Natività, Adorazioni e Presepi tra III° e XIII° secolo
a cura di Antonio Guida
“E questo ve ne sarà il segno: Voi
troverete il fanciullino fasciato,
coricato nella mangiatoia.”
troverete il fanciullino fasciato,
coricato nella mangiatoia.”
Luca, I, II, 12
Sono dette
“Natività” le rappresentazioni iconografiche ispirate ai primi giorni di
vita del Bambino Gesù. Il Figlio di Dio, da neonato, è presente già in
espressioni artistiche risalenti all’Età Romana. Uno dei primi documenti
è costituito dai resti di pittura scoperti sul soffitto di una nicchia
all’interno delle catacombe di Priscilla, sulla Via Salaria Nova. Maria
è rappresentata mentre allatta il “frutto del suo ventre” (fig. 1).
Sembra
però che una voce abbia distratto il Bambinello dal poppare. Un
profeta, forse Balaam, è davanti a loro con l’indice puntato verso la
stella. Questa scena su stucco, che risale circa al 230 d. C., è ora
conservata al Museo Pio Cristiano di Roma.
Sempre
proveniente dallo stesso luogo e quasi coeva è la lastra che copriva il
loculo di Severa. Accanto alla immagine della defunta e dopo la scritta
SEVERA / IN DEO VI / VAS ricorrono i tre Magi (fig. 2).
Il Messìa è
retto dalle braccia appena levate di Maria. Alle sue spalle ricorre
ancora la solita figura biblica che ha l’indice della mano destra sempre
rivolto verso la stella, mentre la sinistra impugna una lunga verga.
E’ Balaam, un saggio araneo che tra l’altro aveva profetizzato: “Una
stella uscirà da Giacobbe e uno scettro sorgerà da Israele” (Numeri,
XXIV, 17). I Magi che conoscevano il testo di quanto Balaam aveva da
tempo annunciato, riconoscendo la stella avevano intuito che la profezia
era compiuta.
Sempre questi
illustri personaggi sono rappresentati in un affresco presente in un
altro angolo delle stesse catacombe. La divina Madre tiene il piccolo
Gesù sollevato mentre i tre dotti si accingono ad offrire i loro doni.
Queste espressioni artistiche sono caratterizzate dalla semplicità.
Verso la fine
del IV secolo, con l’affermazione del Cristianesimo, resta viva la
tematica natalizia sempre proposta su lapidi e monumenti legati al culto
dei defunti. La “Natività” trova spazio anche sui sarcofagi. Però sul
sepolcro di Stilicone (Fig. 3 a), allocato nella
basilica di S. Ambrogio a Milano, il Bambinello, fasciato come
riferisce l’evangelista Luca, è rappresentato solamente insieme
all’asinello ed al bue (fig. 3 b).
Nella
letteratura cristiana questi due animali sono stati additati quali
simboli del genere umano. Per S. Girolamo l’asino rappresenta il Vecchio
Testamento mentre il bue il Nuovo. S. Isidoro di Siviglia Vede il
paganesimo nel primo animale ed il popolo eletto nel secondo. Altri
ancora pensano al Male ed al Bene. Così il Messia, cavalcando l’asinello
per le vie di Gerusalemme, ha voluto dimostrare d’aver vinto le forze
del male.
Attraverso
tutte le interpretazioni emerge che il bue serba sempre un aspetto
positivo a differenza dell’altra bestia che da secoli si porta dietro la
cattiva fama di animale stupido ed ignorante. Tanto forse perché
l’asino era stato la cavalcatura di Dioniso, quindi asservito al simbolo
dei vizi.
Delimitano
questa scena due uccelli disposti agli angoli bassi del timpano. Uno dei
volatili ha davanti un paniere pieno d’una, rovesciato forse dallo
stesso pennuto per manifestare il mancato gradimento degli acini; mentre
l’altro uccello è intento a cibarsi compostamente.
L’altra
rappresentazione natalizia, sempre sullo stesso sarcofago, riporta
nell’angolo in alto della lastra laterale più ampia la solita scena con
la presenza dei Magi. Sembra che questo capolavoro dell’arte funeraria
paleocristiana voglia proporci segni-simboli in contrapposizione come,
ad esempio, il motivo ornamentale detto “greca” e la “Svastica”. Nel
caso specifico quest’ultimo simbolo di staticità si alterna ad una
forma circolare interrotta che ruota attorno ad un punto.
Discussa è la
presenza delle ossa di Stilicone e consorte all’interno del sarcofago.
