Introduzione ai Doni dello Spirito Santo:
Carità senza Doni e Carità con i Doni
di p. Ambroise Gardeil O.D.
L'esistenza, in ogni anima giusta, dei Doni dello Spirito Santo,
è una verità universalmente ammessa nella Chiesa cattolica. Se nessuna
definizione formale attribuisce loro una essenza distinta da quella
delle virtù infuse, tuttavia il linguaggio della S. Scrittura e della
maggior parte dei Padri, le preghiere della liturgia, l'accordo
crescente dei teologi, la voce del popolo cristiano ce li presentano
come perfezioni soprannaturali speciali, superiori alle virtù infuse,
eccettuate le virtù teologali.
Ma qual è dunque l'ufficio dei Doni nell'economia della nostra
vita spirituale? Questione interessante in supremo grado! Dalla sua
soluzione dipende forse la cognizione delle più meravigliose tra le
operazioni dello Spirito Santo nelle anime nostre, l'intelligenza dei
nostri più alti doveri soprannaturali come dei più urgenti, e perfino,
giacché Dio non ci giustifica senza di noi, il frutto e il felice
successo di queste divine operazioni.
Con la scorta di S. Tommaso e del pio teologo che pare abbia
penetrato più profondamente il suo pensiero su quest'argomento, Giovanni
di S. Tommaso [teologo tomista portoghese (Lisbona 1589-Fraga 1644);
prese in religione il nome a Sancto Thoma per devozione al santo
italiano; è stato uno dei più famosi commentatori di San Tommaso
d’Aquino], noi cercheremo di renderci conto dell'ufficio dei Doni
nell'anima fedele, Divideremo questo studio in due parti: 1° Quello
che sarebbe la Carità senza i Doni; 2° Quello che è la Carità con
i Doni.
CHE COSA SAREBBE LA CARITA' SENZA I DONI.
Vere tu es Deus absconditus, Deus Israel Salvator.
(Isaia 45,15)
(Isaia 45,15)
In questa parola: Carità, noi troviamo concentrata tutta
la nostra psicologia soprannaturale. Per la grazia santificante Iddio
abita in noi e si fa ospite dell’anima nostra. Per le virtù morali
infuse egli si assoggetta la nostra attività giornaliera. La virtù
teologale della carità è come il punto di penetrazione per il quale Dio,
già residente nell'essenza dell'anima, invade le sue potenze, il centro
donde Egli dirige le operazioni delle virtù infuse. E' dal cuore che Dio
comincia la divinizzazione del nostro intelletto e della nostra volontà,
perché il cuore contiene in sé adunato tutto quello che si spiega
nell'attività dell'uomo. Le virtù infuse non faranno altro che
particolareggiare il bene che la carità ha posto nel suo cuore. La
carità, punto di contatto della grazia con i comportamenti, focolare di
tutta la psicologia soprannaturale, incarna, direi, tutto quanto
l'ordine soprannaturale.
A prima vista, tuttavia, la carità rassomiglia a tutte le virtù
infuse. E', come esse, un abito soprannaturale. L'abito, nell'ordine
naturale, nasce dall’esercizio ripetuto degli atti, e le virtù naturali
s'acquistano mediante lo esercizio degli atti moralmente buoni. Le virtù
soprannaturali, all'opposto, sono stabilite d'un tratto nelle nostre
facoltà. Dio, infinitamente potente, fa a meno dell’attività umana, la
quale in ciò non può nulla, e inserisce come degli innesti divini nel
tronco selvatico che gli presenta la nostra natura. La virtù infusa,
sostenuta nell’essere dalla facoltà di cui essa aspira il succo,
trasforma l'attività di essa. Dà alla nostra cognizione e alla nostra
volontà il potere di portarsi verso un bene divino. E, siccome è
proprietà dell'abito l'essere a disposizione dell'umana volontà, di modo
che il suo fortunato possessore può usarne quando vuole, così farà egli
della virtù infusa. Noi facciamo uso, come a volontà, della presenza di
Dio in noi e della comunicazione ch'Egli ci dà della sua propria vita.
