"Giovanni Paolo II trasformò la sua croce in amore"
Intervista
con il Cardinale Angelo Comastri, vicario del Papa per la Città del
Vaticano, sulla testimonianza di San Giovanni Paolo II, nel 15.mo della
morte, il 2 aprile del 2005 (Vatican News).
di Alessandro Gisotti
Sono passati 15 anni dalla morte di Karol Wojtyla, come ricordato da
Papa Francesco all'udienza generale di oggi. Indimenticabili i giorni
che segnarono il passaggio alla Casa del Padre di San Giovanni Paolo II,
dopo una lunga malattia vissuta con una testimonianza cristiana che
attrasse non solo i credenti ma anche persone lontane dalla Chiesa.
Proprio sull’insegnamento che il Papa polacco può darci oggi, in un
momento di grande sofferenza globale a causa della pandemia, si sofferma
il cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per lo Stato
della Città del Vaticano, in questa intervista con i media vaticani.
Cardinale Angelo Comastri, il 2 aprile di 15 anni fa, dopo una
lunga malattia vissuta offrendo una straordinaria testimonianza, moriva
San Giovanni Paolo II. Cosa ci offre oggi, in un contesto drammatico
come quello che stiamo vivendo a causa dell’emergenza Coronavirus, la
vita e l’esempio di Karol Wojtyla?
Il dilagare dell'epidemia, la crescita dei contagiati e il bollettino
quotidiano del numero dei morti ha trovato impreparata la società e ha
messo in luce il vuoto spirituale di molte persone. Il giornalista Indro
Montanelli, poco prima di morire, uscì con questa considerazione lucida
e onesta: “Se debbo chiudere gli occhi senza sapere da dove vengo e
dove vado e che cosa sono venuto a fare su questa terra, valeva la pena
che aprissi gli occhi? La mia è una dichiarazione di fallimento!".
Queste parole di Montanelli fotografano la situazione di una parte
dell'attuale società. Anche per questo, l’epidemia spaventa: perché in
tanta gente si è spenta la fede. Giovanni Paolo II era un credente, un
credente convinto, un credente coerente e la fede illuminava il cammino
della sua vita.
Nonostante molte sofferenze vissute e la lunga malattia, Karol
Wojtyla dava sempre la sensazione a chi lo incontrava di essere un uomo
in pace e pieno di gioia…
Giovanni Paolo II sapeva che la vita è una veloce corsa verso la
Grande Festa: la Festa dell’abbraccio con Dio, l'Infinitamente Felice.
Ma dobbiamo prepararci all'incontro, dobbiamo purificarci per essere
pronti all'incontro, dobbiamo togliere le riserve di orgoglio e di
egoismo che tutti abbiamo, per poter abbracciare Colui che è Amore senza
ombre. Giovanni Paolo II viveva la sofferenza con questo spirito: e,
anche nei momenti più duri (come il momento dell’attentato) non ha mai
perso la serenità. Perché? Perché aveva sempre davanti la meta della
vita. Oggi molti non credono più nella meta della vita. Per questo
motivo vivono il dolore con disperazione: perché non vedono al di là del
dolore.
Giovanni Paolo II ha sempre trovato nelle esperienze di
sofferenza, di dolore, una dimensione di speranza, di speciale occasione
di incontro con il Signore. Ricordiamo su tutto la Lettera Apostolica
“Salvifici Doloris”. Una sua riflessione su questo particolare carisma
del Papa polacco?
Il dolore indubbiamente fa paura a tutti, ma quando è illuminato
dalla fede diventa una potatura dell’egoismo, delle banalità e delle
frivolezze. Di più. Noi cristiani viviamo il dolore in comunione con
Gesù Crocifisso: aggrappati a Lui, noi riempiamo il dolore con l'Amore e
lo trasformiamo in una forza che contesta e vince l'egoismo ancora
presente nel mondo. Giovanni Paolo II è stato un vero maestro del dolore
redento dall'Amore e trasformato in antidoto dell'egoismo e in
redenzione dell’egoismo umano. Ciò è possibile soltanto aprendo il cuore
a Gesù: soltanto con Lui si capisce il dolore e si valorizza il dolore.
