Nica FIORI
La Natività e i Magi nei primi secoli del cristianesimo
Le festività del Natale e dell’Epifania,
con la loro carica di spiritualità, fanno riaffiorare l’esigenza di
aggiornare la conoscenza di tutte le memorie storiche che sono
all’origine della fede. A Roma, tra gli ambienti più caratteristici del
primo cristianesimo, troviamo le catacombe. La loro visita è
affascinante, ovviamente per chi non soffre di claustrofobia. Ci si
inoltra nel grembo della terra e si scoprono i simboli e i dipinti che
dovevano accompagnare i defunti, e non di rado i martiri, nella vita
eterna. La Catacomba di Priscilla, in particolare, conserva le più antiche rappresentazioni dipinte della Madonna e dei Magi, relative al III secolo, raffigurazioni che si affermano con una certa regolarità nel IV secolo.
Museo di Priscilla, nuovo allestimento
La Regina catacumbarum (così è definito il cimitero di Priscilla per i numerosi martiri che vi sono sepolti) è situata nella via Salaria e deve il nome alla proprietaria del terreno, una matrona appartenente all’importante famiglia degli Acilii. Un lungo restauro conclusosi qualche anno fa ha permesso di ridare luce e colore a dipinti che non erano più visibili e nell’occasione è stato riallestito il museo annesso al cimitero, presso la vicina chiesa di San Silvestro. Visitando il complesso ci rendiamo conto che inizialmente, quando i cristiani erano pochi, venivano sepolti insieme ai pagani. Solo con l’accrescersi della comunità si è sentito il bisogno di costruire cimiteri propri: dagli antichi ipogei cominciarono così a dipartirsi chilometri e chilometri di gallerie che nell’arco di due o tre secoli (tanto durò l’uso di questo tipo di sepoltura) costituirono una vera e propria ragnatela cimiteriale, che si sviluppava in profondità sotto il livello della campagna soprastante.
Per questo motivo nel museo di Priscilla
troviamo anche i reperti marmorei degli scavi della vicina necropoli
pagana: oltre 700 frammenti di sarcofagi restaurati e collocati sulle
pareti secondo un nuovo criterio di allestimento che porta dai sarcofagi
strigilati ai ritratti, ai motivi mitologici, alle scene di transizione
e cristiane, alle scene marine, per finire con Eroti, Amorini e Geni.
Se nel museo prevalgono le decorazioni
di ambito pagano, tutti cristiani sono invece i motivi ornamentali
dipinti negli angusti ambienti catacombali, a partire da quella che è
considerata la prima immagine occidentale della Madonna con il Bambino, affrescata in un nicchione presso l’arenario.
La Madonna indossa una tunica a maniche corte e sul capo ha un velum, simbolo di modestia. È raffigurata seduta con in grembo il Bambino nudo; alla sua sinistra è la figura di un uomo, non San Giuseppe come ci si aspetterebbe, ma un profeta che indica una stella, forse Isaia, Michea o più probabilmente Balaam, perché in un suo oracolo si legge: Io già lo vedo, ma non al presente,
/ io già lo contemplo, ma non da vicino: / un astro spunterà da
Giacobbe, / uno scettro sorgerà da Israele. / Tale re schiaccerà le
tempie di Moab / e il cranio di tutti i figli di Set. (Numeri, 24, 17)
Giovanni Battista De Rossi,
l’archeologo romano che scavò il sito alla metà dell’Ottocento, si
accorse subito dell’importanza di questa pittura, dove si coglie
l’aggancio tra il Nuovo e l’Antico Testamento, perché mostra insieme Gesù e un Profeta che allude alla venuta del Messia.
Nella cosiddetta Cappella Greca della stessa catacomba troviamo la più antica raffigurazione dei Magi, resi con un certo dinamismo mentre si avviano a braccia tese verso la Madonna con il Bambino.