Ma la carità supera tutte le altre virtù in ciò che essa è
l'effetto proprio dello Spirito Santo. Tutta la SS. Trinità abita
nell'anima nostra per la grazia. Lo Spirito Santo, che è amore, trova la
dimora appropriata nel cuore dell'uomo, e la carità effettua
quest'abitazione. Ecco il senso profondo di queste parole di S. Paolo:
L'amor di Dio è stato diffuso nelle anime nostre dallo Spirito Santo
che ci fu dato [La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è
stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è
stato dato (Romani 5,5)]. Lo
Spirito Santo non produce l'amore di Dio in noi come un agente esterno,
che diventa estraneo quando ha finito di agire, ma lo produce come una
causa interna che risiede in quest'amore, perché egli ci fu dato, dice
l'Apostolo. La sua attività è come quella di un'anima sempre presente a
quello ch'essa fa e che la sua operazione non abbandona mai. Quando il
giusto ama Dio, non agisce da solo; ma in fondo al suo cuore ha lo
Spirito di Dio, ed è questo Spirito che gli fa dire, con tutta verità e
con ogni efficacia, il nome dell'amor filiale: Padre mio!
Dunque il cuore dell'uomo per mezzo della carità è pienamente
rettificato di fronte a Dio, nostro ultimo fine. Ma l'ordine delle cose
esige che il cuore irradii in tutta la nostra attività. Difatti le virtù
infuse operano tutte sotto l'influsso dell'amor divino: fede e speranza,
prudenza e giustizia, fortezza e temperanza. Vale a dire, lo Spirito di
Dio, anima della nostra carità, trova in queste virtù come i canali per
i quali, in tutte le parti dell'uomo, intelletto, volontà, e perfino
nelle stesse passioni, si espande l'amore ch'egli ispira al cuore del
giusto. «Benedici il Signore, o anima mia - dice il profeta ispirato
dallo Spirito Santo - o potenze dell'anima mia, benedite tutte il suo
santo nome» [Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il
suo santo nome (Salmi 102,1)].
Qui si presenta una questione la cui soluzione ci condurrà a
riconoscere l'ufficio dei Doni dello Spirito Santo. In qual modo lo
Spirito Santo, presente nei nostri cuori per la carità, opera sopra la
nostra psicologia intima? In quest'espansione segue egli le leggi del
suo essere, oppure si piega alle nostre leggi? Il suo intervento nel
nostro operare è una semplice sopraelevazione della nostra attività
psicologica, oppure è un'irradiazione di ciò che vorrei mi si
permettesse di chiamare sua divina psicologia? Lo Spirito Santo,
presente nel nostro cuore, è il sole radioso i cui raggi attraversano
vittoriosamente le fitte nubi, e la cui virtù va, direttamente e per se
stessa, a vivificare tutti gli esseri? Oppure, prigioniero benefico,
s'avvolge, come d'una nube, delle forme proprie dell'operare umano?
E' permesso di applicare a una materia così alta i principii e le
leggi che reggono l'ordine della natura? Sì certamente, Poiché nel caso
presente, come in tanti altri, S. Tommaso così ha fatto. Ardimento
sublime di questa mente salda fra tutte: a lui non s'affacciò mai il
pensiero che l'ordine soprannaturale fosse opposto all'ordine naturale.
Egli non esitò mai a trasferire nel primo i concetti del secondo,
facendo subir loro soltanto le modificazioni che la perfezione del loro
nuovo stato esigeva. Ecco perché dobbiamo rispondere subito che, essendo
la carità e le virtù infuse realmente e propriamente virtù attive, e le
virtù attive essendo essenzialmente perfezioni delle potenze attive
umane, lo Spirito Santo, che risiede nella carità, opera in noi nel modo
delle virtù umane, e si piega alla maniera di operare delle nostre
facoltà umane.
