lunedì 20 luglio 2020

MUSICA TRA CULTURA E LITURGIA, di mons. Marco Frisina




MUSICA TRA CULTURA E LITURGIA

di mons. Marco Frisina 

  


La cultura contemporanea sembra spesso distogliere la nostra attenzione dal sacro, sembra sempre tesa a profanizzare, banalizzare, squalificare le espressioni sacre per renderle troppo quotidiane.

Certo questo spesso accade perché il cambiamento repentino delle categorie culturali ci ha spiazzato e ciò che profeticamente il Concilio Vaticano II aveva preveduto riguardo alla necessità di un dialogo culturale vivo con il mondo contemporaneo non lo abbiamo preso molto sul serio, facendoci trovare un po’ impreparati a traghettare le forme artistiche del sacro nella nuova situazione. Ma la storia non torna indietro, la comunicazione di Dio è ancora oggi prioritaria e le esigenze della evangelizzazione non ci permettono di rifugiarci in torri d’avorio più o meno distaccate dalla realtà che ci circonda. Dobbiamo proporre, dobbiamo esprimere, dobbiamo cantare Dio con questi nostri fratelli, con questo mondo, con questi mezzi.
Perdonatemi se insieme a voi percorrerò un piccolo itinerario per riflettere insieme su alcuni elementi fondamentali della musica e di quella sacra in particolare, per trovare una via nuova e nello stesso tempo antica per esprimere Dio attraverso la musica.

Il potere di comunicare

La musica ha un significato fondamentale nella storia della civiltà e nella cultura religiosa di ogni popolo. L’arte è capace di riassumere messaggi e significati importantissimi di una civiltà dando voce all’umanità che la produce in modo talmente profondo e alto da far sì che a volte le opere artistiche prodotte in un tempo e in un luogo preciso divengano patrimonio universale dell’umanità di ogni luogo e tempo. L’arte è capace di conoscere e far conoscere le profondità del cuore dell’uomo a ogni uomo e in ogni tempo: è grande il potere dell’arte e in modo speciale della musica che, a differenza delle altre arti, è la più effimera eppure la più profondamente radicata nella vita degli uomini, la più “eterea” eppure la più fisica delle arti.
La musica è fatta di vibrazioni fisiche a cui l’uomo accoppia misteriosamente sensazioni, ricordi, messaggi che derivano spesso dal suo inconscio più profondo o dalle sue esperienze dimenticate. Il “mistero” della musica sta nel fatto che di tutte le arti essa è la meno controllabile, la più istintiva pur avendo una struttura matematica e fisica fortissima. Si direbbe che il mondo delle sensazioni, dei sentimenti, dei ricordi, si unisce al mondo delle armonie, delle strutture, delle simmetrie, delle forme. Il piacere estetico della musica risulta infatti dall’incontro perfetto e armonico di queste due realtà, quella sensibile e quella intelligibile, quella fatta di timbri e sonorità e quella fatta di ritmo, struttura, forma.
La musica entra così a far parte di quell’insieme di realtà simboliche a allusive che, articolate tra loro, portano ad un linguaggio capace di comunicare e far comunicare. Come ogni linguaggio viene espresso attraverso una lingua che, per essere comunicativa, deve essere compresa dall’ascoltatore e può venire apprezzata più o meno a secondo della capacità e dall’educazione al linguaggio dell’ascoltatore. Se il linguaggio, ovvero sia la struttura e la coerenza interna della musica, e la lingua, ovvero tutto l’insieme di simbologie e allusioni comprensibili, sono armonicamente congiunti abbiamo la comunicazione musicale e di conseguenza la possibilità che la musica divenga tramite di valori e di pensiero, di poesia e di filosofia, a volte addirittura di politica o di informazione.
Il potere della musica non è mai stato ignorato nelle diverse civiltà e il suo uso è stato sempre tenuto in massima considerazione per la capacità che possiede di penetrare nell’intimità umana senza problemi di troppe mediazioni culturali o linguistiche. La musica riassume in sé moltissime cose e le porta con sé esprimendole in modo convincente al cuore di altri uomini, in modo diretto, senza bisogno di traduzioni e commenti.
La musica si è così espressa attraverso la vocalità e gli strumenti musicali. La voce umana è il mezzo principale e immediato della musica, è lo strumento per eccellenza in quanto è simbolo della comunicazione stessa in cui un uomo canta di sé a un altro uomo. E’ la prima musica che appare in tutte le culture fin dal loro sorgere. Attraverso il canto l’uomo parla in modo speciale, distingue, attraverso questo mezzo espressivo la comunicazione banale dalla poesia. Il canto è spesso riservato alle cose alte, alla preghiera e al rito, alla festa e alla gioia, all’amore che ha nel canto e nel lirismo la sua più normale espressione. Non bisogna però dimenticare tutto l’uso sociale del canto, dalle acclamazioni dello stadio ai cori politici fino ai canti di guerra e agli inni nazionali.
Ma nell’ambito rituale certamente il canto corale occupa un posto particolare, l’unione delle voci diverse ma fuse in un unico evento musicale sono un simbolo chiaro dell’unione del gruppo e del popolo davanti all’evento celebrato. Mentre il canto solistico, individuale, suppone un’autorevolezza, un ruolo specifico, diremmo noi oggi un “ministero” che la comunità accetta e a cui attribuisce un compito specifico.


