martedì 21 dicembre 2021

Natività, Adorazioni e Presepi tra III° e XIII° secolo, a cura di Antonio Guida


Natività, Adorazioni e Presepi tra III° e XIII° secolo
a cura di Antonio Guida

“E questo ve ne sarà il segno: Voi
troverete il fanciullino fasciato,
coricato nella mangiatoia.”
Luca, I, II, 12

     Sono dette “Natività” le rappresentazioni iconografiche ispirate ai primi giorni di vita del Bambino Gesù. Il Figlio di Dio, da neonato, è presente già in espressioni artistiche risalenti all’Età Romana. Uno dei primi documenti è costituito dai resti di  pittura scoperti sul soffitto di una nicchia all’interno delle catacombe di Priscilla, sulla Via Salaria Nova. Maria è rappresentata mentre allatta il “frutto del suo ventre” (fig. 1).


fig. 1
      
      Sembra però che una voce  abbia distratto il Bambinello dal poppare. Un profeta, forse Balaam, è davanti a loro con l’indice puntato verso la stella. Questa  scena su stucco, che risale circa al 230 d. C., è ora conservata al Museo Pio Cristiano di Roma.
      Sempre proveniente dallo stesso luogo e quasi coeva è la lastra che copriva il loculo di Severa.  Accanto alla immagine della defunta e dopo la scritta SEVERA / IN DEO VI / VAS  ricorrono i tre Magi  (fig. 2).
 

    
      Il Messìa è retto dalle braccia appena levate di Maria. Alle sue spalle ricorre ancora la solita figura biblica che ha l’indice della mano destra sempre rivolto verso la stella, mentre la  sinistra impugna una lunga verga. E’ Balaam, un saggio araneo che tra l’altro aveva profetizzato: “Una stella uscirà da Giacobbe e uno scettro sorgerà da Israele” (Numeri, XXIV, 17). I Magi che conoscevano il testo di quanto Balaam aveva da tempo annunciato, riconoscendo la stella avevano intuito che la profezia era compiuta.
    Sempre questi illustri personaggi sono rappresentati in un affresco  presente in un altro angolo delle stesse catacombe. La divina Madre tiene il piccolo Gesù sollevato mentre i tre dotti si accingono ad offrire i loro doni. Queste espressioni artistiche sono caratterizzate dalla semplicità.
   Verso la fine del IV secolo, con l’affermazione del Cristianesimo, resta viva la tematica natalizia sempre proposta su lapidi e monumenti legati al culto dei defunti. La “Natività” trova spazio anche sui sarcofagi. Però sul sepolcro di Stilicone (Fig. 3 a), allocato nella basilica di S. Ambrogio a Milano, il Bambinello, fasciato come riferisce  l’evangelista Luca,  è rappresentato solamente insieme all’asinello ed al bue (fig. 3 b).

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    Nella letteratura cristiana questi due animali sono stati additati quali simboli del genere umano. Per S. Girolamo l’asino rappresenta il Vecchio Testamento mentre il bue il Nuovo.  S. Isidoro di Siviglia  Vede il paganesimo nel primo animale ed il popolo eletto nel secondo. Altri ancora pensano al Male ed al Bene. Così il Messia, cavalcando l’asinello per le vie di  Gerusalemme, ha voluto dimostrare d’aver vinto le forze del male.
    Attraverso tutte le interpretazioni emerge che il bue serba sempre un aspetto positivo a differenza dell’altra bestia che da secoli si porta dietro la cattiva fama di animale stupido ed ignorante. Tanto forse perché l’asino era stato la cavalcatura di Dioniso, quindi asservito al simbolo dei vizi.
    Delimitano questa scena due uccelli disposti agli angoli bassi del timpano. Uno dei volatili ha davanti un paniere pieno d’una, rovesciato forse dallo stesso pennuto per manifestare il mancato gradimento degli acini; mentre l’altro uccello è intento a cibarsi compostamente.
     L’altra rappresentazione natalizia, sempre sullo stesso sarcofago, riporta nell’angolo in alto della lastra laterale più ampia la solita scena con la presenza dei Magi. Sembra che questo capolavoro dell’arte funeraria paleocristiana voglia proporci segni-simboli in contrapposizione come, ad esempio, il motivo ornamentale detto “greca” e la “Svastica”. Nel caso specifico quest’ultimo  simbolo di staticità si alterna ad una forma circolare interrotta che ruota attorno ad un punto.
     Discussa è la presenza delle ossa di Stilicone e consorte all’interno del sarcofago. Certamente, però, questo sepolcro ha ospitato ed ospita le spoglie di un’importante autorità militare vissuta nel IV secolo. Incerta è anche  la sua provenienza ma, di sicuro, è da tempo che ha trovato spazio   nella basilica ambrosiana.
    Il primo presepio completo in rilievo è quello scolpito sulla lista che sovrasta il coperchio del sarcofago marmoreo di Boville Ernica (fig. 4 a).