Certamente, però, questo sepolcro ha ospitato ed ospita le spoglie di
un’importante autorità militare vissuta nel IV secolo. Incerta è anche
la sua provenienza ma, di sicuro, è da tempo che ha trovato spazio
nella basilica ambrosiana.
Il primo
presepio completo in rilievo è quello scolpito sulla lista che sovrasta
il coperchio del sarcofago marmoreo di Boville Ernica (fig. 4 a).
Questa tomba
fu rinvenuta casualmente in uno dei campi della Ciociaria. Smembrata, fu
ripartita tra quanti avevano partecipato al dissotterramento. In
seguito le parti vennero recuperate e ricomposte. Dopo il restauro, il
sarcofago fu adibito ad altare nella chiesa di S. Pietro Ispano a
Boville Ernica (FR), ove resta ancora oggi.
Il sarcofago,
tutt’intorno, è decorato con un motivo che richiama le cosiddette
“cancellate a fisarmonica”, chiuse e trattenute da un fermo. Sul
sopralzo del coperchio, a destra dopo la targa centrale, compaiono
pastori e Magi, il bue e l’asino, una grande cesta di vimini intrecciati
che accoglie Gesù Bambino. Seguono Maria, adagiata su un giaciglio, ed
il solito profeta. In alto, si scorge appena la tettoia della capanna a
cui è attaccata la stella. Questo sarcofago risale ai primi anni della
seconda metà del IV secolo.
I Bizantini
diedero una nuova impronta all’arte in genere e all’iconografia della
“Natività” in particolare. Le loro proposte restarono sempre legate alle
solite tematiche fuse però ai nuovi concetti del pensiero cristiano,
soprattutto a quanto sostenuto dai Padri greci per i quali l’arte doveva
servire a rendere intellegibile il Trascendente. Il vasto spazio
occupato dalle figure di volta in volta rappresentate, però,
sacrificarono la resa dei volumi. Di conseguenza le immagini risultano
appiattite e bidimensionali.
Ad esempio, un reliquiario marmoreo del V secolo (fig. 5),dalla cappella
dei Santi Quirico e Giulietta all’interno della chiesa ravennate
intestata al Battista, si presenta piuttosto povero di contenuto
nonostante una delle due facce più ampie della capsella sia
interamente occupata da figure chiaramente riferibili alla visita dei
Magi. La divina Madre, assisa in trono, solleva le braccia per mostrare
il Bambinello, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre (con berretto frigio e
mantello) hanno perso il loro regale aspetto in quanto assiepati
dall’artista nello spazio a disposizione. Il reliquiario è esposto al
Museo Arcivescovile di Ravenna.
Col tempo
“Natività” e “Adorazioni” abbandonano superfici e spazi cimiteriali e
trovano posto all’interno delle lunette, sui portali delle chiese, sui
capitelli, sulle volte, sui paliotti, un po’ dovunque. Alquanto
singolare è la scena contenuta in una delle formelle d’avorio che
adornano la cattedra del vescovo Massicciano (figg. 6 a e 6 b).
Anche questa
buona prova d’arte, risalente alla metà del VI secolo d. C., è al Museo
Arcivescovile ravennate. Gesù, attorniato dall’asino e dal bue, è
vegliato da S. Giuseppe. In alto è la stella che ha la forma di un
fiore. Completano la scena due figure che ricordano un episodio tratto
da Vangelo apocrifo: è la Madre di Dio, rappresentata distesa, che
guarisce la mano paralizzata della levatrice Salomè: la donna aveva
manifestato dubbi circa la verginità di Maria.
Dopo un primo
periodo definito protobizantino, l’iconografìa d’influsso orientale si è
evoluta fino a raggiungere, a Ravenna ed altrove, livelli di qualità
bene espressi soprattutto nell’arte musiva. In S. Apollinare Nuovo una
Madonna col Bambino, in trono ed in compagnìa di quattro angeli, sulla
sinistra della navata centrale resta in attesa di una lunga teorìa di
stereotipate vergini precedute dai tre Magi (figg. 7 a e 7 b).
Sullo sfondo
riluce alquanto l’oro. La presenza ridondante di vegetali, proprio
inutile, ha esclusiva funzione decorativa e si rivela oppressiva nei
riguardi delle figure. Al VI secolo risale il coperchio del reliquiario (fig. 8) conservato
alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Il quarto riquadro, a sinistra in
basso, presenta la Sacra Famiglia in un momento di riposo. Il piccolo
Gesù è fasciato con bende scure ed ha dappresso il bue e l’asino. Maria è
distesa sopra un giaciglio ed ha la mano tesa ad indicare il Figlio
dormiente; mentre Giuseppe, preoccupato, osserva la sua Donna.