Salmi e cantici nella Bibbia

Nella Sacra Scrittura l’uso della musica riflette l’uso del mondo antico ma con un’interpretazione nuova e fondamentale per il suo significato all’interno della liturgia cristiana.
E’ Dio stesso a suscitare il canto nel cuore dell’uomo e a innalzarlo con la lode fino a lui, è sempre lui a suggerire le parole e a sostenerne il canto fino a unirsi lui stesso, in Cristo, al grande canto della creazione rinnovata. I cantici dell’Antico Testamento sono sempre inseriti in modo molto preciso all’interno dell’evento narrato.
Se prendiamo ad esempio l’episodio del Miracolo del Mare in Es 14-15 notiamo che il racconto “in prosa” ci descrive il prodigio e le azioni dei protagonisti per poi fermarsi in una sorta di stasi contemplativa affidando al canto il commento dell’evento. Il canto del Mare di Es 15 diviene così un commento e un canto, una contemplazione e un inno di ringraziamento a Dio: in una parola è il “salmo responsoriale” che segue la proclamazione della lettura sacra precedente, che l’attualizza e la universalizza mettendo in bocca ad ogni uomo, che viene salvato dalle acque del peccato come Israele, “ Voglio cantare in onore del Signore perché ha mirabilmente trionfato…” L’evento salvifico si trasforma in canto, la lode nasce dal profondo della storia di salvezza per allargarsi al mondo.
Così per altri cantici come quello di Debora di Gdc 5, canto di guerra ed epopea di Israele; quello di Anna di 1Sam 2, canto di ringraziamento e di gioioso stupore della potenza salvifica del Signore che “fa partorire la sterile”; i salmi di Davide, sia quelli contenuti nei libri di Samuele che quelli estrapolati e confluiti nel Salterio, tutti con la loro ambientazione storica e l’evento a cui si riferiscono come il Miserere (Sal 51).
Il Salterio è infatti la raccolta di tutti quei canti che possono riassumere i diversi sentimenti, le diverse reazioni, le gioie e le sofferenze, la vita e la morte che si alternano nella vita dell’uomo. Tutto questo è posto dinanzi a Dio, in dialogo con Lui, in preghiera. Il Salmo 150, che chiude il Salterio, enumera tutti gli strumenti musicali che si uniscono alla lode del credente. I diversi strumenti sono simboli della creazione stessa, le pelli dei tamburi, le corde dei salterii e delle cetre, i legni e i metalli dei flauti e dei sistri, il corno d’ariete dello shophar, tutte le creature debbono simbolicamente esesre presenti nella lode a Dio insieme all’uomo e al suo canto.
Negli scritti profetici gli oracoli sono composti in poesia ritmica e probabilmente in canto. Così i libri come il Cantico dei cantici sono impensabili senza far riferimento alle strutture musicali interne ed esterne fondamentali alla sua stessa comprensione.
Il Nuovo Testamento si inserisce pienamente in questa tradizione soprattutto con Luca che, imitando lo stile greco dei LXX, ci mostra Maria cantare il suo Magnificat, come avevano fatto Anna, Debora e Giuditta, a commento gioioso delle parole profetiche di Elisabetta. Così fa anche Zaccaria con tono profetico nel suo Benedictus e il vecchio Simeone con il suo Nunc dimittis.
Gli angeli cantano il loro inno di lode in Betlem con il loro Gloria. Mentre Paolo di Tarso inserisce inn9i e cantici nelle sue lettere, canti sicuramente usati nelle liturgie delle primitive comunità cristiane.
La Scrittura quindi ci insegna a non staccare mai il canto dall’evento salvifico e a non dimenticare l’importanza di esprimere con la partecipazione totale dell’uomo al canto di Dio e della creazione redenta.