fig. 4 a


      Questa tomba fu rinvenuta casualmente in uno dei campi della Ciociaria. Smembrata, fu ripartita tra quanti avevano partecipato al dissotterramento. In seguito le parti vennero recuperate e ricomposte. Dopo il restauro, il sarcofago fu adibito ad altare nella chiesa di S. Pietro Ispano a Boville Ernica (FR), ove resta ancora oggi.

fig. 4 b
   
      Il sarcofago, tutt’intorno, è decorato con un motivo che richiama le cosiddette “cancellate a fisarmonica”, chiuse e trattenute da un fermo. Sul sopralzo del coperchio, a destra dopo la targa centrale, compaiono pastori e Magi, il bue e l’asino, una grande cesta di vimini intrecciati che accoglie Gesù Bambino. Seguono Maria, adagiata su un giaciglio, ed il solito profeta. In alto, si scorge appena la tettoia della capanna a cui è attaccata la stella. Questo sarcofago risale ai primi anni della seconda metà del IV secolo.
     I Bizantini diedero una nuova impronta all’arte in genere e all’iconografia della “Natività” in particolare. Le loro proposte restarono sempre legate alle solite tematiche fuse però ai nuovi concetti del pensiero cristiano, soprattutto a quanto sostenuto dai Padri greci per i quali l’arte doveva servire a rendere intellegibile il Trascendente. Il vasto spazio occupato dalle figure di volta in volta rappresentate, però, sacrificarono la resa dei volumi. Di conseguenza le immagini risultano appiattite e bidimensionali.


  
    Ad esempio, un reliquiario marmoreo del V secolo (fig. 5),dalla cappella dei Santi Quirico e Giulietta all’interno della chiesa ravennate intestata al Battista, si presenta piuttosto povero di contenuto nonostante una delle due facce più ampie della capsella sia interamente occupata da figure chiaramente riferibili alla visita dei Magi. La divina Madre, assisa in trono, solleva le braccia per mostrare il Bambinello, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre  (con berretto frigio e mantello) hanno perso il loro regale aspetto in quanto assiepati dall’artista nello spazio a disposizione. Il reliquiario  è esposto al Museo Arcivescovile di Ravenna.
     Col tempo “Natività” e  “Adorazioni” abbandonano superfici e spazi cimiteriali e trovano posto all’interno delle lunette, sui portali delle chiese, sui capitelli, sulle volte, sui paliotti, un po’ dovunque. Alquanto singolare è la scena contenuta in una delle formelle d’avorio che adornano la cattedra del vescovo Massicciano (figg. 6 a e 6 b).


 

    Anche questa buona prova d’arte, risalente alla metà del VI secolo d. C.,  è al Museo Arcivescovile ravennate. Gesù,  attorniato dall’asino e dal bue, è vegliato da S. Giuseppe. In alto è la stella che ha la forma di un fiore. Completano la scena  due figure che ricordano un episodio tratto da Vangelo apocrifo: è la Madre di Dio, rappresentata distesa, che guarisce la mano paralizzata della levatrice Salomè: la donna aveva manifestato dubbi circa la verginità di Maria.
   Dopo un primo periodo definito protobizantino, l’iconografìa  d’influsso orientale si è evoluta fino a raggiungere, a Ravenna ed altrove,  livelli di qualità bene espressi soprattutto nell’arte musiva. In S. Apollinare Nuovo una Madonna col Bambino, in trono ed in compagnìa di quattro angeli, sulla sinistra della navata centrale  resta in attesa di una lunga teorìa di stereotipate vergini precedute dai tre Magi (figg. 7 a e  7 b).
 



      Sullo sfondo riluce alquanto l’oro. La presenza ridondante di vegetali,  proprio inutile, ha esclusiva funzione decorativa e si rivela oppressiva nei riguardi delle figure. Al VI secolo risale il coperchio del reliquiario (fig. 8) conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Il quarto riquadro, a sinistra in basso, presenta la Sacra Famiglia in un momento di riposo. Il piccolo Gesù è fasciato con bende scure ed ha dappresso il bue e l’asino. Maria è distesa sopra un giaciglio ed ha la mano tesa ad indicare il Figlio dormiente; mentre Giuseppe, preoccupato, osserva la sua Donna.