Il giusto, arricchito delle virtù soprannaturali, resta pertanto
il vero e principale autore delle sue operazioni soprannaturali. E'
veramente lui che dirige i movimenti del suo intelletto e del suo cuore;
la sua ragione rimane alla testa di tutta la sua psicologia
soprannaturale. Lo Spirito Santo, per mezzo delle virtù, si è diffuso
nelle sue potenze, fortemente ma soavemente, come un fuoco riscalda
insensibilmente il cuore, come una luce segreta rischiara senza
manifestare la sorgente donde emana, come un olio scorre sulle membra,
ammorbidisce le articolazioni e fortifica le giunture: «Fons vivus,
ignis, charitas et spiritalis unctio». Nulla è cambiato nel
funzionamento ordinario del nostro mondo intimo, sebbene tutto sia
cambiato dal lato dello scopo a cui tende d'ora innanzi la nostra
attività, e del vigore col quale noi vi aspiriamo. Tal è l'ufficio dello
Spirito Santo, finché la sua azione si esercita mediante le virtù. Egli
viene a noi come Dio, ma come «DIO NASCOSTO», secondo che si esprime la
S. Scrittura.
Da ciò proviene l'oscurità della nostra fede. In questa vita, non
possiamo avere l'intuizione diretta delle essenze, e, se ce n'è una che
superi il nostro intelletto, è veramente l'essenza di Dio, la cui
contemplazione ed amore sono il fine stesso di tutto l'ordine
soprannaturale. La Rivelazione istruisce il nostro intelletto circa le
verità che riguardano questa essenza, affinché, conoscendola, noi
possiamo desiderarla; ma la nostra ragione riceve da cieca questa
rivelazione, certificata per altro dall'udito, vale a dire dalla
testimonianza di Dio che non inganna né s'inganna. Dalla fede procedono
la speranza e l'amore soprannaturale, che non sono altro che il nostro
cuore applicato abitualmente ad amare il bene divino rivelato dalla
fede. Così la stessa carità, tutta ripiena dello Spirito Santo che
l'anima, e come inclinata da questo peso, che la trascina con
l'onnipotenza dell'amore che Dio ha per sé, si lascia regolare dal
conoscimento oscuro della fede. Lo Spirito Santo è come prigioniero
delle imperfezioni dell'amore che egli c'ispira. Tanto grande è il
rispetto che la Provvidenza ha per la nostra libertà, tanto è palese il
suo disegno di lasciarci, almeno nel cammino abituale della nostra vita,
il merito della nostra giustificazione!
Se le virtù teologali si vedono regolate dal modo di intendere,
ristretto e limitato, che è proprio dell'uomo, tanto più sarà lo stesso
delle virtù morali infuse. Ora la natura ragionevole dell'uomo colloca
la perfezione dei suoi costumi in un giusto mezzo, ugualmente lontano
dagli estremi per eccesso e per difetto, i quali possono incontrarsi
nella materia della sua attività, azioni esterne o passioni interne.
L'altezza del fine soprannaturale può rialzare il livello di questo
giusto mezzo, ma non potrebbe impedirgli di consistere in un adattamento
delle azioni e delle passioni al fine soprannaturale, adattamento che
richiede la riduzione degli eccessi possibili di queste azioni e di
queste passioni umane alla giusta proporzione che le rende atte a
raggiungere il loro scopo. Trovare questo giusto mezzo
relativamente allo scopo divino additato dalla Fede, desiderato dalla
Speranza, voluto dalla Carità, ecco l'ufficio della Prudenza infusa.
Effettuare il giusto mezzo determinato dalla Prudenza infusa nel
dominio delle azioni volontarie e delle passioni dell'irascibile e del
concupiscibile, tale sarà l'ufficio delle virtù infuse della giustizia,
della fortezza, della temperanza. Anche qui lo Spirito Santo infiltra,
per così dire, lo splendore della sua azione. Tutto il nostro ordine
morale pratico è regolato dalla prudenza, come l'ordine della coscienza
e delle intenzioni era regolato dalla fede.