Sacro e liturgico

La Liturgia è il rinnovarsi dell’evento salvifico nella storia degli uomini, la porta aperta che ci mette in comunicazione diretta con la Redenzione di Cristo. Cantare questa redenzione è compito della musica liturgica che non solo è sempre sacra ma deve rispondere anche a canoni precisi dettati dalla Chiesa stessa che disciplina e sceglie l’uso della musica nella celebrazione dei misteri. La musica, come prima si diceva riguardo ai cantici biblici, è il linguaggio che sottolinea, interpreta e traduce in modo artistico e nello stesso tempo rituale l’evento teologico vissuto.
A questo punto occorre soffermarsi sulla distinzione tra musica sacra e musica per la liturgia, poiché negli ultimi secoli le due cose non sono andate sempre insieme in modo pacifico e chiaro. Se noi vorremmo eseguire tutto il repertorio sacro del 700-800 durante la liturgia ci troveremmo in difficoltà e a volte addirittura in imbarazzo, perché le strutture musicali non sono sempre compatibili con i ritmi e le caratteristiche della Liturgia. La stessa libertà di espressione di alcune partiture mal s’addice al senso stesso della Liturgia.
Il problema sta nel focalizzare bene il fatto dell’uso liturgico della musica e in questo ci viene in aiuto il canto gregoriano, che rimane in un certo senso normativo. Non che il canto gregoriano sia l’unica musica oppure che solo copiando quello stile e quel linguaggio si fa musica autenticamente liturgica, ma in senso più profondo e direi autenticamente strutturale il gregoriano è la testimonianza viva di secoli di canto liturgico in cui le esigenze della preghiera e della musica si sono incontrate e si sono evidenziate in diversi modi, ad es.:
il testo, deriva sempre dalla Scrittura e dalla teologia filtrata attraverso l’uso liturgico della Chiesa;
le forme: come l’antifona, l’inno, il salmo, il responsorio, la litania etc, tutte inserite nella viva prassi liturgica;
la distinzione dei ruoli: l’assemblea, il coro, i solisti, il salmista, il presidente;
l’andamento e la struttura musicale: la musica che segue il testo, gli archi melodici, le espressività diversificati a seconda del testo e del tempo liturgico. Queste ed altre caratteristiche fanno del gregoriano una norma per la musica nella liturgia. Non si tratta quindi di usare semplicemente forme melodiche da cui trarre armonie di mille anni fa o, per quanto riguarda la polifonia, fermarsi a considerare il linguaggio musicale solo fino al ‘600 per poi consacrarlo come l’unico possibile ma scoprire il senso che unisce e accomuna l’autentica musica liturgica del passato per poter comporre la nuova.

Oggi ci troviamo davanti a un nuovo inizio, occorre creare una nuova musica in linea con gli insegnamenti del Vaticano II, siamo in una situazione molto simile a quella in cui vennero a trovarsi i compositori subito dopo il Concilio di Trento, purtroppo forse siamo in forte ritardo.


Alcuni criteri

Ma prima di porsi all’opera occorre riscoprire il senso “forte” della musica e, di conseguenza, il senso forte della musica sacra, solo a questo punto potremo realizzare una musica autenticamente liturgica.
Non tutto ciò che è sacro è adatto per la liturgia, mentre tutta la musica scritta per la liturgia deve essere sacra. Ovvero nelle forme e nell’ispirazione, come nel testo e nelle emozioni interiori che suscita, la musica per la liturgia deve essere sempre sacra. I criteri fondamentali per questa distinzione sono a mio avviso abbastanza semplici in quanto il fine della musica sacra resta sempre il raggiungimento di una elevazione spirituale e di un rapporto interiore con Dio che la musica può indirizzare e sostenere; ma nella musica liturgica tutto questo diviene più oggettivo, universale, semplice, puro, non legato a gusti del momento, capace di far sentire dentro di essa tutti i duemila anni di arte cristiana e nello stesso tempo capace di essere musica di oggi.
La musica sacra scritta per la liturgia o quella libera frutto di una meditazione poetica del compositore deve sempre rispondere ad alcuni criteri:
il testo: deve essere sempre sacro e comunque teologico;
le forme: una musica non scritta espressamente per la liturgia può avere libertà di forme anche se queste non devono esulare dal loro fine: aiutare l’anima a raggiungere Dio, a conoscerlo, ad amarlo.
può riflettere in modo anche drammatico le difficoltà del credere con una espressività più libera. In questo caso però si tratta di composizioni da non considerarsi liturgiche anche se a volte possono benissimo essere annoverate tra i capolavori ma esprimono semplicemente una fortissima carica religiosa.