fig.8

     Nonostante siano opere d’arte di importazione, Roma serba nelle chiese e nei musei  numerose icone bizantine forse giunte qui da noi al tempo della persecuzione iconoclasta (726 / 842). La Divina Madre col Bambino la si trova a  S. Maria Maggiore, a S. Maria Antiqua, al Pantheon, a S. Maria in Tempulo, a S. Maria in via Lata, a S. Maria in Aracoeli, a S. Clemente, a Santa Maria del Popolo, a S. Maria in Minerva. Pare che tutte le chiese votate alla Vergine ne abbiano una!
   Diversa dal solito si presenta l’immagine sacra su tavola (mt. 1,65 X 1,10) venerata in S. Maria in Trastevere. La dicono Madonna della Clemenza e della Pace (fig. 9) e pare sia un’icona acheropita. La sua singolarità è dovuta al fatto che  in questa rappresentazione coesistono “la dimensione artistica di Bisanzio ed un’elaborazione di matrice romana” (M. Andaloro). L’abito della Vergine ricorda la veste di Teodora, imperatrice che ricorre più volte nei mosaici di Ravenna; mentre i volti  richiamano i caratteri somatici delle figure classiche greco-romane. Maria in trono regge sulle ginocchia il piccolo Gesù. Alle sue spalle ci sono due angeli, uno dei quali ha un volto dolcissimo. Ai piedi della Divina Madre è genuflesso un pontefice.  Fanno risalire quest’icona all’VIII secolo.


fig. 9

   Nel Museo Cristiano di Cividale, anni addietro, ebbi modo di ammirare l’altare di Ratchis (fig. 10 a), detto così dal nome del Duca che intorno alla prima metà dell’VIII secolo amministrava il Friuli. Su una delle  quattro lastre (fig. 10 b) che formano questo capolavoro d’arte longobarda, lato corto, v’è rappresentata la Visita dei Magi.  Maria, aureolata ed in trono, accoglie unitamente al divin Figlio i Magi. La fronte della Madre di Dio è contrassegnata da una croce. Gesù, retto sulle ginocchia, indossa straordinariamente una sorta di pantaloni. Un angelo, in posizione orizzontale, fa da guida ai Magi  vestiti alla maniera orientale: turbante in testa, chitone stretto in vita da un cingolo, brache e calzari. Sulle spalle (più che un mantello) indossano una stola, segno-simbolo di sapere scientifico e teologico. Nel cielo si fanno notare  tre stelle a fiori. Le figure proposte sono a rilievo ma l’assenza di una stria, la mancanza di  tracce anche minime d’un piano di calpestìo fanno sembrare creature eteree sia  i tre Magi che la donna alle spalle di Maria.














     Però, pur se tra alti e bassi, fu soprattutto la produzione  bizantina a predominare nel mondo dell’arte per circa dieci secoli. In Italia, come già detto,  sono conservate ancora oggi molte preziose icone ed altri piccoli oggetti d’arte, mentre restano poche tracce di pitture ad affresco risalenti ai primi secoli di byzantination. Sono consistenti invece le testimonianze lasciate da monaci e cenobiti orientali nelle chiese rupestri di Puglia e Lucania verso la fine del primo Millennio. Ma, più che la “Natività”, queste immagini ancora ben leggibili all’interno delle grotte ritraggono il Cristo Pantocratore e particolari Santi, figure esemplari della Chiesa Orientale.
   Il mosaico soprattutto, fino al XIII-XIV secolo, rimase il più importante mezzo espressivo del sentimento religioso bizantino manifestato soprattutto sui catini delle chiese e tanto perché per molto tempo si continuò a far ricorso a maestranze levantine per illustrare gli ampi spazi dei consacrati. Stupenda e fortemente simbolica è la “Natività” all’interno della Cappella Palatina di Palermo (fig. 11), sorta poco dopo il 1130 quale oratorio privato del re normanno  Ruggero II. La  si ammira al culmine della navata destra, sopra il busto di S. Paolo.  Il Bambinello, in fasce, è posto in una mangiatoia al di fuori della grotta, simbolo del grembo materno. Così l’insieme centrale vale quale rappresentazione della venuta alla luce del divin Figlio. Una pertica che sale al cielo dall’improvvisata culla  ci lascia facilmente intendere che il Cristo è l’anello di congiunzione tra il cielo e la terra, Colui che col suo sacrificio riscatterà il genere umano.

fig. 11

    A sinistra, affrontano un percorso in salita i tre Magi che, pur se sapienti, calcano strade impervie e tortuose per arrivare a conoscere Iddio fattosi uomo. Invece i popolani giungono per più brevi vie a Gesù, Verità rivelata, offrendo semplici doni. Maria, premurosamente, ha cura del Bambino; San Giuseppe, a sinistra nell’angolo in basso, medita circa l’immediato da farsi. Gli Angeli, intenti a svolgere il loro compito di messaggeri divini, si perdono tra i colli.