Oscurità e giusto mezzo, ecco dunque i veli umani sotto i quali
si nasconde l'azione dello Spirito di Dio! Certamente quest'azione
segreta è infinitamente preziosa per noi cui essa ordina al fine
soprannaturale, a cui dà abitualmente i mezzi di tendere a questo fine.
Ma lo Spirito Santo che s'induce ad abitare in noi, non andrà egli sino
alla fine dell'opera sua? Perché, spezzando l'uniformità del regime
delle virtù, non penetrerebbe da Padrone nell'anima del giusto suo
servitore? Perché, senz'andare contro la fede o contro la prudenza, ma
oltrepassandole, il suo Intelletto e il suo Cuore, operando secondo il
modo loro proprio, non diventerebbero, almeno qualche volta, il
regolatore immediato delle nostre azioni?
Poiché nel giorno della creazione del mondo non bastò allo
Spirito di Dio lasciarsi portare sopra le acque, esplodano dunque anche
nella creazione soprannaturale i fiat trionfanti, spuntino i
nuovi sette giorni, e i Doni, come un radioso arcobaleno, segnino sopra
la fronte del giusto il progresso della nuova opera divina! Veni
Creator Spiritus.
II
CHE COSA E' LA CARITA' CON I DONI.
CHE COSA E' LA CARITA' CON I DONI.
Ut sit Deus omnia in omnibus.
(1 Corinzi 15, 28.)
(1 Corinzi 15, 28.)
Lo Spirito Santo, regola intima, immediata e come omogenea della
nostra attività soprannaturale, ecco l'ideale che oramai si offre alle
aspirazioni del giusto. Ma appena lo ha egli concepito, la sua fede
stessa l'obbliga non a sopprimerne, ma a limitarne l'estensione. Se lo
stesso intelletto divino diventasse il regolatore prossimo della nostra
attività intima, ciò non potrebbe avvenire se non svelandoci l'essere di
Dio che è il suo oggetto. Ora è a noi vietato sopra la terra di aspirare
a queste chiarezze riservate alla vita futura. Senza voler parlare di
ciò che avverrà in cielo, Dio, come luce intellettuale, non potrebbe
quaggiù regolare immediatamente il nostro mondo morale: egli interverrà
nella nostra vita mediante un influsso motore, e, se a volte l'effetto
di questo intervento è l'espressione della sua vita intellettuale,
nondimeno produrrà in noi questi effetti di luce sotto la forma estranea
di un'attività impulsiva e pur tuttavia oscura, sotto la forma d'un
istinto segreto. La fede, regola della carità, resta dunque la luce
direttiva degli interventi divini, per quanto siano essi illuminatori
(1).
Ma è possibile questo influsso diretto di Dio sulla nostra
attività interiore? E se niente vi si oppone, esiste esso? E se esiste,
a quali condizioni si verifica? Altrettante questioni che si presentano.
La loro soluzione ci illuminerà sull'ufficio dei Doni nella nostra vita
mistica.
1° Sembra a tutta prima che il carattere positivo della morale
aristotelica, trasferita da S. Tommaso nell'ordine soprannaturale, debba
interdire ogni intervento diretto di un mondo superiore. Che cosa
diventerebbe il giusto mezzo nel quale consiste la moralità, se la
Prudenza cedesse il suo posto alle mozioni sovrane delle sostanze
separate? Non si cadrebbe forse in un mondo immaginario, simile a quello
di Platone, tutto quanto sotto l'impero immediato delle Idee e delle
Cause esemplari?