Quello che è stato detto non esime però il compositore di musica per la liturgia dal rispettare alcune esigenze strettamente musicali:
la qualità: la musica per la liturgia non può separarsi dal contesto più ampio della musica pura, deve essere sempre di qualità alta proprio per il suo uso: nella lode a Dio si dà il meglio;
semplicità: non è nella complessità e nella difficoltà la qualità di una musica, ciò vale soprattutto per la liturgia che deve poter essere sempre comprensibile ed eseguibile sia dal coro che, nei casi in cui viene coinvolta, anche dall’assemblea. (Su questo occorrerebbe soffermarsi in un convegno a parte…)
efficacia: un canto liturgico che non muove il cuore verso Dio non coglie la sua finalità. Se addirittura disturba o per la sua astrusità o per la sua complessità o per il suo stile troppo fuorviante è da evitare;
rispetto della struttura delle celebrazioni: la musica è per la liturgia e non viceversa. Le composizioni che non trovano spazio nella liturgia devono prepararla o seguirla.


Tra cultura e liturgia

La musica sacra si trova quindi a respirare con due polmoni: da una parte, come musica che parla di Dio e con Dio è musica, poesia, canto dell’uomo che vive il suo tempo, che come arte non può non volare al di là degli orizzonti consueti per scoprire ed esplorare nuove frontiere e nuovi linguaggi; d’altra parte se è usata nella liturgia deve rispondere alle esigenze della celebrazione liturgica, ai suoi tempi, alle sue strutture, ai suoi limiti, perché è la Chiesa che prega con la musica. Il compositore non può piegare la preghiera della Chiesa alla sua espressione musicale ma deve piegare la sua arte musicale all’uso liturgico che la Chiesa ne fa.
Tutto ciò non significa che non c’è più spazio per la musica sacra di qualità o addirittura, come a volte si sente dire, non c’è più la musica in Chiesa. Tutti gli abusi che in questi decenni si sono perpetrati nei confronti della musica liturgica nascono da alcuni equivoci che hanno visto allontanare i musicisti dalla composizione liturgica semplicemente perché non vi trovavano le strutture solite del “genere sacro”. La Chiesa di oggi, proiettata come è nel mondo e non semplicemente, come un tempo incentrata sulla cultura europea, respira le culture dei popoli e vive, come tutti noi, in un mondo totalmente nuovo, in cui non abbiamo più gli stessi riferimenti di un tempo. La comunicazione dei riferimenti simbolici del linguaggio musicale, il senso del passato e della storia, la tecnologia e l’economia, la comunicazione mediatica invadente, fanno del discorso musicale non più un fatto elitario ma di massa con tutti i vantaggi e gli svantaggi della cosa.
In casi come questi non possiamo fare i “laudatores temporis acti”, non possiamo rifugiarci nello sterile rimpianto del passato, occorre lavorare oggi, con i mezzi, i linguaggi, le forme di oggi per comunicare la nostra fede e per celebrarla rimanendo in equilibrio tra la cultura che viviamo e il contenuto di fede che dobbiamo comunicare, fermo restando che nella liturgia noi viviamo una situazione molto diversa da quella della composizione libera. Nella musica liturgica la celebrazione ha caratteristiche di universalità e non semplicemente soggettive, la liturgia respira il tempo della Chiesa che non è semplicemente la contemporaneità ma è l’”oggi” di Cristo risorto, è l’”oggi” di una tradizione sempre viva come testimonianza della fede dei nostri padri.
Secondo me il problema più grave è soprattutto l’assenza di autentica musica sacra fuori della liturgia. Non di musica che vuole cimentarsi sul “genere sacro” ma di musica che esprime autenticamente la fede di chi la scrive. La sincerità del compositore qui è d’obbligo e, nonostante le dichiarazioni di intenti, non sempre queste composizioni riflettono una fede o un tormento autentico, una ricerca appassionata e sincera, una lode o una meditazione profonde. Questo accade non per colpa dell’artista ma per quell’equivoco che pone il sacro sempre in “sacrestia” più che nel cuore degli uomini, che relega la musica sacra tra i generi formali e non tra le ispirazioni poetiche vive anche nel mondo contemporaneo.
Questo tempo che noi viviamo, nonostante le sue contraddizioni è a mio avviso il tempo propizio per riproporre un arte musicale forte in cui Dio sia nuovamente al centro della comunicazione artistica, dove si può sentire l’uomo di oggi e di sempre cantare il suo essere creatura con tutta la sua forza e tutto il suo tormento. La musica liturgica ne avrebbe sicuramente un grandissimo giovamento perché potrebbe interpretare tutto questo purificandolo e semplificandolo divenendo autentica sintesi della fede del mondo dinanzi a Dio.




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