Nonostante
siano opere d’arte di importazione, Roma serba nelle chiese e nei musei
numerose icone bizantine forse giunte qui da noi al tempo della
persecuzione iconoclasta (726 / 842). La Divina Madre col Bambino la si
trova a S. Maria Maggiore, a S. Maria Antiqua, al Pantheon, a S. Maria
in Tempulo, a S. Maria in via Lata, a S. Maria in Aracoeli, a S.
Clemente, a Santa Maria del Popolo, a S. Maria in Minerva. Pare che
tutte le chiese votate alla Vergine ne abbiano una!
Diversa dal
solito si presenta l’immagine sacra su tavola (mt. 1,65 X 1,10) venerata
in S. Maria in Trastevere. La dicono Madonna della Clemenza e della
Pace (fig. 9) e pare sia un’icona acheropita. La sua singolarità è dovuta al fatto che in questa rappresentazione coesistono “la dimensione artistica di Bisanzio ed un’elaborazione di matrice romana”
(M. Andaloro). L’abito della Vergine ricorda la veste di Teodora,
imperatrice che ricorre più volte nei mosaici di Ravenna; mentre i
volti richiamano i caratteri somatici delle figure classiche
greco-romane. Maria in trono regge sulle ginocchia il piccolo Gesù. Alle
sue spalle ci sono due angeli, uno dei quali ha un volto dolcissimo. Ai
piedi della Divina Madre è genuflesso un pontefice. Fanno risalire
quest’icona all’VIII secolo.
Nel Museo
Cristiano di Cividale, anni addietro, ebbi modo di ammirare l’altare di
Ratchis (fig. 10 a), detto così dal nome del Duca che intorno alla
prima metà dell’VIII secolo amministrava il Friuli. Su una delle
quattro lastre (fig. 10 b) che formano
questo capolavoro d’arte longobarda, lato corto, v’è rappresentata la
Visita dei Magi. Maria, aureolata ed in trono, accoglie unitamente al
divin Figlio i Magi. La fronte della Madre di Dio è contrassegnata da
una croce. Gesù, retto sulle ginocchia, indossa straordinariamente una
sorta di pantaloni. Un angelo, in posizione orizzontale, fa da guida ai
Magi vestiti alla maniera orientale: turbante in testa, chitone stretto
in vita da un cingolo, brache e calzari. Sulle spalle (più che un
mantello) indossano una stola, segno-simbolo di sapere scientifico e
teologico. Nel cielo si fanno notare tre stelle a fiori. Le figure
proposte sono a rilievo ma l’assenza di una stria, la mancanza di
tracce anche minime d’un piano di calpestìo fanno sembrare creature
eteree sia i tre Magi che la donna alle spalle di Maria.
Però, pur se
tra alti e bassi, fu soprattutto la produzione bizantina a predominare
nel mondo dell’arte per circa dieci secoli. In Italia, come già detto,
sono conservate ancora oggi molte preziose icone ed altri piccoli
oggetti d’arte, mentre restano poche tracce di pitture ad affresco
risalenti ai primi secoli di byzantination. Sono consistenti
invece le testimonianze lasciate da monaci e cenobiti orientali nelle
chiese rupestri di Puglia e Lucania verso la fine del primo Millennio.
Ma, più che la “Natività”, queste immagini ancora ben leggibili
all’interno delle grotte ritraggono il Cristo Pantocratore e particolari
Santi, figure esemplari della Chiesa Orientale.
Il mosaico
soprattutto, fino al XIII-XIV secolo, rimase il più importante mezzo
espressivo del sentimento religioso bizantino manifestato soprattutto
sui catini delle chiese e tanto perché per molto tempo si continuò a far
ricorso a maestranze levantine per illustrare gli ampi spazi dei
consacrati. Stupenda e fortemente simbolica è la “Natività” all’interno
della Cappella Palatina di Palermo (fig. 11), sorta poco
dopo il 1130 quale oratorio privato del re normanno Ruggero II. La si
ammira al culmine della navata destra, sopra il busto di S. Paolo. Il
Bambinello, in fasce, è posto in una mangiatoia al di fuori della
grotta, simbolo del grembo materno. Così l’insieme centrale vale quale
rappresentazione della venuta alla luce del divin Figlio. Una pertica
che sale al cielo dall’improvvisata culla ci lascia facilmente
intendere che il Cristo è l’anello di congiunzione tra il cielo e la
terra, Colui che col suo sacrificio riscatterà il genere umano.
