?». Difatti non passa differenza notevole tra questa ispirazione che la Scrittura ci garantisce e l'impulso istintivo verso il bene di quelli di cui parla Aristotele. L'autorità della parola di Dio va incontro alle vedute audaci del Filosofo; e dice: ispirazione divina, là dove Aristotele aveva detto: istinto divino. E come riscontro caratterizzerà lo stato della ragione che corrisponde all'istinto divino con la parola follia, stultitiam, quando Aristotele nel medesimo luogo lo chiamava irrazionale. Donde può derivare un tale accordo? Forse dal fatto che la stessa Divinità che ispirava il profeta Isaia ispirava pure il filosofo di Stagira! Ad ogni modo spettava a S. Tommaso d'Aquino, testimonio della corrispondenza dei due testi, di trarne la dottrina che è come il punto culminante e l'apogeo della sua morale soprannaturale.
3° In quali condizioni si opera questo intervento divino? La nostra attività morale soprannaturale ci appare ormai sotto la dipendenza di due principii regolatori: la ragione, perfezionata dalla fede, e lo Spirito Santo. Questi due principii sono in armonia, poiché la ragione divina è la causa della nostra ragione. Essi operano tuttavia ciascuno secondo il suo modo, ed ecco perché, in presenza dell'operazione divina, la ragione sospende la sua attività. Essa viene sostituita da un principio migliore ch'essa medesima.
Ma qui si presenta una questione. Lo Spirito Santo abita in noi per la grazia, come la ragione per la natura. Sotto l'aspetto della potenza di agire sul nostro organismo psicologico, - se noi ci atteniamo ai dati che fin qui abbiamo esposto, - sembrerebbe che la ragione abbia il sopravvento sullo Spirito Santo. Difatti abbiamo veduto che la ragione, per l'esercizio degli atti, s'era creata, in tutte le parti dell'organismo psicologico, come degli aiuti permanenti, che le permettono di regolare a volontà, facilmente tutte le potenze e le dànno, per così dire, entrata libera in tutto il nostro mondo interno, cioè le virtù morali. Ora, senza dubbio, la Spirito Santo è onnipotente. E non ha bisogno di disposizioni preesistenti per operare. Egli crea per il fatto che opera. Dal canto suo dunque tutto è perfetto, ma dal canto nostro?
Qui sembra che S. Tommaso superi definitivamente Aristotele. Questi aveva ricusato di riconoscere una base permanente all'azione speciale del Divino nella natura dell'uomo. Tutto il fondamento della Fortuna, per lui, risiedeva nelle attenzioni particolari e costanti della Divinità. Ma S. Tommaso si trova di fronte ad un uomo già posseduto dalla Divinità, nel quale la Divinità risiede allo stato abituale, del quale la Divinità è come l'anima. Proprio dell'anima è far sorgere, nell'essere ch'essa vivifica, tutti gli organi di cui ha bisogno. Perché dunque la carità non porterebbe con sé perfezioni, abiti, analoghi a quelli che alla ragione rendono così facile l'entrata del nostro mondo morale? Bisognerà forse ricusare al giusto quello che la natura accorda all'uomo? L'ordine soprannaturale sarà meno compiuto dell'ordine naturale? Dio certamente non ha bisogno di questi punti d'appoggio per mettere in azione la mia vita; ma io, io ho bisogno ch’egli li abbia, se devo essere perfetto nell'ordine delle mozioni divine, quanto nell'ordine delle mozioni razionali. Bisogna che le ispirazioni dello Spirito Santo siano in me allo stato d'abito, come i dettami della ragione sono in me allo stato d'abito. Io voglio cedere a Dio che invade l'anima mia, non violentemente e come forzato, ma voglio cedergli come il virtuoso cede alla sua ragione, volontariamente, facilmente, con l'agevolezza che l'abito solo può dare. Voglio poter dire con il profeta: Il Signore m'ha aperto l’orecchio ed io non mi sono rifiutato; non ritorno indietro [Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: «Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto, che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore» (Salmi 39, 7-9)].
S. Tommaso risponde con una parola: Le ispirazioni dello Spirito Santo sono chiamate Doni, non solo perché Dio le causa, ma ancora perché costituiscono perfezioni che rendono l'uomo facilmente influenzabile all'ispirazione divina, analoghe a quelle che lo dispongono a ricevere la mozione della ragione rispetto alle sue azioni ordinarie. Come se dicesse: Se gli interventi diretti dello Spirito Santo nel governo dell’anima nostra fossero altrettanti atti spontanei e come dei decreti proprio motu dello Spirito Santo, non avrebbero più quel carattere permanente, definitivo, che implica la parola dono. I doni di Dio non saranno essi senza pentimento come i doni dell'uomo? Bisogna pertanto che lo Spirito non solo ci sia dato, vale la dire, sia allo stato abituale nell'anima nostra, ma che anche le sue ispirazioni ci siano date e formino uno degli abiti dell'anima nostra. Come ciò? Noi non potremmo essere il principio attivo di queste ispirazioni: non sarebbero più le ispirazioni dello Spirito Santo. Resta che noi ne siamo i principii passivi, vale a dire che i doni ci mettono in modo abituale sotto la loro dipendenza, e che, per mezzo loro, abbiamo come un diritto permanente e come un pegno sul soffio dello Spirito.
