lunedì 26 dicembre 2022

Omelia per la Messa di Natale 2022 dell'Arcivescovo Giuseppe Baturi

 

Omelia per la Messa di Natale 2022

dell'Arcivescovo Giuseppe Baturi




C’è ancora spazio in noi per l’incanto, lo stupore di questa notte? L’abitudine delle parole che usiamo stanotte le ha rese meno sincere? Il Natale è capace ancora di generare una profonda conversione nel modo di sentire e leggere la vita?

Cari fratelli e sorelle, a Natale siamo riportati all’essenza del cristianesimo, alle verità più profonde della fede, a quel nucleo elementare che sorregge la nostra speranza. Il contenuto elementare e profondo della nostra fede si ricapitola nella persona di Gesù Cristo e nella sua presenza tra noi, perché Egli ci è contemporaneo. La sua nascita, le sue parole e opere, la sua morte e risurrezione sono di oggi, sono per noi. Tutto di Gesù Cristo ci è contemporaneo e così quando facciamo memoria dei suoi misteri, in qualche modo, parliamo anche di noi e nel nostro presente, delle nostre paure e dei nostri desideri.

«Il popolo che camminava nelle tenebre / ha visto una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa / una luce rifulse» (Is 9,1). Serve davvero una luce a chi cammina nelle tenebre. Nel buio la realtà non si lascia riconoscere, siamo a disagio e il fastidio si alimenta di paure. Temiamo sempre che il buio nasconda una brutta possibilità. Nelle tenebre siamo incapaci di scoprire le presenze amiche e di scorgere un orizzonte ultimo verso cui andare e nel quale collocare il nostro presente. Se manca la luce il nostro cammino si popola di fantasmi, si fa la guerra, si provocano divisioni, si odia e si fa violenza, si vive nel timore.

Pensiamo a chi soffre la tragedia della guerra ed è costretto a nascondersi nel buio di un rifugio; a chi è ammalato gravemente e non riesce a vedere cosa l’attende; a chi non gode di un amore caldo al quale abbandonarsi; a chi ha smarrito la gioia del vivere e la speranza di una meta. Vogliamo la luce così come desideriamo la serenità e la pace, come sospiriamo il volto di persone familiari e rassicuranti.

La luce è dono di Dio, è una grazia necessaria, attesa, sperata. «Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia» (Is 9,2). La luce è la gioia di un amore donato. «Perché un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio» (Is 9,5). Quanto volte abbiamo pensato che la luce della vita sia una persona amata, con cui spartire la speranza della felicità. Quante volte abbiamo pensato di qualcuno: Sei tu la luce dei miei occhi. Tu! Il Natale è l’annuncio lieto, è l’esperienza sorprendente che la luce capace di illuminare il nostro cammino è nato, ha il volto di un bambino amabile. È Cristo la luce del mondo. La luce, infatti, è diventata carne e ci ha raggiunti in un figlio nato per noi, a Betlemme, nei giorni del censimento disposto da Cesare Augusto; un primogenito avvolto in fasce e posto in una mangiatoia, poiché per lui non si era trovato posto nell’alloggio. La luce che rischiara il cammino è un bambino da adorare come fecero i pastori; da abbracciare, come fece Simeone; da raccontare, come fece Anna; da proteggere, come fece Giuseppe; da accudire e custodire nel cuore, come fece Maria. La luce è un bambino da accogliere e amare. Dio ha scelto la via dell’incarnazione perché potessimo incontrarlo lasciandoci attirare dalla sua bellezza, senza paura e senza vergogna.

Dio ci guarda con gli occhi di quel figlio. Anche noi, come i pastori quella notte, siamo chiamati a leggere la vita alla luce dell’evento di Gesù, a guardarla con i suoi occhi. Solo lo sguardo di Dio può rendere giustizia alla vita. Nel bambino di Betlemme siamo attirati all’amore di «Colui che ha creato il cielo e la terra, colui che è sempre stato e sempre sarà, colui che è la ragione, il principio dell’essere di tutte le cose, della nostra vita, della nostra esistenza, colui che conosce tutto, che vede nei nostri pensieri, colui che è presente a noi più che noi stessi» (San Paolo VI).

Invochiamo la tua pace, o bambino nato per noi, quella che si estende a tutti gli uomini, che ci riconcilia con la nostra storia e ci fa operatori di riconciliazione affinché ogni calzatura di soldato che marcia rimbombando e ogni mantello intriso di sangue siano bruciati e dati in pasto al fuoco (cf. Is 9,4).

Ti preghiamo perché possiamo guardare gli eventi e gli incontri della vita con la profondità del tuo sguardo.

Ti domandiamo l’audacia e la semplicità di raccontare a tutti la tua bellezza.

Ti invochiamo, o figlio primogenito, perché abbiamo la capacità di stupirci ancora e di gustare sempre la gioia dell’incontro con te.



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Fonte:  https://www.chiesadicagliari.it/arcivescovo/giuseppe-baturi/

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