Gianfranco Ravasi
Il calice e il battesimo
"Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?". (Marco 10,38)
Giovanni e Giacomo sono ancora avvolti nel fumo delle illusioni politiche che avevano accompagnato l’entrata in campo di Gesù, acclamato come Messia: non riescono, infatti, a concepire il regno di Dio se non in termini di potere. Ecco, allora, la richiesta anticipata di due posizioni di prestigio nel futuro organigramma: uno alla destra di Gesù e l’altro alla sua sinistra in quell’ideale consiglio dei ministri del regno dei cieli. La replica di Cristo è severa: «Voi non sapete quello che chiedete». E subito dopo, attraverso due immagini, mostra quanto diversa sia la logica del progetto che egli sta realizzando, stracciando così ogni concezione messianica nazionalistica.
Per essere ammessi al regno che Gesù sta instaurando, c’è innanzitutto un “calice” da bere. Di per sé l’immagine nella Bibbia e nel giudaismo è ambivalente. Da una parte, c’è il calice della gioia, della consolazione offerta alle persone in lutto dopo i funerali; c’è il calice dell’ospitalità (Salmo 23,5) o quello del rito pasquale.
"Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?". (Marco 10,38)
Giovanni e Giacomo sono ancora avvolti nel fumo delle illusioni politiche che avevano accompagnato l’entrata in campo di Gesù, acclamato come Messia: non riescono, infatti, a concepire il regno di Dio se non in termini di potere. Ecco, allora, la richiesta anticipata di due posizioni di prestigio nel futuro organigramma: uno alla destra di Gesù e l’altro alla sua sinistra in quell’ideale consiglio dei ministri del regno dei cieli. La replica di Cristo è severa: «Voi non sapete quello che chiedete». E subito dopo, attraverso due immagini, mostra quanto diversa sia la logica del progetto che egli sta realizzando, stracciando così ogni concezione messianica nazionalistica.
Per essere ammessi al regno che Gesù sta instaurando, c’è innanzitutto un “calice” da bere. Di per sé l’immagine nella Bibbia e nel giudaismo è ambivalente. Da una parte, c’è il calice della gioia, della consolazione offerta alle persone in lutto dopo i funerali; c’è il calice dell’ospitalità (Salmo 23,5) o quello del rito pasquale.
D’altra parte, però, c’è anche il calice dell’ira
di Dio, espressione di una prova lacerante, della
sofferenza e del giudizio sul male: «Nella mano del
Signore è un calice ricolmo di vino drogato. Egli ne
versa: fino alla feccia ne berranno tutti gli empi della
terra» (Salmo 75,9).
Ora Cristo nella sua passione e morte, assumendo su di
sé il peccato dell’umanità, berrà questo calice
terribile. Ne proverà disgusto, tant’è vero che
implorerà Dio così:
«Abba’, Padre, tutto a te è possibile, allontana da me questo calice!» (Marco 14,36). Ma alla fine non esiterà nella scelta. A Pietro, che con la spada tenta di impedire la sua cattura nel Getsemani, replicherà: «Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?» (Giovanni 18,11). È, dunque, questa la via, tutt’altro che trionfale, che conduce alla gloria e quel calice verrà presentato anche ai discepoli se lo vorranno seguire sulla via della croce.
L’altra immagine è quella del “battesimo” che è assunta da Gesù nel suo significato etimologico di base: il termine deriva dal verbo greco bápto o baptízein, “immergere”. Siamo, perciò, in presenza di un’immersione non tanto nell’acqua rigeneratrice e vitale del Battesimo cristiano, quanto piuttosto nelle onde tumultuose e tenebrose di un abisso di sofferenze, del mare tempestoso delle prove. Si ritorna, così, al simbolo del calice a cui sono chiamati anche i seguaci di Cristo, se vogliono essere ammessi alla gloria del regno di Dio.
Gesù, a questo punto, convocati anche gli altri dieci apostoli, impartisce loro una lezione sulla vera “carriera” cristiana (Matteo 10,41-45).
Essa è paradossalmente modellata sul suo esempio di “servo”, che «è venuto non per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita», ed è sintetizzata in questo “codice” ideale ben diverso da quello che si assegnano i politici e i potenti della terra: «Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti».
«Abba’, Padre, tutto a te è possibile, allontana da me questo calice!» (Marco 14,36). Ma alla fine non esiterà nella scelta. A Pietro, che con la spada tenta di impedire la sua cattura nel Getsemani, replicherà: «Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?» (Giovanni 18,11). È, dunque, questa la via, tutt’altro che trionfale, che conduce alla gloria e quel calice verrà presentato anche ai discepoli se lo vorranno seguire sulla via della croce.
L’altra immagine è quella del “battesimo” che è assunta da Gesù nel suo significato etimologico di base: il termine deriva dal verbo greco bápto o baptízein, “immergere”. Siamo, perciò, in presenza di un’immersione non tanto nell’acqua rigeneratrice e vitale del Battesimo cristiano, quanto piuttosto nelle onde tumultuose e tenebrose di un abisso di sofferenze, del mare tempestoso delle prove. Si ritorna, così, al simbolo del calice a cui sono chiamati anche i seguaci di Cristo, se vogliono essere ammessi alla gloria del regno di Dio.
Gesù, a questo punto, convocati anche gli altri dieci apostoli, impartisce loro una lezione sulla vera “carriera” cristiana (Matteo 10,41-45).
Essa è paradossalmente modellata sul suo esempio di “servo”, che «è venuto non per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita», ed è sintetizzata in questo “codice” ideale ben diverso da quello che si assegnano i politici e i potenti della terra: «Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti».
https://www.novena.it/catechesi/catechesi65.htm
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