Quest’anno a causa dell’emergenza attuale, vivremo una Pasqua
“inedita” per rispettare le disposizioni di contrasto al contagio. Anche
l’ultima Pasqua di Giovanni Paolo II fu segnata dalla malattia,
dall’isolamento. Eppure ne abbiamo tutti un ricordo indelebile. Quale
insegnamento possiamo trarre da quell’ultima Pasqua di Papa Wojtyla
guardando a quello che succede oggi?
Tutti ricordiamo l'ultimo Venerdì Santo di Giovanni Paolo II.
Indimenticabile è la scena che abbiamo visto in televisione: il Papa,
ormai privo di forze, teneva il Crocifisso con le sue mani e lo guardava
con stringente amore e si intuiva che diceva: “Gesù, anch'io sono in croce come te, ma insieme a te aspetto la Risurrezione”.
I santi sono vissuti tutti così. Mi limito a ricordare Benedetta
Bianchi Porro, divenuta cieca e sorda e paralizzata a motivo di una
grave malattia e morta serenamente il 24 gennaio 1964. Poco tempo prima,
ebbe la forza di dettare una meravigliosa lettera per un giovane
handicappato e disperato di nome Natalino. Ecco cosa uscì dal cuore di
Benedetta: “Caro Natalino, ho 26 anni come te. Il letto ormai è la
mia dimora. Da alcuni mesi sono anche cieca, ma non sono disperata,
perché io so che in fondo alla via Gesù mi aspetta. Caro Natalino, la
vita è una veloce passerella: non costruiamo la casa sulla passerella,
ma attraversiamola tenendo stretta la mano di Gesù per arrivare in
Patria”. Giovanni Paolo II era su questa lunghezza d'onda.
In questo periodo segnato dalla pandemia, ogni giorno in diretta
streaming su Vatican News e sui media che lo ritrasmettono, tantissime
persone si uniscono in preghiera alla recita dell’Angelus e del Rosario.
Viene naturale pensare a Giovanni Paolo II legato a Maria fin dallo
stemma episcopale…
Sì, Giovanni Paolo II aveva voluto sul suo stemma come motto queste parole: Totus Tuus Maria.
Perché? La Madonna è stata vicina a Gesù nel momento della
Crocifissione e ha creduto che quello era il momento della vittoria di
Dio sulla cattiveria umana. Come? Attraverso l'Amore che è la Forza
Onnipotente di Dio. E Maria, poco prima che Gesù consumasse il Suo
Sacrificio di Amore sulla Croce, ha sentito le parole impegnative che
Gesù le ha rivolto: “Donna, ecco tuo figlio!”. Cioè: “Non
pensare a me, ma pensa agli altri, aiutali a trasformare il dolore in
amore, aiutali a credere che la bontà è la forza che vince la
cattiveria”. Maria da quel momento si preoccupa di noi e quando ci
lasciamo guidare da lei siamo in mani sicure. Giovanni Paolo II ci
credeva, si è fidato di Maria e con Maria ha trasformato il dolore in
occasione di amore.
C’è da ultimo un aneddoto, una parola che Giovanni Paolo II le ha
rivolto e che a 15 anni di distanza vuole condividere anche come segno
di speranza per tante persone nel mondo, che soffrono, che hanno amato e
continuano ad amare Karol Wojtyla?
Nel marzo 2003, Giovanni Paolo II m’invitò a predicare gli Esercizi
Spirituali alla Curia Romana. Anche lui partecipò a quel corso di
Esercizi Spirituali con esemplare raccoglimento. Al termine degli
Esercizi, mi ricevette con tanta bontà e mi disse: “Ho pensato di regalarle una croce come la mia”. Io giocai sul doppio senso della parola e dissi a Giovanni Paolo II: “Padre Santo è difficile che mi possa dare una croce come la sua…”. Giovanni Paolo II sorrise e mi disse: “No… la croce è questa”, e mi indicò una croce pettorale che voleva donarmi. E poi aggiunse: “Anche lei avrà la sua croce: la trasformi in amore. Questa è la saggezza che illumina la vita”. Non ho più dimenticato questo meraviglioso consiglio che mi ha dato un Santo.
-------------------------------------------
Fonte: www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2020-04/anniversario-morte-giovanni-paolo-secondo-intervista-comastri.html
Nessun commento:
Posta un commento