Ma che cosa si deve pensare, se Aristotele, avversario risoluto
di Platone su questo argomento, fece egli stesso il passo? se, per
spiegare senza dubbio certi uomini che si presentavano a lui come
problemi, il tardo discepolo di Socrate, il precettore d'Alessandro,
l'emulo di Platone, l'ammiratore di Fidia, non s'attenne ai principi
ordinari e intrinseci del carattere umano? se, oltrepassando la ragione,
giunse a domandare la spiegazione di questi uomini divini alla Divinità
stessa? Nella sua Morale a Nicomaco, Aristotele parla di un modo di
essere superiore alla natura umana, di una virtù eroica che rende l'uomo
per così dire divino. Egli ripiglia questo pensiero nella Morale a
Eudemo, nel capitolo della Fortuna. Vi sono degli uomini a cui tutto
riesce senza che la scienza o la prudenza c'entri per nulla. Come
spiegare questo fatto? «E' un chiedersi - dice Aristotele - qual è
nell'anima il principio del movimento. E’ chiaro che è il principio del
movimento del mondo: un dio... Il principio della ragione non è la
ragione, ma qualcosa di meglio. Ma che cosa di meglio della ragione se
non è il divino? Non è la virtù, la quale è lo strumento della
ragione...; non è la stessa ragione, perché gli uomini di cui parlo non
ne fanno uso; non è neppure l'entusiasmo. Dunque senza ragione sono essi
quello che sono... Sembra che quanto più la ragione è assente, tanto
maggiore azione abbia il principio che li guida: così i ciechi hanno più
memoria, liberi come sono da ciò che distrae» (Etica Eudemia, VIII, 2, 1248
a-b).
Così, per Aristotele, una straordinaria fortuna, una virtù
eroica, il genio, sono dovuti a influssi speciali e diretti della
Divinità, ragione suprema di cui la ragione umana non è che una modesta
partecipazione. Con ciò appunto egli supplisce all'umile grado razionale
della morale del giusto mezzo; con ciò il suo sistema risponde alle
difficoltà che gli avrebbero suscitato, da parte dei platonici, certi
caratteri eccezionali, certe personificazioni superiori dell'umanità,
venute fuori delle regole comuni. Aveva egli forse provato in sé per il
primo le impressioni del Primo Intelletto? e, se ne parlò così
divinamente, è forse perché aveva prima sentito i suoi divini impulsi?
Ora che cosa sono Socrate, Alessandro, Platone, Fidia,
Aristotele, sotto l'aspetto del contatto con la Divinità, in confronto
del Giusto riformato dalla grazia? Se volete risposte sublimi e che
rischiarino come lampi le profondità tenebrose della vostra coscienza
tormentata, anziché Socrate, interrogate dunque quel bambino che ha or
ora fatto la prima comunione. Se un ideale glorioso vi riempie di
entusiasmo, e vivete di un sogno di conquista, lasciate lì il vostro
Plutarco e chiedete a quel giovane, dallo sguardo limpido e casto, il
segreto delle sue eroiche vittorie. Non interrogate Platone sulla vita
d'Oltre Tomba; egli sottolineerà le sue sublimi rivelazioni con un
sorriso enigmatico, pieno d'ironia a suo proprio riguardo: ma andate a
trovare quella donnicciola, che ha interrotto la sua dura fatica per
entrare in chiesa, ed ella saprà dirvi se vi è un Cielo e che cosa vi si
fa. Se vi occorrono opere d'arte, non passeranno forse avanti a Fidia
quelli che modellano in un'argilla umana la rassomiglianza della faccia
stessa di Dio? Se Aristotele ci appare grande per essersi elevato due
volte fino alla cognizione del contatto diretto dell'anima con la
Divinità, che cosa è ciò in confronto dello stato d'anima ordinario d'un
S. Agostino, d'un S. Tommaso?
Infatti, per la grazia, la Divinità abita nell'anima del giusto.
Se vi è un terreno preparato per l'azione diretta della Divinità, è
questo certamente! Il giusto è il soggetto naturale della virtù eroica,
l'uomo predestinato ai tocchi del genio, l'oggetto indicato dei favori
divini. Non reca dunque meraviglia che S. Tommaso, ispirandosi al
Filosofo, abbia giudicato possibile che Dio, ragione della nostra
ragione, si faccia la regola immediata e l'ispiratore dell'attività
soprannaturale.
2° Come si può sapere se di fatto lo Spirito Santo si
sostituisce al normale regolatore della nostra vita soprannaturale? Per
illuminarci noi non abbiamo che un sol mezzo: la parola di Dio. L'ordine
soprannaturale è gratuito in tutti i suoi gradi, e le più alte ragioni
di convenienza non valgono una semplice parola detta da Dio.