Ammirabile concezione dell'Angelico Dottore! Tutta la dottrina dei doni, per lui, si riassume in queste due parole: Spiritus, dona. Come soffi dello Spirito Santo, i doni richiedono l'autonomia del loro principio. Come doni le ispirazioni dello Spirito Santo hanno un punto d'appoggio abituale nelle anime nostre. Certamente bisogna che una grazia attuale susciti in noi la volontà di far uso del dono. Ma le grazie attuali sono la respirazione dell'anima giusta e che prega. Che Dio ci dia la volontà di usare del dono, nuovo abito dell'anima, e lo Spirito Santo, come chiamato in soccorso, discende. Lo Spirito Santo è a nostro servizio, Utimur Spiritu Sancto, dicono con una parola energica i teologi. In realtà è lo Spirito Santo che si serve di noi con tutta l'indipendenza del suo modo di operare, ma noi, prevenuti dalla grazia, determiniamo l'istante in cui egli s'impadronisce di noi come d'uno strumento. Figuratevi un fanciullo che riceve in uno specchio l'immagine del sole, che quindi può maneggiare a suo piacimento. Egli non possiede la sorgente da cui essa emana, eppure la sorgente è come a suo servizio ed egli se ne serve per far penetrare i raggi dell'astro radioso in luoghi che sfuggivano alla sua azione diretta, pur essendo rischiarati dai raggi più pallidi della luce diffusa. Tale ci appare il figlio di Dio ornato dei doni. Per mezzo loro Iddio irradia liberamente attraverso tutta la sua vita morale e soprannaturale, illuminata prima dalla pacifica luce delle virtù. Che felice sorte è la sua! Et nox illuminatio mea in deliciis meis [ et dixi forsitan tenebrae conculcabunt me et nox inluminatio in deliciis meis quia tenebrae non obscurabuntur a te et nox sicut dies inluminabitur sicut tenebrae eius ita et lumen eius (Salmi 138,11-12)]. Passivo di fronte allo Spirito Santo, egli possiede a sua volta lo Spirito Santo e usa dell'influsso del suo ospite, schiavo e libero ad un tempo. Ubi Spiritus Dei, ibi libertas [ Dominus autem Spiritus est, ubi autem Spiritus Domini ibi libertas (2 Corinzi 3,17)]; Qui Spiritu aguntur, hi sunt filii Dei [quicumque enim Spiritu Dei aguntur hi filii sunt Dei (Romani 8,14)] Tal è la strana antinomia della quale il dono ci appare la divina soluzione.
Oramai sappiamo che cosa è la Carità con i doni. Non è più quel dolce calore, quel fervore delle virtù che s'insinuava segretamente or ora nel nostro organismo morale, e che prendeva le forme della nostra ragione e del nostro amore umano. Ma è il focolare ardente, che fa risplendere il suo involucro, e che irradia come il sole; è la luce del volto del nostro Dio risplendente nell’irradiamento a sette raggi che è a lui proprio: Sì, è proprio lui...! è lo splendore stesso della tua fisionomia, o Santo Spirito. E questa luce s'arresta sopra di noi. Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine [signatum est super nos lumen vultus tui Domine, dedisti laetitiam in corde meo (Salmi 4,7)]. Essa non è più solamente interna; ma è segnata di fuori, signatum est super nos. Non ancora nell'atto di illuminare la nostra fronte, di affascinare il nostro sguardo, come nella visione del Cielo, ma nell'atto di avvolgere il nostro cuore. Il nostro cuore è come un sole i cui raggi, incessantemente posti in moto e rinnovati dall'azione dello Spirito Santo, vengono a rischiarare tutto il nostro mondo interno, verità, amore, speranza, giustizia, passioni, tutto, affinché Dio regni direttamente e a suo modo sopra ogni cosa. Ut sit Deus omnia in omnibus [ cum autem subiecta fuerint illi omnia, tunc ipse Filius subiectus erit illi qui sibi subiecit omnia, ut sit Deus omnia in omnibus (1 Corinzi 15,28)] (3). Tal è l'ufficio dei doni nella dottrina di S. Tommaso. Donde attinse dunque il Dottore Angelico questo insegnamento sublime quanto originale? Il pittore del Medioevo, [sono “troppi” i pittori (alcuni anonimi) che hanno raffigurato S. Tommaso, è arduo indovinare a quale alluda il p. Gardeil] non s'era ingannato: volle rappresentare il santo Dottore, con lo sguardo positivo, calmo, sereno del Peripatetico, perché l'ora della visione non era ancora scoccata, ma dal suo petto sfugge un fascio risplendente, come se la divina carità che gli riempie il cuore non potesse più nascondere il focolare che esso imprigiona: è lo Spirito Santo che, con i doni, fa irruzione in questo divino genio. La locuzione latina Deus, ecce deus, (tradotta letteralmente significa il Dio, ecco il Dio) proviene dall’Eneide (VI,46) di Virgilio; è l'esclamazione della Sibilla Cumana quando si sente invasa dall'influenza profetica del dio Apollo; nell'uso corrente simboleggia l’ispirazione poetica, come dire: ecco l’ispirazione, ecco l’estro poetico].



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