fig. 12

      Sempre la cultura orientale è la fonte ispiratrice della cosiddetta “Porta dei Fiori” (fig. 12),sul lato nord della basilica di S. Marco a Venezia. Sull’epistilio due archi (uno dei quali  di chiaro gusto arabo-moresco) avvolgono ed ornano il rilievo ispirato alla Natività. Lo dicono realizzato nel XIII secolo, nel corso di uno dei tanti rifacimenti a cui fu sottoposta nel tempo questa parete esterna della Chiesa.
La cesta che fa da cuna non riesce a contenere il Pargolo: la sua testa oltrepassa il bordo. Mentre Maria riposa, Giuseppe rimira il cielo quasi per appurare quale sia la volontà del Signore da tenere in conto. Al culmine della scena v’è rappresentato il Sole  che appare collegata al Bambinello attraverso un asse (di legno?) sorretto da due Angeli. E’ quwsto ancora un chiaro segno che Gesù è l’anello di congiunzione tra il Cielo e la Terra. Nella cornice ad arco inflesso che racchiude il rilievo vi sono rappresentati Angeli e Profeti.
Vuole la tradizione che sia stato S. Francesco a realizzare nel 1223 a Greggio il primo presepio vivente. Tale avvenimento fu immortalato da Giotto nella Basilica Superiore di Assisi. Si può pensare che l’umile frate abbia tanto voluto per ottenere la partecipazione massiva degli abitanti di Greggio e dei centri urbani viciniori alla rituale funzione religiosa messa in atto per far rivivere la nascita di Gesù.  Ai tempi d’oggi, sempre più in molti paesi d’Italia si organizzano a Natale scene viventi  impiegando gli abitanti del luogo (figg. 13 a e 13 b).

 


  





Ad Arnolfo di Cambio invece si deve  il presepe popolato da vere e proprie piccole sculture (fig. 14).


   Fu Niccolò IV a commissionargli nel 1288 quest’opera per la basilica di “S. Maria Maggiore”. S: Giuseppe ed i Magi ammirano attoniti il Bambinello. Tutti i figuranti, secondo l’usanza degli artisti del tempo, risultano finemente lavorati solamente nella parte anteriore, cioè sono perfettamente rifinite soltanto nella parte raggiungibile dall’occhio del pubblico. La parte retrostante delle statuine  è vagamene abbozzata. La rappresentazione della Madre di Dio  col Pargolo non è quella originale: risale al XVI secolo.
 Pietro Cavallini (Roma 1240 ? – 1330 ?), oggi, rappresenta per molti critici l’innovazione della tradizione pittorica intrisa di levantino per sei secoli e più. Contemporaneo di Cimabue e precursore di Giotto, quest’artista si fece apprezzare come pittore e mosaicista sia per il realismo delle forme perfettamente proposte che per la tecnica coloristica.
Operò soprattutto a Roma, nel Regno di Napoli, in Umbria. Due dei sei mosaici risalenti del 1291 mirabili sotto il catino absidale della chiesa di S. Maria di Trastevere a Roma, rappresentano la “Nascita di Gesù” e l’ “Adorazione dei Magi”. L’intero ciclo, ispirato al culto mariano, fa denotare appieno una nuova sensibilità artistica  che chiude alle regole espressive bizantine per aprire allo stile gotico ed all’arte di Cimabue.
   Il Vasari, invece, sostiene che il Cavallini sia stato influenzato dalla produzione artistica  giottesca ignorando che il maestro romano era di maggiore età rispetto al pittore del Mugello (circa 30 anni).  Così è possibile piuttosto il contrario anche perché alcuni critici sostengono che Giotto e Cimabue vennero a Roma qualche anno prima del ‘300 insieme ad Arnolfo di Cambio e certamente incontrarono  il Cavallini.  Ma è preferibile non proporre confronti, né azzardare  attribuzioni  anche perché la mia nota intendeva porre all’ammirazione dei miei pochi lettori opere d’arte serbate  in chiese e musei d’Italia, veri capolavori non sempre valarizzati nella giusta misura. forse non nel migliore dei modi.


BIBLIOGRAFIA MINIMA

AA.VV.,  STORIA DELL’ARTE, Novara 1976.
AA.VV., DA BETLEMME AL PRESEPIO, in  “Luoghi dell’infinito”, A. V, n° 47, Milano 2001.
CANESTRI E., Il  sarcofago  paleocristiano  di  Boville  Ernica, in UNIVERSITAS CIVIUM, Atti dell’Anno Sociale 2000 – 2001, ARCHEOCLUB D’ITALA, Sede di Cassino, Cassino 2001, pp. 118 / 120.
DANIELOU J., I simboli cristiani primitivi, Città di Castello 1997.
TAZARTES M., GIOTTO, Milano 2004
TESTINI P., ARCHEOLOGIA CRISTIANA, Bari 1980.
VASARI G., Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, r., Milano 1973.
VELMANS T., L’Arte Bizantina, Foligno 2017.

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