Questa parola, noi l'abbiamo nella S. Scrittura. Già abbiamo
accertato la fede della Chiesa nell'esistenza dei doni speciali,
distinti, superiori alle virtù infuse. La S. Scrittura ci dà il tratto
caratteristico di questi doni. Sono soffi, ispirazioni, spiritus.
Così sta scritto a proposito del Messia al capitolo undicesimo d'Isaia:
Sopra di Lui riposerà lo spirito d'Adonai, lo spirito della Sapienza e
dell'Intelletto, lo spirito del Consiglio e della Fortezza, lo spirito
della Scienza e della Pietà, e lo spirito del Timore del Signore lo
riempirà (2). «Questo linguaggio, che è abituale alla Scrittura, non è
forse manifesto - dice S. Tommaso - e non dà forse a intendere che
questi sette doni sono in noi per l'ispirazione divina?». Difatti non
passa differenza notevole tra questa ispirazione che la Scrittura ci
garantisce e l'impulso istintivo verso il bene di quelli di cui parla
Aristotele. L'autorità della parola di Dio va incontro alle vedute
audaci del Filosofo; e dice: ispirazione divina, là dove
Aristotele aveva detto: istinto divino. E come riscontro
caratterizzerà lo stato della ragione che corrisponde all'istinto divino
con la parola follia,
stultitiam, quando Aristotele nel medesimo luogo lo chiamava
irrazionale. Donde può derivare un tale accordo? Forse dal fatto che la
stessa Divinità che ispirava il profeta Isaia ispirava pure il filosofo
di Stagira! Ad ogni modo spettava a S. Tommaso d'Aquino, testimonio
della corrispondenza dei due testi, di trarne la dottrina che è come il
punto culminante e l'apogeo della sua morale soprannaturale.
3° In quali condizioni si opera questo intervento divino? La
nostra attività morale soprannaturale ci appare ormai sotto la
dipendenza di due principii regolatori: la ragione, perfezionata dalla
fede, e lo Spirito Santo. Questi due principii sono in armonia, poiché
la ragione divina è la causa della nostra ragione. Essi operano tuttavia
ciascuno secondo il suo modo, ed ecco perché, in presenza
dell'operazione divina, la ragione sospende la sua attività. Essa viene
sostituita da un principio migliore ch'essa medesima.
Ma qui si presenta una questione. Lo Spirito Santo abita in noi
per la grazia, come la ragione per la natura. Sotto l'aspetto della
potenza di agire sul nostro organismo psicologico, - se noi ci atteniamo
ai dati che fin qui abbiamo esposto, - sembrerebbe che la ragione abbia
il sopravvento sullo Spirito Santo. Difatti abbiamo veduto che la
ragione, per l'esercizio degli atti, s'era creata, in tutte le parti
dell'organismo psicologico, come degli aiuti permanenti, che le
permettono di regolare a volontà, facilmente tutte le potenze e le
dànno, per così dire, entrata libera in tutto il nostro mondo interno,
cioè le virtù morali. Ora, senza dubbio, la Spirito Santo è onnipotente.
E non ha bisogno di disposizioni preesistenti per operare. Egli crea per
il fatto che opera. Dal canto suo dunque tutto è perfetto, ma dal canto
nostro?
Qui sembra che S. Tommaso superi definitivamente Aristotele.