Maria è raffigurata a capo nudo, volendo evidenziare così la sua
verginità (le donne sposate non si sarebbero mai fatte vedere senza il
velo). Questo soggetto si ritrova anche in altre catacombe romane (tra
cui quelle notissime di Domitilla e di Callisto)
e la scena è rappresentata sempre allo stesso modo con il Bambino
grandicello, vestito di una tunichetta, sulle ginocchia della Madre e i
Magi di profilo uno dietro l’altro. Questi sono giovani imberbi e
vestono all’orientale con le brache e una corta tunica, a volte coperta
da una clamide, e il caratteristico berretto frigio, chiamato pileus.
Soltanto più tardi si affermerà l’immagine di uomini di tre differenti
età (uno imberbe, uno con barba nera, uno con barba bianca), che
troviamo per esempio a Ravenna, nello splendido mosaico del VI secolo di Sant’Apollinare Nuovo.
Lo schema iconografico dell’Adorazione dei Magi
ricorda quello tardoimperiale relativo al cerimoniale dei popoli vinti
che portano doni al sovrano. L’abbigliamento dei vinti è quasi sempre
quello tipico degli orientali, che troviamo per esempio nei Parti raffigurati nell’Arco di Settimio Severo, come pure nel dio persiano Mitra. E proprio alla Persia rimanda la credenza da parte di molti greci che i Magi fossero adoratori del fuoco, seguaci di Zoroastro.
Il loro nome, in effetti, fa pensare al persiano maga, che vuol dire “dono”, nel senso di rivelazione divina annunciata dal profeta Zarathustra (Zoroastro per i greci). I partecipi di questo particolare dono, detti maga-van, mogu o magu,
acquistano un potere magico per mezzo del quale possono entrare in
contatto con le energie divine e ottenere una conoscenza superiore. I Magi dovevano
essere, quindi, una casta sacerdotale iranica con una preparazione
astrologica e astronomica, in grado di interpretare i sogni e di avere
visioni di avvenimenti futuri. Essendo totalmente estranei al mondo
giudaico, meraviglia la loro conoscenza di un evento che riguardava la
religione ebraica. In realtà, in diversi ambienti iranici si attendeva
in quel periodo un soccorritore (saushiant) che doveva essere concepito dal bagno di una vergine nelle acque del lago di Kayanseh, dove si credeva conservato il seme di Zarathustra. Quest’attesa, che non differiva molto da quella giudaica del Messia, insieme all’apparizione di una strana stella, deve aver spinto i Magi a intraprendere il lungo viaggio alla ricerca del neonato re dei Giudei.
Il numero dei Magi non è indicato da San Matteo, l’unico tra i quattro evangelisti che ne parla, e pertanto il loro numero è variabile (nel cimitero dei Santi Marcellino e Pietro i Magi sono due e nel cimitero di Domitilla
sono quattro), anche se prevale il numero tre, numero che a partire dal
IV secolo è costante. La scelta di questo numero è probabilmente legata
ai tre doni, oro, incenso e mirra, con i quali i Magi riconoscono Gesù Bambino come sovrano universale, essere divino e guaritore.
Mentre nelle catacombe è frequente la raffigurazione dei Magi, non è mai rappresentato il presepe, ovvero la mangiatoia della Natività, tranne che in una pittura del IV secolo nel cimitero di San Sebastiano,
dove il Bambino è coricato su un lettuccio con accanto l’asino e il
bue. Questo potrebbe essere spiegato con il fatto che nei primi tre
secoli il Natale non veniva festeggiato, mente la festa dell’Epifania
(letteralmente “manifestazione”) commemorava insieme la nascita e la
manifestazione ai Magi (la separazione delle due feste viene attribuita a
San Giulio I, papa dal 337 al 352).
La venuta dei Magi
richiama il contatto di Cristo con i Gentili, in quanto Cristo non si
manifesta solo agli Ebrei, rappresentati nel presepe dai pastori, ma
anche ai pagani.
Questa duplicità può essere colta anche dalla presenza nella stalla di Betlemme del bue e dell’asinello, riferita dal vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo.