A sinistra,
affrontano un percorso in salita i tre Magi che, pur se sapienti,
calcano strade impervie e tortuose per arrivare a conoscere Iddio
fattosi uomo. Invece i popolani giungono per più brevi vie a Gesù,
Verità rivelata, offrendo semplici doni. Maria, premurosamente, ha cura
del Bambino; San Giuseppe, a sinistra nell’angolo in basso, medita circa
l’immediato da farsi. Gli Angeli, intenti a svolgere il loro compito di
messaggeri divini, si perdono tra i colli.
Sempre la cultura orientale è la fonte ispiratrice della cosiddetta “Porta dei Fiori” (fig. 12),sul lato nord
della basilica di S. Marco a Venezia. Sull’epistilio due archi (uno dei
quali di chiaro gusto arabo-moresco) avvolgono ed ornano il rilievo
ispirato alla Natività. Lo dicono realizzato nel XIII secolo, nel corso
di uno dei tanti rifacimenti a cui fu sottoposta nel tempo questa parete
esterna della Chiesa.
La cesta che
fa da cuna non riesce a contenere il Pargolo: la sua testa oltrepassa il
bordo. Mentre Maria riposa, Giuseppe rimira il cielo quasi per appurare
quale sia la volontà del Signore da tenere in conto. Al culmine della
scena v’è rappresentato il Sole che appare collegata al Bambinello
attraverso un asse (di legno?) sorretto da due Angeli. E’ quwsto ancora
un chiaro segno che Gesù è l’anello di congiunzione tra il Cielo e la
Terra. Nella cornice ad arco inflesso che racchiude il rilievo vi sono
rappresentati Angeli e Profeti.
Vuole la
tradizione che sia stato S. Francesco a realizzare nel 1223 a Greggio il
primo presepio vivente. Tale avvenimento fu immortalato da Giotto nella
Basilica Superiore di Assisi. Si può pensare che l’umile frate abbia
tanto voluto per ottenere la partecipazione massiva degli abitanti di
Greggio e dei centri urbani viciniori alla rituale funzione religiosa
messa in atto per far rivivere la nascita di Gesù. Ai tempi d’oggi,
sempre più in molti paesi d’Italia si organizzano a Natale scene
viventi impiegando gli abitanti del luogo (figg. 13 a e 13 b).
Ad Arnolfo di Cambio invece si deve il presepe popolato da vere e proprie piccole sculture (fig. 14).
Fu Niccolò IV a commissionargli nel 1288 quest’opera per la basilica di “S. Maria Maggiore”. S:
Giuseppe ed i Magi ammirano attoniti il Bambinello. Tutti i figuranti,
secondo l’usanza degli artisti del tempo, risultano finemente lavorati
solamente nella parte anteriore, cioè sono perfettamente rifinite
soltanto nella parte raggiungibile dall’occhio del pubblico. La parte
retrostante delle statuine è vagamene abbozzata. La rappresentazione
della Madre di Dio col Pargolo non è quella originale: risale al XVI
secolo.
Pietro
Cavallini (Roma 1240 ? – 1330 ?), oggi, rappresenta per molti critici
l’innovazione della tradizione pittorica intrisa di levantino per sei
secoli e più. Contemporaneo di Cimabue e precursore di Giotto,
quest’artista si fece apprezzare come pittore e mosaicista sia per il
realismo delle forme perfettamente proposte che per la tecnica
coloristica.
Operò
soprattutto a Roma, nel Regno di Napoli, in Umbria. Due dei sei mosaici
risalenti del 1291 mirabili sotto il catino absidale della chiesa di S.
Maria di Trastevere a Roma, rappresentano la “Nascita di Gesù” e l’
“Adorazione dei Magi”. L’intero ciclo, ispirato al culto mariano, fa
denotare appieno una nuova sensibilità artistica che chiude alle regole
espressive bizantine per aprire allo stile gotico ed all’arte di
Cimabue.
Il Vasari,
invece, sostiene che il Cavallini sia stato influenzato dalla produzione
artistica giottesca ignorando che il maestro romano era di maggiore
età rispetto al pittore del Mugello (circa 30 anni). Così è possibile
piuttosto il contrario anche perché alcuni critici sostengono che Giotto
e Cimabue vennero a Roma qualche anno prima del ‘300 insieme ad Arnolfo
di Cambio e certamente incontrarono il Cavallini. Ma è preferibile
non proporre confronti, né azzardare attribuzioni anche perché la mia
nota intendeva porre all’ammirazione dei miei pochi lettori opere d’arte
serbate in chiese e musei d’Italia, veri capolavori non sempre
valarizzati nella giusta misura. forse non nel migliore dei modi.
BIBLIOGRAFIA MINIMA
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