Questi aveva ricusato di riconoscere una base permanente all'azione
speciale del Divino nella natura dell'uomo. Tutto il fondamento della
Fortuna, per lui, risiedeva nelle attenzioni particolari e costanti
della Divinità. Ma S. Tommaso si trova di fronte ad un uomo già
posseduto dalla Divinità, nel quale la Divinità risiede allo stato
abituale, del quale la Divinità è come l'anima. Proprio dell'anima è far
sorgere, nell'essere ch'essa vivifica, tutti gli organi di cui ha
bisogno. Perché dunque la carità non porterebbe con sé perfezioni,
abiti, analoghi a quelli che alla ragione rendono così facile l'entrata
del nostro mondo morale? Bisognerà forse ricusare al giusto quello che
la natura accorda all'uomo? L'ordine soprannaturale sarà meno compiuto
dell'ordine naturale? Dio certamente non ha bisogno di questi punti
d'appoggio per mettere in azione la mia vita; ma io, io ho bisogno
ch’egli li abbia, se devo essere perfetto nell'ordine delle mozioni
divine, quanto nell'ordine delle mozioni razionali. Bisogna che le
ispirazioni dello Spirito Santo siano in me allo stato d'abito,
come i dettami della ragione sono in me allo stato d'abito. Io
voglio cedere a Dio che invade l'anima mia, non violentemente e come
forzato, ma voglio cedergli come il virtuoso cede alla sua ragione,
volontariamente, facilmente, con l'agevolezza che l'abito solo può dare.
Voglio poter dire con il profeta: Il Signore m'ha aperto l’orecchio ed
io non mi sono rifiutato; non ritorno indietro [Sacrificio e offerta non
gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima
per la colpa. Allora ho detto: «Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di
me è scritto, che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero,
la tua legge è nel profondo del mio cuore» (Salmi 39, 7-9)].
S. Tommaso risponde con una parola: Le ispirazioni dello Spirito
Santo sono chiamate Doni, non solo perché Dio le causa, ma ancora perché
costituiscono perfezioni che rendono l'uomo facilmente influenzabile
all'ispirazione divina, analoghe a quelle che lo dispongono a ricevere
la mozione della ragione rispetto alle sue azioni ordinarie. Come se
dicesse: Se gli interventi diretti dello Spirito Santo nel governo
dell’anima nostra fossero altrettanti atti spontanei e come dei decreti
proprio motu dello Spirito Santo, non avrebbero più quel
carattere permanente, definitivo, che implica la parola dono. I
doni di Dio non saranno essi senza pentimento come i doni dell'uomo?
Bisogna pertanto che lo Spirito non solo ci sia dato, vale la
dire, sia allo stato abituale nell'anima nostra, ma che anche le sue
ispirazioni ci siano date e formino uno degli abiti dell'anima nostra.
Come ciò? Noi non potremmo essere il principio attivo di queste
ispirazioni: non sarebbero più le ispirazioni dello Spirito Santo. Resta
che noi ne siamo i principii passivi, vale a dire che i doni ci mettono
in modo abituale sotto la loro dipendenza, e che, per mezzo loro,
abbiamo come un diritto permanente e come un pegno sul soffio dello
Spirito.
Ammirabile
concezione dell'Angelico Dottore! Tutta la dottrina dei doni, per lui,
si riassume in queste due parole: Spiritus, dona. Come soffi
dello Spirito Santo, i doni richiedono l'autonomia del loro principio.
Come doni le ispirazioni dello Spirito Santo hanno un punto d'appoggio
abituale nelle anime nostre. Certamente bisogna che una grazia attuale
susciti in noi la volontà di far uso del dono. Ma le grazie attuali sono
la respirazione dell'anima giusta e che prega. Che Dio ci dia la volontà
di usare del dono, nuovo abito dell'anima, e lo Spirito Santo, come
chiamato in soccorso, discende. Lo Spirito Santo è a nostro servizio,
Utimur Spiritu Sancto, dicono con una parola energica i teologi. In
realtà è lo Spirito Santo che si serve di noi con tutta l'indipendenza
del suo modo di operare, ma noi, prevenuti dalla grazia, determiniamo
l'istante in cui egli s'impadronisce di noi come d'uno strumento.