Si è voluto vedere anche in essi un emblema di tutti i fedeli che
riconoscono Cristo e lo adorano. Secondo i Padri della Chiesa Eucherio di Lione e Isidoro di Siviglia il bue rappresenterebbe il popolo ebreo e l’asino i pagani, mentre per San Girolamo il primo sarebbe l’emblema del Nuovo Testamento e l’altro dell’Antico.
Nei sarcofagi paleocristiani il presepe è raffigurato per lo più insieme all’Adorazione dei Magi, in rari casi è invece da solo e in altri c’è la sola Epifania, con i Magi
che portano doni al Bambino seduto sulle ginocchia della Madre, a sua
volta seduta su una cattedra. Un esempio di questo tipo lo troviamo nel
grandioso Sarcofago Dogmatico (o dei Due Testamenti), rinvenuto durante i lavori di rifacimento ottocenteschi a San Paolo fuori le Mura e conservato nei Musei Vaticani (Museo Pio Cristiano). Destinato ad una coppia, il sarcofago presenta su due livelli scene del Vecchio e del Nuovo Testamento ed è databile alla fine dell’età costantiniana (337-340).
Mello stesso Museo Pio Cristiano troviamo alcuni rilievi di sarcofagi con i Magi,
dove compare anche la mangiatoia con il bue e l’asino, come quello di
ottima fattura del IV secolo (frammento di un coperchio), in cui la
scena si svolge da sinistra a destra:
a sinistra i tre re, con i tipici
copricapi orientali, avanzano guidati da una stella aureolata a sei
punte, fino a toccare il bue che, accanto all’asinello (posto in secondo
piano), sembra scaldare col suo fiato il Bambino deposto nella
culla-mangiatoia di giunchi al di sotto di un tetto, mentre sulla destra
è un Profeta in piedi con corta tunica presso un albero e Maria seduta
su un masso, avvolta in una palla (mantello femminile corrispondente al pallium maschile), che guarda verso il lato esterno alla scena.
In un altro rilievo la mangiatoia è
vuota, ma con accanto i due animali del presepe, mentre il Bambino in
fasce è tenuto dalla Madonna, cha sta a sinistra, e i Magi con i loro
cammelli, ancora più a sinistra, si apprestano ad adorarlo portando i
loro doni.
In un altro sarcofago la scena con il Bambino sulla mangiatoia e i due immancabili animali (bue a sinistra e asino a destra),
racchiusa sotto una tettoia, è separata da una palma dalla scena dell’Adorazione dei Magi, che vanno da destra verso sinistra, con i loro cammelli,
a portare i doni al Bambino, raffigurato stavolta più grandicello sulle ginocchia di Maria in trono.
In questi esempi manca la figura di
Giuseppe, che secondo il protovangelo di Giacomo sarebbe andato in città
a cercare una levatrice, e quindi Maria avrebbe partorito solamente al
cospetto di Dio. Soltanto più tardi San Giuseppe prenderà il posto del
profeta e sarà protagonista del presepe e delle raffigurazioni della
Sacra Famiglia.
Bibliografia:
M. BUSSAGLI – M. G. CHIAPPORI, I Re Magi, Rusconi, Milano 1985 M. CENTINI, I Re Magi, Xenia Edizioni, Milano 1992
M.E.GARCIA BARRACO (a cura di) Praesepium. La natività e l’Adorazione dei Magi nell’arte paleocristiana, Arbor Sapientiae Editore, Roma 2016
F. CONSIGLIO, Iconografia mariana nei primi secoli del cristianesimo. Gli affreschi della Catacomba di Priscilla, Arbor Sapientiae Editore, Roma 2017
La fonte:
https://www.aboutartonline.com/la-nativita-e-lepifania-nei-sarcofagi-dellantichita-e-nellarte-cristiana-e-paleocristiana/
https://www.aboutartonline.com/la-nativita-e-lepifania-nei-sarcofagi-dellantichita-e-nellarte-cristiana-e-paleocristiana/
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