Figuratevi un fanciullo che riceve in uno specchio l'immagine del sole,
che quindi può maneggiare a suo piacimento. Egli non possiede la
sorgente da cui essa emana, eppure la sorgente è come a suo servizio ed
egli se ne serve per far penetrare i raggi dell'astro radioso in luoghi
che sfuggivano alla sua azione diretta, pur essendo rischiarati dai
raggi più pallidi della luce diffusa. Tale ci appare il figlio di Dio
ornato dei doni. Per mezzo loro Iddio irradia liberamente attraverso
tutta la sua vita morale e soprannaturale, illuminata prima dalla
pacifica luce delle virtù. Che felice sorte è la sua! Et nox
illuminatio mea in deliciis meis
[ et dixi forsitan
tenebrae conculcabunt me et nox inluminatio in deliciis meis quia
tenebrae non obscurabuntur a te et nox sicut dies inluminabitur sicut
tenebrae eius ita et lumen eius (Salmi
138,11-12)]. Passivo di fronte allo Spirito Santo, egli possiede a sua
volta lo Spirito Santo e usa dell'influsso del suo ospite, schiavo e
libero ad un tempo. Ubi Spiritus Dei, ibi libertas
[ Dominus autem Spiritus
est, ubi autem Spiritus Domini ibi libertas (2 Corinzi 3,17)]; Qui Spiritu
aguntur, hi sunt filii Dei [quicumque enim Spiritu Dei aguntur hi
filii sunt Dei (Romani 8,14)]
Tal è la strana antinomia della quale il dono ci appare la divina
soluzione.
Oramai sappiamo che cosa è la Carità con i doni. Non è più quel
dolce calore, quel fervore delle virtù che s'insinuava segretamente or
ora nel nostro organismo morale, e che prendeva le forme della nostra
ragione e del nostro amore umano. Ma è il focolare ardente, che fa
risplendere il suo involucro, e che irradia come il sole; è la luce del
volto del nostro Dio risplendente nell’irradiamento a sette raggi che è
a lui proprio: Sì, è proprio lui...! è lo splendore stesso della tua
fisionomia, o Santo Spirito. E questa luce s'arresta sopra di noi.
Signatum est super nos
lumen vultus tui, Domine [signatum est super nos lumen vultus
tui Domine, dedisti laetitiam in corde meo (Salmi 4,7)]. Essa non è più
solamente interna; ma è segnata di fuori, signatum est super nos.
Non ancora nell'atto di illuminare la nostra fronte, di affascinare il
nostro sguardo, come nella visione del Cielo, ma nell'atto di avvolgere
il nostro cuore. Il nostro cuore è come un sole i cui raggi,
incessantemente posti in moto e rinnovati dall'azione dello Spirito
Santo, vengono a rischiarare tutto il nostro mondo interno, verità,
amore, speranza, giustizia, passioni, tutto, affinché Dio regni
direttamente e a suo modo sopra ogni cosa.
Ut sit Deus omnia in omnibus [ cum autem subiecta
fuerint illi omnia, tunc ipse Filius subiectus erit illi qui sibi
subiecit omnia, ut sit Deus omnia in omnibus (1 Corinzi 15,28)] (3).
Tal è l'ufficio dei doni nella dottrina di S. Tommaso. Donde attinse
dunque il Dottore Angelico questo insegnamento sublime quanto originale?
Il pittore del Medioevo, [sono “troppi” i pittori (alcuni anonimi) che
hanno raffigurato S. Tommaso, è arduo indovinare a quale alluda il p.
Gardeil] non s'era ingannato: volle rappresentare il santo Dottore, con
lo sguardo positivo, calmo, sereno del Peripatetico, perché l'ora della
visione non era ancora scoccata, ma dal suo petto sfugge un fascio
risplendente, come se la divina carità che gli riempie il cuore non
potesse più nascondere il focolare che esso imprigiona: è lo Spirito
Santo che, con i doni, fa irruzione in questo divino genio.
La locuzione latina Deus, ecce deus,
(tradotta letteralmente significa il Dio, ecco il Dio) proviene dall’Eneide (VI,46) di Virgilio; è l'esclamazione della Sibilla Cumana quando si sente invasa dall'influenza
profetica del dio Apollo; nell'uso corrente simboleggia
l’ispirazione poetica, come dire: ecco l’ispirazione, ecco l’estro poetico].
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